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    Predefinito La strage nazifascista di S. Anna di Stazzema

    LA STRAGE DI SANT’ANNA DI STAZZEMA (LUCCA)





    All’alba del 12 agosto 1944, numerosi autocarri con a bordo centinaia di uomini in tuta nera (dalle 300 alle 500 unità) della 16^ Divisione dei Panzer Grenadier delle S.S., denominata “Reichsführer SS”, armate di tutto punto, arrivarono a Valdicastello e da lì i soldati, in lunghe file, a distanza di quattro-cinque metri l’uno dall’altro, s’arrampicarono per raggiungere Sant’Anna, un gruppo di case sparse sui monti dell’alta Versilia (comune di Stazzema), dove si erano rifugiati molti sfollati dei paesi del circondario.

    Una colonna di S.S. che aveva iniziato a salire verso Sant’Anna, arrivata a Farnocchia si divise in due squadre; così i tedeschi poterono giungere lassù, sia dalla Foce di Còmpito che da quella di Farnocchia. Per completare l’accerchiamento delle case, da Monte Ornato si mosse

    un’altra colonna di soldati.Nei dintorni di Sant’Anna per un po’ di tempo avevano stazionato i partigiani, astenendosi da compiere azioni di guerriglia in quella località, per non compromettere la popolazione, che avrebbe potuto subire, senza colpe, le violente rappresaglie dei nazisti. Non è da escludere che i nazisti avessero pensato che la gente del posto ed anche gli sfollati (che pativano la fame e stentavano per sopravvivere) potessero essere, non si sa come, d’aiuto ai partigiani.

    Sta di fatto che quando i tedeschi intimarono agli abitanti di Sant’Anna di sfollare a Sala Baganza (Parma), nessuno ottemperò a tale ordine. Preferirono rimanere su quel monte, anche se la vita d’ogni giorno era durissima.

    Il 29 luglio 1944, il Comando delle “Brigate d’assalto Garibaldi” con un manifestino dattiloscritto, affisso sulla porta di una bottega del paese, invitò le donne, i vecchi ed i bambini a non obbedire all’ordine dei tedeschi, effettuando una sorta di resistenza passiva. Gli uomini vennero invitati ad armarsi sia col fucile da caccia che col forcone, per combattere i tedeschi, come avrebbero fatto le stesse formazioni partigiane.

    Intanto, da Sant’Anna, i ragazzi più grandi tutti i giorni guardavano verso Pisa, dove i tedeschi avevano fermato l’avanzata delle truppe alleate; dal fumo causato dall’esplosione delle cannonate e dalle cortine fumogene, cercavano di capire i movimenti del fronte.

    Proprio in quei giorni i tedeschi si preparavano a compiere un’azione d’inaudita violenza contro la pacifica popolazione di Sant’Anna, colpevole di aver disobbedito all’ordine di sfollamento.

    Fu così che si arrivò all’alba tragica del 12 agosto 1944.

    La prima cosa che fecero le S.S. appena arrivati a Valdicastello, fu quella d’imporre a diversi uomini di seguirli per trasportare, caricate sulle spalle, pesanti cassette di munizioni. Col calcio dei fucili bussavano alle porte delle case, facendo capire di essere intenzionati anche ad uccidere se qualcuno si fosse rifiutato di prestare loro aiuto.

    Appena arrivati a Sant’Anna, una S.S. sparò con la pistola un razzo rosso. Dalla foce di Mosceta e da quella di Compito s’alzarono nel cielo altri due razzi; era il segnale stabilito per sferrare l’attacco.

    Quando la gente vide arrivare i soldati, così numerosi, gli uomini riuscirono a fuggire nei boschi vicini; soltanto le donne, i vecchi ed i bambini non si mossero. Talune spose per ingraziarsi i soldati tedeschi, pensarono di mettere sui tavoli delle loro cucine pane, acqua e vino da offrire ad essi al momento dell’arrivo. Nessuno immaginava che le S.S. se la sarebbero presa con loro. Quando la soldataglia tedesca mise in funzione i lanciafiamme, le donne pensarono che volessero soltanto bruciare le case, come avevano fatto a Farnocchia dodici giorni prima, tant’è che iniziarono a tirare fuori i mobili e le masserizie, nel tentativo di salvarle. Ma subito le S.S. mostrarono le loro vere intenzioni, mettendosi a sparare all’impazzata contro la gente incredula che, senza parole, cadeva in terra senza vita.

    Spararono anche contro le bestie che si trovavano nelle stalle. Non ebbero pietà per nessuno: un gruppo di persone fu spinto coi calci dei fucili all’interno della chiesa. Su quei poveretti vennero lanciate bombe a mano e scaricati colpi di mitragliatrice. “Kaputt! Kaputt! Tutti Kaputt!”, urlavano le S.S., mentre i corpi delle vittime venivano investiti dal fuoco dei lanciafiamme.

    Ad una donna incinta sorpresa nella sua casa, squartarono il ventre e al feto (quasi completo) strappatole dal corpo, venne sparato un colpo di fucile alla tempia.

    Furono cento i bambini uccisi; una femminuccia, la creatura più piccola, aveva appena venti giorni.

    Molte persone finirono bruciate vive insieme ai loro cari.

    Don Innocenzo Lazzeri, il parroco di Farnocchia che era sfollato nella canonica di Sant’Anna, la mattina del 12 agosto aveva appena finito di celebrare la Santa Messa, quando s’accorse che stavano per arrivare i tedeschi. Al padre che lo supplicava di fuggire con lui nel bosco, non volle dare ascolto. Forte della fede cristiana che lo animava, si mise in giro per confortare ed incoraggiare la popolazione. Il fatto di essere sacerdote lo induceva a credere che i tedeschi lo avrebbero rispettato; pensava forse, con la sua presenza, di poter scongiurare il massacro, ma non fu ascoltato e venne anche lui martirizzato.

    Mentre in piedi stava benedicendo i corpi della gente uccisa, fu afferrato da due S.S. che lo trascinarono intorno alla chiesa ed al campanile. Quando venne riportato nella piazza, si chinò per benedire il corpicino straziato di un bambino di pochi mesi. Mentre faceva il segno della croce, venne crivellato da una scarica di colpi; il suo corpo fu gettato sul rogo dove bruciò insieme a quelli delle altre vittime trucidate in chiesa.

    Dietro l’edificio sacro di S. Anna i tedeschi uccisero anche gli otto uomini che avevano portato, fin lassù, le cassette piene di munizioni.

    Nel giorno della festa di S. Chiara alcuni soldati delle S.S. preferirono non rendersi complici di tale barbarie; per questo, anziché partecipare alla carneficina, senza farsi vedere dai commilitoni, scaricarono i colpi delle loro mitragliatrici contro gli animali, facendo credere di aver partecipato al massacro. In questo modo alcuni abitanti di Sant’Anna riuscirono a salvarsi.

    Scamparono dalla strage anche poche persone che, rimaste illese sotto i corpi dei familiari uccisi, finsero di essere morti insieme a loro.

    Quando le S.S. ridiscesero a valle, a Sant’Anna rimasero i resti di 560 persone, tra bambini, anziani e donne, spietatamente massacrati da belve feroci con sembianze umane.

    Quella del 12 agosto 1944 fu la più grande strage degli innocenti compiuta dalle S.S. in Italia durante la seconda guerra mondiale.





