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    Tradizionalismo Cattolico e sionismo
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    La Civiltà Cattolica, Roma, 2 aprile 1938, a. 89, vol. II, quad. 2107, pp. 76-82.

    INTORNO ALLA QUESTIONE DEL SIONISMO
    La singolarità unica del Giudaismo sta in ciò, che esso è, insieme e indissolubilmente, una nazione ed una religione, anche negli stessi giudei increduli, per il messianismo talmudico in essi persistente. Ancora più strano e singolare: il Giudaismo è una nazione equivoca e insieme, una religione equivoca. Nazione equivoca, perché, al medesimo tempo, è se stesso ed è un altro, quante sono le nazioni del mondo, dove si è stabilito: Giudaismo italiano, francese, tedesco, inglese, americano, romeno, polacco, e via dicendo, onde il giudeo gode di due nazionalità. Sembra che rechi vantaggi alla nazione dove risiede - e ne reca di fatto con la sua potenza finanziaria e con il suo ingegno - ma questi vantaggi sono direttamente o indirettamente, consapevolmente o inconsapevolmente ordinati al sopravvento e dominio della nazione giudaica, detentrice dell'alta finanza e per mezzo di essa del dominio, più o meno larvato, del mondo (1). Religione equivoca, perché, se ha il vanto di essere stata l'unica vera religione - cioè il Giudaismo dell'antico Testamento, figura e preambolo del Nuovo, preparazione quindi del Cristianesimo - è ormai, in realtà, una religione profondamente corrotta: il Giudaismo del Talmud, antitesi del Cristianesimo. In fatti, tutto il valore del Giudaismo era nella sua sola ragione di essere la preparazione all'avvento del Messia: cioè il popolo eletto a conservare il culto del vero Dio e le promesse di redenzione e di regno universale del Messia Re e Salvatore del mondo. Venuto il Messia, in persona di Gesù Cristo, cessò, necessariamente ed automaticamente, il valore del Giudaismo tutt'insieme, e quale "popolo eletto" e quale religione: vos non populus meus, et ego non ero vester , secondo l'energica espressione del profeta Osea ( 1, 9) . Il vero messianismo, spirituale e soprannaturale, onde il Giudaismo era la vera religione e insieme il vero popolo eletto a prepararlo, si è cambiato nel messianismo talmudico, materiale e temporalistico. Sicché ora il Giudaismo in tanto è nazione in quanto si crede eletto al dominio messianico universale, materiale e tempora]e; ed in tanto è religione in quanto professa tale messianismo. Ecco perché il Giudaismo è una religione profondamente corrotta in quanto è una nazione che si presume eletta, ed è una nazione in quanto è la religione del messianismo corrotto. I messianismo, latente ed operante anche nei Giudei increduli e perfino atei, è essenziale al Giudaismo, come sopra si è detto. Togliete il messianismo e cesserà automaticamente il Giudaismo e la nazione giudaica. Se non che, è impossibile toglierlo dall'anima giudaica, fuori di un miracolo morale della Grazia, e cioè senza la conversione al Cristianesimo. Perciò, dicevamo, che non si può dare soluzione definitiva alla questione giudaica, se non con la conversione di tutto Israele al Cristianesimo. Il che, secondo la profezia di S. Paolo, avverrà negli ultimi tempi. Ma intanto la questione giudaica rimarrà insoluta, perché, come tutti consentono, anche i più benevoli ai Giudei, il messianismo corrotto, e cioè la fatale smania di dominio finanziario e temporalistico nel mondo, è la vera e profonda causa che rende il Giudaismo un fomite di disordini ed un pericolo permanente per il mondo. Non si può dare perciò se non una soluzione relativa e provvisoria, e questa non altra da quella tradizionale, adoperata dai Papi: la carità, senza persecuzioni, e insieme la prudenza con opportuni provvedimenti, quale una forma di segregazione o distinzione conveniente ai nostri tempi: insomma, una ospitalità e convivenza civile, in maniera simile a quella che si usa con gli stranieri. Né può dirsi che ciò sia un trattamento ingiusto verso cittadini di religione diversa, perché è purtroppo un fatto incontrastabile che il Giudaismo non è solo una religione, ma è indissolubilmente anche una nazione, fondate sul messianismo materiale e temporalistico, consapevolmente o inconsapevolmente, ma in ogni modo, inevitabilmente professato e vagheggiato.

    * * *
    Or bene, affinché i giudei possano essere considerati, con perfetta giuridicità, stranieri, viene proposta da alcuni la attuazione integrale del Sionismo, non solo con la costituzione di uno Stato giudaico in Palestina, ma con la possibilità di farvi rientrare, se non la totalità, almeno la massima parte dei giudei, ora sparsi nel mondo. Di questa opinione, propugnata in tutti i modi dal Prof. de Vries de Heekelingen (2), trattammo altra volta, venendo alla conclusione, che l'attuazione integrale del sionismo appare materialmente e moralmente impossibile, sia per la ristrettezza del territorio palestinese, sia per la invincibile opposizione degli Arabi, e sia perché la massima parte dei giudei non si indurranno mai ad andare in Palestina, abbandonando le residenze dove stanno bene (3). La costituzione di uno Stato giudaico, senza la effettiva comprensione dei giudei nel detto Stato, aggraverebbe, anziché scioglierla, la questio giudaica, in quanto all'equivoco della doppia nazionalità si aggiungerebbe un nuovo equivoco: quello di uno Stato la cui massima parte di cittadini ne vivono fuori. Ma vi è di più: uno Stato giudaico in Palestina sarà sempre un fomite di disordine e di perpetua guerra tra i giudei e gli arabi, come si vede al presente. La stessa Inghilterra ora non sa come cavarsi dal vespaio che ha suscitato, prima con la dichiarazione del Balfour sul focolare nazionale giudaico, e con aver favorito l'immigrazione ed invasione dei giudei; ora con la proposta "tripartita" che non contenta nessuno, né i Giudei, né gli Arabi, né i Cristiani. E' noto che il Governo britannico, ammettendo le conclusioni della Commissione d'inchiesta, proponeva la partizione della Palestina in tre parti: uno Stato ebraico, comprendente la maggior parte della Galilea e la fascia costiera della Samaria e della Giudea; uno Stato arabo comprendente l'entroterra della Samaria e della Giudea, più la Transgiordania; un Mandato permanente inglese per Gerusalemme, Betlemme e Nazaret, con un corridoio d'accesso al mare. Inoltre l'Inghilterra si riserbava temporaneamente l'amministrazione di Caifa, Acri e Tiberiade ( Civ. Catt. 1937 III, p. 376). Il XX Congresso Sionista, tenuto a Zurigo nei primi giorni di agosto 1937, sotto la presidenza del Dr. Weizman, presidente dell'organizzazione sionista, accettò in massima la creazione dello Stato ebraico, ma, naturalmente, senza partizioni territoriali, né restrizioni all'immigrazione ebraica (Civ. Catt. ivi, pp. 471-473). Poco dopo, la Commissione dei mandati presso la Società delle Nazioni a Ginevra, ascoltata la relazione del Sig. Ormsby Gore, ministro britannico delle Colonie, si dimostrò favorevole alla proposta dell'Inghilterra, pure stimando per ora inattuabile la creazione dei due Stati, l'arabo ed il giudaico, ed essere necessario un periodo di prova. (Civ. Catt., ivi, pp. 473-474; 567). Di recente, in una lettera del Sig. Ormsby Gore all'Alto Commissario britannico per la Palestina, pubblicata il 4 gennaio di quest'anno, si trattava dei procedimenti per l'attuazione della "tripartizione" ; i quali, secondo l'interpretazione ed i lamenti sionisti, sarebbero ordinati a rimandare il più lontano possibile l'attuazione della proposta tripartizione. Secondo la lettera dell'Ormsby, i procedimenti sarebbero distinti in sette periodi: l) Sarà istituita una "Commissione tecnica" per stabilire i confini della tripartizione ed organizzare le questioni finanziarie ed economiche dipendenti da essa. Nel determinare i confini, si dovrà attendere a due condizioni: a) che in ciascuno dei due Stati, giudaico ed arabo, si abbia sufficiente sostentamento e adeguata sicurezza; b) che ciascuno di essi comprenda il minor numero possibile di persone dell'altro Stato. 2) Il Governo britannico esaminerà le proposte della Commissione e, se le troverà convenienti, le proporrà al Congresso della Lega delle Nazioni. 3) La Lega esaminerà le proposte del Governo inglese e le approverà. 4) Dopo tale approvazione, si istituiranno "nuovi sistemi di governo" nei territori determinati. 5) Se le due parti, giudei ed arabi, si accorderanno, il Governo intavolerà negoziati per i trattati diretti alla costituzione di Stati indipendenti. 6) Prima di stabilire gli Stati indipendenti, si potranno amministrare temporaneamente i due territori, giudeo ed arabo; sotto mandati separati, o sotto un sistema di "cantonizzazione". 7) Finalmente saranno costituiti gli Stati indipendenti.

    * * *
    Quanto tempo ci vorrà a percorrere questi periodi? E ancora non siamo neanche al primo! Così lamenta il sionista Ben Gurion, nel lungo commento che egli fa della lettera dell'Orsmby in un giornale esclusivamente giudaico, The Palestine Post del 9 gennaio 1938. Può esser vero- ed in questo caso prudente - che l'Inghilterra con questi procedimenti voglia prender tempo, perché, ripetiamo, nel presente stato di cose, la stessa Inghilterra non sa da che parte rifarsi, per portar rimedio a tanti guai, trovandosi tra due fuochi: gli Ebrei, come hanno ripetuto a voce e per iscritto migliaia di volte, vogliono prendersi tutto; e gli Arabi vogliono ritenersi tutto. La Commissione, recatasi lo scorso anno a studiare la proposta della ripartizione, vi andò con un disegno prestabilito. Infatti (come confessò il Weizman stesso, per sottrarsi alle accuse dei suoi nel Congresso internazionale di Costanza), appena giunta la Commissione in Palestina, egli ne fu chiamato. Sentitasi proporre la ripartizione in due e un corridoio, si recò subito per aereo a Londra, per parlarne con il "Bureau" centrale sionista; e il giorno dopo ritornava con risposta affermativa. Sarebbe stato questo il primo passo, che doveva poi essere seguito da un secondo più definitivo: una clausola che permettesse agli Ebrei di liberamente entrare in Transgiordania (dove hanno già fatti molti acquisti alla chetichella) e farvi di terre privatamente, come tutti gli altri. Tanto erano certi di arrivare a impossessarsi di tutto. Ma gli arabi non erano tanto semplici da non comprendere ciò che la divisione avrebbe significato in ultima analisi: l'assorbimento graduale. E allora incominciò la reazione, massime quando la Commissione disse di voler sentire dagli Arabi (allorché tutto era già stato determinato col Weizman) che cosa essi ne pensassero, quale rimedio suggerissero, per poi sottoporre tutto a S. M. Britannica, non toccando alla Commissione se non la parte d'informatrice. La ripartizione poi, quale fu proposta, è praticamente impossibile. Come opporre barriere che impediscano l'accesso reciproco in territorio avversario, mentre L'accesso è voluto dalla stessa viabilità attraverso la Palestina ? E poiché ora, immensamente più di prima, Ebrei ed Arabi odiano cordialmente, chi potrà trattenere, massime il basso popolo, di venire alle mani ad ogni incontro ? E di più, vi sono elementi comuni come l'acqua, portata per canalizzazione, la luce, il telegrafo, il telefono, i quali tutti passano e ripassano per i diversi territori. Gli Arabi non fanno allora, come usano già da un anno, rappresaglie ai loro cari vicini? E quando poi vedranno che gli Ebrei, boicottando essi pure a loto volta (come fanno gli arabi con loro) tutto ciò che è arabo, non si serviranno che di importazione ebraica e di mano d'opera ebraica, saranno gli Arabi inclinati a mitigare la loro reazione ? Infatti, come avviene al Parlamento inglese, già esistono due correnti, una pro e l'altra contro la ripartizione. Né l'una né l'altra fa l'interesse sionista. Non quella della ripartizione, perché crea l'opposizione permanente del mondo arabo. Ma neppure l'altra, perché impedisce agli Ebrei di arrivare ad avere un'autonomia che sia un principio del riconoscimento da parte dello Stato, il quale dia loro voce ufficiale tra le nazioni, e come un addentellato, a cui possano a poco a poco appoggiare tutte le altre loro rivendicazioni. Perciò essi preferiscono starsene anche con poco, pur di cominciare in modo autonomo e con personalità politica. Quando tuttavia gli ebrei saranno soli e materialmente separati dagli Arabi, si divoreranno tra di loro: mancheranno di un larghissimo cespite da impiegare i loro prodotti e la loro opera professionale ed artigiana; laddove oggi gli ebrei sono da tutti cercati per avere lavori ben fatti, e nei loro negozi si compra a molto miglior mercato; sicché i Comitati arabi di resistenza dovettero mettere proprie sentinelle per impedire l'accesso dei loro connazionali ai negozi ebrei; tanto sono consapevoli che tutti ci vanno. Come scenderà allora il commercio ebraico! Quindi le crisi, ancora più forti che al presente, renderanno impossibile il vivere agli stessi Ebrei. La condizione presente è quanto mai rovinosa: non vi sono più pellegrini né forestieri. Quindi, mancando questo principale cespite di commercio, le automobili sono stazionarie, i negozi falliscono, gli alberghi si chiudono. Anche tra gli Ebrei è sospesa la costruzione di ogni genere di edifici; perché ognuno si domanda che ne sarà domani; la miseria è estrema, specialmente nella classe borghese di secondo ordine, quella dei dragomanni, negozianti ecc.; di tutti coloro insomma che non osano stendere la mano, come fanno i poveri del basso popolo. Certo è che il governo inglese, il quale ha profuso ogni genere di favori agli Ebrei, non ha fatto nulla per gli Arabi: non istituito una banca agricola, che pure avrebbe rialzato le sorti del dopoguerra; non favorito le industrie; ma ha invece aggravato le tasse, fino ad arrivare, in pochissimi anni, ad accumulare una riserva di sette milioni di sterline. Di più ha rovinato indirettamente il popolo con la eccessiva moltiplicazione delle scuole, le quali strappano la gioventù ai lavori della terra per darle in mano un pezzo di carta che non è di alcun valore, né qui in Palestina dove non si possono moltiplicare gli impieghi, né fuori di Palestina, dove non ha nessun senso. Fu anche questo un mezzo per disamorare l'Arabo della terra e così facilitarne il passaggio, pacifico e silenzioso, all'ebreo. Tutti sono indebitati a più non dire, e se si continua ancora di questo passo, un anno o due, non è impossibile che scoppi una vera rivoluzione; perché la fame non ascolta ragioni.

    * * *
    Quale rimedio si potrà dunque apportare che rimetta l'ordine e la pace in Palestina ? Nessun altro che la partenza degli Ebrei, o almeno la cessazione dei loro progressi e della loro immigrazione, in una parola, il totale abbandono dell'idea di uno Stato ebraico in Palestina. Tra gli stessi Ebrei, ben pensanti e più pratici che idealisti, si riconosce la insostenibilità della condizione presente Perciò occorrerebbe studiare un modo per indurre gli altri Ebrei a cambiar rotta, rinunciando a un possesso integrale e generale della Palestina, quale si propongono come ultimo fine, anche se fanno mostra di accontentarsi di qualche tratto autonomo. Gli Ebrei diranno che hanno fatto spese enormi. Sia pure, e quanto acquistarono in Palestina, resti pur loro; ché gli Arabi si acquieterebbero, quando sapessero con certezza che il pensiero di invadenza totale è abbandonato. L'Inghilterra per la prima ne avvantaggerebbe, perché cessato il sionismo, si troverà in condizione molto più solida e pacifica, mentre già gli ebrei sono in un numero così rilevante da bilanciare l'influenza e attutirne l'orgoglio. Così la pace rientrerebbe in questi paesi. L'India poi e le altre regioni mussulmane sarebbero meglio disposte a mantenere buone relazioni con l'Impero britannico. Tale, in sostanza, è l'opinione di persone, che hanno studiato e se da presso il movimento sionista; e alle loro giudiziose proposte crediamo bene che si dovrebbe porgere dalle opposte correnti una ben considerata attenzione, se si vuole pacificamente risolvere la questione del Sionismo palestinese.

    Note
    (l) Valga un esempio. Il Regime Fascista , in un articolo di fondo (Cremona, 22 gennaio 1938), dopo aver dato la lunga lista dei posti occupati dagli ebrei a Trieste, conclude: Facendo le dovute proporzioni fra i 250 mila cattolici e i 4000 ebrei, si deve concludere che questi hanno i nove decimi (900 per mille!) dei posti in cui si esprime la direzione intellettuale, economica, finanziaria e sindacale di Trieste

    (2) H. de Vries de Heekelingen, Israele, il passato, l'avvenire , Milano-Roma, Tumminelli e C. Editori, 1937-XVI (3) La questione giudaica , Civ. Catt., 1937, II, p. 418; 497; III, p. 27

    "Sarà qualcun'altro a ballare, ma sono io che ho scritto la musica. Io avrò influenzato la storia del XXI secolo più di qualunque altro europeo".

    Der Wehrwolf

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    LA CIVILTÀ CATTOLICA, ANNO 89 - VOL. IV 1° OTTOBRE 1938 QUADERNO 2119


    Beatus populus cuius Dominus

    Deus eius. (Psalm. 143. v. 15).

    La questione giudaica e "La Civiltà Cattolica"


    Di Ebrei, di questione ebraica, di pericolo e di " problema " giudaico è un gran parlare da tempo.

    In Italia, udiamo ripeterci da molte parti, ed è confermato anche dalla più autorevole voce della politica italiana, non si vuole imitare la Germania in genere, né l'acerbità nazistica in particolare contro gli oppositori, venuti dal giudaismo.

    Ma, anche fra noi, gravi provvedimenti furono decretati contro gli Ebrei, o sono già in corso, e la stampa quotidiana li commenta, com'è suo costume, e a suo modo li giustifica, ma con una vivacità di linguaggio e una così ardimentosa facilità di logica e di storia, di citazioni e di polemica che noi, senza forti riserve, non potremmo accettare. Eppure vi abbiamo trovato più volte, contro il solito, fatto con onore il nome del nostro periodico, allegatone frasi, proposizioni, o anche interi articoli, antichi di quasi mezzo secolo fa, sebbene alludessero a condizioni sociali, o polemiche dottrinali, assai diverse dalle presenti. Ma - cosa per noi non meno grave - si vollero mettere quegli scritti del nostro periodico, di quasi mezzo secolo fa, in recisa ed aperta opposizione al sentimento odierno degli altri cattolici, ed a quello perfino dell'autorità ecclesiastica, che è dire della Chiesa gerarchica e docente, di fronte alla quale deve cedere ogni autorità di maestro o scrittore privato.

    Su ciò abbiamo già aperto il nostro animo e chiarito il pensiero dei nostri predecessori ed il nostro nel precedente quaderno (1), sebbene i nostri intelligenti e fedeli lettori non ne avessero di bisogno. Essi avevano, infatti, col semplice riscontro dei passi allegati potuto verificare da sé ed accertare quanto dalle moderne citazioni dei giornali uscisse monco o travisato quel pensiero; anzi, in alcuni tratti, affatto incongruo e lesivo della giustizia e della carità. Ora l'una e l'altra assolutamente, noi, come i nostri predecessori, vogliamo usata e rivendicata anche verso gli Ebrei, sia pure con la certezza che non l'useranno essi con noi. Né certo l'hanno usata mai nelle passate persecuzioni, da essi o scatenate o promosse contro la Chiesa, in accordo sia con la massoneria, troppo da essi sostenuta, sia con altri partiti sovversivi ed anticristiani, dalla " grande " rivoluzione francese specialmente, fino ai nostri giorni.

    Ma ciò non c'indusse punto, né c'indurrà mai a voler ricambiare della stessa moneta, bensì ad impedirli semplicemente dal loro mal fare ed a premunire gli altri dalla loro strapotenza, e ciò per il bene comune, morale e religioso sopra tutto, e per la salvezza degli stessi Giudei.

    Gli uomini invece della politica, sopra accennati, per i loro fini o motivi d'interessi politici che non tocca a noi ora discutere cominciarono proprio sul loro primo trionfare, prima in Russia e poi in Germania, a rivoltarsi contro gli Ebrei, quando si accorsero di averli avversari, fautori malfidi o aperti oppositori dei nuovi metodi o "ideologie" di governo, prima che dei pretesi diritti o interessi di stirpe o di razza. Come è evidente, quella mossa antigiudaica, sia del comunismo internazionalista o bolscevismo russo, sia del socialismo nazionalista o nazismo germanico, non fu maturata da nessuna considerazione religiosa, se non anzi agevolata dall'odio o avversione generale di tali partiti contro ogni religione positiva, anche l'ebraica: odio dissimulato nel nazismo, ostentato nel bolscevismo. Non può quindi dar luogo a qualsiasi pur lontano richiamo contro la Chiesa o il Clero, nonché a quelle recriminazioni a cui usano abbandonarsi i vecchi persecutori, a loro volta divenuti perseguitati, e con essi i vecchi liberali, della massoneria specialmente, loro naturali alleati, com'è noto.



    * * *


    L'Italia non entra nella lizza se non dopo tre lustri e più di fascismo dominante e con più miti consigli, come sentiamo, non ostante i prodromi sopra accennati. Ci dichiara anzi il Regime fascista, uno dei giornali più accreditati o rappresentativi del partito, in un suo articolo del 30 agosto passato, col titolo Un tremendo atto di accusa: "Confessiamo che il Fascismo è molto inferiore, sia nei propositi, sia nell'esecuzione, al rigore della Civiltà Cattolica". E sopra aveva detto di accorgersi, dopo aver letto lo "studio vigoroso" del nostro periodico (dell'autunno 1890) che "gli Stati e le società moderne, e persino le più sane e coraggiose nazioni d'Europa, l'Italia e la Germania, hanno molto da imparare dai Padri della Compagnia di Gesù"; ed appunto, come conchiude, da questa, ch'egli chiama "leale e coraggiosa battaglia dei sapienti e irreprensibili Gesuiti".

    Grazie dell'elogio insolito, che troviamo ripetuto pure, in termini più o meno calorosi, da altri periodici e giornali quasi a gara, come vediamo anche dai molti ritagli che ce ne comunica alla giornata "L'eco della stampa". Ed a questo coro di lodi - tanto poco vi siamo avvezzi! - avremo noi il mal garbo o la scortesia ingrata di rispondere con la freddezza del riserbo, della correzione o della critica? Non intendiamo ciò; ma più di ogni lode o popolarità, in un argomento specialmente che tocca le ragioni della carità e della giustizia, ci preme di chiarire il pensiero nostro e quello dei nostri defunti colleghi e maestri; perché noi siamo certi che anch'essi troverebbero queste lodi più sgradite delle critiche, se dovessero palliare sotto la loro egida una qualsiasi offesa di carità e di giustizia contro il prossimo, fosse pure il prossimo in sé meno simpatico, quello degli Ebrei, specialmente se stretti in intima alleanza con la massoneria, come apparivano alla data degli articoli accennati, del 1890.

    E non vi è chi ci fa dire, generalmente e senza niuna distinzione, ciò che invece nella nostra rivista fu negato esplicitamente? Ma particolarmente si suppone che siano della rivista stessa i suggerimenti e rimedi da altri autori proposti e da essa discussi e rigettati, come quello fra i più gravi, non solo di considerare gli Ebrei come stranieri, ma di "confiscarne i beni perché roba di malo acquisto": suggerimento che, dato così generalmente e senza nessuna distinzione sa troppo di ingiustizia o di vendetta, e perciò riesce troppo difforme dallo spirito cristiano e religioso.



    * * *


    Fortunatamente, gli articoli del nostro periodico, dell'ultimo trimestre del 1890 (2), che furono i più largamente sfruttati nella presente polemica, si possono riscontrare da chiunque voglia, in fonte. E diciamo in fonte, perché furono, è vero, ristampati a parte, ma non sempre correttamente, anche nella più recente edizione, da cui hanno attinto, crediamo noi, i giornalisti (3). In questa, per l'appunto, un gravissimo errore di stampa - certamente involontario, per l'omissione di una riga e lo spostamento di altre - rende inintelligibile il passo della confiscazione, di cui si parla. Si trova esso nel terzo articolo, che discute i "rimedi", dopo che nel primo si sono indagate le "cause" e nel secondo gli "effetti", della moderna invasione giudaica nell'Europa.

    Fra i "rimedi" o proposte di soluzione della vessata questione, sono riferite anzitutto dal nostro periodico, ma escluse, "alcune proposte di pubblicisti, non già mossi da maltalento di socialismo contro le ricchezze degli ebrei ma caldi di uno zelo per la religione e la patria, che per altro si desidererebbe meglio temperato da giustizia". La prima di tali proposte è appunto il rimedio che "sarebbe più radicale di tutti, ma non conforme allo spirito cristiano"; la confisca dei beni e il bando delle persone. Quindi l'autore dell'articolo riportava bensì le ragioni più forti allegate dai proponenti, e il voto espressone anche da un congresso di antisemiti - che "si applichino ai giudei le leggi che i giudei stessi hanno fatto approvare e sancire dai framassoni governanti dei paesi cattolici contro la Chiesa", cioè che "si dichiarino nazionali tutti, senza eccezione, i beni dei giudei" - ma senza punto approvarle, conchiudeva:

    "Non è mente nostra diffonderci in un esame critico di sì fatta proposta. Notiamo soltanto, che della sua esecuzione abbondano gli esempi nelle storie. Ma, per essere legittima, bisognerebbe, prima di tutto, che la confisca fosse decretata da chi esercita regolarmente nelle nazioni la pubblica autorità: ed in secondo luogo, che si effettuasse con certe norme di giustizia e di carità cristiana".

    "Non tutti gli ebrei - soggiungeva - sono ladri, arruffoni, bari, usurai, framassoni, farabutti e corruttori dei costumi. In ogni luogo se ne conta un numero, che non è complice delle furfanterie degli altri. Perché involgere questi innocenti nella pena dovuta a' rei?". Così egli col buon senso e la equità del cristiano e del religioso, che gli era propria. Né tace le ragioni che a queste oppongono "i sostenitori dell'eroico rimedio", come il dire che "nelle guerre più giuste e più sante perisce gran numero d'innocenti, che questa non è vendetta, ma legge di necessaria difesa ecc.". Ma egli non le approva senza riserva, e quanto al provvedimento generale di cui si parla, conchiude anzi che "la giustizia e la carità avrebbero in ogni caso buone ragioni da far valere contro la crudezza delle sue troppo draconiane disposizioni".



