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    Predefinito I crimini di guerra americani in Afghanistan

    Usa sott'accusa: non fermarono i massacri delle milizie alleate
    Rivelazioni che rischiano di compromettere l'attacco all'Iraq

    "In Afghanistan crimini di guerra anti Taliban"
    dal nostro inviato VITTORIO ZUCCONI


    TUTTA aggrappata ormai alla pretesa di "superiorità morale", la dottrina della "guerra preventiva" inventata da Bush nella sua solitudine politica per giustificare l'assalto a Saddam prende un bruttissimo doppio colpo sul fronte interno. Le contemporanee rivelazioni del New York Times, sulla complicità di Reagan e la collaborazione americana nell'uso di gas nervino durante la guerra del raìs contro l'Iran, e lo scoop di Newsweek sulle atrocità commesse dalle truppe coloniali alleate in Afghanistan contro centinaia di prigionieri Taliban asfissiati in camion sigillati, sono il corrispettivo giornalistico e fattuale delle critiche strategiche e politiche sollevate da destra e da sinistra, da europei e da arabi, contro l'attacco.

    Il risveglio atteso e inevitabile della libera stampa americana, uscita dal ricatto del patriottismo unanimista e il rialzarsi delle "teste fredde" non più intimidite dagli scalmanati dell'interventismo, segnalano un fenomeno inedito nella storia del conflitto con il terrorismo, una sorta di Vietnam "preventivo", di campagna dissuasiva lanciata prima, e non dopo, il possibile disastro morale e militare della guerra.

    Poiché ogni guerra, e dunque anche quella combattuta in Afghanistan e quella prevista in Iraq, è sempre e prima di tutto guerra di propaganda, la conquista dello high ground, dell'alta quota morale, è indispensabile per vincerla quanto lo sono le alture per le fanterie. Lo è in particolare per gli Usa che, per natura e cultura, dalla Grande guerra alla Normandia alla Corea all'Afghanistan hanno sempre, e molto spesso ben a ragione, sentito il bisogno della "moralità superiore", per intervenire e per rintuzzare ogni accusa di imperialismo.

    Nell'Afghanistan scelto come bersaglio della vendetta allo stupro di Manhattan e di Washington, le immagini di bambini con aquiloni nel cielo, di donne finalmente liberate dalle inferriate del burqa, di stereo e cassette di musica profana scambiate nei suk, ci erano state vendute come gli spot rassicuranti e morali di una guerra che in realtà nessuno di noi, neppure coloro che sono andati a morire per raccontarla, ha davvero mai visto, ma che molti cominciano a sospettare sia stata molto meno "pulita", molto meno efficace (Osama e Omar sono ancora vivi e attivi) e molto meno morale di quello che i volti di giovani donne liberate ci avessero mostrato nei telegiornali.

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    Ma ora, dopo mesi di ricerca e

    di inchiesta che non avrebbero prodotto nulla senza la collaborazione di qualche "talpa" nella forze americane (dettaglio fondamentale per capire perché questi fatti emergano proprio ora) Newsweek scopre che gli ascari afgani del sergente Dostum, noto criminale di guerra ai tempi dell'occupazione sovietica divenuto poi "generale" e grande amico dell'America nell'Alleanza del Nord, si sarebbero macchiate di atrocità degne degli Einsatzgruppen SS in Ucraina o in Polonia. Che avrebbero rinchiuso in camion sigillati centinaia e centinaia di Taliban arresi (quasi mille secondo molte organizzazioni umanitarie internazionali, anche se le cifre delle atrocità di guerra vanno sempre lette con prudenza), trasportandoli sotto il sole dei deserti per giorni fino alla loro morte per inedia e per asfissia e poi gettando i cadaveri in fosse comuni lontane dalle telecamere. Un fatto che oggi permette al Pentagono di rispondere che loro non c'erano, che se c'erano, erano pochi soldati delle Special Force e comunque non hanno visto niente.