    - - - - - - - - - - - - - - - - - - - -





    La spaventosa strage degli innocenti è realmente avvenuta così com’è stata descritta. Soltanto dopo cinquant’anni trascorsi dall’estate 1944, allorché é stato possibile prendere visione dei documenti relativi all’eccidio, si è appreso che esso fu compiuto dalla 5ª Compagnia del II Btl. del 35° Rgt. della 16^ SS Panzer Grenadier Division, composto da giovanissimi volontari, al comando del capitano austriaco Anton Galler e non dal maggiore Walter Reder, sospettato per lungo tempo di aver partecipato e diretto l’azione criminale di S. Anna (Reder fu assolto da tale accusa ma fu condannato per altre stragi compiute in quegli anni).

    Il famigerato e impunito capitano Galler, che dopo la guerra riparò in Canada, dove lavorò per una decina d’anni come operaio in una miniera d’uranio, fece ritorno in Austria dove condusse una vita ritirata, trasferendosi poi in Spagna negli anni ’80. Galler morì a Denia (una cittadina vicina ad Alicante, nel sud-est della Spagna) nel 1995.

    Fu questo criminale di guerra che ebbe il barbaro coraggio di comunicare ai comandi superiori tedeschi, che il 12 agosto 1944, a Sant’Anna, il suo reparto aveva ucciso 270 partigiani.

    Renato Sacchelli

    copied&pasted by: G.G.

  2. #2
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    Predefinito bravo gigino!...

    caro il mio bel gigino
    vedo che, come del resto avevo ampiamente previsto, hai subito fatto tesoro del 'copia-incolla' che ti ho insegnato... non male per essere la prima volta...

    Quello che tuttavia ho omesso di dirti nella prima lezione, e che contavo di spiegarti nelle lezioni successive, era l'insegnamento più importante: prima di fare 'copia-incolla' prova a leggere che razza di roba vai a postare, giacchè di scemenze se ne scrivono a bizzeffe... e questo... come si chiama... ah si Renato Sacchelli... ne è un bell'esempio.

    Allora, tanto per cominciare, quando per esempio dice...

    '... la spaventosa strage degli innocenti è realmente avvenuta così com’è stata descritta...

    ... già la cosa puzza un poco, giacchè non si capisce bene perchè debba precisare che quello che lui ha scritto è rigorosamente vero.

    La puzza poi aumenta quando ci tocca leggere la seguente affermazione...

    '... quella del 12 agosto 1944 fu la più grande strage degli innocenti compiuta dalle S.S. in Italia durante la seconda guerra mondiale...'

    ... giacchè è arcinoto che a Marzabotto, dove ha aoprato il citato maggiore delle S.S. Reder, la propozione di 'innocenti' è stata assai maggiore [diciamo il doppio]...

    Essa però diventa una autentico lezzo ammorbante quando si legge una oscenità del genere...

    '... il 29 luglio 1944, il Comando delle 'Brigate d’assalto Garibaldi' con un manifestino dattiloscritto, affisso sulla porta di una bottega del paese, invitò le donne, i vecchi ed i bambini a non obbedire all’ordine dei Tedeschi, effettuando una sorta di resistenza passiva. Gli uomini vennero invitati ad armarsi sia col fucile da caccia che col forcone, per combattere i Tedeschi, come avrebbero fatto le stesse formazioni partigiane...'

    Questo è quello che si chiama in gergo, mio bel gigino, 'spudorato scempio della verità' e a questo punto sono obbligato a una doverosa ricostruzione dell'episodio di S. Anna di Stazzema, avvalendomi naturalmente di ... lo hai capito vero?... si ancora lui... Giorgio Pisanò...

    Mio bel gigino e amici tutti... a risentirci presto!...

    --------------

    Nobis ardua

    Comandante CC Carlo Fecia di Cossato

    P.S. caro il mio gigino, la strage 'nazifascista di S. Anna di Stazzema è stata, come tutte le altre, esculsiva opera dei Tedeschi. Dei 'fascisti' a S. Anna quel giorno non c'era nè l'ombra nè la puzza...

  3. #3
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    Infatti: dove sarei senza di te Carlo. Ti devo tutto. Prometto che al mio prossimo taglia e incolla citerò il tuo nome nei titoli di coda.
    Contento?
    No fascisti non ce n' erano quel giorno, hai ragione.
    Ma io la definisco comunque una strage nazifascista perché se quel signore di Predappio avesse continuato a fare il maestro di scuola oppure il direttore dell' Avanti anziché fondare un partito, quei poveracci non sarebbero morti.
    Ti pare?

    ciao
    Gianni

  4. #4
    memoria storica di PoL
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    caro il mio gigino
    la tua 'analisi storica' è proprio geniale sai?... eh si, se Mussolini non si fosse imbattuto in una scolaresca di delinquenti che gli ha fatto perdere la voglia di fare il maestro elementare, la strage di Sant'Anna non ci sarebbe stata!...

    E' tutta colpa di quei discolacci e... della Scuola delle Belle Arti di Vienna [!?!?!?... ], che ha bocciato tal Adolf Hitler all'esame di ammissione... altrimenti costui avrebbe fatto a vita l'imbrattatele con buona pace e tranquillità di tutti!...

    Scemenze a parte gigino bello ti sono grato di aver introdotto il discorso sulla strage di Sant'Anna di Stazzema, perchè questo tragico episodio è stato sempre 'usato' dai comunisti un vero e proprio 'cavallo di battaglia' e per più di una ragione.

    Innanzitutto, e questo è purtroppo un dato incontrovertibile, le vittime furono esclusivamente vecchi, donne e bambini, e questo è proprio quello che ci vuole per mostrare a tutti la brutalità dei 'nazifascisti', e di riflesso nobilitare la causa delle 'lotta per la libertà'.

    In secondo luogo il fatto che, come vedremo, alcuni superstiti avevano riferito che alle SS che eseguirono il rastrellamento di Sant'Anna si erano unite persone che parlavano italiano, era per loro la 'prova certa' che alla strage avevano preso parte anche i 'fascisti' della X-ma MAS.

    Per fare un poco di chiarezza su questa e altre grossolane falsità intorno all'episodio di Sant'Anna di Stazzema [quali quelle veramente 'colossali' somministrateci da gigino col il suo 'copia-incolla'], ma anche e soprattutto per stabilire una buona volta su chi grava la terribile responsabilità di quei morti, vale a dire sulle SS tedesche e sui partigiani comunisti ripartita in modo equo, riporterò sul prossimo mio postato la ricostruzione dell'episodio fatta a suo tempo da Giorgio Pisanò, tratta dallo stesso libro da cui si è attinto a proposito della guerra civile nel Biellese.

    buona lettura!...