    * * *


    Similmente rigetta l'altro rimedio, che dovrebbe essere di necessario compimento al primo, del bando generale dell'ebreo come straniero dal nostro suolo, ammesso pure il fatto che "se esso vi sta o vi sta per toglierlo a noi cristiani o vi sta per congiurare ai danni della nostra fede"; giacché infine "si tratta di un nemico che mira a spropriarci della terra ed a privarci del cielo". Ma un siffatto rimedio, specialmente se si avesse da praticare in tutti i paesi civili, "non sarebbe generalmente possibile, anzi contrarierebbe i disegni di Dio", che vuole la conservazione di Israele, sebbene così disperso, come "un palpabile argomento della verità del Cristianesimo". E "ammesso pure che fosse ora praticabile, sarebbe difforme dal modo di vedere e di operare della Chiesa romana". Ed a quest'ultimo proposito l'autore aveva allegato già l'esempio dei papi e dei principi cattolici, e citato anche la testimonianza dei due ebrei convertiti, i fratelli Lémann: i quali notano come "i Papi hanno sempre permesso con benevolenza il soggiorno nella città loro; e questo popolo errabondo, pur avendo libertà di non andarvi, sempre vi andava e chiamava anzi per gratitudine Roma il paradiso degli ebrei". Se ciò avveniva, era perché quei giudei più assennati dei moderni riconoscevano che le leggi di separazione o " interdizione" loro poste, erano non meno a difesa loro propria che a tutela dei cristiani, impedendo ogni mutua offesa o violazione di diritto da una parte e dall'altra.

    Ora su questo ultimo punto insiste precisamente la nostra rivista nel 1890, e l'oppone alla condotta del liberalismo e massonismo allora dominanti, per trovare "il solo modo di accordare il soggiorno degli ebrei col diritto dei cristiani". E questo sarebbe, secondo essa, di "regolarlo con leggi tali che al tempo stesso impediscano agli ebrei di offendere il bene dei cristiani, ed ai cristiani di offendere quello degli ebrei": leggi quindi non odiose, ma giuste; di eccezione, non di persecuzione, anzi di mutuo vantaggio, come si disse.

    E' vero che ciò sembrerà violare quella piena "eguaglianza civile" che il liberalismo si fece vanto di concedere loro senza limitazione alcuna. E il nostro polemista lo riconosce, ma contro le ragioni dei vecchi liberali richiama il pensiero del de Pascal, uno degli scrittori antiliberali del secolo passato, che "volere un diritto comune fra condizioni sociali disparate, è come volere una misura eguale fra stature diverse. L'equo, il necessario è invece il rispetto eguale a tutti i diritti differenti", quali corrono, ad esempio, fra nazionali e stranieri. E fra questi ultimi vanno annoverati, a loro stessa confessione, gli ebrei, generalmente parlando; se è vero che "il cosmopolitismo della loro stirpe è dai giudei medesimi confessato".

    Il nostro antecessore del secolo passato crede adunque che la totale eguaglianza civile, data dal liberalismo agli ebrei, che li collegò quindi con la massoneria, non solo e loro indebita, non avendone essi diritto, ma "anzi è perniciosa non meno ad essi che ai cristiani". Egli era perciò di opinione che "presto o tardi, per amore o per forza, si avrà da rifare" ciò che si era disfatto, da cento anni in qua, negli antichi ordinamenti civili, per amore di novità, di pretesa libertà o falso progresso. "E forse - egli soggiungeva - gli ebrei medesimi saranno costretti di supplicare che si rifaccia". Ora la ragione di questa previsione sta appunto sotto i nostri occhi: perché proprio oggi "la strapotenza alla quale il diritto rivoluzionario li ha oggi sollevati, viene scavando loro sotto i piedi un abisso, pari nella profondità alla altezza in cui sono assorti".

    Ma sopra ogni altra cosa, vi è il troppo giusto motivo di ben considerare se non sia troppo vero e confermato dall'esperienza di mezzo secolo quanto egli denunciava fin dal 1890: che "la uguaglianza, largita agli ebrei dalla setta anticristiana, ovunque si è usurpato il governo dei popoli, ha partorito l'effetto di collegare l'ebraismo col massonismo nella persecuzione alla Chiesa Cattolica e di innalzare la razza giudaica sopra i cristiani, nella potenza occulta e nella opulenza manifesta".

    Eppure né per il presente, né per tutto il cinquantennio passato, non è venuto proprio né da parte della Chiesa, né da reggitori o governi cattolici, ossia da quelli che più erano danneggiati dall'ebraismo, nessuna mossa violenta, di rappresaglia o di lotta contro gli ebrei, non ostante la loro strapotenza. E' venuta per ultimo proprio dalla Germania, protestantica e nazista, come prima dalla Russia zarista e poi dalla comunistica e internazionalistica, che pure agli ebrei era per gran parte debitrice della sua rivoluzione, come è noto e fu anche dimostrato su queste pagine (4).



    * * *


    Da questi rapidi cenni ognuno vede quanto lo scrittore del nostro periodico, sebbene tanto vivacemente commosso dalla persecuzione religiosa - che allora infieriva in Italia ed era attribuita in massima parte, sia pure con qualche esagerazione, alla strettissima alleanza della massoneria col giudaismo anticristiano - fosse tuttavia sollecito di non proporre, contro i mali da lui deplorati, nessun "rimedio" od opposizione che non riuscisse pienamente consona alle supreme ragioni della giustizia e della carità. Si fa quindi troppo evidente che il suo pensiero non fu bene inteso, anzi fu interamente svisato da chi lo ebbe a rappresentare come un programma di vendetta o di rappresaglia, se non anzi di guerra senza quartiere, quale sarebbe certamente suggerita dalle considerazioni meramente umane e interessate della politica. Esso era invece un caldo e ben motivato richiamo alla vigilanza e alla difesa. efficace ma pacifica, contro un pericolo e disordine civile, non meno che religioso e morale, della società moderna, minacciata dal giudaismo.

    Non negheremo però che la forma o lo stile, più che la sostanza del pensiero, possa, dopo quasi cinquant'anni, apparire di qualche acerbità, ora che la lotta, sia della massoneria come del giudaismo sembrerà a molti mitigata; nella forma almeno, se non nella sostanza. Ma checché sia di ciò, il difetto dello stile e della forma non attenua la forza del ragionamento, né il valore quindi delle conclusioni nella loro sostanza.



    * * *


    Quella severità di linguaggio oscurò tuttavia agli occhi di qualche studioso il concetto dominante di quegli antichi articoli, per quello che concerne il vecchio liberalismo e lo spirito della rivoluzione. Così il ch. Roberto Mazzetti ne riconosce bensì "la nobiltà dell'intenzione e la serietà indiscutibile e la larghezza d'orizzonte nell'indagine e la impressionante molteplicità di dati storici e la pregnanza delle idee antigiudaiche"; ma trova poi "da notare che non è affatto accettabile il concetto dominante circa il valore della rivoluzione, così detta francese, circa il significato della civiltà democratica e liberale del secolo XIX e, quindi, circa il Risorgimento italiano". E posto ciò, egli avrebbe ragione di non ammettere, come "storicamente valido il coprire di quella che era una momentanea degenerazione dello spirito del Risorgimento tutto il Risorgimento stesso"; ed oltre a questo, di trovare illogico che la questione ebraica fosse posta nella seconda metà del secolo XIX "col medesimo spirito con cui si sarebbe posta nel secolo XVIII e prima ancora" (5), supponendo "l'origine giudaica della rivoluzione del 1789 e della civiltà democratica e liberale del secolo XIX".

    Ora appunto a cotesta "degenerazione" dello spirito del risorgimento mirano i colpi del nostro vivace polemista del 1890, sebbene l'impeto della polemica non gli abbia sempre richiamato alla penna tutte le fredde ed opportune distinzioni. Del resto, è ben certo che egli non dava né poteva dare tutta la colpa dei disordini sociali da lui deplorati al giudaismo ed alla massoneria con esso collegato, né perciò voleva ferire, proprio senza distinzione, tutto il Risorgimento, tutta la civiltà democratica ecc.

    Nella interpretazione del Mazzetti noi troviamo quindi un grosso abbaglio; al quale, non neghiamo, può aver data ansa il linguaggio generico dell'articolo, che nel calore della polemica non poteva scendere a tutte le precisioni desiderabili: non è cioè tutto il complesso moto del Risorgimento che egli ha dinnanzi ed impugna; è l'indirizzo anticattolico che vi si era immischiato; è il connubio del liberalismo con la massoneria; è insomma quella "degenerazione" appunto che il Mazzetti stesso riconosce e deplora. Ma questi la suppone "momentanea"; laddove tale non fu, certamente, né così ristretta come a lui sembra. Quanto generale anzi e radicata fosse tale "degenerazione" tra i liberali del Risorgimento - anche se non collegati con la massoneria così esplicitamente, come credeva il nostro confratello di cinquant'anni fa - risulta dallo stesso "studio introduttivo", che il Mazzetti premette alla sua raccolta di testimonianze sulla questione ebraica, e più ancora dai passi citati appresso, di un R. Lambruschini, di Massimo D'Azeglio, di G. B. Giorgini, di C. Cattaneo, di V. Gioberti, tutti buoni rappresentanti del liberalismo e perciò difensori del giudaismo, sebbene in diverse gradazioni e per motivi diversi.

    In un siffatto consenso a difesa dei giudei, che si accompagnava non di rado ad uno strano accordo di persecuzione, di vessazione e disprezzo della Chiesa, del Clero, degli Ordini religiosi, allora spogliati e dispersi senza pietà, non si poteva vedere, su quell'ultimo scorcio del secolo XIX, quanto ora vi scorge il Mazzetti: che "il Risorgimento italiano, specie nel suo fiore fu filosemita non perché fosse una diabolica instaurazione di nuovo paganesimo, non perché fosse una settaria negazione del cristianesimo, ma perché intimamente religioso e fervido di ricchezza di vita morale, sognò e volle un mondo di spiriti religiosamente liberi, in cui più non fosse distinzione antiumana fra Barbaro e Greco, Ebreo e Romano" ecc.

    Un siffatto ideale di unità e concordia che sarebbe fondamentalmente cristiano, se bene inteso e schiettamente applicato - non era di tutti, e quantunque riaffermato con sincerità e con forza nel liberalismo mitigato del d'Azeglio, del Giorgini, del Manzoni segnatamente, non era poi applicato nei riguardi del clero e del laicato cattolico dall'altra scuola o "corrente" del liberalismo anticlericale, sempre così gretto ed accanito nella sua opposizione alla Chiesa che accreditava purtroppo l'opinione corrente di un connubio con la massoneria incredula ed il giudaismo anticristiano. Diamo pure che vi sia stato su ciò della esagerazione e dell'abbaglio anche dall'altra parte, per la facile propensione a generalizzare; ma era ben il caso di dire, a scusa di chi esagerava nell'attribuire troppa importanza all'ingerenza massonica ed ebraica, che un tale abbaglio non mancava di fondamento; avverandosi l'effato filosofico, che interdum falsa sunt probabiliora veris.



    * * *


    Il simile possiamo dire sul punto dell'origine giudaica della rivoluzione del 1789; la quale non è affermata negli articoli menzionati, in modo esclusivo, ma semplicemente concomitante; per quanto cioè nel complesso moto rivoluzionario, che doveva trasformare la società civile, ebbe una sua parte, e tra le più nefaste e scristianeggiatrici, l'ingerenza dei Giudei e dei loro amici. Ma. con questa concorse pure in gran maniera quella giansenistica, regalistica e incredula dei parlamentari, dei "filosofi" e di altri partiti avversi alla Chiesa ed al Papa; e per tutte queste molteplici e violente spinte rivoluzionarie gli stessi ben pensanti e il clero medesimo andò travolto e lasciò prendere alla fiumana irrompente della rivoluzione quel corso rovinoso che minacciò di finire, con gli orrori del "Terrore", nell'abisso delle barbarie.

    Posta la tanta molteplicità e varietà di cause che concorsero a quello straordinario cataclisma sociale uno degli avvenimenti più complessi della storia umana, come anche recenti studi hanno dimostrato - riconosciamo che sarebbe davvero "semplicistico" assegnargli per unica e precipua causa l'ingerenza giudaica, sia pure rafforzata dalla massoneria, com'era opinione del vecchio Barruel. In ciò conveniamo col Mazzetti come anche gli concediamo che sarebbe del pari semplicistico il "voler sostenere la origine e la funzione esclusivamente capitalistica, secondo lo spirito del materialismo storico, del gran moto rinnovatore del liberalismo moderno". Ma da lui dissentiamo nell'attribuire cotale "semplicismo" antistorico al nostro collega; giacché questi non intendeva allora di involgere tutto l'intero "moto rinnovatore"; bensì mirava, come dicemmo, alle sue degenerazioni da quella primitiva ispirazione, di origine fondamentalmente cristiana, verso una giusta e ben compresa libertà e fratellanza di individui e di popoli. Questa fu bensì, o apparve ai più, "l'anima di verità" dell'errore e il nobile impulso iniziale che attrasse molti alla professione e proclamazione dei famosi principi del 1789; ma purtroppo degenerò così presto in un moto anticristiano, violento e sovvertitore dell'ordine sociale, che anche le origini prime e la iniziale ispirazione apparvero a molti prettamente anticristiane.

    Nella deviazione del moto, pertanto, più che nella sua iniziale ispirazione e direzione, si troverà avverato ciò che osserva il Mazzetti, e non si oppone al nostro pensiero: che "in questo moto (del liberalismo), gli ebrei hanno portato un valido contributo in Italia come in Europa in genere; ma essi furono un ruscello, un piccolo affluente, non il maestoso e gonfio fiume della storia moderna" (pag. 118). Il ruscello cioè e l'affluente - diremo noi nel senso ben inteso degli articoli del 1890 - intorbidò il maestoso fiume non solo, ma lo disarginò talora e lo sospinse alle devastazioni, religiose e morali, sotto il manto della libertà e del progresso. Si ebbero così magni passus extra viam; e di essi poterono bensì profittare gli Israeliti che il liberalismo davvero "liberò politicamente e umanamente", ma non del pari le classi medie, né molto meno le altre "classi e categorie popolari", se parliamo col Mazzetti di verace e "integrale umanamento", di un moto cioè o avviamento della "futura storia d'Italia verso il regno di un romano e cristiano umanesimo integrale in cui è l'anima più vera della vita italiana", come parrebbe al benevolo nostro critico. Per il malo fermento della massoneria e del giudaismo, infiltratosi fino dalle origini, il liberalismo parve favorire troppo spesso l'apostasia delle nazioni dalla vita dello spirito, da Dio e dalla sua Chiesa. E la sua vantata "liberazione" a che cosa riuscì nella pratica? A sguinzagliare le classi medie e le inferiori, la borghesia ed il proletariato, verso una mentita libertà, che era licenza sfrenata e riusciva infine ad una sorte di schiavitù, anche economica e morale. A ciò alludeva la risentita frase del nostro, che "tutto il dolce del liberalismo finiva con attirarle ( le nazioni) fra le strette della vorace piovra del giudaismo".



    La frase saprà di "semplicismo", e sia pure. Ma il certo è che il liberalismo così traviato, come il giudaismo ed il massonismo da esso protetto, venne a punirsi da sé, nei medesimi effetti tristissimi della sua "degenerazione" o deviazione, partecipe della pena, come fu complice della colpa, del suo protetto, il giudaismo. E di quello possiamo dire ciò che di quest'ultimo scriveva il nostro collega nel 1890, ben presago di quanto si è poi venuto maturando e che possiamo riscontrare più al vivo in questi ultimi tempi: "sente già rumoreggiare da lontano la tempesta di quella rivoluzione sociale che esso ha in gran parte generato e pare debba essere l'esterminatrice sua e dei rinnegati che seco hanno stretto alleanza".

    Le parole sono forti, ma più duro ancora è l'esito che fin d'allora esse preanunciavano e che al presente tutti possono già vedere verificato in diversi paesi, mentre in altri si va purtroppo avverando.

    Conchiudiamo tuttavia, per debito di verità e di lealtà, che ciò non è avvenuto e non avviene per colpa unica, e neppure forse la più grave, degli ebrei; avviene altresì per colpa della complicità o dell'inerzia di tanti cristiani e cattolici sviati; e le colpe di costoro non è giustizia addossare sugli ebrei per infierire ai loro danni.



    * * *


    L'ordine delle considerazioni in cui ci siamo tenuti finora, ci esime dall'entrare nell'esame e nella discussione dei tanti altri particolari aspetti della questione giudaica; tanto più che di non pochi si è già trattato, più o meno ampiamente, nel nostro periodico (6).

    Di altri punti che riguardano particolarmente il lato politico, economico, finanziario e simili, come il "capitalismo ebraico" in particolare, il "mito giudaico" e le prime reazioni oppostevi dalla coscienza italiana, con le accuse e le difese degli ebrei, secondo la tradizione liberale e laica, si troverà pure una larga esposizione nello "studio introduttivo" del Mazzetti all'opera sopra citata (7). Egli appunto passa in un'erudita rassegna, anche se non del tutto adeguata per "un secolo di cultura italiana" fino allo scoppio della guerra mondiale, le varie opinioni, discussioni e proposte che si dibatterono in Italia; o piuttosto gli "atteggiamenti con cui i nostri pensatori esaminarono quella questione": atteggiamenti che egli ordina giustamente "secondo tre fondamentali correnti: una cattolica tradizionale; una cattolica liberale; una laica su basi economiche e giuridiche".

    Notiamo solo, tra le varie riserve che l'indirizzo liberale dell'autore ci suggerisce, come tutte e tre queste correnti vadano talora miste e confuse, per le diversità dei rigagnoli, diciamo così, che vi confluiscono. Diversa e non poco manchevole è la precisione di dottrina e spesso anche diverse le deficienze di ortodossia, dal giansenismo al cattolicesimo liberale, rappresentato, ad esempio, dall'abate Raffaele Lambruschini, la cui concezione umanistica non pare a noi così "intimamente religiosa, e in concreto, cattolica", ma piuttosto laica, e di un laicismo che fraintende e svisa il cattolicesimo genuino. Esso e ben lontano perciò dal concetto del Manzoni, del Tommaseo, del Rosmini, e vicino invece a quello del Gioberti, tanto tenero verso gli ebrei, come verso "i buoni e generosi Valdesi", quanto acerbo ed intollerante verso i cattolici da lui dissenzienti, designati col nomignolo di gesuiti, per lui il più odioso e calunniato.

    La fallacia, nel resto, dell'argomentazione liberale per la abolizione delle antiche leggi che regolavano la vita della nazione giudaica in mezzo ai popoli cristiani, è riconosciuta dallo stesso Mazzetti, che ben vi ravvisa pure qualche ingenuità. E tale è, ad es., l'insistere che fanno nell'attribuire i vizi degli ebrei all'effetto naturale delle leggi stesse, e vederne il rimedio invece nel sempre più "legarli alla vita moderna" mercé la piena eguaglianza dei diritti, senza nessuna tutela dei diritti dello stesso popolo cristiano. Ciò era un lasciar loro del tutto libero il campo, e questo a loro stesso danno, come ragionava il nostro periodico. Del quale infine il Mazzetti medesimo loda "l'opera coordinatrice ed ispiratrice", onde "la cultura italiana impostava, in tutta la ricchezza delle sue direzioni, e svolgeva, con indiscutibile serietà di preparazione scientifica, la questione ebraica". Ma appunto perché tale quell'opera del nostro periodico, non poteva dipartirsi, anche nella vivacità spiegabile della polemica, e dallo studio sincero della verità e dall'equilibrio doveroso della giustizia e della carità cristiana, che noi abbiamo dimostrato.

    E. Rosa S. I.





    --------------------------------------------------------------------------------




    NOTE

    ( l) Cfr. Civ. Catt. 1938, III, pp. 560-561.

    (2) Cfr. Civ. Catt., Serie XIV, vol. 8°, pp. 5 , 385 , 641. . (Della questione giudaica in Europa).

    (3) Cfr. La questione ebraica in, un secolo di cultura italiana. Con uno studio introduttivo di Roberto MAZZETTI (Modena, Soc. Tip. Modenese 1938), pp. 326-387.

    (4) Cfr. Civ. Catt. 1922, vol. IV, p. 11 (La rivoluzione mondiale e gli ebrei).

    (5) La questione ebraica, pp. 118-119

    (6) Cfr. Civ. Catt. 1934, vol. IV, pp. 126 segg.; 276 segg. (La questione giudaica e l'antisemitismo nazionalsocialista), 1937, vol. II, pag. 418 segg,., 497 segg.; vol. III, pag. 27 segg. e 1938, vol. II, p. 77. (La questione giudaica e il Sionismo; le conversioni e l'apostolato cattolico).

    (7) La questione giudaica (Modena 1938), pp. 7-119.
    "Sarà qualcun'altro a ballare, ma sono io che ho scritto la musica. Io avrò influenzato la storia del XXI secolo più di qualunque altro europeo".

    Der Wehrwolf

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    La Civiltà Cattolica, Roma, 16 luglio 1938, a. 89, vol. III, quad. 2114, pp. 146-153
    La questione dei Giudei di Ungheria
    La questione giudaica in Ungheria è antica da circa tre quarti di secolo e non ha nessuna connessione, né di principi, né di procedimenti con il recente antisemitismo razzista del Nazionalsocialismo e neanche con gli antisemitismi di altre nazioni. Ciascuna nazione provvede alla sua conservazione, difendendosi da elementi perturbatori, secondo lo spirito delle proprie tradizioni, o anche, purtroppo, come nella Germania d'oggi, secondo ideologie inalberate a vessillo di raccolta e risorgimento nazionale. La nazione Magiara ha tradizioni millenarie fondamentalmente cristiane e insieme cavalleresche e leali, mantenutesi vive sino ad oggi, risorte a nuovo rigoglio segnatamente dopo la grande guerra ed il cataclisma giudaico - bolscevico, fortunatamente breve, del 1919, e manifestatesi con una magnifica vitalità nel Congresso Eucaristico Internazionale di Budapest, come abbiamo sommariamente esposto nel nostro periodico (18 giugno, 1938, II, 481).

    L'Ungheria è tuttora una Monarchia cattolica, decorata del titolo di "Apostolica", sin da quando il Papa Silvestro II nell'anno mille, diede a S. Stefano, oltre il titolo di Re, il titolo di "Apostolo", la "Santa Corona" e la Croce simile a quella dei Legati. Nessuno dei Re ha piena autorità se non è coronato con la "Santa Corona", anzi non conta nella lista dei Re di Ungheria, come Giuseppe II, che non fu coronato. Ed al presente, il capo dello Stato è semplicemente Reggente . La Santa Corona non è un emblema, è la monarchia stessa; non appartiene a chi è stato con essa coronato, ma al popolo: essa è il palladio sacro della nazione ungherese ed aspetta il monarca, sulla cui testa potrà essere imposta dall'Arcivescovo di Strigonia, Primate di Ungheria.

    Inoltre l'Ungheria è stata il baluardo della Cristianità contro la invasione turca per 355 anni (1363-1718) e benché a un certo tempo fu quasi del tutto oppressa sotto il giogo ottomano, riuscì a liberarsene, e con sé l'Europa cristiana.

    "L'Ungheria ha rappresentato sempre - dichiarava nel 1930 il prof. Giacinto Viola dell'Università di Bologna, - la lotta della luce contro le tenebre. Nel compito immenso che essa si è addossato, l'Europa non sempre ha compresa la sua grande missione nella storia della civiltà occidentale e l'ha spesso lasciata sola. Donde ha tratto il popolo magiaro, un pugno di pochi milioni, l'immensa forza di resistenza per salvarsi pur sempre, isola perduta in mezzo all'oceano tempestoso del panslavismo? Il segreto della salvezza dell'Ungheria, della sua resistenza, sta nei suoi valori ideali. Mai la storia di alcun popolo ha dimostrato come la forza degli ideali valga assai più che la forza degli eserciti, come le forze spirituali superino di gran lunga le forze fisiche".

    E quali sono questi ideali e queste forze spirituali? Il Viola li addita nella sua fiamma religiosa e cavalleresca: "L'Ungheria, per 150 di dominazione turca, ha vissuto solo perché ha voluto vivere. Ogniqualvolta, nella storia, si è abbattuta, crivellata di ferite, mutilata, esangue, si è disperatamente riafferrata alla religione, agli eroi della sua storia, ai suoi santi, alla immensa fiamma di civiltà, di aspirazione alle forme superiori di vita, ed è risorta ed ha riedificato lo Stato, ha ricostruito i suoi grandiosi monumenti, nei quali si sente come espressa in forma di arte la grandiosità della sua anima". (1)

    Queste nobili parole del moderno professore sono una eco inconsapevole di altre nobili parole del grande luminare della Storia Ecclesiastica, il Card. Baronio, il quale fece questo splendido elogio della nazione magiara: "Tratta, da una forza miracolosa dal suo antico nido nascosto in fondo all'Asia, questa nazione ha obbedito ad una potenza superiore, che l'ha scelta, guidata, innalzata, e ne ha fatto la più solida e incrollabile fortezza della Cristianità. Erano nati eroi quei guerrieri, che ad un valore terribile accoppiavano una pietà edificante, riportarono vittorie che hanno del miracoloso e, per parecchi secoli, sostennero e protessero i popoli cristiani"(2).

    Una delle tradizioni singolari della nazione magiara è la cavalleresca liberalità verso gli stranieri. Il santo Re Stefano fu il primo a chiamare degli stranieri in Ungheria. Oltre i religiosi che avevano convertito il paese al Cristianesimo, egli fece venire artisti per edificare chiese, coltivatori, artigiani, assicurando loro libertà di conservare i loro costumi ed inviolabilità, non chiedendo loro altro che l'osservanza delle leggi del Regno ed un'imposta per le terre loro concesse. Agli immigrati è dato il titolo di hospites , sacro per i magiari. Quando conquistarono i paesi vicini, Boemia, Polonia, Bulgaria, Bosnia, Moldavia, Valacchia, ecc. non imposero loro né i loro costumi e la loro lingua, ma solo li spinsero a convertirsi al Cristianesimo .

