LA CRISI DEL CALCIO

Partiamo da una considerazione oggettiva: l'industria calcio, quella che trova nella Lega la sua "associazione sindacale e organizzativa", è in crisi e rischia il collasso. Le conseguenze sarebbero disastrose sotto molteplici aspetti che vanno da quello sociale a quello strettamente economico. Se salta il "pallone" anche l'economia del Paese ne subirebbe le conseguenze e non è immorale prendere atto di questa situazione e cercare di individuare tutti gli strumenti che possano allentare la morsa della crisi oppressiva che ha avvolto tutte le società. Ma è altrettanto fondamentale precisare che con questo non si vuole dare ragione ai presidenti e amministratori di società che sono i principali responsabili di questo stato di crisi. Aver spinto il livello degli stipendi dei calciatori ad oltre il 100% del fatturato in numerose società è atto imprenditorialmente irresponsabile. Ottenere agevolazioni e sostegni per proseguire sulla strada di questa dissennata gestione dei club e dei loro conti non farebbe altro che ritardare il collasso del movimento ed esporrebbe al ridicolo chi questi aiuti è intenzionato ad attribuirli. Il comportamento delle società minori tagliate fuori dalla vendita dei diritti televisivi alle pay tv non è di certo una grossa premessa alla presa di coscienza dello stato di cose. La pretesa di ottenere delle cifre completamente fuori mercato dalle "pay", senza che queste possano avere la minima possibilità di rientrare dall'esposizione ambendo a creare un business redditizio nel lungo termine, denota una sensibilità inesistente collegata all'incapacità di affrontare seriamente la crisi.
E' per queste ragioni che apprezzo i commenti di esperti ed editorialisti che invitano tutto il mondo del calcio a compiere innanzitutto un salutare esame di coscienza, prima di chiedere agevolazioni fiscali o economiche. Tuttavia non mi sento di accogliere in pieno il rifiuto, in taluni casi demagogico, di alcune delle richieste che le società stanno cercando di portare avanti. In particolare mi permetto di fare alcune considerazioni in merito alle domande che Franco Locatelli, in un editoriale pubblicato sul Sole 24 Ore del 21 agosto scorso, ha sottoposto ai presidenti della Lega Calcio definendo la loro richiesta "vergognosa". Locatelli giustamente si chiede per quale insana follia, negli anni delle vacche grasse e dei lauti introiti televisivi, le società di calcio hanno regalato ai loro giocatori (e non solo a pochi campioni) la quasi totalità delle entrate, indipendentemente o meno dei risultati raggiunti? C'è però anche da chiedersi per quale insana stupidità tanti giornali non hanno fatto altro che piangere per un mercato incolore, privo di colpi di scena (che sarebbe significato per loro più copie di giornale vendute) e lanciare critiche a tutte quelle società che non fanno grossi acquisti, non riescono a convincere i super campioni a vestire la maglia della propria squadra a simboleggiare quasi l'incapacità dei dirigenti. Con estremo candore quegli stessi giornalisti oggi si sono accorti che il nostro calcio non può reggere questo processo.
Locatelli si chiede anche se "i bilanci del calcio devono, come in tutti i business che si rispettino, perseguire o no un equilibrio tendenziale tra costi e ricavi e, in caso positivo, è venuto o no il momento di ridimensionare premi, stipendi e superingaggi dei calciatori". Giustissimo anche questo, ma il problema principale non è l'equilibrio tra costi e ricavi che le società in un modo o in un altro riescono a raggiungere (vedi scambi farsa per l'iscrizione a bilancio di giocatori per cifre del tutto fasulle). Il vero problema è raggiungere l'equilibrio finanziario, avere un'esposizione sostenibile ed un flusso di cassa che sia quanto meno non negativo. L'esempio della Lazio in tal senso è clamoroso. Ancora, "è del tutto casuale o ha, al contrario, un valore segnaletico il fatto che la squadra che ha vinto l'ultimo campionato di serie A sia gestita dall'unica società italiana che da sei anni presenta un bilancio in attivo e che invece uno dei più blasonati club che è retrocesso in serie B è stato successivamente dichiarato fallito?". Beh, la Juventus costituisce una realtà "favolosa" del calcio business, un vero esempio da seguire. Ma il suo successo in questo campionato non può essere attribuito agli utili di bilancio che ogni anno riesce a portare a casa, anche perché per un niente ha mancato la vittoria l'Inter che, a differenza della Juventus, ogni anno deve ricapitalizzare per le ingenti spese derivanti dagli ingaggi esorbitanti che il club milanese concede e gli acquisti che compie. E se la Fiorentina è fallita le ragioni sono ben altre e legate alle disgrazie del suo proprietario, visto che nemmeno le cessioni ultramiliardarie di giocatori come Batistuta, Toldo e Rui Costa nel giro di due anni sono riusciti a rimettere a posto i suoi conti. Nel quarto quesito Locatelli chiede se "ha ragione il segretario dell'Associazione italiana calciatori, Sergio Campana, secondo cui l'errore più grave delle società è stato quello di riconoscere le spa e le quotazioni in Borsa, che sono limitate a tre, o è vero il contrario e cioè l'aver permesso alle società gestioni incuranti dell'equilibrio di bilancio e prive di un adeguato controllo contabile". Se questa considerazione è ineccepibile, meno è la successiva: "Per quale bizzarro motivo lo Stato, e cioè la totalità dei contribuenti, dovrebbe accollarsi una parte del deficit accumulato dalle società di calcio, che sono le principali o addirittura uniche responsabili del loro dissesto finanziario?" E' vero che fino ad oggi le squadre di calcio italiane sono state gestite con metodi dilettantistici portandola in questa situazione, ma oggi il calcio vive in una condizione dalla quale difficilmente potrà tirarsi fuori da sola. Che paghino i pessimi gestori delle società, ma fino a che punto si potrà essere sordi dinanzi al grido d'aiuto di soggetti iper tassati sulle cui spalle per decenni si è retto tutto lo sport italiano e continua a trainare e sostenere il Coni? Come si potrà intraprendere questa svolta doverosa e impietosa senza riazzerare tutto? E' per queste ragioni che, pur ritenendo colpevoli i presidenti delle società italiane di calcio, ritengo inevitabile l'offerta di aiuto ad un intero "settore industriale" che si è fatto trascinare in un circolo vizioso mettendo a rischio la sopravvivenza dell'intero movimento.

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