    --------------

    Nobis ardua

    Comandante CC Carlo Fecia di Cossato

  5. #5
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    Sant'Anna di Stazzema [Lucca]. Veduta dei luoghi dove il 12 agosto 1944 una spaventosa rappresaglia germanica falciò l'esistenza di 400 innocenti. Al centro [segnata con un circoletto] la piazza della chiesa dove furono mitragliate 132 persone. In alto [visibile sul crinale] l'ossario che raccoglie i resti delle vittime. La strage venne provocata dallo stillicidio di uccisioni compiute a danno dei tedeschi dai comunisti di una formazione partigiana che si era attestata nella zona. I tedeschi decisero di annientare la banda e avvisarono la popolazione di Sant'Anna di sgomberare per non essere coinvolta nel rastrellamento. I partigiani impedirono ai civili di lasciare il paese. Quando giunsero le SS essi si ritirarono sulle montagne circostanti, assistettero al massacro senza intervenire e, una volta ripartiti i tedeschi, tornarono a Sant'Anna a rapinare i cadaveri degli innocenti massacrati al posto loro


    LA VERITA' SULLA RAPPRESAGLIA DI SANT'ANNA DI STAZZEMA [12 agosto 1944]

    Questa che ora rievocheremo è certamente una delle pagine più infami della ‘guerra privata’ scritta dai comunisti durante la guerra civile. E’ una pagina scritta col sangue di centinaia di innocenti. Una pagina veramente incredibile nella sua agghiacciante assurdità. A Sant’Anna infatti i partigiani rossi provocarono coscientemente la rappresaglia tedesca, lasciarono poi che le SS massacrassero centinaia di civili e tornarono quindi, a strage ultimata, per rapinare i cadaveri delle vittime.

    Sant’Anna di Stazzema, o meglio ciò che resta di questo paese martire, è adagiata a circa 700 metri d’altezza sull’Appennino lucchese che si leva a ridosso della Versilia, in un meraviglioso anfiteatro scavato dalla natura. Da questo anfiteatro che si spalanca sul Tirreno si domina la costa da Pisa a la Spezia. Viareggio, Marina di Pietrasanta, Forte dei Marmi sono là sotto a pochi chilometri di distanza in linea d’aria. Tranquilla nel suo isolamento [ancora oggi per raggiungere Sant’Anna bisogna affrontare due ore di dura salita a piedi da Valdicastello, patria del Carducci], la borgata toscana vide trascorrere lentamente i secoli. Sembrava che gli uomini e il destino si fossero dimenticati dell’esistenza di quel pugno di case sparse in un angolo di paradiso.

    Ma venne la guerra, venne l’8 settembre, e il rombo delle bombe angloamericane che esplodevano lungo la litoranea cominciò a scuotere anche le case di Sant’Anna di Stazzema. Nel paese giunsero i primi sfollati. ‘… il nostro dramma’, ci ha raccontato il signor Duilio Pieri che nella strage perdette il padre, la moglie, due fratelli, le cognate e quattro nipotini e che dal 1945 è presidente del locale Comitato Vittime Civili di Guerra, ‘iniziò praticamente con l’armistizio del settembre 1943. Fu dopo quel periodo che le popolazioni della Versilia, tormentate dai bombardamenti alleati, cominciarono a cercare rifugio nei paesi dell’Alta Versilia, vale a dire sulle nostre montagne. Sant’Anna allora contava poco più di 450 abitanti. Di colpo vedemmo aumentare la popolazione. I disagi che ci venivano imposti da questa nuova situazione tuttavia non ci pesavano. Facemmo del nostro meglio per andare incontro alle necessità di tanti nostri fratelli più sventurati di noi e ci ritenemmo ancora fortunati se la guerra si manteneva lontana dalle nostre case. L’inverno tra il 1943 e il 1944 trascorse così abbastanza tranquillamente. Sentivamo sì il rombo degli aerei che venivano a bombardare le città e i paesi della Toscana, sapevamo che il fronte si stava avvicinando alle nostre zone, sentivamo parlare di guerra civile, di fascisti e di partigiani, di rastrellamenti e di rappresaglie, ma ci sembrava che tutto ciò facesse parte di un altro mondo, che Sant’Anna sarebbe rimasta tagliata fuori da avvenimenti così grandi e terribili. Giunse invece la primavera del 1944. E con la primavera cominciarono a farsi vivi i primi partigiani’.

    Dapprima si trattò di elementi isolati. Sbandati, ex-prigionieri di guerra, qualche renitente alla leva della Rsi. Poche decine in tutto. A questo proposito ecco che cosa racconta Amos Moriconi, un minatore che allora faceva il fornaio. Amos Moriconi nella strage ha perduto la moglie, la figlioletta di due anni, la madre, due sorelle, un fratello e il suocero. ‘…li vedemmo apparire a Sant’Anna verso la fine di marzo’, ci ha detto Amos Moriconi, ‘e li accogliemmo così come avevamo raccolto gli sfollati, fraternamente, pronti ad aiutarli. Nessuno di noi sollevò questioni di natura politica. Ci accorgemmo però ben presto che la nostra umanità non era molto apprezzata. Gli sbandati infatti si accamparono sul crinale delle montagne che sovrastano a semicerchio il paese e pretesero che noi li rifornissimo di viveri. Non ci restò altro che piegarci all’imposizione. Nonostante ciò questi individui cominciarono a perquisire le abitazioni, portando via tutti i viveri che trovavano. Il malumore serpeggiò ben presto tra la popolazione, ma ogni tentativo di ribellione venne soffocato dalla minaccia delle armi spianate’.

    La situazione si andò aggravando di giorno in giorno. Gli abitanti di Sant’Anna si trovarono infatti nella impossibilità di por freno alle angherie compiute dagli sbandati. Non avevano armi per difendersi né intendevano chiedere aiuto alle forze di polizia fasciste o tedesche. Conoscendo bene la zona essi sapevano che nessun rastrellamento sarebbe riuscito a snidare quelle poche decine di uomini nel vasto territorio montagnoso dello Stazzemese, ricco di caverne e di nascondigli di ogni genere. Senza contare che, una volta tornati a valle i rastrellatori, il paese si sarebbe trovato esposto alla inevitabile vendetta dei rastrellati. Verso la metà di maggio infine giunsero nella zona gli emissari comunisti che in breve tempo raccolsero gli sbandati in una formazione partigiana rossa, la ‘Brigata 10 bis Garibaldi’. La brigata venne posta agli ordini di un noto comunista di Serravezza.

    ‘…il fatto che nelle nostre montagne al posto di gruppi di sbandati si trovasse ora una brigata partigiana comunista’, ci ha detto ancora Amos Morriconi, ‘non significò per noi nulla di meglio o di buono. In realtà sulle prime l’attività di questi partigiani fu minima. Li vedevamo girare per il paese armati fino ai denti, sapevamo che aumentavano gradatamente di numero, ma non ci risultava che compissero azioni di guerra contro tedeschi e fascisti. Questo in fondo ci rassicurava. Noi di Sant’Anna infatti non avevamo partigiani e non facevamo parte di alcuna formazione. Sapevamo però che in caso di rastrellamento avremmo corso tutti un pericolo gravissimo rischio, specie noi uomini. I tedeschi o i fascisti non avrebbero fatto certamente molte distinzioni tra quelli della montagna e noi del paese. Purtroppo con il mese di giugno i partigiani comunisti, ormai circa duecento, cominciarono ad effettuare puntate verso la pianura e nelle vallate…’.

    Sull’attività svolta in quel periodo dai comunisti arroccati sui monti dello Stazzemese esistono solo alcune pubblicazioni molto imprecise e tutt’altro che esaudienti. Siamo riusciti comunque ad attingere sufficienti notizie e possiamo quindi dare un quadro abbastanza chiaro delle azioni compiute dai partigiani rossi nelle settimane che precedettero la strage di Sant’Anna. E’ una storia di agguati, brevi scontri tra pattuglie, prelevamenti di cittadini iscritti al partito fascista repubblicano. Specie contro questi ultimi i comunisti si mostrarono abbastanza aggressivi. Molti fascisti furono uccisi nelle loro abitazioni, spesso sotto gli occhi dei familiari. Altri invece vennero condotti prigionieri tra le montagne e lì trucidati senza alcuna parvenza di processo. Queste azioni provocarono solo raramente la rappresaglia dei fascisti. Nella zona di Sant’Anna anzi le camicie nere non effettuarono mai rastrellamenti. Né i tedeschi si scaldavano eccessivamente per questi episodi di guerra civile tra Italiani. Quando però i comunisti accentuarono la loro attività nei confronti delle truppe germaniche, fu subito chiaro che le ritorsioni non si sarebbero fatte attendere.