    S. Stefano, pur amando la sua patria e la sua nazione, voleva che essa profittasse di quanto di buono potevano recarle gli stranieri ed i coloni, tenendo un principio singolare, che farà stupire i moderni nazionalisti ad oltranza: unius linguae, uniusque moris regnum imbecille et fragile est , come egli dice in uno dei consigli al figlio Emerico, che giova riportare per disteso: "Gli ospiti e gli stranieri devono occupare un posto nel tuo regno. Accoglili bene e accetta i lavori e le armi che possono recarti; non aver paura delle novità; esse possono servire alla grandezza e alla gloria della tua corte. Lascia agli stranieri la loro lingua e le loro abitudini, giacché il regno che possiede una sola lingua e da per tutto i medesimi costumi è debole e caduco. Non mancare giammai di equità né di bontà verso coloro che sono venuti a stabilirsi qui, trattali con benevolenza, affinché essi si trovino meglio presso di te che in qualsiasi altro paese".

    Questi principi, male intesi e male applicati, segnatamente rispetto ai giudei, sono stati fonte di guai per l'Ungheria. Il liberalissimo e cavalleresco Santo Re da bensì agli stranieri il titolo di ospiti , ma non quello di cittadini , né molto meno di padroni...

    Ora i Giudei, immigrati in Ungheria in più gran numero durante il periodo dei governi liberali, 1860-1914, vi sono divenuti non solo ospiti, ma cittadini (che hanno anche la loro rappresentanza nel Senato) e padroni. Essi sono circa 444 mila, cioè il 5 per cento di tutta la popolazione di nove milioni; e nondimeno, come è stato pubblicato di recente, essi hanno un'altissima percentuale nei posti e nelle professioni dominanti. Nella capitale, Budapest, di poco più di un milione di abitanti, essi sono circa 230 mila, cioè circa un quinto, e naturalmente vi esercitano di più la loro prevalenza.

    Riportiamo dai giornali le statistiche del loro predominio in tutta l'Ungheria:

    "Secondo le statistiche più recenti (quelle del 1930) il 15,4% dei proprietari fondiari sono ebrei come pure sono ebrei un terzo dei proprietari di miniere e di fonderie, mentre il 33,3% degli impiegati di queste industrie sono ebrei. Naturalmente gli operai ebrei in esse occupati sono soltanto il 0,1%. Per quanto riguarda l'industria in generale ed il commercio l'11% degli imprenditori, un terzo della classe dirigente ed un ottavo degli impiegati sono ebrei e l'industria alberghiera è per un quinto nelle loro mani. Particolarmente rilevante è la posizione degli ebrei nel commercio. Su 83.671 commercianti 38.072 sono ebrei; inoltre il 52% degli impiegati commerciali hanno posti direttivi ed il 30,3% di quelli d'ordine inferiore.

    Ma dove gli ebrei occupano veramente una posizione di privilegio è nelle Banche e negli istituti di credito. Su 324 Banche ed Istituti di credito 223 sono nelle mani degli ebrei, e circa il 40% degli impiegati sono tali. Non solo, ma i 20 più potenti capitalisti finanziari ebrei occupano ben 249 posti nei Consigli amministrativi dei vari Istituti di credito, sicché è facile comprendere quanto sia rilevante l'influenza ed il potere del capitale ebreo in Ungheria, e conseguentemente difficile la soluzione della questione ebrea nello stesso Paese. Non parliamo, noi, della percentuale ebrea di medici, ingegneri, avvocati e farmacisti.

    Soltanto nella città di Budapest sono ebrei: il 47% degli avvocati, il 62% dei veterinari, il 37% dei farmacisti, il 40% degli ingegneri. Anche la stampa ha una grande percentuale di ebrei: il 36% dei giornalisti sono ebrei e nella città di Budapest il 67%. Ebrei sono 14 dei 18 quotidiani e 5 dei 6 settimanali; delle 263 tipografie 163 sono ebree e delle 271 librerie 198, mentre su 6 Case Editrici 4 sono ebree (Atheneum - Franklin - Reti - Singer e Wolfner)".

    Ma vi ha, purtroppo, un altro loro predominio, funesto per la vita religiosa, morale e sociale del popolo ungherese, ed è che tutti o quasi tutti i giudei del ceto intellettuale e dirigente non sono credenti, ma liberi pensatori, o rivoluzionari, o massoni e organizzatori della massoneria: anticristiani nella vita morale e nella vita intellettuale; capitalisti nella vita economica sono poi socialisti o filosocialisti nella vita sociale, mantenendo intese con i sindacati socialisti e con i loro capi; in una parola, la loro legge di vita ( e cioè la loro legge morale pratica) è il successo nel mondo per qualsiasi mezzo. La denatalità fra essi (frutto del basso livello morale) è tale, che vanno diminuendo sensibilmente, ed in una quarantina d'anni, come prevede un sociologo, i giudei d'Ungheria (dove ora è loro vietata l'immigrazione) saranno ridotti alla metà. Secondo le statistiche del 1929, date dall'autore (giudeo) dell'articolo Ebrei nell'Enciclopedia Italiana (XIII, p. 328) i giudei erano in Ungheria 520 mila, ora sono ridotti a 444 mila; è questa una forte diminuzione, anche se si supponga la metà per emigrazione.

    In ogni modo, sino ad ora i giudei sono stati i padroni dell'Ungheria come si rileva dalle statistiche sopra riportate. Nella presente ondata antisemita sono diventati meno pretenziosi e corrono ai ripari con mostra di moderazione. Un esempio: un giornale giudaico, Az Est (La Sera) che ha una tiratura quotidiana di 300 mila copie, da anticlericale è divenuto conservatore e perfino filocattolico, lodando il Papa ed il Cardinale Faulhaber nel loro atteggiamento verso il neopaganesimo razzista, chiaro che i cattolici ungheresi non gradiscono tali alleati della Chiesa.

    Un Padre gesuita, predicatore, conferenziere e scrittore, aveva dato intorno alla questione giudaica in Ungheria, su un giornale di destra, una "intervista", che ebbe non poca risonanza. Il direttore, giudeo, di una rivista letteraria distruttiva della religione e della morale, chiese di poter parlare al detto Padre, chiedendogli una "rettificazione". Il Padre, naturalmente si negò, e cercò in tre ore di discussione di illuminare il suo interlocutore, che si professava ateo, e ad ogni argomento opponeva: "sono questioni metafisiche; non possiamo intenderci". Con fermezza e lealtà, il Padre gli dichiarò: "non desisterò dal combattervi sino a quando non avrò spezzato la vostra penna funesta!". Da allora la rivista si e fatto come un pregio di riportare le conferenze di quel Padre, talora quasi alla lettera, specialmente quando egli parla della carità... I giudei, in Ungheria, non sono organizzati tra loro per una azione comune sistematica; basta loro la solidarietà istintiva e insopprimibile della loro nazione per fare causa comune nell'attuare il loro messianismo agognante al dominio della terra ed al possesso dei beni temporali.

    Ad un giudeo commerciante di Vienna, lo stesso Padre, entrato in discorso sull'antisemitismo e le sue ragioni nel popolo ungherese, fece la dimostrazione storica della nefasta prevalenza giudaica nella rivoluzione del 1919, che commise tanti delitti e tanti latrocini: dei 32 commissari del popolo, 27 erano giudei, con a capo Béla Kun. - Io sono un giudeo onesto, contrario ad ogni disordine, replicò il commerciante. - Ebbene, riprese il Padre, voi giudei onesti siete nondimeno solidali con rivoluzionari; tra noi cattolici avviene il contrario, noi non siamo mai dalla parte di quei cattolici che traviano, noi li combattiamo risolutamente; voi invece vi sentite solidali con i vostri correligionari in qualsiasi caso. Il giudeo commerciante chinò il capo in un breve silenzio, e confessò: Padre, avete ragione, però, Padre, das ist bei uns eine Herzenssache! (è per noi una questione di cuore!).

    Simili confessioni non sono rare, quando con lealtà magiara si oppone ai giudei la verità. Il medesimo Padre in una conferenza a giovani studenti di una Scuola Normale, cattolici, protestanti e giudei, sulla concezione della vita, espose, naturalmente la concezione cattolica, e toccando dell'antisemitismo, dichiarò francamente: Come Sacerdote e come ungherese io sono antisemita non per ragioni di razza o di religione, ma perché i giudei non sono veri giudei: essi hanno rigettato Cristo il fiore della loro nazione e dell'umanità intera; essi hanno rigettato la Torah ed il Vecchio Testamento, che preannunziano e preparano Cristo; essi pertanto sono i negatori del vero giudaismo, i veri nemici di se stessi e del mondo: dobbiamo perciò combatterli, come si combatte l'errore e la distruzione. A queste parole si alzò uno studente, pallido in volto, e disse: Padre, io sono giudeo, e vi ringrazio di questa vostra franca dichiarazione: non avevo mai udito siffatta spiegazione dell'antisemitismo e vi confesso che avete ragione.

    L'antisemitismo dei cattolici ungheresi non è perciò né l'antisemitismo volgare fanatico, né l'antisemitismo razzista, è un movimento di difesa delle tradizioni nazionali e della vera libertà e indipendenza del popolo magiaro. Nel "Programma ungherese per il movimento sociale", propugnato dall'Azione Cattolica (nella quale le sono organizzati 250 mila uomini) il IX punto, sulla "soluzione della questione giudaica secondo gli interessi della nazione ungherese", dice: "I giudei, che non hanno accettata sinora la concezione ideale storica della nazione ungherese, non hanno il diritto di influire sulla vita intellettuale del paese, né nella stampa, né nella letteratura, né nella vita artistica. Questo medesimo principio deve essere applicato contro tutti quegli ungheresi che solidarizzano con i giudei. Dobbiamo spezzare il liberalismo distruttore della nostra vita economica, mediante il sistema corporativo, che sottoporrà il capitale all'interesse generale della nazione. Noi esigiamo dal Governo l'interdizione dell'entrata degli stranieri (giudei) nel paese, perché non possiamo ricevere altri mentre i nostri compatrioti non hanno di che mangiare. Esigiamo inoltre che vengano allontanati tutti quelli che sono entrati senza permissione (giudei riusciti ad entrare per favoreggiamenti illeciti) e la punizione di quei funzionari che li hanno aiutati contro le leggi".

    Si vuole, insomma, la difesa della nazione, contro il pericolo presente di una più numerosa invasione giudaica dalla Germania, dall'Austria e dalla Romania, e contro il liberalismo favoreggiatore del giudaismo e del suo nefasto predominio, senza persecuzioni, ma con mezzi energici ed efficaci.

    Sinora l'unica legge di difesa è stata quella del numerus clausus , sancita nel 1922, onde è vietato ai giudei l'ingresso alle Università oltre il numero corrispondente alla loro percentuale del 5 per cento della popolazione.

    Si è preparata intanto una legge, che stabilisce un numerus clausus , nella vita economica, ed un'altra più particolare sulla stampa, onde i giudei non potranno avere oltre il 20 per cento di rappresentanti nelle professioni, nelle banche, nell'industria, nel commercio, nei giornali, ecc. insomma nella vita economica, intellettuale e morale della nazione. Questo numero non è, a dir vero, tanto ristretto in relazione al 5 per cento dei giudei in tutta la popolazione; ma per ora si vuol procedere a gradi, senza persecuzioni, favorendo possibilmente l'esodo pacifico dei giudei dall'Ungheria, che essi hanno "malmenata", ed attuando, rispetto ad essi, l'augurio di Dante: "O beata Ungaria, se non si lascia più malmenare!" (Par. 19, 142-143).

    Non entriamo nei particolari di queste leggi proposte; notiamo solo, che esse sono ispirate alle nobili tradizioni magiare di cavalleresca e leale ospitalità, restringendosi solo al puro necessario, che molti anzi stimano non sufficiente. Un particolare merita rilievo: la legge considera come giudei anche coloro che si sono battezzati dopo il 1 agosto 1919, eccetto gli ex-combattenti. Quella data servirebbe ad ovviare alle conversioni non sincere ed interessate, come quelle che avvennero allora (se ne contano circa 16 mila) al tempo della reazione nazionale ungherese subito dopo la rivoluzione bolscevica e la caduta di Bela Kun. Questa disposizione non incontra l'approvazione di alcuni cattolici, perché sembrerebbe dover porre ostacolo a non poche conversioni sincere; altri rispondono, che, al contrario, gioverà a favorire la sincerità delle conversioni. Non crediamo di nostra competenza intervenire col nostro giudizio su tale questione. Essa potrà venire risolta conforme alle tradizioni cristiane e cavalleresche della nazione, la quale è ora sotto il governo di un uomo di qualità superiori, il Presidente dei Ministri Béla Imrédi, cattolico fervente ed insieme politico avveduto e di mano forte.

    M. Barbera S. I.



    NOTE

    (1) Les efforts culturels de la Hongrie, de 896 à 1935, Budapest, 1935, p. 278

    (2) Citato da E. Horn, Saint Etienne, Paris, 1899, p. V-VI
    "Sarà qualcun'altro a ballare, ma sono io che ho scritto la musica. Io avrò influenzato la storia del XXI secolo più di qualunque altro europeo".

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    Libri consigliati
    Per Padre il Diavolo. Un’introduzione al problema ebraico secondo la Tradizione cattolica - Curzio Nitoglia - € 31,00
    Il rapporto con l’Ebraismo resta centrale per l’identità cristiana. Nella visione cattolica, gli Ebrei, popolo teologico, sono stati "scelti" per portare il mistero di Dio nella storia. La speciale "chiamata", ricevuta da Abramo e sancita nell’Alleanza mosaica, trova compimento con la venuta del Messia, l’incarnazione di Dio in Gesù Cristo, che fonda nell’Eucarestia e attraverso la Croce la "nuova ed eterna Alleanza" con l’umanità. Con Cristo nasce il problema ebraico-cristiano, perché il "popolo eletto" non riconosce in Gesù il Messia prefigurato nelle Sacre Scritture. ma la questione, ancor oggi all’origine del rapporto conflittuale tra gli Ebrei e gli altri popoli della terra, anche non cristiani, sta nella natura della "grandezza" di Israele: la sua "elezione" si fonda soltanto sulla discendenza "carnale" da Abramo o sulla fede di costui nella Promessa di Dio? Nel primo caso, quel popolo sarà stato benedetto per il fatto di essere figlio di Abramo. Se invece le benedizioni sono riservate alla fede nella Promessa, la sua discendenza terrena non è sufficiente. Il saggio di Nitoglia non manca di rilevare le possibili contraddizioni della teologia cattolica post-conciliare in merito al rapporto con i "fratelli maggiori", ma lascia il lettore con un auspicio che, per un cattolico, suona come speranza, anche nei confronti del popolo già accusato di deicidio: «Se accetta Cristo sarà l’elemento migliore della Chiesa. Sarà, come spiega San Paolo, 'radice dell’ulivo fruttifero': la Chiesa». Non deve diminuire o mutare, perciò, la carità stabilita dalla tradizione cristiana come strumento di comunicazione con gli Ebrei. Una carità finalizzata alla conversione di Israele a Cristo, premessa alla fine dei tempi.

    Edizioni SEB
    "Sarà qualcun'altro a ballare, ma sono io che ho scritto la musica. Io avrò influenzato la storia del XXI secolo più di qualunque altro europeo".

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    Gian Pio Mattogno, L’antigiudaismo nell’Antichità classica, pp. 230. Collezione “Paganitas”, VIII, 2002, Euro 21,00.
    L’opera curata da Gian Pio Mattogno costituisce la prima raccolta organica sinora apparsa in Italia di testi antigiudaici relativi all’antichità classica nonché l’unica, in assoluto, dopo le opere di Th. Reinach e di M. Stern. In essa, inoltre -ed è questa una caratteristica che la differenzia da tutte le altre ricerche affini-, i testi sono preceduti da uno studio che li inserisce sistematicamente nel contesto delle origini della questione ebraica nel mondo ellenico-romano. Mentre i numerosi saggi sull’antigiudaismo nel mondo antico si dimostrano, in generale, lavori apologetici che, rifiutando di analizzare le cause reali, preferiscono affidare a espedienti propagandistici la spiegazione dell’ostilità (“calunnia”, “menzogna”, “pregiudizio” etc.), la ricerca di Gian Pio Mattogno si propone di verificare oggettivamente la veridicità delle accuse degli Autori classici sulla scorta delle fonti giudaiche contemporanee (Bibbia, Talmud di Gerusalemme, Talmaud babilonese, Midrash, Apocrifi) (dal risvolto di copertina).
    S o m m a r i o:
    Parte prima. Le origini della questione ebraica nel mondo greco-romano.
    1. Introduzione. 2. L’antigiudaismo classico nella storiografia nazional-socialista. 3. La storiografia apologetica moderna. 4. La genesi greco-egizia dell’antigiudaismo classico. 5. L’antigiudaismo nella letteratura latina. 6. L’autodifesa del giudaismo nell’apologetica antica. 7. Le cause reali dell’antigiudaismo classico. 8. Esclusivismo etnico-religioso, misantropia e misoxenia nella letteratura giudaica antica. 9. Messianesimo e dominio mondiale giudaico nelle fonti letterarie ebraiche e nelle guerre escatologiche contro Roma.
    Parte seconda. L’antigiudaismo nelle fonti greco-romane.
    1. Ecateo. 2. Manetone. 3. Agatarchide. 4. Posidonio. 5. Apolonio Molone. 6. Stradone. 7. Lisimaco. 8. Cheremone. 9. Apione. 10. Damocrito. 11. Tolomeo. 12. Filostrato. 13. Cicerone. 14. Pompeo Trogo. 15. Seneca. 16. Plinio il Vecchio. 17. Tacito. 18. Svetonio. 19. Persio. 20. Petronio. 21. Giovenale. 22. Quintiliano. 23. Celso. 24. Cassio Dione. 25. Giuliano. 26. Rutilio Namaziano.

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    G. Batault, Aspetti della questione giudaica. Euro 7,25.
    Le cause remote e permanenti della critica antigiudaica.

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    La questione ebraica. Euro 10,40
    Rassegna di studi sulla morfologia dell’ebraismo. N. 1
    "Storia ebraica e giudaismo secondo Israel Shahak; I fondamenti teologici della Tôrâh; I fondamenti teologici dello Zohar; L’atteggiamento del Talmud di fronte al non ebreo; La questione ebraica e il diritto ecclesiastico."

    mailto:libreriaar@tin.it
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    E. Ratier Misteri e segreti del B'naï B'rith 360 L. 40.000
    E. Ratier I Guerrieri d'Israele 400 L. 40.000
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    C. Nitoglia Dalla Sinagoga alla Chiesa 32 L. 7.000
    B. Lazare L'antisemitismo 320 L. 30.000
    Curzio Nitoglia Sionismo e fondamentalismo 270 L. 25.000
    Curzio Nitoglia Dalla Sinagoga alla Chiesa 32 L. 7.000
    Meinvielle Influsso dello gnosticismo ebraico 380 L. 30.000
    http://www.plion.it/sodali/libri-i.html
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    Predefinito Sodalitium

    Anno X - Semestre I n. 4 Giugno-Luglio 1994 - Sped. abb. post. - (Pub. inf. 50 % - TO) - N. 38