    Molto più grave delle rivelazioni del New York Times, che confermano soltanto un fatto ben noto, che Saddam Hussein fu una creatura degli Usa e poi un protegé di Reagan fino all'ancora inspiegabile occupazione del Kuwait, queste notizie dall'Afghanistan strappano la facciata propagandistica della "guerra buona". Fanno intravvedere quali, spaventose faide di sangue potrebbero colpire l'Iraq se la dittatura della gang dei Tikrit oggi al potere fosse rimpiazzata da altri capi clan imposti da Washington e aiutano a capire la inflessibile opposizione americana alla Corte di Giustizia Internazionale sui crimini di guerra che rischierebbe, se fosse aperta un'indagine sul massacro dei Taliban, di scoprire che forse non tutti i soldati delle Special Force americane erano voltati dall'altra parte, mentre si sigillavano prigionieri sui camion e poi si scaricavano "come cassette di pesci al mercato", dice un testimone oculare, i loro cadaveri nelle fosse.

    Solo un osservatore molto ingenuo, molto stupido o molto in mala fede, avrebbe potuto credere che la guerra in Afghanistan, come ogni altra guerra, sia "una festa da ballo" e la moralità degli eserciti in combattimento, regolari o irregolari, è sempre, come scrive il grande storico inglese delle battaglie, John Keegan, "la moralità relativa" di chi alla fine conquista il fortino nemico. Ma sono stati gli americani, è stato in particolare Bush nella solitudine dei suoi argomenti ad agitare la moralità come casus belli, a cercare nella superiorità etica quella giustificazione per i piani di guerra che neppure i suoi consiglieri più ringhiosi riescono a spiegare con prove di colpevolezza irakena nell'attacco a Manhattan o con la formula dello "Stato canaglia", che allora si dovrebbe applicare ad altre nazioni dotate di armi devastanti. Statisti, leader di quelle nazioni europee che gli ossessi della guerra come Richard Pearle definiscono gentilmente "irrilevanti", generali americani in pensione e in servizio, "vecchi saggi" come Kissinger, come Clark, il comandante dell'operazione Nato in Kossovo e Scowcroft, già braccio destro di Bush padre, senatori e deputati di maggioranza e di minoranza, persino il fedelissimo Blair e gli ambigui Sauditi stanno quotidianamente demolendo gli argomenti militari e politici per l'intervento militare in Iraq e accusando Bush di "doppio unilateralismo", di voler agire da solo senza ascoltare né il resto del mondo né il Congresso.

    Per questo, il solo argomento utilizzabile in pubblico rimane la linea della moralità, "il formidabile atto d'accusa morale" contro Saddam del quale ora parla la consigliera Condoleezza Rice, o l'immagine di "quell'uomo cattivissimo che non ha esitato neanche a gasare i suoi stessi cittadini e provoca guai a tutti i vicini" come dice, con la consueta mancanza di articolazione verbale, George Bush. L'incrinatura della pretesa di guerra "morale" di fronte alla scoperta dell'immoralità esposta da Newsweek, la demolizione dello sdegno per la cattiveria di un Saddam che gassava i nemici utilizzando con la complicità di Washington, sono il segnale che, oltre i sondaggi popolari ancora favorevoli ad aggredire Baghdad, i giornali liberi e le teste fredde sanno che non ci sarà nulla di "morale" in un attacco all'Iraq. E che denunciare la sporcizia delle guerre prima che scoppino è più saggio che dover riaprire dopo le fosse comuni della propaganda.

    (19 agosto 2002)

  2. #2
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    Non avevo visto questo thread priam di rispondere su Abu Nidal.
    Era appunto quel che dicevo.
    Grazie Landser.


  3. #3
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    Di nulla Angelo.
    Hai visto cosa si sono inventati gli yankee per giustificare l'attacco all'Iraq? Il cane gassato ad Auschwitz dai cattivoni di Al Qaida.

 

 

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