    In quei giorni tra l’altro [parliamo del periodo giugno-luglio del 1944] gli angloamericani, superata Roma, stavano puntando decisamente verso il nord, e i tedeschi si preparavano a resistere lungo quella ‘Linea Gotica’ che doveva poggiare, nel versante tirrenico, proprio sulle montagne della Lucchesia, Alta Versilia compresa. L’attività pur sporadica dei partigiani comunisti nello Stazzemese, in un territorio cioè che stava per diventare retrovia se non addirittura prima linea, allarmò, forse eccessivamente, i comandi germanici. I tedeschi inviarono così pattuglie in tutta la zona per saggiare la consistenza delle forze partigiane. Si verificarono scontri nei pressi di Sant’Anna e, di là della cerchia di monti che circonda il paese, in altre località, specie Stazzema e Farnocchia.
    Va subito precisato che non si trattò di battaglie vere e proprie così come certe pubblicazioni anche recenti vorrebbero far credere. Le pattuglie tedesche contavano in media dai quattro ai dodici uomini. Più consistenti le pattuglie partigiane ma in definitiva niente di eccezionale. Sta di fatto però che la presenza di partigiani venne segnalata un po’ dovunque nello Stazzemese e i comandi germanici giunsero alla conclusione che il grosso delle bande si era attestato sui monti che formavano lo ‘anfiteatro’ di Sant’Anna, dalla Foce di Compito al monte Gabberi. Una zona strategicamente importante dalla quale si poteva dominare l’intera Versilia. Le puntate esplorative tedesche di infittirono. Vi furono alcuni morti da ambo le parti. Durante il mese di luglio pattuglie tedesche si avvicinarono tre volte a Sant’Anna e sempre furono accolte dal fuoco dei partigiani. Gli esploratori notarono che i partigiani comunisti si erano trincerati in alcune case d’abitazione e anche sul campanile, e in questi termini naturalmente riferirono ai superiori. Sulle carte topografiche appese alle pareti dei comandi tedeschi un grosso cerchio nero venne allora disegnato attorno al nome di Sant’Anna. Un segno che significava morte e distruzione.

    Si giunse così alla fine di luglio, allorchè i tedeschi decisero di eliminare ogni presenza partigiana nello Stazzemese, specie nella zona di Sant’Anna. A questo scopo venne trasferito nell’Alta Versilia un battaglione della 16-a divisione SS Reichfuehrer. L’azione delle SS si sviluppò sistematicamente. Occupati e presidiati i centri nei fondovalle intorno ai monti di Sant’Anna, i tedeschi presero a salire stringendo gradatamente il cerchio. I primi giorni li dedicarono a rastrellare l’esterno dello ‘anfiteatro’. Ordinarono agli abitanti di Stazzema, di Farnocchia e di altri borghi di sfollare e batterono quindi la zona metro per metro. I partigiani tentarono solo sporadiche resistenze, specie a Farnocchia, le cui abitazioni per rappresaglia vennero date alle fiamme dai soldati tedeschi l’8 agosto.
    Quella sera con l’incendio di Farnocchia si concluse la prima parte del rastrellamento. L’intero ‘anfiteatro’ era ormai circondato dalle SS che si preparavano all’azione conclusiva, l’annientamento dei partigiani rossi, che i tedeschi credevano di aver ristretto sul crinale delle montagne e nell’abitato di Sant’Anna. Nella trappola però restarono solo dei civili innocenti, un migliaio di perone, in gran parte donne e bambini.

    ‘… noi di Sant’Anna’, ci hanno confermato numerosi superstiti, ‘avevamo seguito con il cuore in gola gli avvenimenti di quegli ultimi giorni. Avevamo saputo dei rastrellamenti nell’altro versante della montagna e dell’incendio di Farnocchia. I partigiani inoltre avevano sparato dalle nostre case contro i tedeschi. Prima o poi, lo sapevamo bene, il rastrellamento sarebbe arrivato anche a Sant’Anna. Ci sorreggeva un filo di speranza. I partigiani infatti continuavano a ripeterci che non se ne sarebbero andati, che ci avrebbero difesi con ogni mezzo, che non c’era da temere perché loro erano più forti dei tedeschi. La mattina del 9 agosto venne affisso sulla chiesa un manifesto del comando germanico. Era l’ordine di sgombero per la popolazione civile. Ci davano poche ore di tempo per andarcene tutti. I civili che fossero stati sorpresi in paese dalle truppe rastrellatrici sarebbero stati considerati collaboratori dei partigiani e fucilati come tali. La voce si sparse in un baleno. I comunisti però intervennero subito, strappando il manifesto tedesco ed affiggendone un altro nel quale facevano obbligo ai civili di non muoversi. Che cosa dovevamo fare?… eravamo presi tra due fuochi. La presenza minacciosa dei partigiani comunisti era molto più concreta di qualsiasi ordinanza tedesca. Così restammo tutti…’.

    Gli abitanti di Sant’Anna e gli sfollati che avevano cercato salvezza nel borgo appenninico non potevano certo sospettare in quei momenti che i comandanti comunisti avevano deciso freddamente di sacrificarli. Quel giorno stesso i partigiani comunisti sparirono. In paese non li vide più nessuno. Qualcuno volle sostenere più tardi che i partigiani della formazione comunista avevano abbandonato Sant’Anna perché avevano ricevuto l’ordine di raggiungere un’altra zona della Lucchesia. Non è vero. Si allontanarono solo provvisoriamente dalle montagne e dal paese di Sant’Anna perché erano stati avvisati in tempo del rastrellamento decisivo che i tedeschi stavano per scatenare con la certezza di averli ormai chiusi in trappola. Se ne andarono obbligando i civili a non muoversi. Calcolarono infatti cinicamente che le SS avrebbero scambiato gli uomini di Sant’Anna per partigiani comunisti e li avrebbero massacrati tornando poi alle loro basi con la certezza di aver ‘ripulito’ la zona. ‘… credo di essere stato uno dei pochi ad aver la percezione di quanto stava per accadere’, ci ha raccontato Amos Moriconi, ‘… ricordo che affrontai uno degli ultimi partigiani che si accingevano a lasciare il paese e gli dissi: ‘…perché ci abbandonate?… voi sapete bene di averci infilato in una trappola e sapete anche che i tedeschi non ci risparmieranno… avevate promesso di difenderci… dove ve ne andate adesso?…’. Ma quello mi guardò ghignando e si allontanò senza rispondermi…’.