    INFILTRAZIONI GIUDAICO-
    MASSONICHE NELLA
    CHIESA ROMANA
    di don Curzio Nitoglia
    INTRODUZIONE
    Abbiamo già visto nel numero precedente
    (1), come il Giudaismo-religione abbia
    congiurato contro Gesù Cristo, i suoi
    Apostoli e la Chiesa, cercando d’infiltrare
    una “quinta colonna” nella Chiesa stessa per
    poterla distruggere dall’interno.
    Nel presente articolo cercherò di richiamare
    l’attenzione del lettore su una serie di
    fatti oggettivi e inequivocabili che mostrano
    le infiltrazioni della contro-Chiesa attuate
    nel Corpo Mistico di Cristo.
    Il COME sia stato possibile tutto ciò è un
    mistero che ci sorpassa, è il mistero della Volontà
    permissiva di Dio in rapporto al male
    morale, che non è voluto ma solo permesso
    per trarne un bene maggiore.
    Il perché dell’infiltrazione giudaico-massonica
    nella Chiesa sorpassa il nostro misero intelletto,
    ma sarebbe irragionevole chiudere gli
    occhi sugli avvenimenti che la comprovano e
    purtroppo, con il Concilio Vaticano II, la testimoniano
    sino al suo stesso vertice. Paolo VI
    d’altronde, aveva già parlato di “autodemolizione
    della Chiesa” e di “fumo di satana, penetrato
    all’interno della Chiesa di Dio”, ammettendo
    implicitamente la realtà del fatto.
    In molti casi dobbiamo fermarci al quia, alla
    constatazione del fatto, senza pretendere di
    conoscere il propter quid, il perché del fatto.
    La Giudeo-Massoneria ha formato il disegno
    di corrompere le membra della Chiesa, e specialmente
    il clero e la gerarchia, inoculando in
    esse falsi principi che di cristiano mantengono
    solo il nome senza averne più la sostanza (2).
    Un altro fatto inequivocabile (oltre al
    complotto contro la Chiesa) è che oggi quasi
    tutti, anche i cattolici, appartengono in qualche
    modo all’anima della Massoneria, pur non
    essendo membri del suo corpo, cioè pensano e
    ragionano da massoni: sono per la tolleranza,
    il pluralismo, il rispetto dell’errante, la democrazia
    moderna e liberale, il non esclusivismo.
    Oggi Benedetto Croce avrebbe più giustamente
    scritto Perché non possiamo non dirci
    massoni, e la teoria di Rahner andrebbe riproposta
    come Il massone anonimo (3).
    Questa è la triste realtà: da un lato il complotto
    della Sinagoga contro la Chiesa, dall’altro
    lo spirito cabalistico-massonico che ha invaso
    ogni cosa e che respiriamo ormai come
    l’aria che ci circonda. È molto arduo poter definire
    il perché, il come di tutto ciò, che in
    molti aspetti ci sfugge, ci sovrasta e su cui possiamo
    solo fare congetture senza poter arrivare
    alla certezza; eppure non dobbiamo chiudere
    gli occhi sulla terribile realtà nella quale
    siamo chiamati a vivere, sotto pena di sbagliare
    di “campo” o di stendardo, convinti magari
    di militare sotto quello di Cristo, ma combattendo
    in realtà, sotto quello di Lucifero (4).
    Nell’articolo precedente abbiamo visto i
    piani massonici (svelati da Barruel e da Cretineau-
    Joli, e riportati nei suoi volumi da Mons.
    Delassus), i quali parlano di UN “PAPA” SECONDO
    I BISOGNI DELLA SETTA, cioè
    imbevuto della sua filosofia, un “Papa” che,
    pur non essendovi iscritto, fa però parte della
    sua anima, al fine di portare a compimento il
    TRIONFO DELLA RIVOLUZIONE. Per
    giungere a tale scopo la Massoneria ha formato
    una generazione degna di tale avvenimento,
    mediante la corruzione intellettuale e morale
    della gioventù, fin dalla più tenera età, per poterla
    poi attirare, senza che se ne accorga, alla
    mentalità del “massonismo”. Soprattutto nei
    seminari essa ha svolto il suo ruolo d’infiltrata,
    di corruttrice delle idee, perché un giorno i giovani
    seminaristi diverranno preti, vescovi, cardinali,
    governeranno e amministreranno la
    Chiesa e, come cardinali, saranno chiamati a
    scegliere un “Papa”; ma questo “Papa”, come
    la maggior parte dei suoi contemporanei, sarà
    imbevuto di principi filantropici e naturalistici
    e sarà quindi omologo agli interessi della setta.
    La questione ebraica
    IL CLERO E I FEDELI MARCERANNO
    COSÌ SOTTO LO STENDARDO
    MASSONICO, CREDENDO ANCORA
    DI ESSERE SOTTO LA BANDIERA
    PONTIFICIA.
    I fatti che mi accingo a riportare sono la
    prova inequivocabile che tale disegno è riuscito,
    almeno per ora. Nostro Signore infatti ci ha
    promesso che “le porte dell’inferno non prevarranno”
    e così sarà. Noi cristiani, come il
    nostro Capo, Gesù Cristo siamo abituati a vincere
    per mezzo delle sconfitte. Proprio quando
    Gesù fu crocifisso e abbandonato da tutti,
    con la sua morte ci redènse; così sarà anche
    del suo Corpo Mistico, la Chiesa: quando sembrerà
    ormai essere morta, allora risorgerà in
    tutto il suo fulgore: “Regnavit a ligno Deus”!
    Tali fatti non devono scandalizzarci, ma,
    al contrario, devono farci prendere i mezzi
    adatti (con l’aiuto di Dio che non manca
    mai) per fare qualcosa per il bene della
    Chiesa, flagellata e coronata di spine come il
    caro e buon Gesù.
    Una bella preghiera di San Tommaso
    Moro recita così: “O Signore fate che non mi
    scandalizzi davanti al male ed al peccato, ma
    datemi la forza di porvi rimedio”.
    I PAPI DENUNCIANO LE INFILTRAZIONI
    GIUDAICO-MASSONICHE
    ALL’INTERNO DELLA CHIESA
    Pio VI nel Breve “Quid aliquantum”(10
    marzo 1791) critica la Costituzione civile del
    clero e in un altro Breve al clero e al popolo
    francese (19 marzo 1792) condanna gli ecclesiastici
    che giurano fedeltà alla Rivoluzione
    in questi termini: “Il carattere... degli eretici
    e degli scismatici fu... di ricorrere all’ARTIFICIO
    e alla DISSIMULAZIONE: così i
    nuovi INTRUSI della Chiesa di Francia hanno
    imitato alla perfezione quest’arte... d’ingannare...
    mediante la FINZIONE e la
    MENZOGNA...” (5).
    Pio VII nell’Enciclica Diu Satis (15 maggio
    1800) mette in guardia l’alto clero: “Non
    ammettete nessuno nei ranghi del clero...
    prima di averlo esaminato con cura, controllato
    ed approvato maturamente... [vi è] una
    moltitudine di falsi apostoli... artefici di inganni,
    mascherati da apostoli di Cristo”.
    Nell’Enciclica Ecclesiam (13 settembre
    1821) condanna la Carboneria, vera miniera
    di falsi fratelli: “Vengono a voi sotto apparenza
    di agnelli ma sono, nel fondo del loro
    cuore, lupi rapaci”.
    Il Cardinale Bernetti in una lettera del 4
    agosto 1845 scriveva: “Il nostro giovane clero
    è imbevuto delle dottrine liberali... La
    parte del clero che, dopo noi, arriva al governo,
    ...è mille volte di più intaccata dal vizio
    liberale” (6).
    Pio IX nell’Enciclica Nostis et Nobiscum
    (8 dicembre 1849) si lamenta del complotto
    contro la Chiesa: “Vi sono in Italia degli ecclesiastici,
    ...che son passati nei ranghi del
    nemico della Chiesa”.
    Molti anni dopo nella lettera Exortæ in ista
    (29 aprile 1876) descrive il caso classico di un’infiltrazione
    massonica in Brasile. “La confusione
    che è sorta in Brasile in questi anni è dovuta
    all’azione di AGENTI AFFILIATI ALLA
    SETTA MASSONICA, che si sono INFILTRATI
    nelle confraternite di pii cristiani” (7).
    Il CATTOLICESIMO LIBERALE è per
    Papa Mastai ancora più pericoloso del Comunismo;
    è infatti la “quinta colonna” della
    Giudeo-Massoneria nel seno stesso della
    Chiesa. Per Pio IX è molto più facile scoprire
    un nemico dichiarato che un falso fratello,
    come lo è, in realtà, il cattolico liberale. Nel
    Breve indirizzato al circolo Sant’Ambrogio di
    Milano (6 marzo 1873) spiega perché bisogna
    diffidare assolutamente dei cattolici democratici,
    imbevuti della filosofia moderna:
    “Questi uomini sono più pericolosi che i nemici
    dichiarati, poiché SECONDANO GLI
    SFORZI DI QUESTI ULTIMI, MA NON
    SI FANNO SCORGERE. Infatti, restando
    sui limiti delle opinioni condannate, si presentano
    sotto le apparenze di una dottrina
    integra e pura e ingannano così i fanatici della
    conciliazione ed anche i ferventi cristiani
    che, senza ciò, s’opporrebbero fermamente
    ad un errore manifesto” (8).
    Leone XIII nell’Enciclica Inimica vis (8
    dicembre 1892), mette in guardia i vescovi e
    gli arcivescovi d’Italia contro la Massoneria
    che cerca di conquistare alla sua filosofia il
    clero: “...i settari massoni cercano con delle
    promesse di sedurre il basso clero. Allo scopo
    di guadagnare alla loro causa i ministri
    sacri e poi... di farne dei rivoltosi”.
    San Pio X condanna i cattolici-liberali, i
    democratici-cristiani, i modernisti come “la
    razza più pericolosa... che pretende di condurre
    la Chiesa al proprio modo di pensare. Tramite
    l’ASTUZIA e la MENZOGNA di questo
    perfido cattolicesimo-liberale, che fermandosi
    giusto ai limiti dell’errore condannato, si
    sforza di apparire come ortodosso... I cattolici
    liberali sono lupi sotto apparenza di agnelli. Il
    18
    prete... deve svelare le loro TRAME PERFIDE.
    Sarete chiamati papisti, clericali, retrogradi,
    intransigenti; onoratevene...”(9).
    Anche nell’Enciclica Pieni l’animo (28
    luglio 1906) San Pio X mette in guardia contro
    le infiltrazioni nemiche nella Chiesa e
    parla esplicitamente dello “spirito d’insubordinazione
    e di indipendenza” che si manifesta
    tra il clero. Tale spirito - prosegue il
    Papa - “...penetra fin nel Santuario. ...È soprattutto
    tra i giovani preti che uno spirito sì
    funesto porta la corruzione... Si fa per tali
    dottrine nuove una propaganda più o meno
    OCCULTA, tra i giovani che nei seminari si
    preparano al sacerdozio”.
    Nella Pascendi (8 settembre 1907), poi, il
    Pontefice denuncia che “...i nemici sono arrivati
    FIN DENTRO IL CUORE DELLA
    CHIESA, nemici tanto più temibili quanto
    più lo sono meno apertamente. ...Parliamo
    di un gran numero... di preti... È DAL DI
    DENTRO che tramano la rovina della Chiesa,
    il pericolo è oggi quasi NEL SENO e
    NELLE VENE DELLA CHIESA STESSA...
    essi [i modernisti] non colpiscono i rami...
    ma la radice stessa, vale a dire la Fede”.
    Inoltre sempre S. Pio X, nell’allocuzione
    alla cerimonia d'imposizione della berretta
    cardinalizia ai nuovi porporati (27 maggio
    1914) pronunciò queste parole: “Oh quanti
    marinai, quanti piloti e, non voglia Dio,
    quanti CAPITANI, facendo confidenza a
    queste novità profane ed alla falsa scienza
    del tempo presente, invece di giungere in
    porto, hanno fatto naufragio!” (S. Pio X
    AAS 1914 pagg. 260-262).
    Si noti che il Papa santo morirà neanche
    tre mesi dopo, il 20 agosto 1914, e che la parola
    “capitani” si riferisce ai Vescovi!
    Pio XI denuncia i progressi fatti dalla “quinta
    colonna” infiltratasi ormai nell’alto clero.
    “Nel Concistoro del 23 maggio 1923 Pio
    XI chiese a circa trenta cardinali della Curia
    romana cosa pensassero della convocazione di
    un Concilio Ecumenico. Il card. Billot parlò
    esplicitamente di divergenze profonde nel seno
    dello stesso Episcopato. Il card. Boggiani, domenicano,
    pensava che una parte considerevole
    del clero e dei vescovi era imbevuta di idee
    moderniste. ...Il card. Billot concludeva dicendo
    che il Concilio sarebbe stato MANOVRATO
    dai peggiori nemici della Chiesa” (10).
    Ancora, nell’Enciclica Divini Redemptoris
    (29 settembre 1937) Pio XI denuncia i
    tentativi d’infiltrazione comunista che, senza
    menzionare la dottrina propria del Comunismo,
    vorrebbe “impiantare i propri errori
    nei luoghi ove - senza ciò - non potrebbero
    penetrare. E lavorano [i comunisti] con tutte
    le loro forze per INFILTRARSI perfidamente
    nelle assemblee cattoliche”.
    Il P. Cordovani, infine, maestro dei Sacri
    Palazzi Apostolici sotto il pontificato di PIO
    XII, e quindi teologo di papa Pacelli, scrive
    sull’Osservatore Romano del 19 marzo 1950:
    “Nulla è cambiato nella legislazione della
    Chiesa rispetto alla Massoneria. ...I canoni
    694 e specialmente il canone 2335, che infligge
    la scomunica alla Massoneria SENZA
    DISTINZIONE DI RITI, sono sempre in vigore.
    ...Tutti i cattolici devono... ricordarselo
    per non cadere nella TRAPPOLA”.
    Jacques Ploncard d’Assac commenta che
    si era in presenza di un’ INFILTRAZIONE
    di idee massoniche nella Chiesa e che il padre
    Cordovani, profondo conoscitore del
    problema, insisteva: “La scomunica, lo ripeto,
    VALE PER TUTTI I RITI MASSONICI,
    ...anche se alcuni dichiarano che non sono
    ostili alla Chiesa. ...Questa tendenza moderna,
    ...che metterebbe volentieri il Cattolicesimo
    in armonia con tutte le ideologie...
    non ha forse il marchio dell’eresia?” (11).
    I Papi perciò, fino a Pio XII, non hanno
    cessato di metterci in guardia contro le infiltrazioni
    nemiche nella Chiesa: purtroppo
    19
    Allegoria della tolleranza religiosa
    secondo la Massoneria
    con Giovanni XXIII, Paolo VI e Giovanni
    Paolo II l’atteggiamento muta radicalmente;
    si dialoga con la Massoneria, si ammette addirittura
    la doppia appartenenza, come vedremo
    nei capitoli successivi (12).
    I FATTI: IL DIALOGO CATTOMASSONICO
    Con la morte di Pio XII il Concilio non
    era ancora stato adunato, ma “l’aggiornamento”
    roncalliano cominciava già a dar corpo
    alle antiche aspirazioni di apertura verso
    i suppositi della Giudeo-Massoneria, per poter
    così introdurre il cavallo di Troia nella
    Chiesa di Cristo.
    Naturalmente ci si propose di dialogare,
    oltre che con le altre religioni, anche con la
    Massoneria, per poter superare le condanne
    portate dalla Chiesa contro la setta (oltre
    590 documenti), a partire da Clemente XII
    (In Eminenti, 1738) fino a Pio XII incluso e
    mai messe in discussione.
    “Le prime manifestazioni di questa tendenza
    nuova risalgono agli anni ’20. Un gesuita
    tedesco, P. Gruber… prese contatto
    con alti dignitari massonici… La campagna
    di avvicinamento iniziata in segreto dal padre
    Gruber fu ripresa… in Francia dal padre
    Berteloot, anch’esso gesuita. Costui pubblicò
    dal 1945 al 1949 una serie di articoli e
    di libri redatti con una grande prudenza, per
    poter preparare il riavvicinamento.
    La campagna di riavvicinamento tra
    Massoneria e Chiesa cattolica restò tuttavia
    allo stato latente sotto il pontificato di Pio
    XII. Il fuoco covava sotto le ceneri, ma i
    progressisti che avevano preso nella Chiesa
    un’influenza considerevole, si rendevano
    conto che i loro sforzi non avevano alcuna
    speranza finché viveva Pio XII… Con l’elezione
    di Giovanni XXIII ci fu bruscamente
    come un’esplosione… Si aveva nettamente
    l’impressione di una campagna internazionale,
    metodicamente orchestrata” (13).
    “Lo spirito di Giovanni XXIII - scrive
    padre Esposito (14) - poi la grande avventura
    ecumenica di Paolo VI, innescarono una
    reazione a catena di cui lì per lì non ci si rese
    conto, ma che divenne evidente allorché i diversi
    gruppi di esploratori - tra gli anni 1965
    e 1968 - vennero scovati dalla stampa. ...Si
    scoprirono scambi epistolari, telefonate più
    o meno diuturne, ...simposi conviviali. Il tutto
    finiva per accrescere la reciproca conoscenza
    degli uomini dei due schieramenti: i
    cattolici toccavano con mano che i massoni
    non hanno il volto di Lucifero [le apparenze
    ingannano, n.d.r.], i massoni che i cattolici
    non sono tutti Grandi Inquisitori... Si può dire
    che l’incontro tra le due comunità quella
    ecclesiale e quella massonica, FU EFFETTUATO
    A TUTTI I LIVELLI”.
    “Il Gran Maestro della Massoneria Dupuy
    stimava che ‘L’avvenimento del Vaticano
    II costituisce una apertura considerevole
    della Chiesa al mondo’. Rivelava di aver intrattenuto
    con Giovanni XXIII delle relazioni
    ‘più che cordiali’, che ‘Giovanni XXIII e il
    Vaticano II hanno dato un impulso formidabile
    al lavoro di chiarificazione e di disarmo
    reciproco nei rapporti tra Chiesa e Frammassoneria’.
    Al limite, nella misura in cui la
    Chiesa conciliare scivola verso il pluralismo
    e la libera religione, tende a diventare una
    semplice obbedienza massonica” (15).
    D’altronde anche l’ex gran maestro del
    Grand’Oriente d’Italia, Armando Corona,
    afferma: “La Massoneria ha, per prima, nella
    storia caldeggiato e difeso la tolleranza religiosa
    ed il diritto di ogni uomo di professare
    la propria fede. Dopo tanti secoli, come
    Massoni, siamo lieti che anche il concilio Vaticano
    II abbia dichiarato testualmente: La
    coscienza degli uomini è sacra…” (16).
    Anche mons. Lefebvre fu costretto ad
    ammettere che la Chiesa era stata infiltrata
    dalla Massoneria allo scopo di distruggerla.
    Proprio perché aveva vissuto direttamente
    l’esperienza del Concilio scrisse: “La riforma
    liturgica è una delle cose più gravi. Fu fatta…
    dal Padre Bugnini, che l’aveva preparata
    già da molto tempo. Già nel 1955 padre
    Bugnini faceva tradurre i testi [liturgici] protestanti
    da mons. Pintonello… che era vissuto
    molto tempo in Germania… È stato proprio
    mons. Pintonello che mi ha raccontato
    che aveva tradotto i libri liturgici protestanti
    per Bugnini, che a quel tempo non contava
    ancora nulla… TIPI COME BUGNINI SONO
    DEGLI INFILTRATI NELLA CHIESA
    PER DISTRUGGERLA… Alcuni dicono
    che dietro tutto ciò vi è la Massoneria. È
    possibile… Ci troviamo davanti ad una VERA
    CONGIURA all’interno della Chiesa,
    da parte dei cardinali attuali. Una classe di
    intellettuali è insorta contro Nostro Signore,
    in un VERO COMPLOTTO DIABOLICO
    contro il suo Regno” (17).
    Il primo cardinale che avvicinò un Gran
    Maestro fu Innitzer, arcivescovo di Vienna,
    che nel 1948 impostò - ad insaputa di Pio
    20
    XII - il dialogo col Gran Maestro Schechebaner.
    Negli anni ’60-’70 la schiera dei ‘dialoganti’
    s’ingrossò e fece il tutto alla luce del
    giorno: i cardinali Cushing di Boston, Cooke
    di New-York, Etchegaray di Marsiglia, Alfrink
    di Utrecht, Feltin e poi Marty di Parigi,
    Krol di Filadelfia, Vilela di Bahìa (Brasile),
    Lorscheider di Fortaleza. Tra i vescovi si
    contano: Mendez Arceo di Cuernavaca
    (Messico), che in Concilio domandò che la
    legislazione antimassonica fosse modificata,
    mons. Dante Benigni di Albano Laziale,
    mons. Ablondi di Livorno che, secondo le affermazioni
    dell’Esposito (18), partecipò agli
    incontri coi dirigenti massonici insieme al
    gruppo italiano. A Parigi mons. Pezerie
    parlò addirittura in Loggia “come in passato
    avevano fatto Joyce di Boston, Pursley di
    South Bend, alcuni presuli nelle Isole Filippine,
    in Canada e altrove” (19).
    In Europa tale dialogo catto-massonico
    era benedetto “anche PRESSO LE ISTANZE
    più ALTE DELLA CHIESA. I tramiti
    più costanti... che ottennero un’ACCOGLIENZA
    ATTENTA PRESSO PAOLO
    VI, furono don Miano, che raggiungerà il
    card. Seper e il card. Koning... Il P. Riquet
    che ebbe ugualmente diverse opportunità di
    AVVICINARE PAOLO VI (20).
    Recentemente il Gran Maestro del
    Grande Oriente d’Italia, l’avv. Gaito, ha dichiarato:
    “Quando ho ascoltato le gerarchie
    ecclesiastiche parlare nelle omelie dell’uomo
    come centro dell’universo mi sono commosso
    fino alle lacrime” (21).
    VERSO LA REVISIONE DELLA SCOMUNICA
    DELLA MASSONERIA
    L’intento immediato di tutti questi spuri
    connubi era di pervenire alla revisione e possibilmente
    all’abolizione della scomunica del
    1738, della setta massonica. Per la Pasqua del
    1971 sembrò prossima la pubblicazione di un
    Dubium della Sacra Congregazione per la
    dottrina della Fede “che avrebbe in qualche
    modo cancellato le gravi pregiudiziali antimassoniche
    contenute nel Codice di diritto
    canonico del 1917, canone 2335 e luoghi paralleli;
    la pubblicazione fu rinviata alla festa
    dei santi Pietro e Paolo, il 29 giugno del medesimo
    anno, ma ancora una volta non si ritenne
    opportuno affrettare i passi, perché si
    temeva - e ben a ragione - che l’opinione
    pubblica cattolica... non avrebbe accolto la
    decisione senza scandalo” (22).
    LA CONFERENZA EPISCOPALE SCANDINAVO-
    BALTICA (21-23 ottobre 1966)
    Fin dal 1964 i vescovi della Norvegia avevano
    consentito ad un massone “convertitosi”
    al cattolicesimo di poter conservare
    l’iscrizione alla Massoneria.
    I vescovi della Danimarca, Svezia, Islanda,
    Norvegia, Finlandia applicarono il decreto
    conciliare Christus Dominus, che all’articolo 8
    afferma: “Ai singoli vescovi diocesani è data
    facoltà di dispensare da una legge generale
    della Chiesa, ogniqualvolta ritengano che ciò
    giovi al bene spirituale dei fedeli, purché dalla
    suprema Autorità della Chiesa non sia stata
    fatta qualche riserva speciale in proposito”.
    Nella riunione plenaria del 21-23 ottobre
    1966, infine, i vescovi di quelle cinque nazioni
    decidevano di non esigere dai massoni che
    chiedevano di entrare nella Chiesa, l’abiura,
    cioè l’abbandono della Massoneria. I VESCOVI
    NON RITENEVANO PERCIÒ INCOMPATIBILI
    LE DUE APPARTENENZE.
    “Nel mese di novembre LA DECISIONE
    VENNE COMUNICATA ALLA SANTA
    SEDE. QUI NON SI EBBERO REAZIONI,
    e questo significa che NON C’ERANO RAGIONI
    NEGATIVE, per cui il 24 gennaio
    1968 la decisione venne resa pubblica” (23).
    Il Radiogiornale vaticano intervenne, comunicando
    che la Santa Sede non aveva mutato
    la disciplina vigente. “Si ribadiva in tal
    modo che la decisione scandinavo-baltica rimaneva
    circoscritta alla situazione locale,
    ma non la si contrastava” (24).
    LA LETTERA DEL CARD. SEPER AL
    CARD. KROL (19 luglio 1974)
    Il vento del Concilio continuava a soffiare,
    la Giudeo-Massoneria a tramare: il risultato
    più clamoroso dell’infiltrazione della
    “quinta colonna” all’interno della Chiesa la
    si ebbe il 16 luglio 1974. Si trattò di un modesto
    documento destinato a restare privato
    e che invece fu reso pubblico dal destinatario,
    il card. Krol, arcivescovo di Filadelfia e
    presidente della Conferenza Episcopale nordamericana.
    Questo documento, brevissimo ed importantissimo,
    va inquadrato nella scia delle due
    consultazioni a livello universale ordinate dalla
    Sacra Congregazione per la dottrina della fede
    negli anni 1960-1970, per conoscere l’opinione
    dei vescovi sulla consistenza e le caratteristiche
    delle singole obbedienze massoniche.
    21
    Su tale documento così scrive il P. Esposito:
    “A richiesta del card. Krol, il prefetto del dicastero
    romano (della dottrina della Fede) card.
    Franjo Seper rispose… con questa lettera così
    strutturata: 1) la richiesta di nuove istruzioni
    relative al problema massonico è viva presso
    l’Episcopato, e la Santa Sede ha posto il problema
    in seria osservazione; 2) …ogni eventuale
    mutamento viene demandato alla redazione
    del nuovo Codice di Diritto Canonico; 3)
    nell’attesa, a) le situazioni locali devono essere
    giudicate in ambito locale; b) tale giudizio deve
    essere ispirato al principio dell’AMPLIFICAZIONE
    DELLE GRAZIE e delle RESTRIZIONI
    DEGLI ODI; 4) LA PROIBIZIONE
    D'ISCRIZIONE ALLA MASSONERIA
    VIENE RISTRETTA AI SOLI MEMBRI
    DEL CLERO e degli istituti secolari; 5) IMPLICITAMENTE
    LA SCOMUNICA NON
    VIENE PIÙ COMMINATA. …Questa lettera
    ebbe consensi ovunque. Negli Stati Uniti inaugurò,
    da parte della Chiesa, un atteggiamento
    estremamente aperto… La comprensione tra
    cattolici e massoni negli Stati Uniti veniva da
    lontano… COMINCIÒ UN RALLENTAMENTO
    POLEMICO, allorché i massoni, rassicurati
    da Kennedy circa i suoi propositi non
    integralisti, appoggiarono validamente la sua
    candidatura, proseguì con la partecipazione del
    card. Cushing a riunioni conviviali, unitamente
    ad altri presuli, …tra i gesti più incisivi ricordiamo
    la partecipazione del cardinale arcivescovo
    di New York, Cooke, ad un simposio massonico
    nel corso del quale pronunciò un discorso di
    cordiale incoraggiamento alla reciproca comprensione
    e collaborazione” (25).
    LA CONFERENZA EPISCOPALE
    DELL’INGHILTERRA E DEL GALLES
    (11-14 novembre 1976)
    In tale conferenza l’eco della lettera Seper-
    Krol fu evidente. Il documento episcopale
    affermava: “Un cattolico deve considerarsi
    anzitutto membro della Chiesa cattolica…
    Ma se egli crede sinceramente che la
    sua appartenenza alla Massoneria non entri
    in conflitto con questa fedeltà, può entrare
    in contatto con il suo vescovo… per discutere
    le implicazioni di tale appartenenza”.
    LA CONFERENZA EPISCOPALE DI
    SANTO DOMINGO (29 gennaio 1976)
    In una notificazione al clero diramata il 29
    gennaio 1976 la Conferenza episcopale dominicana
    applicava la lettera del card. Seper asserendo:
    “Tra noi (cattolici e Repubblica dominicana)
    NON ESISTE INCOMPATIBILITÀ
    TRA L’ESSERE CATTOLICO praticante…
    ED ESSERE AFFILIATO AD UN’ASSOCIAZIONE
    MASSONICA o similare…”.
    MONS. ETCHEGARAY, ARCIVESCOVO
    DI MARSIGLIA (1975-1977)
    Su richiesta concedeva l’autorizzazione
    ai funerali religiosi di un massone.
    LA CONFERENZA EPISCOPALE DEL
    BRASILE (4 gennaio-12 marzo 1975)
    Nella sessione del 5 gennaio 1975 la Conferenza
    Episcopale brasiliana, presieduta da
    mons. Lorsheider, poi cardinale, domandò alla
    Santa Sede istruzioni circa l’applicazione della
    lettera Seper; la risposta del 12 marzo, firmata
    dal Nunzio Apostolico in Brasile mons. Rocco,
    asseriva: “…Sembra pertanto che si possa
    prestar fede a quanti, iscritti già da tempo alla
    Massoneria, sollecitano spontaneamente di
    essere ammessi ai sacramenti…”.
    Non stupisce quindi che: “per il Natale di
    quell’anno IL CARD. BRANDAO VILELA
    ACCETTAVA L’INVITO DI CELEBRARE
    LA MESSA NELLA LOGGIA
    LIBERDADE DI SAN SALVADOR DI
    BAHIA… in quello stesso mese accettava
    un’alta onorificenza massonica, così come
    l’accettava nel 1976 il card. Paulo Evaristo
    Arns, arcivescovo di Rio de Janeiro” (26).
    LA FALSA RESTAURAZIONE DEGLI
    ANNI ’80
    San Pio X affermava dei modernisti: “Ad
    ascoltarli, a leggerli si sarebbe tentati di crede-
    22
    “Al massone il Candelabro ricorda le sette arti liberali la
    cui conoscenza è indispensabile per il lavoro del vero
    iniziato”. (L. TROISI, Dizionario massonico, Bastogi)
    re che cadono in contraddizione, che sono
    oscillanti e incerti. Assolutamente no! Tutto è
    misurato, tutto è voluto da costoro. …Una pagina
    delle loro opere potrebbe essere scritta da
    un cattolico; ma voltate pagina e vi sembrerà
    di leggere lo scritto di un razionalista” (27).
    La tattica di Satana e dei suoi suppositi è
    sempre stata quella di mischiare il vero al
    falso, la zizzania al buon grano; così fa la
    Giudeo-Massoneria che, ormai infiltratasi sino
    al vertice della Chiesa, mescola vero e
    falso per poter ingannare anche i buoni che,
    altrimenti, reagirebbero.
    Abbiamo già visto quale fosse la tattica
    del massone: restare dentro la Chiesa come
    “quinta colonna” per distruggerla dall’interno,
    se mai fosse possibile, e quindi, dopo
    aver fatto due passi avanti, farne uno indietro
    (Lenin docet), per non suscitare una vera
    reazione che annienti le macchinazioni della
    contro-chiesa. Sappiamo anche che la “quinta
    colonna”, una volta scoperta, susciterà
    una “terza forza”, che lavorerà assiduamente,
    sotto apparenza di moderazione, equilibrio,
    amor di pace e carità, per impedire la
    distruzione della “quinta colonna”.
    Ebbene i vari documenti degli anni ’80 che
    rivedono le posizioni aperte al dialogo, proprie
    degli anni ’60-’70, non sono nient’altro che il
    classico passo indietro dopo i due compiuti in
    avanti, e la produzione di una “terza forza”
    per salvare il lavoro della “quinta colonna”!
    I documenti della falsa restaurazione sono:
    la Dichiarazione dell’Episcopato tedesco (28
    aprile 1980), la Dichiarazione della Sacra
    Congregazione per la dottrina della Fede (17
    febbraio 1981), la Dichiarazione della Sacra
    congregazione per le cause dei Santi (20 settembre
    1981), il Nuovo Codice di Diritto Canonico
    (25 gennaio 1983) che nel canone 1374
    afferma: “Chi dà il [proprio] nome ad un’associazione
    che complotta contro la Chiesa, SIA
    PUNITO CON GIUSTA PENA”. Bisogna rilevare
    che tale testo è molto diverso dal canone
    2335 del Codice del 1917, perché il rigore
    della pena è nettamente alleggerito, in quanto
    VIENE ESCLUSA LA SCOMUNICA, che
    era invece comminata IPSO FACTO, per
    chiunque avesse dato il proprio nome ad una
    setta massonica. Inoltre, per la gioia del padre
    gesuita Michel Riquet non viene neppure
    menzionata la Massoneria! (28).
    Così si giustifica la recente dichiarazione
    del Gran Maestro del Grand’Oriente
    d’Italia Virgilio Gaito: “Si consideri poi che
    la scomunica contro i massoni è ormai affievolita:
    è riservata soltanto a chi cospira
    contro la Chiesa Cattolica” (29).
    Tutto ciò prova che le condanne degli anni
    ’80 erano PURAMENTE VERBALI e
    che nulla de facto ne è seguito, né si voleva
    che ne seguisse. Infatti i vari monsignori che
    negli anni ’60-’70 erano impegnati nel dialogo
    con la Massoneria li ritroviamo quasi tutti
    promossi cardinali negli anni ’80, e coloro
    che già erano cardinali hanno continuato
    tranquillamente ad esserlo senza che alcun
    provvedimento fosse preso a loro carico!
    Bisogna infine registrare la Dichiarazione
    della Sacra Congregazione per la dottrina
    della Fede (26 novembre 1983), la quale,
    nell’affermare che “i fedeli che appartengono
    alle associazioni massoniche sono IN
    STATO DI PECCATO GRAVE e non possono
    accedere alla santa comunione” NON
    RIBADISCE, però, LA SCOMUNICA!
    In un’intervista concessa ultimamente
    dal card. Ratzinger all’Avvenire, si legge che
    bisogna distinguere tra Massoneria e Massoneria,
    che non bisogna fare di ogni erba un
    fascio, che vi è una Massoneria anticlericale
    con la quale non si può dialogare, ma che, se
    la Massoneria non fa professione di fede anticristiana,
    il dialogo è fattibile: si è, in pratica,
    ad un ritorno, seppur in sordina, alle posizioni
    degli anni ’60-’70.
    È il lavoro della “terza forza” che cerca di
    consolidare, sotto apparenza di maggior fermezza
    e di restaurazione, le conquiste della
    “quinta colonna”? La dottrina di cui sopra fu
    già condannata dal P. Cordovani nel 1950.
    Ma essa ritorna di moda anche in campo
    massonico, allorchè il prof. Di Bernardo, nel
    suo libro Filosofia della Massoneria afferma
    che la Massoneria è per principio non esclusivista
    e tollerante ed auspica un dialogo con
    la Chiesa, ciascuno restando quello che è.
    L’importante è che la Chiesa, senza perdere
    la sua identità, rinunci alle scomuniche per
    aprirsi al dialogo, accettando il pluralismo, la
    tolleranza ed il non esclusivismo, e divenga
    poi così, nella realtà, una specie di Massoneria
    universale. Tutto ciò si è avverato e lo abbiamo
    costantemente sotto gli occhi (30).
    Anche in campo cattolico-conservatore è
    ripreso questo atteggiamento; per esempio
    mons. Casale arcivescovo di Foggia, l’11 dicembre
    1993, in un convegno organizzato
    dal CESNUR, ha dichiarato che la doppia
    appartenenza non è lecita, ma che il dialogo
    con le Massonerie… non è escluso dalla
    Chiesa cattolica [conciliare, n.d.r.] (31).
    23
    LA CHIESA CONCILIARE E IL
    ROTARY CLUB (1905)
    a) Massoneria e Rotary
    Il rapporto tra Rotary e Massoneria è
    “strutturale”, come dice P. Esposito, “ non solo
    a causa della fondazione del Rotary avvenuta
    il 23 febbraio 1905 ad opera dell’avvocato
    Paul Harris di Chicago e di tre suoi colleghi,
    massoni come lui; ma anche a causa
    dell’impostazione ideologica e giuridica del
    club, il quale DEL MESSAGGIO INIZIATICO
    ASSUME IL MEGLIO, PER INSERIRLO
    NELLA SOCIETÀ LAICIZZANDOLO,
    CIOÈ ESCLUDENDO GLI ASPETTI
    VINCOLANTI ED INIZIATICI” (32).
    In Cile ed in Spagna molti vescovi, negli anni
    Venti, espressero vive condanne del Rotary,
    denunciandone la radice massonica. La Santa
    Sede di fronte a queste denunce dovette prendere
    posizione. Il primo passo fu di prendere le
    distanze dal Rotary per poi condannarlo. Il
    compito di preparare la strada alla condanna fu
    affidato alla Civiltà Cattolica che pubblicò tre
    articoli del padre Pirri s.j., secondo il quale il
    ROTARY NON DIFFERISCE AFFATTO
    DALLA MASSONERIA, sotto il dominio
    della quale intende portare il mondo intero.
    Tuttavia il gesuita non vuole affermare che tutti
    i rotariani siano massoni, ammette l’ignoranza,
    la buona fede, l’ingenuità in alcuni di essi.
    La tolleranza religiosa del Rotary, conclude
    il Pirri, è de facto sincretismo religioso (33).
    Sull’Enciclopedia Cattolica mons. Buzzetti
    scrive: “La mentalità ch’esso [il Rotary]
    proclama può facilmente diventare indipendenza
    dall’insegnamento della Chiesa, anche
    nel campo della fede e dei costumi e FAVORIRE
    L’INFILTRAZIONE DI ELEMENTI
    MASSONICI ed anticlericali” (34).
    b) La prima condanna pontificia (4 febbraio 1929)
    Il testo pontificio di condanna del Rotary
    uscì quasi contemporaneamente al terzo articolo
    del padre Pirri del 2 febbraio 1929; è infatti
    di solo due giorni posteriore il Dubium
    della Sacra Congregazione concistoriale. Il decreto
    pontificio era la risposta al quesito se fosse
    lecito agli ecclesiastici iscriversi al Rotary e
    partecipare alle riunioni di questa organizzazione,
    ed era nettissima: NON EXPEDIRE,
    cioè “non è conveniente”. La proibizione non
    è estesa ai laici. Il testo fu pubblicato negli
    A.A.S. (1929, anno 25, 15 gennaio 1929, 42).
    Anche il cardinale di Milano Schuster intervenne,
    vent’anni dopo, il 12 ottobre 1949,
    riaccendendo i fuochi della polemica: “Al
    tempo della nostra giovinezza a Roma…
    v’erano associazioni che si dicevano affiliate
    [alla Massoneria] come il Rotary… Tutte forme
    essoteriche di una Massoneria unica” (35).
    c) La seconda condanna (gennaio 1951)
    Essa fu molto più severa della prima, più
    solenne, con L’ESPLICITO RICHIAMO
    DELL’ASSENSO DIRETTO DI PIO XII (36).
    d) La svolta di Giovanni XXIII
    Il deus ex machina del Rotary italiano,
    Omero Ranelletti, che fondò il Club di Roma
    nel 1924 narra che “all’avvento di Papa Giovanni
    pensò che il problema avrebbe potuto
    essere avviato ad una soluzione migliore che in
    passato” (37); il 22 dicembre 1958 chiese pertanto
    a Giovanni XXIII un’udienza, che gli fu
    accordata il 20 aprile 1959. “In udienza presentò
    i suoi colleghi coi loro titoli rotariani, e
    papa Giovanni …gradì la visita affermando
    che a Venezia aveva avuto occasione di avvicinare
    più volte i rotariani della città, ed era perciò
    bene al corrente della nostra istituzione.
    …Ebbe per tutti parole di bontà, confortandoci
    infine della sua apostolica benedizione” (38).
    Il 20 marzo 1963 Roncalli accordò al Rotary
    una seconda udienza.
    e) Paolo VI
    La terza udienza pontificia ebbe luogo con
    Paolo VI il 28 settembre 1963. Ma la più importante
    fu la quarta, del 20 marzo 1965, nella
    quale Ranelletti ricordò che il 13 novembre
    1957 (un anno prima della morte di Pio XII)
    l’allora card. Montini s’incontrò con i rotariani
    e tra l’altro disse loro: “Vi ringrazio signori rotariani
    per questa manifestazione di omaggio
    che mi rivolgete, ma debbo con lealtà dichiaravi
    che in passato io ebbi molte riserve sul
    Rotary, frutto di ignoranza e di errori” (39).
    Nell’udienza del 20 marzo 1965 Paolo VI
    riprese questo pensiero; un altro incontro
    col Rotary avvenne il 14 novembre 1970.
    f) Giovanni Paolo II
    “CON GIOVANNI PAOLO II L’ACCETTAZIONE
    DEL ROTARY RAGGIUNGE
    LIVELLI ANCORA PIÙ ELEVATI,
    nel senso che non solo è affermata la
    COMPATIBILITÀ, …ma forse addirittura
    la COMPLEMENTARIETÀ fra l’opera cattolica
    e quella rotariana” (40).
    Giovanni Paolo II ha ricevuto i rotariani
    il 14 giugno 1979 ed il 4 febbraio 1984.
    24
    IL MOVIMENTO PAX E IL GRUPPO I.DOC
    (braccio armato della sovversione all’interno
    della Chiesa conciliare)
    “Dopo il Concilio Vaticano II - scrive
    Orio Nardi (41) - la gnosi influenza tutta la
    fermentazione modernista o progressista
    all’interno della Chiesa, non senza la complicità
    di teologi… che spesso operano sotto
    l’influsso di centri di potere mondialista, come
    appare dalla storia del Movimento Pax e
    del gruppo I.DOC”.
    IL MOVIMENTO PAX
    Il 6 giugno 1963 il card. Wyszynski scrisse
    una lettera ai vescovi francesi, che fu fatta
    pervenire al Segretariato dell’Episcopato
    francese tramite il nunzio apostolico: oggetto
    della lettera era il Movimento PAX.
    Il cardinale smascherava nel suo scritto
    la vera natura del Movimento: “PAX non è
    un’organizzazione a scopo culturale, ma unicamente
    un mezzo di propaganda travestito
    per denigrare l’attività della Chiesa in Polonia,
    tramite la diffusione d'informazioni false…
    Tale movimento riceve le direttive dal
    Partito Comunista, dalla Polizia segreta e
    dall’Ufficio per gli Affari del Culto. In compenso
    della sua sottomissione PAX beneficia
    di certe facilitazioni ed appoggi”.
    All’inizio del Concilio il Movimento
    PAX intensificò la sua propaganda nei Paesi
    dell’Europa occidentale e specialmente in
    Francia, diffondendo notizie false od equivoche
    ed offensive della Chiesa e soprattutto
    della Curia romana.
    Il fondatore di PAX (vero e proprio organo
    della polizia comunista polacca, alle dirette
    dipendenze del Ministero degli Interni)
    era M. PIASECKI, che era stato condannato
    a morte dai russi sovietici ed era stato graziato
    a prezzo di un impegno formale di mettersi
    al servizio del Partito Comunista per infiltrare
    la Chiesa Cattolica.
    Fin dalle sue origini, quindi, PAX è
    un’agenzia del Partito Comunista Polacco
    che emana direttamente gli ordini ai suoi
    membri tramite l’Ufficio Centrale. Piasecki
    dipendeva in modo diretto dall’Ufficio Sicurezza
    (U. B.) e dall’Ufficio dei Culti, che, in
    Polonia, disponeva di un potere assoluto per
    quanto riguardava la Chiesa Cattolica.
    Nel 1956 col disgelo Piasecki cade in disgrazia
    (nuovamente), però, grazie ai servizi
    resi soprattutto alla Francia, può risalire la
    china; il suo potere raggiunge l’apogeo durante
    i lunghi anni di prigionia di Wyszynski.
    Fu quella l’epoca in cui PAX assorbiva tutte
    le pubblicazioni cattoliche ancora indipendenti
    dal Partito Comunista. La destalinizzazione
    atterrò di nuovo Piasecki, che però risorse
    grazie… al Concilio Vaticano II! Infatti
    gli fu assegnato il compito di formare focolai
    di dissenso negli ambienti ecclesiastici che
    lavoravano al Concilio, di scindere i Vescovi
    in due blocchi (progressisti e conservatori),
    per poter mettere la Chiesa al passo con il
    mondo moderno (Solve et coagula).
    In Francia, giornali come la Croix e periodici
    come Les Informations catholiques
    Internationales erano giunti a diffamare il
    card. Wyszynski e a difendere PAX, spianando
    così la strada al trionfo del Comunismo in
    Francia e nel mondo.
    Jean Madiran scrisse un coraggioso ed interessante
    articolo su La Nation Française
    (1° luglio 1964) dal titolo Lo spionaggio sovietico
    nella Chiesa, aggiungendo che Piasecki
    era una creatura del generale Ivanov
    Sierow della N.K.V.D. (la polizia politica russa).
    Madiran scriveva anche che PAX attaccava
    la Curia romana, in quanto nel 1956 una
    sua delegazione si era recata in Vaticano per
    difendere Piasecki condannato dal Sant’Uffizio,
    senza però ottenere quanto desiderava.
    IL GRUPPO I.DOC
    Con l’inizio del Concilio nacque a Roma
    un Centro di informazione per i vescovi e i
    teologi olandesi, il DOCumentation.
    Tale centro diffondeva bollettini d’informazione
    in tutte le lingue ed organizzava conferenze
    stampa tenute dai Padri conciliari o da teologi
    progressisti per potersi impadronire dell’opinione
    pubblica; ad esse infatti erano regolarmente
    presenti i responsabili di agenzie internazionali
    e gli informatori di grandi quotidiani.
    Al termine del Concilio quest'Agenzia
    stampa volle mantenere le relazioni che aveva
    stabilite nel periodo del Concilio: così il
    DOC è diventato I.DOC (Information-Documentation
    sur l’Eglise Conciliaire).
    Louis Salleron scriveva: “Siamo in presenza
    di un vero potere parallelo [I.DOC] in
    seno al Cattolicesimo, perché tiene in mano
    l’informazione, la pubblica opinione… ed è
    in grado di cercare di imporre le proprie vedute
    al Magistero” (42).
    Delaman, a sua volta, sosteneva che
    “l’I.DOC dà le sue consegne… Quando un
    25
    vescovo osa levarsi contro uno dei suoi obiettivi,
    …diventa la vittima di un vero assassinio
    morale nella stampa del mondo intero” (43).
    La rivista inglese Approches (44) afferma:
    “La sezione britannica di I.DOC è composta
    interamente da progressisti, e il gruppo è
    controllato all’interno da un nucleo marxista,
    esso stesso condotto da uno dei capi comunisti
    tra i più esperti dell’Inghilterra”.
    Jack Dunman, infatti, che occupa un posto
    di primo piano nella sezione inglese
    dell’I.DOC, è “una personalità in vista del
    Partito Comunista Inglese, il cui influsso è
    cresciuto con la sua elezione a deputato. In
    Inghilterra è lo specialista del dialogo tra comunisti
    e cristiani” (45). Il Dunman godeva
    poi anche dell’appoggio del gruppo Slant,
    collegato con il Movimento PAX.
    Sono quindi profondamente vere le parole
    del Nardi: “È bene che la considerazione
    del tradimento affiori nelle coscienze di
    molti, e riporti soprattutto i responsabili al
    senso di dignità e di libertà di spirito che distingue
    i veri cercatori della verità” (46).
    LETTERA APERTA ALLA CHIESA DI
    FRANCIA: CIÒ CHE L’EBREO
    ROBERT ARON PENSA DELL’EVOLUZIONE
    DELLA CHIESA CONCILIARE
    Nell’interessante libro Lettre ouverte à
    l’Eglise de France (47) Robert Aron esamina
    Les orientations pastorales sur l’attitude chrétiens
    à l’egard du Judaisme, cioè il documento
    dell’Episcopato francese sul Giudaismo, ed
    afferma che proprio questo documento, che
    dovrebbe essere magistero episcopale, è “una
    refutazione del deicidio, una riabilitazione dei
    Farisei, un'affermazione del permanere della
    missione di Israele, che non abolisce la Nuova
    Alleanza del Cristo. Questi sono tanti indizi
    che ci permettono di affermare che QUALCOSA
    DI PROFONDO È CAMBIATO
    NON SOLO NEI RAPPORTI TRA ISRAELE
    E LA CHIESA, MA ANCHE NEI
    RAPPORTI TRA LA CHIESA ED IL DIO
    DI ABRAMO E DI MOSÈ” (48).
    Il documento episcopale non menziona
    neppure una volta il problema della divinità
    di Gesù Cristo, che pure è essenziale nello
    stabilire i rapporti che debbono intercorrere
    tra Giudaismo e Cristianesimo.
    Aron apprezza, naturalmente, questo nuovo
    linguaggio dell’Episcopato francese. Infatti
    la Chiesa preconciliare, che nell’argomentare
    si basava sui dogmi immutabili e precisi, non
    poteva andare “a braccetto” con la Sinagoga
    anticristiana. Ma se la Chiesa conciliare cessa
    di essere dogmatica, anzi mette in sordina il
    dogma, per parlare un linguaggio familiare
    all’uomo moderno, il linguaggio massonico
    della filosofia illuminista e idealista, allora
    l’abbraccio diviene possibile (come de facto si
    è verificato il 13 aprile del 1986 alla Sinagoga
    di Roma) …e letale per Nostro Signor Gesù
    Cristo e il suo Corpo Mistico.
    Ed è per questo che Aron gioisce dell’evoluzione
    (eterogenea) che ha subito la
    Chiesa conciliare, grazie a “Theilhard de
    Chardin… che è diventato post mortem…
    uno degli ispiratori del Concilio Vaticano II”.
    Ed è così che Aron si spinge fino a fare
    delle proposte alla Chiesa, a condizione che
    ritorni alla fede giudaico-talmudica, rinunciando,
    perciò, ad essere cristiana. Il nodo
    gordiano, infatti, o “la pietra d’inciampo”
    (quant’è vero il Vangelo…) è proprio Gesù
    Cristo, poiché l’Aron riconosce che “la difficoltà
    d’essere cristiano è… metafisica… [per
    i cristiani] vi è un intercessore sublime, reputato
    Figlio di Dio, il Cristo. È l’Agnello di
    Dio che prende su di sé e cancella in Cristo i
    peccati del mondo, MENTRE, per l’ebreo,
    OGNI UOMO ASSUME IL PESO DEI
    PROPRI PECCATI” (49). Ogni uomo cioè è
    Messia e Redentore, in quanto (secondo la
    Cabala e per Teilhard) è l’evoluzione ed il
    completamento di Dio stesso.
    Ma “che cosa succede se la maggior parte
    dei cristiani si mette a contestare la base
    stessa della religione che professa? Ecco il
    cuore della crisi attuale che attraversa la
    Chiesa…” (50).
    Ebbene sì, lo studioso ebreo ha visto giusto.
    La maggior parte dei cristiani… non è
    cristiana; è questa la crisi provocata dalla
    “quinta colonna” giudaico-massonica all’interno
    della Chiesa conciliare. Infatti nei sondaggi
    fatti da giornali cattolici risultava che
    già nel 1972 soltanto il 36% dei Cattolici credeva
    alla divinità di Cristo. (Ed oggi ?). Il
    64% restante, perciò, non era più cristiano: il
    Cristianesimo è infatti la religione che professa
    la divinità di Cristo.
    Secondo l’Aron ci troviamo di fronte allo
    scacco della Chiesa: infatti nei rapporti tra
    Cristianesimo e Giudaismo bisogna scegliere
    una delle due alternative: o Cristo è Dio, e
    quindi il Giudaismo anticristiano è una falsa
    religione; oppure non è Dio e quindi il Cristianesimo
    è un’eresia, una setta staccatasi
    dal Popolo di Dio.
    26
    Purtroppo trent’anni di catechesi conciliare,
    che ha snaturato i rapporti tra Antica e
    Nuova Alleanza, tra Cristianesimo e Giudaismo
    hanno portato alla conclusione logica
    ed inevitabile che, per la maggior parte dei
    cristiani, (64% nel 1972, ventidue anni fa!)
    Cristo non è Dio, quindi “ha bestemmiato ed
    è reo di morte”.
    Ecco perchè Aron fa delle proposte alla
    Chiesa a nome della Sinagoga: “Se la Chiesa
    è in crisi, non è soltanto perché usava il latino…
    No! Ciò è dovuto ad una sorta di proliferazione
    che sembra prodursi in essa, a partire
    da un germe pericoloso, che deve alla
    sua origine stessa… È il problema delle origini
    che si pone di nuovo per la Chiesa” (51).
    Se già nel 1972 il 64% dei cattolici non crede
    più alla divinità di Cristo, non è forse perché
    occorre risalire alle origini stesse della Chiesa
    ed alla biforcazione iniziale tra il fiume (la
    Chiesa) e la sua sorgente (la Sinagoga), si
    chiede l’Aron. Bisogna quindi riproporre la
    stessa domanda che Caifa pose a Gesù: “Io
    ti scongiuro, nel nome del Dio vivente, sei tu
    il Messia, il Figlio di Dio?”. Alla quale, però,
    bisogna dare una risposta diversa da quella
    che diede Gesù (“Tu lo dici, Io lo sono”),
    per poter finalmente riportare il fiume (la
    Chiesa) alla fonte (la Sinagoga).
    Per Robert Aron la strada che ricongiunge
    fiume a fonte è proprio quella intrapresa
    dal Concilio Vaticano II, infatti…
    L’OPINIONE DI ARON SUL VATICANO II
    “Il Vaticano II… costituisce uno sforzo
    splendido della Chiesa per RIADATTARSI
    AL MONDO [more judaico-talmudico]… In
    questo avvenimento considerevole, vi è - nel
    senso migliore del termine - un GERME RIVOLUZIONARIO,
    ma se tale germe è concepito,
    non è ancora sbocciato. Se è permesso
    di paragonare il Concilio ad un’altra Rivoluzione
    di natura ben diversa, questa Rivoluzione
    religiosa non è ancora che al suo
    inizio; …essa non è che alla notte del 4 agosto
    1789” (52).
    De ore tuo te judico!
    Chi apprezza il Concilio, chi lo ha fatto?
    Lo sappiamo: Jules Isaac, un B’nai B’rith, è
    stato il redattore materiale di Nostra Ætate.
    Per questo Aron afferma che la Chiesa, staccatasi
    dalla sua fonte, la Sinagoga, vi sarà ricondotta
    dalla Rivoluzione conciliare, ed i
    segni già si vedono: la maggior parte dei cattolici…
    non è più cristiana!
    Ma già Nostro Signor Gesù Cristo aveva
    affermato: “Quando il Figlio dell’Uomo tornerà
    sulla terra, credete che vi troverà ancora
    la Fede?”. Tutto era previsto.
    Ciò che deve aprirci gli occhi è la pretesa
    che ha il Giudaismo anticristiano d'ingiungere
    ad ognuno l’accettazione del Vaticano II.
    Infatti Ha Kellah, il bollettino della Comunità
    israelitica di Torino (53) qualche tempo
    fa invitava l’Istituto Mater Boni Consilii ad
    accettare il Vaticano II, a non voler continuare
    a parlare come la Chiesa preconciliare!
    Non ci accusava - si badi bene - di antisemitismo,
    no! Ma di essere ancora fedeli alla
    teologia preconciliare. Ma se il Concilio, come
    afferma Robert Aron, è la strada maestra
    che fa perdere la Fede nella divinità di
    Nostro Signor Gesù Cristo, chiederci di accettare
    il Concilio significa chiederci di vendere
    Gesù Cristo per trenta denari!
    Ora ogni cattolico che vuol restare fedele
    a Cristo e alla sua Chiesa, dovrebbe riflettere
    su questi fatti evidenti ed inoppugnabili. Il Vaticano
    II è figlio della Sinagoga, ed è la strada
    che conduce alla giudaizzazione dei cristiani.
    Henry le Caron così commenta: “Un
    ebreo vi fa una proposta di servizio a nome
    della Sinagoga… Se volete salvare la Chiesa…
    la vostra “nuova Chiesa”, dovrete rinunciare
    alla Rivelazione, all’Incarnazione
    ed alla Redenzione. A tale prezzo otterrete
    la simpatia della Sinagoga e potrete così
    contare sul suo appoggio” (54).
    27
    Stemma dei cavalieri Kadosch, 30° della Massoneria,
    che promettono di vendicarsi contro il Papa ed il Re,
    simboleggiati dalla Tiara e dalla Corona
    INFLUSSO GIUDAICO AL CONCILIO
    Nel libro di Ratier sul B’nai B’rith (55) apprendiamo
    che Jules Isaac apparteneva a quella
    potente organizzazione massonica composta
    da soli ebrei, che attualmente conta a livello
    mondiale circa mezzo milione di membri (56).
    Già conosciamo il ruolo avuto da Jules
    Isaac nella redazione di Nostra Ætate (57), ma
    forse non sono note le proposte ancora più
    favorevoli al Giudaismo che hanno preceduto
    il documento conciliare, né il lavorìo del
    B’nai B’rith intorno ad esse.
    Ralph Wiltgen (58) narra che il 31 agosto
    1964, due settimane prima dell’apertura della
    terza sessione del Concilio, ricevette la visita del
    signor Lichten, direttore del dipartimento degli
    affari interculturali dell’A. D. L. (Anti-Defamation
    League of B’nai B’rith): “Costui era molto
    inquieto che la frase che discolpava il Giudaismo
    dalla Crocifissione del Cristo, potesse essere
    soppressa dal documento e sosteneva che tale
    frase era per gli ebrei l’elemento più importante
    del documento... Disse ancora che aveva reso
    visita a parecchi cardinali europei e di essere in
    contatto con gli ambienti romani; aggiunse che
    il card. Bea preparava una correzione relativa a
    questa decisione sgradevole e che l’avrebbe
    presentata nell’aula conciliare”.
    CONCLUSIONE
    Chi potrebbe ancora dubitare, dopo i fatti
    esposti e le denunce del Magistero della Chiesa,
    che la Sposa di Cristo sia stata l’oggetto di
    un oscuro complotto e che purtroppo sia stata
    infiltrata dal nemico fin nei suoi più alti gradi?
    Di fronte a questa triste realtà tre attitudini
    sono possibili:
    a) LA POLITICA DELLO STRUZZO,
    che consiste nel chiudere gli occhi di fronte alla
    realtà e nell’illudersi che tutto vada bene…
    b) LO SCORAGGIAMENTO di chi, di
    fronte a tale APPARENTE vittoria nemica di
    un’importante battaglia, pensa che la guerra
    sia persa, non tenendo presente che la Chiesa
    è divina e che Nostro Signore ci ha promesso
    “le porte dell’Inferno non prevarranno”.
    c) L’ATTITUDINE REALISTA E SOPRANNATURALE,
    che tenga conto al
    tempo stesso non solo dei fatti tristissimi,
    che non possono essere ignorati, ma anche
    della Fede e della Speranza cristiana, che ci
    danno l’ASSOLUTA CERTEZZA che la
    Madonna, come sempre, schiaccerà il capo
    al serpente infernale: “IPSA CONTERET”!
    Chiediamo a Maria Santissima ed in particolare
    alla Madonna del Buon Consiglio di
    darci luce e forza, per scorgere le trappole
    della “quinta colonna” e per saperle combattere
    con tutte le nostre forze!
    Mi sembra doveroso concludere con questa
    bella preghiera di don Bosco: “Dolcissimo
    Gesù, nostro divin Maestro! Che sempre
    sventaste le NEFANDE MACCHINAZIONI
    con cui i FARISEI frequentemente v’insidiavano,
    dissipate i consigli degli empi”.
    (San Giovanni Bosco).
    Note
    1) Cfr. Sodalitium, n° 37, pagg. 33 - 45.
    2) Cfr. Sodalitium, n° 37, pagg. 33 - 45.
    3) Il motto del Grand’Oriente di Francia era: “Bisogna
    SENTIRE la Massoneria DAPPERTUTTO, e
    NON SCOPRIRLA IN NESSUN LUOGO”.
    4) Cfr. Sodalitium, n° 37, pagg. 33 - 45.
    5) GUILLON, Collection générale des brefs et institutions
    de notre très saint Père le pape Pie VI, Paris, tome II. pag. 233.
    6) CRETINEAU-JOLY, L’Eglise romaine en face de la
    Révolution, “Cercle de la Renaissance française”, Paris
    1859 tomo. II, pagg. 373-375.
    7) Cfr. Verbe, n° 123, luglio-agosto 1961, pag. 44.
    8) citato da Mons. M. DELASSUS in Verités sociales
    et erreurs démocratiques, ed. Sainte Jeanne d’Arc, Villegenon
    1986, pagg. 398-399.
    9) Cf. La Contre Réforme catholique, n° 237, novembre
    1987, pag. 5.
    10) R. DU LAC, La collégialité épiscopale au deuxième
    Concile du Vatican, ed. Du Cèdre, Paris 1979, pag. 9.
    11)J. PLONCARD D’ASSAC, Le secret des Francs-
    Maçons, ed. de Chiré, Chire en Montreuil, 1979, pag. 26.
    12) Cf. U. FIDELE, Le décalogue de Satan, sine loco
    et data, pagg. 341-388.
    Anche la venerabile Anna Caterina Emmerich
    (1774-1824) e la beata Anna Maria Taigi (1769-1837)
    hanno denunciato tali infiltrazioni massoniche nella
    Chiesa, che esse potevano scorgere grazie a fenomeni
    mistici da cui erano favorite. Cfr. Mons. M. DELASSUS,
    La conjuration antichrétienne, Desclées de Brouwer,
    Lille 1940, tome III, pagg. 853-891.
    13) LEON DE PONCINS, Infiltrations ennemies dans
    l’Eglise, Documents et témoignages, Paris 1970, pagg. 85-88.
    14) R. ESPOSITO, Le grandi concordanze tra la Chiesa
    cattolica e la Massoneria, Nardini ed., Firenze 1987,
    pagg. 25-26.
    15) J. PLONCARD D’ASSAC, op. cit., pag.169.
    16) A. CORONA, Non c’è Massoneria senza trascendenza,
    in HIRAM, maggio 1988.
    17) Mons. LEFEBVRE, L’Eglise infiltrée par le modernisme,
    ed. Fideliter, Eguelshadt 1993, pagg. 31-55.
    18) R. ESPOSITO, op. cit., pag. 26.
    19) Ib. pag. 27.
    20) Ib. pag. 27.
    21) 30 Giorni, febbraio 1994, pag. 29. Lo stesso Gaito
    ha anche affermato che non poteva asserire se Giovanni
    XXIII fosse stato iniziato in una loggia massonica,
    ma quello che era certo è che nel suo insegnamento
    si ritrovava la filosofia della Massoneria (Questo argomento
    sarà trattato ex professo da don Ricossa in un
    prossimo articolo sul “Papa del Concilio”).
    28
    22) R. ESPOSITO, op. cit., pagg. 29-30.
    23) Ib. pag. 32.
    24) Ib. pag. 33.
    25) Ib. pagg. 34-37.
    26) Ib. pag 41.
    27) Pascendi, 8 settembre 1907.
    28) Cf. U. FIDELE, op. cit., pag. 193.
    29) Cf. 30 giorni, febbraio 1994, pag . 29.
    30) Cf. Sodalitium, n° 24, pagg. 3-8.
    31) Cf. Cristianità, Piacenza, gennaio-febbraio 1994,
    pag. 23.
    32) Op. cit., pag. 335.
    33) Cf. Civiltà Cattolica, II, 1928, 481-489/ 1928, III,
    97-109/ 1929, I, 337-346.
    34) G. B. BUZZETTI, voce Rotary, in Enciclopedia
    Cattolica, vol. X, col. 1398.
    35) Rivista diocesana milanese, novembre 1949,
    pagg. 240-241.
    36) il testo si trova negli A.A.S., anno 33, gennaio
    1951, 91.
    37) R. ESPOSITO, op. cit., pag. 345.
    38) Ib. pag. 345.
    39) Ib. pag. 347.
    40) Ib. pag. 348.
    41) O. NARDI, Gnosi e rivoluzione, Grafiche Pavoniane,
    Milano 1991, pag. 77.
    42) Carrefour, 9 ottobre 1968.
    43) Rivarol, 26 settembre 1968.
    44) Approches, gennaio 1968.
    45) O. NARDI, op. cit., pag. 83.
    46) Ib. pag. 86.
    47) ROBERT ARON, Lettre ouverte à l’Eglise de
    France, Paris, 1975.
    48) Ib. pag. 38.
    49) Ib. pag.133.
    50) Ib. pag. 138.
    51) Ib. pag.141.
    52) Ib. pag.141.
    53) Ha Kellah n° 1 anno 1994, pag. 1.
    54) H. LE CARON, Dieu est-il anti-semite? Ed. Fideliter,
    Escurolles, 1987, pag. 80.
    55) E. RATIER, Mystères et secrets du B’nai B’rith,
    Facta, Paris 1993.
    56) Il 3 giugno 1971 Paolo VI ricevette in udienza
    pubblica la loggia del B’nai B’rith (Osservatore Romano,
    3 giugno 1971); Giovanni Paolo II lo fece nel 1984
    (Documentation Catholique, n° 1874, pag. 509).
    57) Cf. Sodalitium, n° 28 pagg. 8-10.
    58) R. WILTGEN, Le Rhin se jette dans le Tibre, ed.
    du Cèdre, Paris 1976, pag. 169.
    29
    "Sarà qualcun'altro a ballare, ma sono io che ho scritto la musica. Io avrò influenzato la storia del XXI secolo più di qualunque altro europeo".