    Quel giorno non accadde nulla. Anche il 10 e l’11 agosto trascorsero in una calma assoluta, quasi irreale. Sant’Anna sembrava tagliata fuori dal mondo. All’alba del 12 sul crinale delle montagne che sovrastano il paese apparvero gli elmetti bruni e le tute mimetiche delle SS.
    La strage cominciò poco dopo le sei del mattino. I tedeschi, circondata la vasta conca dello ‘anfiteatro’ dove sorge Sant’Anna, si divisero in squadre penetrando simultaneamente nelle diverse frazioni che compongono il paese, Angentiera, Le Case, Franchi, Vaccareccia, Coletti, Bambini, Colle, Sennari e Molini. La popolazione venne colta di sorpresa. L’allarme però corse fulmineo di casa in casa e furono numerosi coloro che riuscirono a mettersi in salvo fuggendo nei boschi che circondano Sant’Anna. Come già era accaduto in occasione di precedenti casi del genere, solo gli uomini tra i 18 e i 60 anni cercarono scampo. Fino a quel momento infatti l’incubo della rappresaglia aveva sempre risparmiato i vecchi, le donne e i bambini. Nessuno in paese quella mattina poteva sospettare che i tedeschi fossero decisi a uccidere senza pietà tutti gli abitanti di Sant’Anna come ‘favoreggiatori dei partigiani’. Nessuno poteva immaginarlo, ad eccezione però di alcune persone… i comandanti comunisti. Questi infatti sapevano benissimo che i tedeschi quando ritenevano di dover eliminare qualsiasi presenza partigiana in un certo settore non esitavano a massacrare anche i civili che abitavano nella zona. Lo sapevano anche perché proprio in quelle ultime settimane, specie nel territorio in provincia di Arezzo, centinaia di innocenti erano stati trucidati nel corso di alcune feroci ritorsioni scatenate dall’attività di formazioni partigiane rosse. I capi comunisti però, fedeli alle direttive della ‘guerra privata’ condotta dall’organizzazione rossa, si guardarono bene dal mettere sull’avviso gli abitanti di Sant’Anna. A loro quegli uomini, quelle donne e quei bambini facevano comodo più da morti che da vivi, visto e considerato tra l’altro che nessuno degli abitanti del paese aveva voluto entrare nelle formazioni partigiane comuniste. Sui morti infatti l’organizzazione comunista avrebbe potuto speculare a volontà. Alle prime avvisaglie del rastrellamento si occultarono così sulle montagne attorno al paese e se ne stettero a guardare. Sul comportamento dei partigiani comunisti torneremo tra non molto. Per ora riprendiamo il racconto di quanto accadde la mattina del 12 agosto nel borgo versiliese.

    ‘… stavo ancora riposando…’, ci ha raccontato il signor Mario Bertelli che allora faceva il minatore e aveva 23 anni, ‘… quando venni svegliato all’improvviso dalle grida di un mio nipotino, Aldo Bertelli: ‘… alzati zio!… fai presto!… sono arrivati i tedeschi!…’. Quelle parole mi gelarono il sangue nelle vene. Da un po’ di tempo tra l’altro ero ammalato e proprio il giorno prima, per curarmi meglio e per alleviare i disagi di mia moglie, avevo deciso di lasciare la cascina del bosco dove ci eravamo rifugiati per timore di rappresaglie in seguito agli ultimi scontri avvenuti in paese tra partigiani e tedeschi. Eravamo così tornati nella nostra casa a Sant’Anna. Spaventatissimo e convinto che i tedeschi avrebbero rastrellato il paese portando via tutti i giovani della mia età, indossai rapidamente gli abiti e corsi fuori di casa gridando a mia moglie che andavo a nascondermi nel bosco…’.
    Anche Mario Bertelli sperò, sulle prime, che i comunisti intervenissero in difesa del paese e della popolazione. Si trattò di una illusione che durò ben poco: ‘…dal mio nascondiglio…’, ci ha detto ancora il signor Bertelli, ‘… potevo udire l’eco degli spari e delle raffiche. La distanza mi impediva di udire le grida e le invocazioni di aiuto. Per un po’ di tempo ritenni che i tedeschi sparassero più che altro per intimidire la popolazione, come era accaduto già altre volte. Poi cominciai a vedere il fumo degli incendi. Bruciavano case un po’ ovunque. Mi resi conto che la situazione si stava facendo tragica. Ero solo, senza armi. Tornare in paese in quelle condizioni non sarebbe servito a nulla. Non avrei potuto aiutare i miei familiari e sarei caduto subito nelle mani dei tedeschi. Trascorsi così ore di agonia. Alla fine gli spari diminuirono di intensità e poi cessarono del tutto. Mi avviai verso l’abitato. Avrei voluto correre ma ero troppo debole a causa della mia malattia. L’orgasmo e il terrore di quanto avrei potuto vedere in paese mi piegavano le gambe. Quando arrivai molte case stavano ancora bruciando. Mi avvicinai alla prima e vidi alcuni cadaveri tra le fiamme. Corsi allora come un pazzo verso la mia casa. Era stata distrutta dalle fiamme, ma tra le macerie infuocate non vidi alcun cadavere. Mi spinsi allora fino alla piazza della chiesa, da dove vedevo levarsi un fumo denso. Quando arrivai una scena spaventosa mi inchiodò al suolo senza che avessi più la forza di fare un passo. Un mucchio enorme di cadaveri stava bruciando lentamente. Ad un tratto mi sentii afferrare convulsamente ed una voce, quella di mio padre, singhiozzò: ‘… sono là dentro, tutti…’. Seppi così che nell’orribile cumulo c’erano mia moglie, mia madre, le mie sorelle Pierina e Aurora e il mio nipotino…’.
    ‘… che cosa sia successo nelle ore e nei giorni che seguirono non me lo ricordo bene. So che unii i miei sforzi a quelli di altri superstiti per seppellire tutti quei morti. Nella impossibilità di identificare coloro che erano stati trucidati nella piazzetta della chiesa, scavammo due grandi fosse comuni lì accanto e li seppellimmo tutti insieme. Contammo centotrentadue creature, in maggioranza donne e bambini…’.

    La strage durò circa un’ora e mezza. La rappresaglia però non si accanì contro tutte le frazioni che compongono Sant’Anna. Nella frazione Sennari per esempio le SS diedero fuoco ad alcune case e radunarono tutta la popolazione in una piazzetta. Sistemarono quindi le mitragliatrici per falciare quei poveretti. Giunse all’ultimo momento un ufficiale tedesco che impedì il massacro. Nella frazione Bambini i tedeschi non bruciarono case e non uccisero alcuno. Le altre frazioni invece furono tutte distrutte e gli abitanti massacrati. Non si è mai capito il perché di questa terribile selezione. Una risposta può essere data dal fatto che le SS conoscevano , o perlomeno credevano di conoscere, l’ubicazione delle case nelle quali erano stati ospitati i partigiani e dalle quali i partigiani avevano sparato sui loro camerati. Al rastrellamento infatti partecipò, accanto ai tedeschi, un ex-partigiano comunista, di nazionalità polacca, divenuto spia delle SS. Fu costui molto probabilmente ad indicare ai tedeschi le frazioni da distruggere e le famiglie da massacrare.
    Nel solco sanguinoso della feroce rappresaglia restarono i corpi di centinaia di vittime. Quante esattamente?… difficile dirlo con precisione…Ufficialmente furono 560. E’ probabile tuttavia che la cifra complessiva sia inferiore. Per sincerarcene abbiamo percorso l’intero abitato di Sant’Anna, cercando di ricostruire, casa per casa, la dislocazione e il numero dei componenti di ciascuna famiglia presente quella tragica mattina in paese. Siamo arrivati alla conclusione che le vittime non furono più di 300-350. La stessa più o meno si rileva anche da un opuscolo, Fuoco sulla Versilia, di Anna Maria Rinonapoli [ed. Avanti, 1961] , che riporta l’elenco nominativo dei civili massacrati a Sant’Anna il 12 agosto. L’elenco consta di 340 nominativi.Una cifra comunque spaventosamente alta. Di questi innocenti massacrati, ben 65 erano bambini di età inferiore ai 10 anni.
    Un altro punto controverso riguarda la presenza o meno di italiani tra i massacratori. Abbiamo interrogato molti superstiti per appurare la verità. Le conclusioni sono state che nessuno vide quella mattina soldati in divisa italiana nella zona. Alcuni sostengono di aver sentito le SS esprimersi in italiano. E’ necessario allora precisare che i reparti che eseguirono la rappresaglia [alcune compagnie di un battaglione della 16-a divisione SS] inquadravano non solo soldati di nazionalità tedesca, ma anche polacchi, ucraini e altoatesini della provincia di Bolzano. Questi ultimi, i quali parlavano benissimo l’italiano, si distinsero purtroppo in più di una occasione durante rappresaglie e rastrellamenti. Il plotone di fucilazione che trucidò i 335 caduti delle Fosse Ardeatine per esempio era composto quasi totalmente da altoatesini [su questo punto Pisanò, anche se ovviamente egli si riferisce ai militari di truppa e non a ufficiali e sottoufficiali della guarnigione delle SS di via Tasso, probabilmente è in errore…- n.d.r.]. A conferma del fatto che soldati della Rsi non parteciparono al massacro di Sant’Anna esistono poi i verbali dei processi celebrati nel dopoguerra contro i fascisti e i soldati della Rsi che avevano prestato servizio nella zona. Nessuno di loro venne riconosciuto colpevole e condannato per avere seguito i tedeschi nella terribile strage.