    Der Wehrwolf

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    Predefinito Sodalitium

    Anno XII - Semestre I n. 1 Gennaio 1996 - Sped. abb. post. - (Pub. inf. 50 % - TO) - N. 42
    IL SIONISMO: UN
    MAGNIFICO SOGNO O
    UN TERRIBILE SCACCO ?
    don Curzio Nitoglia
    Col presente articolo, attraverso l’analisi
    del pensiero e delle conquiste del Sionismo,
    si intende far vedere come la formazione
    dell’attuale Stato di Israele non risponda
    alle promesse divine.
    All’analisi dell’evolversi dell’idea sionista
    seguirà lo studio del movimento sionista
    e dei suoi rapporti con le Superpotenze e
    con i vari Stati europei, compresi quelli nazifascisti,
    per arrivare alla questione teologica
    e dottrinale e al rapporto con la Chiesa.
    INTRODUZIONE
    Verso la seconda metà del XIX secolo si
    sviluppava il flusso migratorio di ebrei verso
    la Palestina, che non era tuttavia un fenomeno
    spontaneo, ma il prodotto del SIONISMO
    (1), col concorso di duecento delegati
    ebrei riunitisi a Basilea e l’adesione di più di
    cinquantamila ebrei, e con lo scopo di “lavorare
    al riscatto della Palestina, per crearvi
    uno Stato israelita” (2).
    Il Sionismo non inizia però nel XIX secolo,
    ma “è l’espressione moderna del sogno vecchio
    di millenovecento anni, di ricostruire
    Israele, dopo che Roma aveva messo fine
    all’indipendenza ebraica in terra d’Israele” (3).
    VARIE TAPPE DELL’IDEA SIONISTA
    a) Primo periodo: dalla caduta di Gerusalemme
    fino alla morte di Giuliano l’Apostata
    (70- 363).
    Sotto il regno di Traiano († 117) un falso
    Messia, chiamato Andrea, eccitò il fanatismo
    di alcuni ebrei al punto che, fra greci e
    romani, “duecentomila uomini perirono uccisi
    dalla spada e dal furore dei giudei” (4).
    Marco Turbo attaccò i rivoltosi e fece pagare
    loro col sangue un giorno di trionfo.
    Sotto il regno di Adriano (130-135) si ebbe
    un secondo tentativo, quando un certo Bar-
    Cozbad si fece passare per il Messia e i Romani
    furono cacciati da Gerusalemme, che tutta-
    via ricadde ben presto nelle loro mani; ma
    mentre Tito aveva lasciato ancora qualche casa
    intera, con Adriano la città fu rasa al suolo e al
    suo posto fu costruita Elia Capitolina, che solo
    più tardi riprese il nome di Gerusalemme.
    Sia il terzo tentativo di rivolta, avvenuto
    sotto il regno di Antonino (138-161), sia il
    quarto sotto Marco Aurelio (174-175) non
    ebbero successo e furono repressi.
    Un’altra volta - la quinta - gli Ebrei, animati
    dalla speranza di restaurare politicamente
    il Regno di Israele, al tempo di Settimio
    Severo (193-211), cospirarono in Siria
    con i Samaritani contro la dominazione romana,
    ma ottennero solo di appesantire il
    giogo cui erano sottoposti.
    Il sesto tentativo di riscossa si verificò sotto
    Costantino (321-327), ma venne anch’esso
    soffocato e “S. Giovanni Crisostomo nella seconda
    orazione contro i Giudei, ci racconta che
    Costantino, convinto che gli ebrei non avevano
    rinunciato al loro spirito di rivolta, fece tagliare
    loro una parte dell’orecchio, affinché, dispersi
    nell’Impero, portassero dappertutto su
    di sé il segno della loro ribellione” (5).
    Sotto Costanzo si ebbe una settima rivolta,
    ma Gallo volò in Giudea, dove sconfisse i
    rivoltosi e rase al suolo Diocesarea, seggio
    dell’insurrezione: gli ebrei furono uccisi a
    migliaia e molte città, tra cui Tiberiade, furono
    bruciate.
    L’ultimo tentativo di questo primo periodo
    è uno dei più celebri ed ha come cooperatore
    Giuliano l’Apostata, che non solo
    permise agli Ebrei di ricostruire il Tempio,
    ma li aiutò con tutti i mezzi: sull’esito finale
    si veda Sodalitium n° 39 e 40 (6).
    Se un ruolo importante in tutti questi
    tentativi di rivolta è da attribuirsi alla tenacia
    ebraica, il fattore principale è dovuto, secondo
    l’ebreo convertito Augustin Lémann,
    ad una “interpretazione di certe profezie bibliche”(
    7); anzi “è proprio fondandosi su tali
    profezie che gli ebrei hanno sempre sperato
    di ritornare a Gerusalemme, di restaurarvi il
    Tempio (8), per gioirvi col Messia una piena
    e inalterabile prosperità” (9).
    b) Secondo periodo: dalla morte di Giuliano
    l’Apostata fino alla Rivoluzione francese
    (363- 1789).
    Questo lungo periodo fu marcato dalla
    rassegnazione, anche se si mantenne sempre
    una se pur sopita speranza, come afferma anche
    l’abbé Lémann: “…con la morte di Giuliano
    l’Apostata e il trionfo definitivo del
    La questione ebraica
    Cristianesimo, fino alla Rivoluzione francese,
    gli ebrei vivono un periodo di rassegnazione,
    ma sempre pieno di speranza” (10).
    Durante questo periodo “la capacità finanziaria
    e commerciale degli ebrei si sviluppa e
    si estende su tutte le nazioni, in maniera
    straordinaria… [essi] divengono i finanzieri
    dei re… Ma in mezzo alle preoccupazioni dei
    loro traffici e dei loro negozi, non smettono
    di pensare a Gerusalemme (11).
    Verso il XVI e XVII sec. gli ebrei amanti
    della Terra Santa si spostarono verso Safed,
    a pochi chilometri da Betsaida; nel XVII
    sec. si contavano a Gerusalemme circa cento
    famiglie ebree e, a partire da quel periodo, i
    pellegrinaggi alla Città santa cominciarono a
    diventare sempre più numerosi.
    c) Terzo periodo
    Col filosofismo tedesco del XVIII secolo e
    con la Rivoluzione francese si assiste all’ABBANDONO
    dell’idea del ritorno a Gerusalemme
    e del dogma del Messia personale.
    Quali furono le cause di un tale mutamento?
    La prima è proprio il filosofismo impregnato
    di quello scetticismo settecentesco, che
    è stato agente corrosivo di tutte le religioni,
    compresa la talmudica, prima con Spinoza e
    poi con Mendelshon, che può essere considerato
    il fondatore di una sorta di neo-Giudaismo,
    mascherato da deismo. Comincia così a
    diffondersi nei ghetti l’idea che il Messia potrebbe
    essere un concetto, un regno, un popolo,
    …ma non una persona, e sorge anche il
    problema della collocazione fisica e geografica
    di tale regno. È la Rivoluzione francese
    che concretizza questo mito. Nel 1791 fu
    concessa l’EMANCIPAZIONE agli ebrei
    francesi, che videro il Messia nei Diritti
    dell’uomo proclamati dalla Rivoluzione.
    Dalla fine del XVII secolo fino al 1848 il
    mito del Messia impersonale ha avuto due
    scuole principali, di cui la prima fiorì in Germania
    sotto l’egida del filosofismo. Nel 1843
    a Francoforte sul Meno si organizza un comitato
    ebraico riformista, al quale seguirono
    tre sinodi, uno nello stesso anno a Brunswick,
    uno ancora a Francoforte nel 1845 e
    un terzo a Breslau nel 1846, nei quali si affermava
    che l’unico Messia atteso era la libertà
    di essere ammessi tra le Nazioni; da questo il
    partito talmudista tedesco fu ferito a morte.
    La seconda scuola si formò in Francia,
    sotto l’egida dell’emancipazione, che segna
    anche l’elemento diversificante delle due
    19
    scuole. Infatti in Germania, dal momento
    che l’ebreo non era ancora emancipato civilmente,
    il suo pensiero era da considerare ardito
    e prematuro: la libertà civile, non ancora
    conquistata, era la perla per la quale si era
    pronti a sacrificare ogni cosa, anche il Messia
    personale. In Francia, invece, gli ebrei fin dal
    1791 godevano della libertà civile ed erano
    quindi più moderati nell’evoluzione della fede
    circa il Messia. Nel Gran Sionismo del
    1807 Napoleone era stato riverito ed insignito
    dei titoli riservati esclusivamente al Messia,
    anche se il partito talmudista era ancora
    abbastanza forte per fare da contraltare. Fu
    soltanto a partire dal 1848 che ogni “repressione”
    da parte della Sinagoga talmudica divenne
    inefficace anche in Francia. Infatti durante
    il regno di Luigi Filippo il razionalismo
    tedesco aveva esercitato un notevole influsso
    sull’Ebraismo francese. Nel 1846, durante
    l’insediamento del gran Rabbino di Parigi, il
    colonnello Cerf-Beer, in un discorso di circostanza
    gli fece comprendere che era ormai
    ora di iniziare con le riforme (“l’aggiornamento”)
    anche in Germania: il partito talmudista
    non ebbe più la forza di reagire come in
    passato. Ormai anche il mondo ebraico francese
    affermava che la “La Rivoluzione era il
    vero Messia per gli oppressi” (12).
    “La nuova Gerusalemme sarebbe stata la
    Gerusalemme del denaro, con un banchiere
    per Messia, con i fondi pubblici al posto della
    Thorà, la Borsa al posto del Tempio” (13).
    Quasi tutti i paesi dell’Europa occidentale e
    degli USA in cui gli ebrei conobbero
    l’emancipazione civile, accolsero tali idee sul
    Messia impersonale, col conseguente abbandono
    del dogma del Messia personale e del
    ritorno a Gerusalemme.
    BREVE STORIA DEL MOVIMENTO
    SIONISTA
    Il Canale di Suez e la Gran Bretagna. Il
    progetto di aprire il canale di Suez suscitò,
    verso la metà dell’800, un vivo interesse in
    Europa, perché il Mediterraneo avrebbe riacquistato
    una notevole importanza. Erano interessate
    al progetto soprattutto la Francia,
    l’Impero asburgico e l’Italia. L’Inghilterra invece
    sarebbe stata svantaggiata. Chi si assunse
    l’onere economico dei lavori fu, in massima
    parte, il pascià d’Egitto Said, ma le finanze
    egiziane furono dissestate dall’enorme quantità
    degli esborsi. Nel 1863 gli succede suo nipote
    Ismail, al quale «…vennero in aiuto le
    banche ebraiche Oppeneim e Rothschild, le
    quali, bloccato ogni diverso accesso al credito,
    strinsero in breve il sovrano in un abbraccio
    mortale… Agli egiziani è imposto il controllo
    congiunto anglo-francese sulle loro finanze; è
    l’anticamera dell’occupazione coloniale… La
    bancarotta egiziana e le difficoltà politiche
    che essa genera coincidono col destarsi
    dell’interesse britannico per il canale» (14). La
    Gran Bretagna incomincia così a cambiare
    politica nei confronti dell’Impero Ottomano,
    e dopo averlo difeso gelosamente, in chiave
    antirussa e antifrancese, decide di non opporsi
    la suo declino. Nel 1878 occupa Cipro e s’impossessa
    delle dogane turche. La situazione
    col passare degli anni degenera in violenti disordini
    e gli inglesi decidono di intervenire
    manu militari, per cui il 10 luglio 1882 le navi
    inglesi aprono il fuoco su Alessandria d’Egitto.
    Con la grande guerra (1914-1918) l’Inghilterra
    coglie l’occasione per assestare il colpo
    di grazia all’Impero Ottomano, prendendo il
    controllo della penisola arabica e della Siria,
    assicurandosi così la chiave d’accesso dal mediterraneo
    verso la Mesopotamia e il Golfo
    Persico. La Palestina avrebbe messo al sicuro
    le comunicazioni con l’India tramite il Canale
    di Suez. Il 18 dicembre 1814 la Gran Bretagna
    occupa l’intero percorso del canale. Gli inglesi,
    per essere più sicuri di aver debellato definitivamente
    l’Impero Ottomano, svolgono
    una politica atta a guastare i rapporti tra i turchi
    e le popolazioni dell’ex Impero Ottomano,
    «sobillano contro Costantinopoli le popolazioni
    arabe alle quali promettono, a guerra
    finita, il distacco dall’Impero e la piena indipendenza
    politica» (15). Contattano inoltre lo
    sceicco della Mecca Hussein, discendente della
    figlia di Maometto Fatima e perciò carico
    20
    di un gran prestigio spirituale nel mondo islamico.
    «Come contropartita per la ribellione ai
    turchi, gli inglesi garantiscono a Hussein il loro
    appoggio all’ambizioso progetto di dar vita
    ad un grande Stato Arabo» (16). Si ruppe così
    la compattezza del fronte musulmano. Dopo
    tre anni di lotta la partita contro i turchi è vinta
    dagli arabi. Gli inglesi occupano Gerusalemme
    e Hussein Damasco. L’11 novembre
    1918 un comunicato anglo-francese rassicura
    gli arabi promettendo loro dopo la lunga oppressione
    turca, l’insediamento di governi e
    amministrazioni arabe. Tuttavia gli arabi dovettero
    ricredersi e constatare che la Gran
    Bretagna non aveva per nulla in vista la liberazione
    dei popoli arabi dall’oppressore turco,
    quanto piuttosto desiderava imporre il proprio
    volere ai paesi dei Medio Oriente. Dalla
    dissoluzione dell’Impero Ottomano trassero
    vantaggio soprattutto l’Inghilterra e la Francia;
    il trattato di Sévres (10 agosto 1920) segna
    la fine definitiva dell’Impero Ottomano, la ratifica
    inglese di Cipro e dei poteri sul Canale
    di Suez. Estromessi i turchi, il destino
    dell’Arabia passa nelle mani anglo-francesi.
    Gli arabi non vogliono rinunciare all’indipendenza,
    ma il 24 luglio 1920 i siriani sono sopraffatti
    dai francesi e Damasco viene occupata.
    «La Palestina… veniva privata della libertà
    e dello stesso diritto alla vita: non solo
    le sarà negata l’indipendenza, ma uscirà dalle
    mani inglesi trasformata in un’entità etnica e
    culturale assolutamnte irriconoscibile» (17).
    Frattanto la nascita del Sionismo, lungi
    dal risolvere l’eterna questione ebraica, la
    complicherà, trasportandola, in un’ottica
    conflittuale, nei paesi arabi, accenderà nuovo
    odio tra Islàm e Giudaismo, che prima,
    teologicamente, non esisteva e che si afferma
    per motivi nazionalistici e di indipendenza
    territoriale. L’Ebraismo internazionale mobilita
    i propri correligionari inglesi per ottenere
    l’intervento nella prima guerra mondiale
    degli USA. La Gran Bretagna concede ai
    capi sionisti impegnatisi a far scendere in
    guerra l’America, privilegi eccezionali. «Gli
    accordi prevedono per il Sionismo, il dono di
    un National Home, in Palestina, base di partenza
    del futuro Stato ebraico» (18). Il 2 novembre
    1917 il ministro degli esteri britannico
    lord Balfour consegna al presidente della
    federazione sionista britannica lord Rothschid
    una lettera che asserisce: «Sua Maestà
    vede con benevolenza l’istituzione in Palestina
    di una National Home per il popolo ebraico
    ». Questo focolare ebraico è una parola
    Riunione di militanti del Bétar in uniforme a Lyck
    (Reich tedesco) nel 1935. Sul muro, in fondo si intravvede
    un ritratto di Zeev Jabotinsky
    polisemantica, dietro la quale si cela il concetto
    di STATO EBRAICO. Tale progetto
    costerà caro soprattutto ai palestinesi, anche
    se l’insediamento ebraico non godrà mai
    sonni tranquilli in quella che si rivelerà in
    oriente, come già lo era stata in Occidente,
    un’avventura priva di certezze fin dal giorno
    in cui i capi del popolo dissero “Sanguis eius
    super nos et super filios nostros”, assumendosi
    una terribile responsabilità per i figli di
    Israele fino a quando non si convertiranno e
    non rientreranno nella Chiesa di Dio.
    La Palestina: un paese isolato. «Rompere
    l’unità della Grande Siria ed enucleare da
    esssa la Palestina è il primo passo per assicurare
    il buon esito del progetto sionista… è
    una politica che genera nei palestinesi grande
    disorientamento. Essi si trovano d’improvviso
    in un paese occupato militarmente
    e tagliato fuori da qualsiasi precedente collegamento
    amministrativo e politico. La
    nuova entità territoriale che aveva sempre
    fatto parte di organizzazioni statuali più vaste
    e mai aveva manifestato aspirazioni autonomiste,
    è creata, fin dall’inizio, con
    l’obiettivo dello snaturamento etnico. L’originaria
    popolazione araba è destinata ad essere
    sommersa e sostituita» (19).
    La reazione araba contro l’immigrazione e
    l’occupazione ebraica (che gli stessi inglesi autorizzavano)
    offrirà all’Impero britannico larghe
    possibilità d’ingerenza. Dietro l’alibi del
    mantenimento della pace, l’Inghilterra avrebbe
    potuto nascondere facilmente la sua volontà
    di presenza militare in Palestina sine die.
    Solo il processo di decolonizzazione iniziato alla
    fine della seconda guerra mondiale spingerà
    gli inglesi a lasciare la Palestina. Allora al colonialismo
    inglese subentrerà quello sionista.
    Il “Libro Bianco”. Il 17 maggio 1939 l’Inghilterra
    annuncia di voler abbandonare
    l’idea della spartizione della Palestina e il Foreign
    Office con un suo Libro Bianco, s’impegna
    a concedere ai palestinesi l’indipendenza;
    l’effettivo passaggio dei poteri, tuttavia, sarebbe
    avvenuto solo dieci anni dopo. Gli arabi
    pensano di intravvedere la fine delle loro
    sofferenze, ma la proposta inglese è condizionata
    all’esito della seconda guerra mondiale.
    Infatti il Libro Bianco segue di pochi giorni
    le garanzie antigermaniche rilasciate dall’Inghilterra
    a Polonia, Grecia e Romania, per
    cui rappresenta solo un diversivo o un espediente
    atto a accaparrarsi, in un momento così
    difficile, la simpatia e la neutralità del mondo
    arabo, la cui posizione è di estrema rile-
    21
    venza strategica. L’Inghilterra in sostanza
    con il Libro bianco ha voluto solo tergiversare
    e congelare la questione palestinese e rinviare
    ogni decisione al termine del conflitto.
    Gli ebrei di Palestina si vedono accordare così
    una tregua provvidenziale di parecchi anni,
    una proroga all’eventuale sfratto e possono
    continuare ad accogliere nuovi immigrati.
    Nel maggio 1942 a New York, all’Hotel Biltmore,
    si riunisce una conferenza sionista che
    reclama la costituzione dello Stato ebraico e
    pretende l’annullamento di qualsiasi limite
    all’immigrazione, ed infine l’affidamento della
    supervisione sull’immigrazione alla Jewish
    Agency. «In Palestina intanto l’Haganah, l’organizzazione
    militare ufficiale dei sionisti che
    dal 1929 al 1939 si era armata con la connivenza
    della potenza mandataria (la Gran
    Bretagna), …rafforza i suoi reparti e si prepara
    alla lotta contro gli inglesi nel caso costoro
    insistano a dare applicazione a quel Libro
    Bianco del 1939 col quale avevavo
    promesso ai palestinesi l’indipendenza. L’Irgun…
    e la Banda Stern… scatenano… una
    campagna terroristica che si propone di piegare
    definitivamente gli inglesi al volere del
    Sionismo. Prima vittima illustre della Banda
    Stern è il ministro britannico per il medio
    Oriente, Lord Moyne, che viene assassinato…
    nel novembre 1944» (20). Con la fine della
    seconda guerra mondiale assistiamo al
    coincidere de facto delle aspirazioni del Sionismo
    con quelle delle due superpotenze,
    (USA e URSS). Russi e americani hannno
    capito che uno Stato ebraico in Palestina è un
    valido elemento destabilizzante in una delle
    zone geopolitiche più importanti del mondo,
    che permetterà loro di interferire negli affari
    interni di tutti i paesi del Medio oriente e di
    innescarvi una grave conflittualità tra Europa
    e mondo arabo. Il compito dell’occupante
    britannico è ormai finito, ad esso subentreranno
    sionisti, USA e URSS. Il 29 novembre
    1947 l’Assemblea Generale dell’ONU, con la
    risoluzione 181, approva il piano che prevede
    la spartizione della Palestina in due Stati: uno
    arabo e uno ebarico. «La decisione è presa
    nella sede e dai soggetti sbagliati. L’ONU,
    che non possiede alcun diritto di sovranità
    sulla Palestina, non può arrogarsi la competenza
    di disporne; non può spartirla…» (21). Il
    14 maggio 1948 il consiglio Nazionale Ebraico
    proclama lo Stato d’Israele, mettendo il
    mondo davanti al fatto compiuto. «La logica
    di Yalta vince quindi anche in Palestina.
    America e Russia hano riservato al paese lo
    stesso iniquo trattamento già toccato all’Europa
    » (22). Mentre USA e URSS dietro lo
    schermo della guerra fredda collaborano sottobanco
    alla spartizione dell’Europa e del
    Medio Oriente, la stampa filo-ebraica presenta
    Israele come il bastione contro il comunismo
    – mentre in realtà era uno stato laico e
    socialista nato col consenso sovietico - tacendo
    però che il comunismo era fuori legge in
    tutti i paesi arabi, e creando il consenso del
    pensiero moderato e liberalconservatore.
    Con la guerra del 1967 l’intera Palestina è di
    Israele, compresa Gerusalemme, che secondo
    la risoluzione 181 avrebbe dovuto essere
    posta sotto amministrazione internazionale
    (23). Gli Ebrei non rispettano la decisione
    dell’ONU, le cui risoluzioni ingiungono il ritiro
    dell’esercito israeliano e che restano però
    lettera morta. Il 10 novembre 1975 l’ONU,
    per non perdere la faccia, è costretta a varare
    una risoluzione che equipara Sionismo e razzismo,
    ma Israele non si ferma, confidando
    nella irresolutezza dell’ONU, che di lì a qualche
    tempo sopprime la risoluzione.
    La vittoria del Sionismo fallisce però il suo
    obiettivo principale, quello cioè di dare vita ad
    uno Stato nazionale pacificato e compatto anche
    etnicamente, come ha rilevato anche il
    giornalista ebreo Paolo Guzzanti in un recente
    articolo su La Stampa di Torino: «Questi giovani
    [di tel Aviv] così… euroamericani, così
    laici…, non hanno affatto l’aria di coltivare il
    nostalgico patriottismo dei padri e dei nonni…
    Questa città sta perdendo la memoria… Tel
    Aviv si va sempre di più costruendo dentro di
    sé come una minuscola simbolica New York…
    l’intera città pullula di locali per gay, per lesbiche,
    per transessuali… Le sfrenate passioni
    adolescenziali di molte ragazze di Tel Aviv per
    i Che Guevara di Hamas sono leggendarie…
    Passioni in genere corrisposte da giovani palestinesi
    con spirito predatorio a senso unico:
    non si ha notizia di sciagurati sbandamenti
    delle ragazze palestinesi per i giovani soldati
    israeliani e matrimoni nei due sensi seguono la
    stessa legge: marito palestinese e moglie israeliana,
    sì. Marito israeliano e moglie palestinese,
    no. (…)Un uomo che ha combattuto tutte
    le guerre mi dice: “La pace non è la fine
    dell’incubo… I nemici che un tempo erano incapaci
    di combattere contro di noi che potevamo
    sconfiggere in un attimo OGGI SONO
    BRAVI COME ED ANCHE PIU DEI NOSTRI
    SOLDATI; sanno per che cosa combattere,
    sono bene armati ed addestrati. Da noi il
    patriottismo cede il passo al senso di colpa. Gli
    22
    arabi ci odiano, ma parlano perfettamente
    l’ebraico. Noi non parliamo una parola di arabo
    e vorremmo essere amati da loro» (24).
    IL SIONISMO: NASCITA E SVILUPPO
    DEL MOVIMENTO SIONISTA
    a) Il primo Congresso di Basilea (agosto
    1897).
    Le origini del Sionismo attuale vanno ricercate
    nell’opera del giornalista viennese Theodore
    Herzl che, insieme al parigino Max Nordan,
    organizzò tre congressi a Basilea. Nel primo
    fu definito il programma del Sionismo, cioè
    “creare al popolo ebreo un domicilio garantito
    dal diritto pubblico in Palestina”. Molto forti e
    vivaci furono le reazioni, quasi “una sollevazione
    massiccia del rabbinato contro tale progetto”
    (25), al punto che si parlò di DIVORZIO
    TRA SINAGOGA E SIONISMO. “La prima,
    soddisfatta dell’emancipazione, non voleva essere
    nient’altro che una religione. Il secondo,
    risvegliato dall’esplosione misteriosa dell’antisemitismo,
    proclama: noi siamo un popolo e
    vogliamo ricostruire la nostra nazionalità… La
    prima non ha più la fede integrale di Mosé e
    dei profeti. IL SIONISMO NON CONSIDERA
    GLI EBREI CHE COME UN POPOLO,
    INVECE DI RICONOSCERE CHE È IL
    POPOLO, IL POPOLO DI DIO” (26).
    Infatti è “unicamente in un FINE POLITICO
    E SENZA RIFARSI AL PASSATO
    RELIGIOSO D’ISRAELE che il Sionismo
    vorrebbe rientrare in possesso di Gerusalemme
    e resuscitarvi la nazionalità ebraica” (27).
    D’altra parte il Rabbinato occidentale, pur
    avendo per lo più abbandonato la speranza di
    un Messia personale, rifiuta di associarsi al
    Sionismo e di incamminarsi verso Gerusalemme.
    Questo è il cuore del problema sionista e
    il principio della sua soluzione alla luce della
    fede cristiana, come vedremo in seguito.
    Il Gran rabbino di Francia, Zadoc-Fahn
    spiega mirabilmente che “Il Sionismo… risale
    alla distruzione del Tempio di Gerusalemme
    da parte di Tito …Ma vi è un’enorme differenza
    tra il Sionismo attuale e quello di diciotto
    secoli fa. PER I FEDELI DEI TEMPI
    ANTICHI ERA IL MESSIA INVIATO
    DA DIO… CHE DOVEVA MIRACOLOSAMENTE
    RICOSTRUIRE SION… NESSUNO
    AVREBBE MAI NEPPUR LONTANAMENTE
    PENSATO A COGLIERE
    TALE FINE MEDIANTE VIE NATURALI.
    Un tale spirito non poteva resistere
    all’influsso della Rivoluzione francese…
    L’idea messianica si trasformò… Il Messia
    divenne il simbolo del progresso, della fraternità
    umana, infine realizzata dal trionfo
    delle grandi verità morali e religiose che il
    Giudaismo ha sparso dappertutto” (28).
    Se il Rabbinato occidentale, oramai ben
    integrato in Europa, rifiutava anche lo PSEUDO
    SIONISMO LAICO di Herzl, vi era ancora
    una frangia ebrea che attendeva un Messia
    figlio di David, ma “non avrebbe mai accettato
    di ritornare a Gerusalemme fino a che
    il Messia non fosse comparso” (29). RISTABILIRE
    UNO STATO D’ISRAELE CON
    MEZZI UMANI - come è avvenuto - NON
    ERA ACCETTABILE PER GLI EBREI
    TALMUDISTI. Gli Archives Israëlites scrivevano
    a questo riguardo: “Se per Sionismo si
    intende coloro che perseguono attualmente
    prima del tempo promesso… la ricostruzione
    della nazionalità ebrea… possiamo affermare
    che i sionisti di questa specie… sono rari nantes
    in gurgite vasto” (30). Ed ancora: “Ricostruire
    il Regno di Giuda? …Noi ebrei ortodossi,
    fedeli all’idea messianica, crediamo alla
    venuta del Messia… fondatore di un impero
    universale. Ma quale rapporto vi è tra questo
    ideale religioso e il progetto del dottor Herzl
    e dei suoi amici?” (31).
    b) Il secondo Congresso di Basilea (agosto
    1898).
    Durante il secondo Congresso apparve
    ancora più chiaro il nodo del problema e la
    contraddizione immanente al Sionismo moderno,
    per il quale il Giudaismo deve essere
    una nazione e non una religione, mentre per
    il rabbinato esso era una religione piuttosto
    che una nazione. Perciò il Rabbinato occidentale
    emancipato, benché liberal non voleva
    avere rapporti con il Sionismo, poiché
    quest’ultimo era soltanto un nazionalismo razionalista
    laicista e naturalista che non aveva
    alcuna radice nel suo passato religioso: “Noi
    non ci immaginiamo facilmente uno stato
    ebreo laico, di cui la Thorà non sia la carta
    necessaria… non si riesce a capire l’esistenza
    di una società israelitica che non abbia la fede
    per suo fondamento. Tale nazionalismo
    puramente razionalista sarebbe la negazione
    della storia e delle profezie bibliche!” (32).
    In sintesi il secondo Congresso segna l’abbandono
    di Gerusalemme da parte dei rabbini
    e l’abbandono della religione, e quindi del
    passato di Israele, da parte del Sionismo.
    c) Il terzo Congresso di Basilea (agosto
    23
    1899).
    L’ostilità del rabbinato esplode per la
    terza volta e la maggior parte degli ebrei
    d’Occidente si mostra fermamente contraria
    ai progetti dei sionisti. Tuttavia gli ebrei
    orientali, non ancora emancipati civilmente
    e quindi non assimilati, restano fedeli, per la
    maggior parte, all’idea del Messia personale
    e del ritorno miracoloso a Gerusalemme (33).
    IL PERIODO DI RASSEGNAZIONE
    SPERANZOSA E SEMPRE SUSSISTENTE
    NEL GIUDAISMO ORIENTALE
    Migliaia e migliaia di ebrei dell’Austria,
    della Romania, Polonia, Russia, dell’Asia e
    dell’Africa restano fedeli al Talmudismo, restano
    cioè estranei all’influsso del filosofismo,
    delle idee moderne e non hanno conosciuto
    la rivoluzione emancipatrice; perciò
    mantengono una fede cieca in un Messia bellicoso
    e conquistatore che li riporterà a Gerusalemme.
    Essi sono più numerosi degli
    ebrei occidentali. “Su sette, otto milioni di
    ebrei che esistono oggi [1901] come all’epoca
    di Gesù Cristo, la maggior parte risiede fuori
    dell’Europa occidentale” (34). È significativo
    l’appello indirizzato agli studenti ebrei
    dell’università di Praga dal Consiglio eletto
    del Corpo degli studenti della nazione ebrea:
    “Compagni Israeliti, …gli ebrei non sono né
    tedeschi, né slavi, essi sono UN POPOLO A
    PARTE. Gli ebrei sono stati e restano un
    popolo autonomo per unità di razza, di storia,
    di sentimenti! Basta con le umiliazioni!
    ebreo, non sei uno schiavo!” (35).
    IL SIONISMO E IL B’NAÏ B’RITH
    Se lo scopo del presente articolo è quello
    di affrontare il discorso sul Sionismo alla luce
    delle profezie dell’Antico e del Nuovo Testamento
    ad esso inerenti, occorre tuttavia fare
    un costante riferimento al processo storico
    della realizzazione del Sionismo in Palestina
    dalla fine del XIX secolo ai giorni nostri, rimandando
    il lettore per gli argomenti più
    specifici alla bibliografia indicata alla fine.
    Emanuel Ratier ha presentato recentemente
    uno studio molto interessante e ricco
    di documenti inediti sul B’naï B’rith (36), nel
    quale vi è un intero capitolo dedicato al Sionismo,
    la cui documentazione servirà ora
    per analizzare quale influsso la potente loggia
    dei “Figli dell’Alleanza” abbia avuto nella
    nascita dello Stato di Israele.
    Fin dalla sua origine il B’naï B’rith è di
    ispirazione sionista, fin da quando due rappresentanti
    del B’naï B’rith romeno parteciparono
    nel 1898 al secondo congresso sionista
    di Basilea. Tuttavia le logge americane, a
    differenza di quelle europee, tutte filosioniste,
    erano su posizioni molto più moderate;
    ma l’evoluzione verso un atteggiamento favorevole
    al Sionismo fu rapida e già nel 1917
    il giornale ufficiale del B’naï B’rith americano
    affermava che la dichiarazione di Balfour
    era «un avvenimento importante quanto
    l’editto di Ciro» (37). Anche le logge londinesi
    esercitarono una capitale influenza sullo
    sviluppo del Sionismo, come testimonia anche
    Paul Goodman nella storia della prima
    loggia del B’naï B’rith d’Inghilterra: «In Palestina…
    il B’naï B’rith ha avuto un RUOLO
    UNICO, prima che il Sionismo ne facesse
    la base della Casa nazionale ebraica, fu
    alla Loggia Yerushalaim e in altre logge che,
    per la prima volta, s’incontrarono safarditi e
    askenaziti…» (38). Anche il distretto di Germania,
    inizialmente ostile al Sionismo si avvicinò
    successivamente alle posizioni londinesi
    filosioniste. Nel 1897 in una dichiarazione
    del 27 giugno, il Comitato generale del
    B’naï B’rith tedesco, si dichiarò totalmente
    contrario al Sionismo, ma successivamente
    in una seconda risoluzione del Comitato generale
    del 22 maggio 1921 si schierò su posizioni
    assolutamente favorevoli alla creazione
    di uno Stato ebraico in Palestina.
    Il B’naï B’rith in Palestina
    «La storia del B’naï B’rith si confonde
    con quella di Eretz Israel» (39). Da centinaia
    di anni il Giudaismo d’oriente viveva in uno
    stato quasi letargico sotto il regime ottomano:
    «ciò che fu più utile [al suo rinnovamento]
    fu la penetrazione del B’naï B’rith nelle
    comunità, tramite le logge, in particolare la
    loggia Yerushalaim» (40).
    Nel 1865, ventitré anni prima della nascita
    del Movimento sionista di Herzl, il B’naï
    B’rith organizzò una grande campagna di aiuti
    alle vittime ebree del colera in Palestina e
    da allora non ha mai cessato di finanziare iniziative
    private in Israele. Non appena le circostanze
    politiche lo permisero, l’ordine si impiantò
    in Medio Oriente; in Egitto nel 1887
    furono create due logge e l’anno seguente fu
    fondata la prima loggia di Palestina, il cui primo
    segretario fu Elieser Ben-Yehouda, il padre
    dell’ebraico moderno, allora considerato
    una lingua morta, nel quale tradusse la costituzione
    e il rituale segreto del B’naï B’rith. «I
    24
    linguisti riconoscono oggi che fu grazie alle
    Logge del B’naï B’rith se l’ebraico è attualmente
    la lingua ufficiale di Israele» (41).
    Nell’aprile del 1925 l’Ordine inaugurò la
    prima Università ebraica.
    La grande Loggia di Palestina
    Il B’naï B’rith aveva sempre temuto che la
    creazione di un distretto di Palestina insospettisse
    il regime turco, per cui la sede del distretto
    d’Oriente era stata posta a Costantinopoli.
    Il mandato inglese e la dichiarazione Balfour
    autorizzarono la creazione del XIV distretto il
    cui primo gran Presidente fu David Yellin.
    Nel 1948 il B’naï B’rith contava in Israele quarantotto
    logge, nel 1968 centotrentotto, mentre
    oggi il loro numero supera le duecento.
    Durante il regime turco, tra il 1873 e il
    1917, erano già state fondate sei logge massoniche
    in Palestina... di cui la prima, denominata
    Loggia del re Salomone, a Gerusalemme
    nel maggio 1873; durante il mandato
    britannico (1921-1947) la Massoneria conobbe
    un rapidissimo sviluppo.
    La loggia inglese del B’naï B’rith e la Palestina
    Il primo presidente del B’naï B’rith Herbert
    Bentwich era stato uno dei primi a condividere
    le tesi di Theodor Herzl sul Sionismo
    e nel 1897 aveva organizzato un pellegrinaggio
    di ebrei in Palestina tramite l’Ordine
    degli anziani Maccabei, a nome del
    quale aveva vi acquistato un terreno, a Gezer,
    dando inoltre alla First Lodge un orientamento
    spiccatamente sionista.
    All’inizio della prima guerra mondiale fu
    creato un Comitato ebraico d’urgenza, composto
    esclusivamente da membri del B’naï B’rith,
    con lo scopo di fare pressione sui futuri negoziatori
    di pace, per ottenere nel dopoguerra
    una home nazionale ebraica in Palestina (42).
    Henry Monsky
    In America l’Ordine fu il principale luogo
    d’incontro e fusione tra gli ebrei di origine tedesca
    (borghesi e riformisti) e gli ebrei provenienti
    dall’Europa dell’Est (più poveri, ortodossi
    e filosocialisti), che si opponevano
    all’idea di fusione degli ebrei con il popolo
    americano. L’ascesa al potere di Hitler nel
    1933 rilanciò l’interesse per la home nazionale
    ebraica in Palestina. «Il vecchio antisionista
    è così divenuto - scrisse Alfred Cohen,
    presidente del B’naï B’rith americano - un
    non-sionista. Egli guarda senza ostilità l’operazione
    Palestina… Sarà tuttavia sempre contro
    il Sionismo politico, che apparirà, per il
    momento, come una causa per la quale non ci
    può infiammare. Le discussioni accese tra sio-
    nisti e antisionisti si sono raffreddate» (43).
    Henry Monsky, eletto presidente del B’naï
    B’rith nel 1938, approfittò della seconda guerra
    mondiale per rilanciare l’Eretz Israel e dal
    1941 rimase in stretto contatto con i principali
    dirigenti sionisti. Il B’naï B’rith nel 1942 approvò
    il programma di Baltimora.
    Il 29 agosto 1943 si tenne una storica riunione
    dell’Ebraismo americano, voluta da
    Monsky, alla quale erano presenti sessantaquattro
    organizzazioni nazionali ebraiche,
    con cinquecentoquattro delegati - di cui almeno
    duecento fratelli del B’naï B’rith - in
    rappresentanza di un milione e mezzo di
    ebrei. La riunione fu tuttavia boicottata da
    due tra le principali organizzazioni ebraiche
    antisioniste, il Comitato ebraico americano
    e il Comitato del lavoro ebraico.
    Monsky fu correlatore della risoluzione a
    sostegno del programma di Baltimora, approvata
    quasi all’unanimità (408 voti contro 3), e
    divenne il presidente della nuova struttura
    ebraica unitaria, la Conferenza ebraica americana,
    che ebbe termine nel 1949, ma che fu
    rimessa in piedi nel 1955 da un organismo più
    modesto, la Conferenza dei presidenti delle
    grandi organizzazioni ebraiche, in seguito al
    riconoscimento dello Stato di Israele. Samuel
    Happerin ha scritto: «Pur non avendo mai ufficialmente
    avocato a sé l’ideologia sionista…
    le azioni effettive del B’naï B’rith hanno
    compensato tutte le esitazioni. Per valutare
    l’aumento di potere del Sionismo americano…
    bisogna tener conto in maniera premi-
    25
    nente della guida, del numero dei membri e
    dell’assistenza finanziaria del B’naï B’rith»
    (44). Il B’naï B’rith non aveva infatti preso ufficialmente
    posizione in favore del Sionismo
    fino al 1947, volendo evitare ogni divisione in
    seno all’Ebraismo americano al cui interno
    permaneva una minoranza antisionista.
    IL B’NAI B’RITH FA RICONOSCERE
    ISRAELE
    È stato il “B’naï B’rith” che ha provocato
    il riconoscimento (de facto) dello Stato
    d'Israele da parte del presidente americano
    Harry Truman, che era ostile ad un riconoscimento
    rapido d'Israele, e che a causa del
    suo “ritardismo” veniva accusato dai dirigenti
    sionisti di essere un traditore. Nessuno
    dei leaders sionisti era ricevuto, in quei frangenti,
    alla Casa Bianca. Tutti, tranne Frank
    Goldman, presidente del “B’naï B’rith”, che
    non riuscì però a convincere il Presidente.
    Allora Goldman telefonò all'avvocato Granoff,
    consigliere di Jacobson, amico personale
    del presidente Truman. Jacobson, un
    “B’naï B’rith”, pur non essendo sionista,
    scrisse tuttavia un telegramma al suo amico
    Truman, chiedendogli di ricevere Weizmann
    (presidente del Congresso Sionista mondiale).
    Il telegramma restò senza risposta, allora
    Jacobson chiese un appuntamento personale
    alla Casa Bianca. Truman lo avvisò che
    sarebbe stato felice di rivederlo, a condizione
    che non gli avesse parlato della Palestina.
    Jacobson promise e partì. Arrivato alla Casa
    Bianca, come scrive Truman stesso nelle sue
    “Memorie”: «Delle grandi lagrime gli colavano
    dagli occhi... allora gli dissi: “Eddie, sei
    un disgraziato, mi avevi promesso di non
    parlare di ciò che sta succedendo in Medio
    Oriente”. Jacobson mi rispose: “Signor Presidente,
    non ho detto neanche una parola,
    ma ogni volta che penso agli ebrei senza patria
    (...) mi metto a piangere” (…) Allora gli
    dissi: “Eddie, basta”. E discutemmo d'altro,
    ma ogni tanto una grossa lacrima colava dai
    suoi occhi (...) Poi se ne andò» (13).
    Ebbene poco tempo dopo, Truman ricevette
    Weizmann in segreto e cambiò radicalmente
    opinione, decidendo di riconoscere
    subito lo Stato d'Israele. Così il 15 maggio
    1948 Truman chiese al rappresentante degli
    Stati Uniti di riconoscere de facto il nuovo
    Stato. E quando il Presidente firmò i documenti
    di riconoscimento ufficiale d'Israele, il
    13 gennaio 1949, i soli osservatori non ap-
    Truman e Stalin alla culla del neonato Stato d’Israele
    partenenti al governo degli Stati Uniti erano
    tre dirigenti del “B’naï B’rith”: Eddie Jacobson,
    Maurice Bisyger e Frank Goldman.
    È poi da ascrivere al B’naï B’rith il mutamento
    della politica americana riguardo alla
    questione palestinese: infatti se negli anni cinquanta
    essa era stata globalmente favorevole
    agli Arabi, essa cambiò rapidamente in seguito
    alle continue pressioni dell’Ordine sul governo
    americano per ottenere enormi aiuti economici
    e bellici in favore dello Stato di Israele.
    Con la “guerra dei sei giorni” si assiste
    infine alla sionizzazione definitiva de facto e
    de jure del B’naï B’rith e dell’A.D.L.; «Questa
    vittoria miracolosa ha permesso un’identificazione
    tra ebrei e Stato di Israele, del
    tutto diversa da quanto era avvenuto agli albori
    di tale Stato. E in questo frangente che
    l’A.D.L. e il B’naï B’rith pongono come pietra
    di paragone l’asserto che l’antisionismo
    equivale all’antisemitismo» (45).
    IL LAICISMO SIONISTA
    L’idea sionista di Teodoro Herzl è assolutamente
    laica e «ispirantesi al principio
    della separazione tra il potere religioso e
    quello politico» (46), come testimoniano le
    sue parole: «Non permetteremo affatto…
    che le velleità teoriche di alcuni nostri rabbini
    prendano piede: sapremo ben tenerle
    chiuse nei loro templi… Nello Stato non
    hanno da metter bocca» (47).
    «Dal canto loro i gruppi religiosi attaccavano
    il movimento [sionista] basandosi sulla tradizione
    che collegava il ritorno degli ebrei in
    Israele con l’avvento dell’era messianica» (48).
    Ma l’idea sionista era molto forte, al
    punto da rasentare in tanti fondatori di
    Israele l’indifferenza verso il genocidio, come
    denuncia lo storico israeliano Tom Segev
    nel suo libro Le septiem million (49), e
    come scrive Barbara Spinelli su La Stampa:
    «I sionisti che vivevano in Palestina, ma anche
    gli ebrei americani si occupavano a quel
    tempo solo dello Stato indipendente, e salvare
    gli ebrei d’Europa era per loro secondario
    » (50). Anche Fiamma Nirestein qualche
    giorno prima aveva ricordato, sullo stesso
    quotidiano, che Ben Gurion aveva fatto
    affondare una nave carica di giovani militanti
    dell’Irgum, perché erano di ostacolo al riconoscimento
    dello Stato di Israele.
    Vana era stata anche la speranza, di Teodoro
    Herzl, di ottenere un riconoscimento
    da parte della Santa Sede, nonostante l’in-
    26
    contro con San Pio X il 25 gennaio 1904,
    preceduto da quello con il cardinale Merry
    Del Val il 22. «La Santa Sede non intendeva
    favorire né il movimento sionista né l’insediamento
    ebraico a Gerusalemme… Secondo
    il Pontefice la situazione avrebbe potuto
    cambiare solamente con una conversione in
    massa degli ebrei» (51).
    LA CONQUISTA DELLA TERRA SANTA
    “Questo piano - scrive il Lémann - sembra
    essere stato adottato dai promotori
    …del Sionismo. È così che l’infiltrazione
    lenta e dissimulata preparerebbe, a colpo sicuro,
    gli elementi costitutivi dello Stato
    ebraico in Palestina, fino al giorno in cui un
    avvenimento propizio ed improvviso [la seconda
    guerra mondiale, n.d.r.], permetterà
    al Sionismo, sia mediante un tentativo ardito,
    sia mediante un’abile diplomazia, di mettere
    definitivamente la mano sul suolo tanto
    desiderato di tutta la Giudea” (52).
    Con la dissoluzione dell’Impero ottomano
    (durante la prima guerra mondiale) il mondo
    cattolico cominciò a sperare che la Palestina
    sarebbe tornata in mani cristiane: «Le campane
    di tutta Roma suonarono a festa per salutare
    l’ingresso delle truppe britanniche, il 9 dicembre
    1917, in Gerusalemme e la liberazione
    della città dal dominio musulmano» (53). E Pasquale
    Baldi, uno dei più noti studiosi della
    questione dei luoghi santi, così scriveva: «Oggi
    per un prodigioso combinarsi di eventi, che
    noi riteniamo provvidenziale, Italia, Francia,
    Inghilterra, tre nazioni che ebbero tanta parte
    nelle guerre sante, tengono Gerusalemme sotto
    il proprio dominio. Oggi a ragione dunque i
    cattolici di tutto il mondo possono attendersi
    che suoni finalmente l’ora della giustizia;
    …che per i Santuari della Palestina si rinnovino
    gli splendori dell’era costantiniana, gli
    splendori del primo secolo delle crociate!» (54).
    Ciò che della questione dei Luoghi Santi
    maggiormente colpì l’attenzione dell’opinione
    pubblica europea fu la loro liberazione
    dal dominio musulmano e poi le controversie
    delle diverse confessioni cristiane circa il loro
    possesso. La Santa Sede agì diplomaticamente
    in vista di questi due obiettivi principali,
    situare la Palestina nella sfera di controllo
    delle potenze cattoliche, e porre un riparo
    alle usurpazioni compiute dai greci ortodossi
    nel 1757 (55). Quando gli Stati dell’Intesa,
    ormai in procinto di vincere il conflitto,
    manifestarono un orientamento favorevole
    alla INTERNAZIONALIZZAZIONE della
    Terra Santa, il mondo cattolico pensò che il
    primo obiettivo fosse quasi raggiunto.
    L’idea di affidare la Terra Santa ad un governo
    internazionale non era nuova, ma fu soltanto
    nel corso della prima guerra mondiale
    che queste proposte assunsero un carattere di
    attualità. Con la caduta del regime zarista cessò
    anche ogni possibilità di intervento russoortodosso
    in Medio Oriente. «Ciò significava
    che l’internazionalizzazione della Palestina sarebbe
    stata gestita da potenze assai più attente
    alla parola del Pontefice che a quelle del patriarca
    di Costantinopoli o di Mosca» (56).
    Il Vaticano tuttavia non riteneva che la
    soluzione di affidare il governo della Terra