    L’infamia di Sant’Anna di Stazzema ricade quindi esclusivamente su di una formazione germanica e sui comunisti che fecero di tutto per provocare la rappresaglia, abbandonando poi la popolazione di un intero paese nelle mani dei tedeschi inferociti. Tutte le testimonianze dei sopravvissuti di Sant’Anna sono concordi nell’attribuire ai partigiani comunisti la responsabilità morale del massacro. ‘… noi del paese…’, ci è stato confermato ripetutamente, ‘… non eravamo partigiani. Eravamo certi inoltre che i partigiani comunisti, in caso di bisogno, ci avrebbero difesi. Invece se ne andarono proprio alla vigilia del rastrellamento e ci lasciarono massacrare dopo averci ben chiusi nella trappola…’. E’ indiscutibile inoltre che i partigiani non si allontanarono troppo dalla zona, ma rimasero nascosti tra le rocce e i boschi delle montagne attorno a Stazzema. Lo prova il fatto che nemmeno due ore dopo la fine del massacro tornarono a farsi vivi in paese, il che significa che durante la strage non dovevano trovarsi molto lontano. Perché non intervennero in difesa dei civili?… Perché non tentarono di attaccare le SS per dare il tempo ai vecchi, alle donne, ai bambini di Sant’Anna di fuggire nei boschi?… Nessuno ha dato mai risposta a queste domande e nessuno mai ne darà. E’ significativo però il fatto che i comunisti, così bravi nelle manifestazioni commemorative e così pronti a spendere decine di milioni per organizzare marce e raduni in memoria delle ‘vittime del nazifascismo’, non hanno mai speso una lira per commemorare i caduti di Sant’Anna [ricordo che Pisanò ha scritto queste righe nel 1962… - n.d.r.] . La verità è che il Pci preferisce distruggere il ricordo di quei morti innocenti perché sotto molti aspetti le infamie compiute dai rossi nei confronti del povero borgo toscano fanno dei comunisti altrettanti complici delle SS.
    Confessiamo che prima di dar credito a queste voci abbiamo esitato a lungo, tanto il fatto ci sembrava mostruoso e inconcepibile [l’autore si riferisce alla razzia di quanto apparteneva ai morti operata dai comunisti a Sant’Anna dopo la strage… - n.d.r.] . Le circostanze che abbiamo raccolto tuttavia sono circostanziate e ben precise.
    Ecco quanto racconta Amos Morriconi, l’ex-fornaio di Sant’Anna: ‘… erano appena suonate le sei del mattino quando udii la voce di mio zio, Italo Farnocchi, che gridava: ‘… scappa, stanno arrivando i tedeschi!…’. Non me lo feci ripetere due volte. Non avevo nessuna intenzione di finire in Germania. Ebbi appena il tempo di gridare a mia moglie: ‘… ci sono i tedeschi!…’, che già ero fuori dell’uscio. Mi diressi verso un folto bosco vicino. Sapevo dove nascondermi anche perché in quegli ultimi giorni, preso dal sospetto che i partigiani comunisti non ci avrebbero difesi, mi ero preparato all’eventualità di una fuga. Restai nel bosco circa due ore. Anche io come tanti altri non mi resi conto di quanto stava accadendo in paese. Mi spostai allora in un punto dal quale potevo vedere Sant’Anna. Mi accorsi che i tedeschi trascinavano la gente fuori dalle case e la radunavano in più punti. Ancora però non capivo, non volevo capire. Poi le raffiche di mitraglia e gli urli. Mi sembrò di impazzire. Corsi verso, il paese invocando i nomi di mia moglie Nora e della mia piccola Claudina. Raggiunsi le prime case di Sant’Anna mentre i tedeschi stavano allontanandosi. Credo di essere stato uno dei primissimi, se non il primo, ad entrare nel paese distrutto e pieno di morti. Trovai la mia casa che bruciava. Di mia moglie e di mia figlia nessuna traccia. Non tardai purtroppo a sapere che erano state massacrate nel piazzale della chiesa. E non era finita, poco dopo alla Vaccareccia trovai le salme di mia madre e dei miei tre fratelli. Mi aggirai come un folle per le rovine di Sant’Anna. Non sapevo che fare, non riuscivo neppure a pensare. Fu allora che qualcuno mi disse che era necessario seppellire subito i morti. Raccolsi un po’ di attrezzi e scavai una grande buca. Trasportai lì le salme dei miei congiunti e cercai di comporle prima di seppellirle.
    ‘… mentre mi stavo dedicando a questa terribile incombenza vidi i partigiani. Erano due. Uno lo conoscevo bene da tempo, era un milanese che si faceva chiamare ‘Timoscenko’. Si avvicinarono a me. Notai subito che avevano le tasche piene di portafogli, oggetti d’oro e d’argento. Se n’erano infilati anche nella camicia. Li guardai senza parlare. ‘Timoscenko’ mi disse: ‘… devi consegnarci tutti i soldi e gli oggetti di valore che trovi sui morti. Siamo noi che dobbiamo prenderli in consegna…’ . Mi sentii salire il sangue alla testa. Impugnai la piccozza e la alzai di scatto: ‘… vattene!…’, gli dissi, ‘… vai via se non vuoi che ti spacchi il cranio!…’. ‘Timoscenko’ esitò un momento e poi senza replicare si allontanò…’.
    Sul conto di questo ‘Timoscenko’ e di altri partigiano comunisti ne abbiamo sentite raccontare di tutti i colori. Furono visti entrare in case dove non era rimasto vivo più nessuno e uscirne dopo aver fatto man bassa. Furono anche visti spartirsi il bottino: ‘… qualche giorno dopo la strage…’, ci ha confermato Teresa Pieri, una delle superstiti, ‘… scesi a Valdicastello. In una strada riconobbi due partigiani comunisti che avevo visto tante volte a Sant’Anna. Mi avvicinai e mi accorsi che si stavano dividendo soldi, braccialetti, catenine d’oro. Tutta roba rapinata sui cadaveri dei nostri cari…’.

  6. #6
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    Per questa strage nessuno ha pagato. E per anni la sua pratica rimase sepolta con molte altre di eccidi vari compiuti da nazifascisti in un armadio , mi pare, del ministero della difesa.

    Lo scorso anno alle celebrazioni della memoria di questa strage venne dalla Germania il borgomastro di una città tedesca per chedere il perdono alla popolazione dei delitti dei padri.
    A queste celebrazioni non si è presentato alcun rappresentante del nostro governo in carica.
    Vedremo chi ci andrà al 12 Agosto di quest'anno. Chi rinuncerà per un giorno alle ferie in barca in Sardegna .
    mr

  7. #7
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    Berlusconi non verrà di certo perché tempo fa promise a Bertinotti di andare prima a trovare papà Cervi...

    saluti
    Gianni Guelfi

  8. #8
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    Magari ci va Fecia a portare le sue ricostruzioni storiche o a consolarli facendo loro presente che, all'eccidio, non era presente nessun fucilatore fascista, tutti occupati altrove.
    mr

  9. #9
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    Predefinito la stage dimenticata di piazzale Loreto...

    cara MariaRita e caro gigino
    che non abbiate neanche l'ombra di un argomento per vanificare la ricostruzione fatta di Giorgio Pisanò della verità sulla strage di Sant'Anna di Stazzema è evidente per chiunque e chiramente subito cercate doi cambiare argomento tirando fuori stavolta i fratelli Cervi [proviamo, non si sa mai...].

    Piuttosto se non vi spiace [ma se vi spiacerà meglio così...] volglio proporre io una interessante anniversario che cade proprio oggi, tanto è vero che stamattina il sindaco di Milano Gabriele lo ha ricordato in una cerimonia ufficiale: la fucilazione di 15 militanti antifascisti eseguita a piazzale Loreto nell'agosto del 1944 da parte di un reparto misto della Guardia Nazionale Repubblicana e della Legione Ettore Muti. La fucilazione dei 15 era stata eseguita a titolo di rappresaglia in seguito ad un attentato avvenuto due giorni prima sempre in piazzale Loreto che aveva causato la morte di 5 tedeschi e 13 italiani, tra i quali tre bambini. A questo riguardo sono felice di proporvi la 'ricostruzione' di quest'altro bestiale crimine, attuato guardacaso anche stavolta dai partigiani comunisti, ricostruzione che è opera, pensate un pò, di ... Paolo Pisanò, fratello del compianto Giorgio Pisanò...

    Prima di lasciarvi alla lettura [mi raccomando non perdetevi una sola riga!...] un piccolo dettaglio poco conosciuto sull'episodio in questione. I tedeschi avevano all'inizio deciso di applicare la solita proporzione di 10 italiani per ogni tedesco e di conseguenza di fucilare 50 ostaggi e fu solo l'intervento di Mussolini che alla fine ridusse a 15 il numero di italiani fucilati a piazzale Loreto.

    buona lettura!...



    I GAP E L’ECCIDIO DI PIAZZALE LORETO

    Riapre il processo all’ufficiale delle SS che il 10 agosto 1944 fece uccidere a Milano quindici partigiani.Inizia così una nuova campagna politica. Nessuno ricorda che la strage avvenne per ritorsione dopo che i comunisti avevano ucciso 5 soldati tedeschi e 13 civili italiani, innocenti, tra i quali 3 bambini.

    Paolo Pisanò

    Si è aperto il 28 novembre scorso a Torino il processo contro l'ex capitano delle SS Theodor Emil Saevecke, già comandante della 'Sichereit' tedesca a Milano fra il settembre 1943 e l'aprile 1945 [oggi ottantaseienne vicedirettore del controspionaggio di Bonn in pensione], accusato dell'eccidio di 15 partigiani in piazzale Loreto, avvenuto il 10 agosto 1944. Tutto è pronto per l'apertura del secondo revival giudiziario dopo il processo di Roma contro Erich Priebke. Ciascuno ha fatto la sua parte per preparare la scena sulla quale, come da copione, dovrà essere nuovamente condannato il Male, glorificato il Bene e, soprattutto, riaffermata la santità della Resistenza, madre della Repubblica.

    Ha fatto la sua parte il dottor Pier Paolo Rivello, procuratore militare di Torino, che lo scorso anno ha riaperto il caso dopo oltre mezzo secolo di 'archiviazione provvisoria'; l'hanno fatta i consiglieri comunali milanesi dell'Ulivo e di Rifondazione comunista che hanno fatto approvare [in un consiglio a maggioranza di centro-destra] una mozione per la costituzione del Comune di Milano come parte civile contro l'ex ufficiale delle SS; l'ha fatta L'Unità che ha dedicato cinque pagine del suo supplemento settimanale al nazista e alla sua scandalosa carriera postbellica nella democraticissima Germania di Bonn; l'ha fatta anche l'amministrazione di centro-destra del Comune di Milano che, nel candore del suo bimestrale di informazione a distribuzione gratuita [n. 3 - ottobre 1997], ha accennato al tragico evento di cinquant'anni or sono con queste incredibili parole: '.0 agosto. Milano ricorda i martiri di piazzale Loreto, i 15 partigiani fucilati dalle camicie nere il 10 agosto 1944, come rappresaglia per un attentato [senza vittime] a un camion tedesco in Porta Venezia...'

    C'è tutto perché lo spettacolo edificante possa cominciare: il boia nazista, le camicie nere , il pretesto risibile [un botto innocuo senza vittime] e, infine, le 15 vittime della barbarie nazifascista. Manca solo un dettaglio: la verità.

    LA MENSA DI PROPAGANDA DEL MARESCIALLO 'CARLUN'

    La verità sul perché, la mattina del 10 agosto 1944, quindici antifascisti detenuti a San Vittore [Andrea Esposito, maglierista; Domenico Fiorano, industriale; Umberto Fogagnolo, ingegnere; Giulio Casiraghi, tiratore di gomena; Salvatore Principato, insegnante; Renzo Del Riccio, operaio; Libero Temolo, operaio; Vittorio Gasparini, dottore in legge; Giovanni Galimberti, impiegato; Egidio Mastrodomenico, impiegato; Antonio Bravin, commerciante; Giovanni Colletti, meccanico; Vitale Vertemarchi, Andrea Ragni e Eraldo Pancini] furono condannati a morte assieme ai loro compagni Eugenio Esposito, Guido Busti, Isidoro Milani, Mario Folini, Paolo Radaelli, Ottavio Rapetti, Giovanni Re, Francesco Castelli, Rodolfo Del Vecchio, Giovanni Ferrario e Giuditta Muzzolon è tutt'altra.

    Perché, mentre Giuditta Muzzolon veniva graziata e per gli altri dieci la pena di morte veniva commutata in 'condanna in penitenziario, qualora non si verifichino atti di sabotaggio', i primi quindici furono portati in piazzale Loreto e fucilati?... Per un innocuo botto dimostrativo senza vittime ai danni di un autocarro tedesco?...

    No... il sangue del 10 agosto 1944 era stato provocato da altro sangue sparso 48 ore prima precisamente alle 7,30 dell'8 agosto, al margine della stessa piazza [angolo viale Abruzzi-Loreto] quando una bomba 'gappista' [GAP Gruppi di Azione Patriottica, organizzazione terroristica del Partito comunista italiano] era esplosa tra la folla compiendo una strage che era costata la vita a cinque soldati tedeschi e tredici civili italiani fra i quali una donna e tre bambini, rispettivamente di tredici, dodici e cinque anni.

    Ecco i nomi dei civili italiani che morirono sul colpo nell'attentato gappista o nei giorni successivi, tutti per 'ferite multiple da scoppio di ordigno esplosivo': Giuseppe Giudici, 59 anni; Enrico Masnata, Gianfranco Moro, 21 anni; Giuseppe Zanicotti, 27 anni; Amelia Berlese, 49 anni; Ettore Brambilla, 46 anni; Primo Brioschi, 12 anni; Antonio Beltramini, 55 anni; Fino Re, 32 anni; Edoardo Zanini, 30 anni; Gianstefano Zatti, 5 anni; Gianfranco Bargigli, 13 anni; Giovanni Maggioli, di 16 anni.
    Rimasero inoltre feriti più o meno gravemente: Giorgio Terrana, Letizia Busia, Luigi Catoldi, Maria Ferrari, Ferruccio De Ponti, Luigi Signorini, Alvaro Clerici, Emilio Bodinella, Antonio Moro, Francesco Echinuli, Giuseppe Formora, Gaetano Sperola e Riccardo Milanesi.

    Dei cinque soldati tedeschi uccisi, i cui nomi non furono annotati nei registri civili italiani, è rimasta memoria solo di un maresciallo di nome Karl, che per la sua mole era stato soprannominato dai milanesi di Porta Venezia 'El Carlùn' [il Carlone]. Quel nomignolo che Karl, maresciallo di fureria, se l'era guadagnato fermandosi ogni mattina, all'angolo fra viale Abruzzi e piazzale Loreto, con i suoi camions per distribuire alla popolazione verdura, patate e frutta che la 'Staffen - Propaganda' acquistava al mercato di Porta Vittoria, aggiungeva agli avanzi delle mense militari e regalava ai milanesi, tutti, a quell'epoca, dannatamente a corto di viveri. Un'operazione di 'public relations', si direbbe oggi, intrapresa dalle Forze Armate tedesche nei confronti dei civili e che, dati i tempi di fame, aveva riscosso un successo immediato. Troppo, per la sensibilità antifascista della 'GAP' di Milano, comandata da Giovanni Pesce, detto 'Visone', tutt'oggi vivente e quindi in grado di ricostruire nei dettagli l'azione che venne decisa e attuata per spezzare il feeling alimentare promosso dalla Wermacht con i milanesi.

    UNA ININTERROTTA CACCIA ALL’UOMO

    Il risultato fu che la mattina dell'8 agosto 1944, i terroristi del Partito comunista si mescolarono alla piccola folla che si accalcava come di consueto davanti alle ceste del 'Carlùn' e infilarono in una di queste la bomba ad alto potenziale che, poco dopo, avrebbe seminato la strage indiscriminata: 18 morti e 13 feriti, quasi tutti poveracci milanesi.

    Diciotto morti e tredici feriti innocenti, tutti assolutamente dimenticati, abrogati, cancellati dalla memoria storica, politica e giudiziaria italiana. Come se fossero indegni di ricordo, di pietà, di giustizia. Li ha dimenticati Giovanni Pesce detto 'Visoni', 'medaglia d’oro al valor partigiano', il quale nei libri da lui scritti sulla sua militanza gappista non ha mai raccontato questa azione che pure non è di poco conto [18 morti e 13 feriti in un colpo solo e senza subire perdite rappresentano un risultato ragguardevole]; li ha ignorati, a quel che sembra, il procuratore militare Pier Paolo Rivello riaprendo il caso Saevecke; li ignorano L'Unità, l'Ulivo e Rifondazione comunista nelle loro rievocazioni e mozioni; li ignora persino l'amministrazione comunale di Milano [di centro-destra] che avalla senza fiatare la mutilazione della verità storica, con l'abituale viltà, sul suo periodico d'informazione e nei suoi atti politici.

    E se, ancora dopo 53 anni, tutti ignorano [o vogliono ignorare], perfino nella sua tragica essenzialità, la strage gappista indissolubilmente legata alla fucilazione del 10 agosto 1944, figuriamoci se qualcuno ricorda ciò che accadde fra il massacro e la rappresaglia. Eppure, in quelle ore disperate, mentre la gestione dei rapporti fra militari tedeschi e popolazione passava dalle 'public relations' della Staffen-Propaganda e del defunto maresciallo Karl, alla Gestapo del capitano Saevecke, si impegnò un braccio di ferro durissimo fra le autorità fasciste, contrarie alla ritorsione, e i militari tedeschi inferociti che non volevano sentire ragione. Si oppose il prefetto Piero Parini, che arrivò a minacciare le dimissioni; si oppose il federale Vincenzo Costa; si oppose Mussolini, intervenendo direttamente sul maresciallo Kesselring e su Hitler. La prova è, tra l'altro, negli atti del processo politico subito nel dopoguerra da Vincenzo Costa il quale, nel suo diario ['Ultimo federale', Il Mulino, 1997] ricorda: '... alle 14 [del 9 agosto...- n.d.r.] mi trovavo nell'ufficio dei capo della provincia quando arrivò una nuova telefonata del duce; abbassato il ricevitore, Parini mi permise di ascoltare la voce inconfondibile del capo. Tra l’altro egli disse: '...il maresciallo Kesserling ha le sue valide ragioni; ogni giorno nel Nord soldati o ufficiali tedeschi vengono proditoriamente assassinati... Ha deciso di attuare la rappresaglia. Ma sono riuscito a ridurre a dieci le vittime... Ho interessato il Fhurer: spero ancora...'.

    Proprio mentre le autorità fasciste e i militari tedeschi si contendevano le vite degli ostaggi appese a un filo, i gappisti milanesi colpirono di nuovo. Anche questo è stato dimenticato. Alle 13 del 9 agosto 1944 un terrorista in bicicletta, armato di pistola, fulminò con un colpo alla nuca, davanti alla porta di casa, in via Juvara 3, il capitano della Milizia Ferroviaria, Marcello Mariani, sposato con quattro figli. Mentre l'uomo agonizzava nel suo sangue, un secondo gappista, di copertura, ferì a revolverate Luigi Leoni, della brigata nera 'Aldo Resega', che era sopraggiunto e si era gettato all'inseguimento del primo. L'uccisione di Mariani fu il fatto che decise la sorte dei quindici sventurati rinchiusi a San Vittore. Fra l'ottobre 1943 e il novembre 1944 i gappisti milanesi uccisero 103 fascisti in agguati come quello di via Juvara. Il fondatore della 'Ia GAP', Egisto Rubini, catturato a Sesto San Giovanni alla fine di febbraio 1944, si suicidò nel carcere di San Vittore nel marzo successivo per non tradire i suoi compagni sotto tortura... 'medaglia d’oro alla memoria'.


    --------------

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    Predefinito

    Fecia,
    perchè confondi le stragi e gli eccidi con Piazzale Loreto. Quella è stata giustizia popolare, anzi: nazionale.

    Per quanto riguarda S. Anna, i tuoi falsi storici addirittura riguardano anche il numero dei trucidati: oltre 650, non 400.

    Torna ad occuparti di altri delinquenti (Priebke, Pinochet, ecc.) come hai fatto finora.

    Addio, caro.

 

 
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