    Santa ad un governo internazionale fossa la
    migliore; lo stesso card. Gasparri puntualizzò
    che alla S. Sede sembrava più corretto
    parlare di «carattere di nazionalità… intendendo
    sottolineare che i luoghi santi, anziché
    essere sottoposti al governo di più nazioni,
    avrebbero dovuto essere sottratti al
    controllo di qualsiasi organismo politico ed
    affidati ad istituzioni religiose come la Custodia
    di Terra Santa. In questo contesto potrebbero
    trovare spiegazione le voci - non
    però confermate - relative all’eventualità di
    un governo pontificio in Palestina. Tuttavia
    la consapevolezza dell’impossibilità di tradurre
    in pratica questo progetto ne aveva
    impedito qualsiasi elaborazione concreta ed
    aveva indotto la S. Sede a ripiegare sull’ipotesi
    di un regime internazionale» (57).
    «Dopo la prima guerra mondiale gli sforzi
    della Santa Sede si erano indirizzati nel
    senso di realizzare un progetto di riaffermazione
    del Cattolicesimo ispirato dal “proposito
    di procedere ad una cristianizzazione
    non soltanto degli individui, ma della società
    e degli Stati da compiere con tutti i mezzi”
    (58). La codificazione canonica del 1917, dominata
    dall’immagine della Chiesa come societas
    juridice perfecta, e la politica concordataria
    degli anni venti e trenta, volta a restituire
    alla Chiesa quelle funzioni pubbliche
    che le erano state sottratte in epoca liberale,
    costituirono le manifestazioni salienti di
    questo intendimento, cui era sottesa una ecclesiologia
    che mirava ad instaurare visibilmente
    il regno di Cristo in ogni sfera della
    vita umana, compresa quella politica» (59).
    Tuttavia le speranze della S. Sede ebbero
    vita breve, perché tra il 1917 e il 1918 il quadro
    politico subì radicali cambiamenti che
    portarono all’accantonamento del progetto
    27
    d’internazionalizzazione.
    Vi fu quindi la famosa dichiarazione
    Balfour, che impegnava la Gran Bretagna a
    favorire la creazione di una Casa nazionale
    ebraica in Palestina. «Essa introduceva un
    elemento nuovo e preoccupante per la S. Sede,
    dove prese corpo il timore che la Palestina,
    da poco tolta ai musulmani, fosse sul
    punto di cadere in mano agli ebrei» (60). Il
    cardinal Gasparri stesso, nel dicembre 1917,
    aveva detto al rappresentante diplomatico
    del Belgio che «… il pericolo che più ci spaventa
    è la costituzione di uno Stato ebraico
    in Palestina», aggiungendo anche: «Non vedremmo
    alcun male se gli ebrei entrassero
    nel paese per fondarvi colonie agricole; ma
    concedere loro il governo dei Luoghi Santi è
    inammissibile per i cristiani» (61). Lo stesso
    pontefice Benedetto XV intervenne pubblicamente
    ed affermò che deprecava l’eventualità
    di un «disegno volto a scacciare la
    Cristianità dalle posizioni che ha finora occupate,
    per sostituirvi gli ebrei» (62).
    Il Papa temeva soprattutto che «gli israeliti
    venissero a trovarsi in Palestina in una posizione
    di preponderanza e di privilegio» (63).
    Il Consiglio supremo Alleato riunito a
    Sanremo nell’aprile del 1920 pose definitivamente
    fine alla speranza di una internazionalizzazione
    della Palestina assegnandone il
    controllo alla Gran Bretagna, proprio a quel
    paese, cioè, di cui la S. Sede diffidava maggiormente,
    non solo per il sostegno promesso
    alla causa sionista, ma anche per l’influenza
    che la chiesa anglicana avrebbe potuto
    esercitare in Terra Santa (64).
    LA SANTA SEDE E LA “TEOLOGIA
    DEL SIONISMO”
    La Santa Sede vedeva nella dichiarazione
    Balfour per la creazione di una sede nazionale
    ebraica in Palestina la conferma del timore già
    espresso da Benedetto XV, che si intendesse
    cioè concedere agli ebrei «una posizione di
    preponderanza e di privilegio» in Palestina. Il
    cardinal Gasparri da parte sua, aggiungeva in
    una lettera ai timori prettamente religiosi
    espressi dal Pontefice, una nuova motivazione,
    la difesa delle “popolazioni indigene” e delle
    “nazionalità” minacciate dalle aspirazioni sioniste
    (65). «Era la medesima obiezione avanzata
    in quegli stessi mesi al governo britannico
    dalla delegazione araba palestinese» (66).
    L’Osservatore Romano si occupò ampiamente
    dei problemi della Terra Santa e del
    Sionismo, non sottovalutando affatto l’enorme
    importanza e la portata escatologica della
    questione sionista. «In Europa - scriveva
    il suo corrispondente da Gerusalemme - si è
    troppo facili, con una superficialità che irrita,
    a guardare al nuovo fenomeno semitico
    palestinese con aria scettica di compatimento.
    Ma la realtà è una sola: gli ebrei lavorano
    con eroica serietà di propositi… L’eventualità
    di un argine da parte degli arabi non ha
    nessuna consistenza. La loro opposizione di
    prammatica non arresterà nemmeno di un
    passo l’avanzata del Sionismo» (67).
    Da questa osservazione nascevano due linee
    interpretative, l’una privilegiava una lettura
    in chiave religiosa del Sionismo, giudicato
    un punto di passaggio verso “la conversione
    degli ebrei al Cristianesimo” (68); l’altra,
    invece, insisteva piuttosto sui pericoli che derivavano
    alla presenza cristiana in terra Santa,
    dal rafforzamento del Sionismo.
    La Civiltà Cattolica si segnalò per aver dato
    una visione teologica del problema sionista,
    definendo chimerico il disegno perseguito
    dal Sionismo: «L’attuazione INTEGRALE
    del Sionismo appare materialmente e moralmente
    impossibile» (69), oltreché ingiusta, perché
    «…i sionisti invadono arrogantemente il
    paese, che è la casa degli arabi, per impiantarvi
    la loro home, espellendone gli antichi e pacifici
    abitatori» (70). Il Sionismo inoltre, per i
    gesuiti della Civiltà Cattolica, si mostra incapace
    di dare una risposta convincente al problema
    ebraico: «Il Sionismo non è attuabile, o
    almeno né presto, né facilmente, ed in ogni
    modo non appare una soluzione né sicura né
    piena alla questione giudaica» (71). Soprattutto
    costituiva «una mossa anticristiana e anticattolica
    » (72). Il rimedio proposto per riportare
    la pace in Palestina non sarà che «la partenza
    degli ebrei, o almeno la cessazione dei
    loro progressi e della loro immigrazione, in
    una parola, il totale abbandono dell’idea di
    uno Stato ebraico in Palestina» (73).
    Nel 1943 Mons. Tardini, Segretario per
    gli affari straordinari della Santa Sede, confermò
    tale visione teologica sul Sionismo,
    asserendo che «…La S. Sede non ha mai approvato
    il progetto di fare della Palestina
    una home ebraica» (74).
    La condanna dell’antisemitismo razzista e
    biologico espressa da Pio XI nel 1928 «non
    implicava in alcun modo l’adozione di orientamenti
    più favorevoli al Sionismo. Essa infatti
    nasceva dalla preoccupata reazione della
    S. Sede per il dilagare in Europa di movimen-
    28
    ti e dottrine ispirati a principi di esasperato
    razzismo e nazionalismo, ma non presuppone
    alcuna revisione della tradizionale concezione
    cattolica che negava al popolo ebraico, dopo
    la venuta di Cristo, qualsiasi ruolo nella
    storia della salvezza, che non fosse quello di
    testimoniare, con le sue sofferenze, la verità
    della Rivelazione cristiana. “Dopo la morte
    di Cristo, Israele fu licenziato dal servizio della
    Rivelazione”, disse nel 1933 l’arcivescovo
    di Monaco, card. Faulhaber» (75).
    Nel 1938 La Civiltà Cattolica ribadì in modo
    più esteso la sua posizione: «Tutto il valore
    del Giudaismo era nella sua sola ragione di
    essere la preparazione dell’Avvento del Messia…
    Venuto il Messia, in persona di Gesù
    Cristo, cessò necessariamente e automaticamente
    il valore del Giudaismo tutt’insieme, e
    quale popolo “eletto” e quale religione» (76).
    «Senza una profonda revisione della teologia
    dell’Ebraismo… era impossibile che gli
    sforzi per restituire al popolo ebraico una
    patria… in Terra Santa non fossero considerati
    come “un’arrogante pretesa contraria al
    volere di Dio” (77)» (78).
    Come aveva scritto L’Osservatore Romano
    «…il Sacrificio di Cristo, voluto da un
    popolo che se ne proclamò responsabile per
    sé e per i suoi figli, nei secoli, davanti al giudice
    umano come a quello divino, costituiva
    di fronte alla storia e alla civiltà mondiale
    una tale prescrizione di qualsiasi diritto sulla
    terra promessa da non avere certo bisogno
    di invocare venti secoli ormai trascorsi a suo
    favore per essere ratificato da qualsiasi tribunale
    politico» (79). Su tale base di natura
    teologica si innestavano poi precise ragioni
    di ordine politico, che confermavano l’avversione
    al movimento sionista della Santa
    Sede, il cui obiettivo prioritario era quello di
    mantenere in mani cristiane il controllo
    dell’intera Palestina e per la quale il mandato
    britannico appariva il male minore a fronte
    della costituzione di due stati non cristiani
    in Terra Santa: «comunque, se la fine del
    mandato avesse reso inevitabile la scelta tra
    uno Stato arabo ed uno stato ebraico, numerosi
    indizi mostrano che le preferenze della
    S. Sede sarebbero andate al primo» (80).
    IL VATICANO E LA QUESTIONE
    PALESTINESE
    La Santa Sede continuò a ribadire la sua
    ferma opposizione alla costituzione di una
    home ebraica in Terra Santa. In una lettera
    al delegato apostolico a Washington il Segretario
    di Stato vaticano il 25 maggio 1943 sosteneva
    esplicitamente che «i cattolici del
    mondo intero… non potrebbero non vedersi
    feriti nel loro sentimento religioso qualora la
    Palestina fosse data e affidata, in preponderanza,
    agli ebrei» (81). Anche Mons. Tardini
    scriveva: «La Santa Sede si è sempre opposta
    alla dominazione ebraica sulla Palestina. Benedetto
    XV si è adoperato con successo per
    evitare che la Palestina divenisse uno Stato
    ebraico. In effetti dal punto di vista religioso
    (il più importante) la Palestina è una terra
    sacra, non solo per gli ebrei, ma molto di più
    per tutti i cristiani e specialmente per i cattolici.
    Darla agli ebrei significherebbe offendere
    tutti i cristiani e violare i loro diritti» (82).
    L’avversione alla costituzione di una home
    ebraica in Palestina non significava però che
    la Santa Sede fosse favorevole ad una dominazione
    araba sulla Terra Santa, «anche se
    questa eventualità era considerata un male
    minore rispetto all’ipotesi di uno Stato ebraico
    » (83). Tutta la politica vaticana riguardo
    alla Palestina era ispirata dal timore che sia
    una dominazione araba sia una dominazione
    ebraica risultassero pregiudizievoli per gli interessi
    cattolici in Terra Santa (84).
    Ma la risoluzione approvata dall’Assemblea
    delle Nazioni Unite il 29 novembre 1947
    introdusse un fatto nuovo nello scenario mediorientale:
    la creazione di uno Stato ebraico
    indipendente, prevista per l’ottobre del 1948.
    La prospettiva della costituzione di uno Stato
    ebraico in Palestina ebbe un’eco profonda in
    tutto il mondo cristiano. La proclamazione
    dell’indipendenza di Israele fu accolta in Vaticano
    con molto riserbo. L’Osservatore Romano
    asserì che «Il Sionismo non è l’Israele della
    Bibbia [bensì] quello della dichiarazione di
    Balfour, …dello Stato moderno, dello Stato
    filosoficamente e politicamente laico» (85).
    I RAPPORTI TRA SIONISMO E
    NAZIONALSOCIALISMO
    Nel 1922 Vladimir Jabotinsky si ritirò
    dall’esecutivo dell’Organizzazione sionistica
    e fondò nel 1924 il Partito Revisionista. Il
    Nuovo schieramento combatteva la politica
    dell’Esecutivo sionista troppo disponibile al
    compromesso con gli inglesi e con gli arabi e
    «in campo sociale… palesava una certa simpatia
    per il corporativismo teorizzato in Italia
    dal fascismo» (86).
    A questo proposito il Blondet è più espli-
    29
    cito e ricco di informazioni: «Vladimir Z. Jabotinsky
    (1880-1940) propugnò uno Stato
    armato e razzista e voleva che Israele si costituisse
    come “Stato autoritario e corporativo”.
    Finì per aderire al fascismo e simpatizzò
    apertamente per il Terzo Reich» (87).
    «Jabotinsky sembra aver subito l’influenza
    di Ahad Ha’am, grande ammiratore, come
    Herzl, di Nietzske, da cui prese in prestito
    l’idea di superuomo, associandola a quella
    di NAZIONE SUPERIORE» (88). Conobbe
    poi un ex ufficiale zarista, mutilato,
    certo Joseph Trumpeldor e con lui ideò l’organizzazione
    di una “legione ebrea” all’interno
    di non importa quale esercito alleato.
    Proprio Trumpeldor ha dato il suo nome alla
    principale organizzazione di gioventù sionista
    revisionista, il BÉTAR o B’RITH
    TRUMPELDOR (Alleanza di Trumpeldor).
    Bétar è anche il nome della fortezza
    dove Bar Kochba condusse la rivolta contro
    le legioni di Roma nel secondo secolo.
    Durante il dodicesimo Congresso sionista
    del settembre 1921 a Karlovy Vary, Jabotinsky,
    senza informare i dirigenti sionisti,
    firmò un accordo con Maxime Slavinsky,
    rappresentante del leader del governo ucraino
    in esilio, Simon Petlioura (accusato oggi
    di antisemitismo). Questo accordo con un
    regime che favoriva i pogrom, fu giustificato
    da Jabotinsky con l’affermazione che se
    l’Armata Rossa gli avesse fatto la stessa proposta,
    l’avrebbe egualmente accettata (89).
    L’alleanza con l’Ucraina costrinse Jabotinsky
    a dimettersi dall’Esecutivo sionista e
    dall’Organizzazione sionista. Nel 1923 pubblicò
    una serie di articoli in cui mirava ad intraprendere
    una sorta di REVISIONE del
    Sionismo, affermando che si trattava di un
    ritorno alle tesi originarie di Herzl. Sostenne
    così posizioni di ACCESO NAZIONALISMO,
    il cui unico fine era di trasferire milio-
    Vladimir Jabotinsky
    ni di ebrei in Israele facendo della Palestina
    uno Stato ebraico di fatto. Gli arabi, «per
    Jabotinsky non avevano nessun diritto sulla
    Palestina e dovevano essere espulsi. Ancor
    oggi, per i suoi discepoli… “non esistono
    territori occupati in Israele” (90)» (91). Jabotinsky
    è convinto che lo stato abbia il primato
    sull’individuo, per cui non bisogna assolutamente
    rifarsi all’etica biblica ma attingere
    le proprie forze alle teorie del NAZIONALISMO
    INTEGRALE; «ciò lo farà passare
    agli occhi di numerosi dirigenti ebrei come
    un ebreo fascista» (92). Jabotinsky è assolutamente
    contrario alla diaspora e PER IMPEDIRE
    L’ASSIMILAZIONE degli ebrei,
    SARÀ ANCHE PRONTO AD ACCOGLIERE
    favorevolmente LE IDEE ANTISEMITE,
    che avrebbero spinto gli ebrei a
    ritornare nella loro terra e a riscoprire
    l’identità che stavano perdendo. «Per Jabotinsky
    ogni assimilazione ai goyim è non solo
    infausta ma impossibile… “La fonte del
    sentimento nazionale si trova nel SANGUE
    dell’uomo… nel suo TIPO FISICO-RAZZIALE…
    È inconcepibile che un ebreo…
    possa adattarsi alla visione spirituale di un
    tedesco o di un francese”» (93). Inoltre elimina
    l’idea di un Dio trascendente e la sostituisce
    con quella di nazione, minando alla base
    le fondamenta stesse del Giudaismo ortodosso.
    A tutto ciò unisce un odio viscerale per il
    socialcomunismo, mentre vede, di conseguenza,
    la forza principale del Sionismo nel
    supercapitalismo.
    a) Il Bétar (94)
    Nel 1923 Jabotinsky fondò il braccio armato
    del Revisionismo sionista il Bétar B’rith
    Trumpeldor, i cui membri «portano la camicia
    bruna, e saranno denunciati come fascisti
    dai loro avversari» (95). Dal 1934 al 1937 una
    scuola navale del Bétar funzionerà in Italia, a
    Civitavecchia, con 153 cadetti diplomati. Per
    Marius Schattner «tutta la filosofia del Bétar
    consiste in ciò: dalla fossa alla luce, dal ghetto
    a Israele. Essa intrattiene il mito di una
    razza spiritualmente ebrea …Saltando diciannove
    secoli di diaspora, il Bétar annuncia
    il ritorno del tipo ebreo antico» (96). Il Bétar è
    un’organizzazione rigida, con un rituale stretto
    e severo: ogni betariano deve impegnarsi a
    consacrare i due primi anni del suo insediamento
    in Palestina alla militanza a tempo
    pieno nel Bétar, il quale si fonda sostanzialmente
    sul mito della forza, sulla potenza del
    cerimoniale, su una struttura paramilitare.
    30
    Negli anni 1931-32 Jabotinsky visse a Parigi,
    «dove sembra essere stato iniziato alla
    Loggia Stella del Nord del Grande Oriente di
    Francia» (97). Nel 1935 fondò a Vienna, durante
    un congresso, la Nuova Organizzazione
    Sionista (N.O.S.), che inaugurava una politica
    molto discussa con tutti i governi (anche antisemiti)
    PURCHÉ FOSSERO INTENZIONATI
    A REGOLARE LA QUESTIONE
    EBRAICA IN SENSO SIONISTA, consentendo
    cioè l’emigrazione ebraica in Palestina.
    Ciò non impedirà per altro a Jabotinsky di
    pronunciarsi, negli anni della guerra, a favore
    della creazione di un esercito ebreo destinato
    a combattere la Germania hitleriana.
    b) Menahem Begin
    Fino alla vittoria di Begin nel 1977 a capo
    del Likud, formazione politica erede del Bétar
    di Jabotinsky, la maggior parte degli storici
    del Sionismo avevano relegato il Revisionismo
    nel ghetto spirituale dei fanatici o addirittura
    dei lunatici esaltati. Ma nel 1977 il “fascista”
    Begin sale al potere in Israele e, fin
    dal suo primo discorso, si rifà esplicitamente
    alle idee di Jabotinsky, anche se aveva fatto
    parte dell’ala più radicale del Revisionismo,
    quella più vicina al fascismo e associata al
    B’ritj Ha Biryonim (il gruppo dei bruti),
    scavalcando a destra lo stesso Jabotinsky!
    Dopo la seconda guerra mondiale Begin
    come leader del partito Hérout (Libertà) farà
    lavorare al quotidiano del partito il suo amico
    Abba Ahimert, ideologo estremista revisionista,
    che aveva scritto: «Sì, NOI REVISIONISTI
    ABBIAMO UNA GRANDE AMMIRAZIONE
    PER HITLER. Hitler ha salvato
    la Germania… E SE ABBANDONA IL
    SUO ANTISEMITISMO, NOI POTREMO
    FARE UN PO’ DI STRADA CON LUI» (98).
    Quando Begin si recò per la prima volta negli
    USA nel 1948, alcuni intellettuali ebrei, tra
    cui Einstein, Hannah Arendt e Sydney Hook,
    scrissero una lettera aperta al New York Times
    (4 dicembre 1948) in cui affermavano che il
    partito di Begin era «un partito politico assai
    vicino, quanto alla sua organizzazione, ai suoi
    metodi, alla sua filosofia politica e alla sua dottrina
    sociale, ai partiti nazista e fascista». Begin
    non rinnegherà in nulla le sua vecchie idee
    estremiste: dopo di lui diverrà primo ministro
    di Israele il suo amico (e terrorista) Yitzhak
    Shamir, per il quale «Eretz Israel appartiene
    solo e soltanto al popolo di Israele» (99).
    c) Revisionismo e nazismo
    Nella primavera del 1936 una coppia di
    ebrei, i Tuchler, inviati dalla Federazione Sionista
    di Germania, ed una coppia di nazisti, i
    von Mildenstein, inviati dal N.S.D.A.P. e dalle
    SS., si ritrovarono alla stazione di Berlino dove
    presero il treno per Trieste e s’imbarcarono
    sulla Martha Washington per la Palestina. Lo
    scopo del viaggio era quello di fare un’indagine
    il più possibile completa e documentata sulle
    POSSIBILITÀ DI INSEDIAMENTO DI
    EBREI TEDESCHI IN PALESTINA. «Malgrado
    le dichiarazioni di principio e diverse
    misure specifiche (boicottaggio degli ebrei tedeschi
    a partire dal 1 aprile 1933), tutti gli storici
    sono d’accordo nell’ammettere che Hitler
    non aveva una politica d’insieme precisa sulla
    questione ebraica fino alla notte dei cristalli
    del 9-10 novembre 1938. Ciò lasciò campo libero
    all’Ufficio degli Affari ebraici delle SS,
    per esplorare le diverse politiche attuabili. Il
    viaggio del barone von Mildenstein fu una di
    esse. Ora Mildenstein era ufficiale superiore
    delle SS… s’era interessato da molto tempo alla
    questione ebraica… Fervente sionista, entrò
    nelle SS. e fu reputato uno dei più qualificati
    specialisti del Giudaismo. Fu lui che vide per
    primo l’interesse che si poteva trarre dalle organizzazioni
    sioniste, specialmente revisioniste…
    Scrisse una serie di dodici lunghi articoli,
    molto documenteti, sul quotidiano berlinese
    Der Angrif di Goebbels, dal titolo Un nazista
    viaggia in Palestina. Vi esprimeva la sua ammirazione
    per il Sionismo… e concludeva che “il
    focolare nazionale” ebreo in Palestina “…indica
    un mezzo per guarire una ferita vecchia di
    molti secoli: la questione ebraica”. Per commemorare
    tale visita fu coniata una medaglia,
    su richiesta di Goebbels. Una faccia era ornata
    dalla svastica nazista e l’altra dalla stella di
    David… Le SS. erano divenute la componente
    più filosionista del partito nazista» (100). In seguito
    a questo viaggio il giornale delle SS. Das
    schwarze Korps proclamò ufficialmente il suo
    appoggio al Sionismo (101). Il 26 novembre lo
    stesso quotidiano rinnovava il suo appoggio al
    Sionismo: «Il riconoscimento della comunità
    ebrea, come COMUNITÀ RAZZIALE
    FONDATA SUL SANGUE e non sulla religione
    conduce il giovane tedesco a garantire
    senza riserve l’integrità razziale di questa comunità
    » (102). Ancora, nel maggio 1935 Heyndrich
    in un articolo distingueva gli ebrei in due
    categorie dimostrando una forte predilezione
    per quelli che «professano una concezione
    strettamente razziale» e Alfred Rosemberg
    scriveva che «il Sionismo deve essere vigorosa-
    31
    mente sostenuto» (103). Con l’avvento al potere
    di Hitler il Bétar fu la sola organizzazione a
    continuare ad uscire in parata in uniforme nelle
    strade di Berlino. Il 13 aprile 1935 la polizia
    della Baviera (feudo di Himmler e di Heyndrich)
    ammetteva eccezionalmente che gli aderenti
    al Bétar potessero indossare la loro
    uniforme. Questi cercavano così di spingere gli
    ebrei di Germania a CESSARE DI IDENTIFICARSI
    COME TEDESCHI e a farli innamorare
    della loro nuova identità nazionale
    israeliana (104). La Gestapo fece tutto il possibile
    per favorire l’emigrazione verso la Palestina;
    ancora nel settembre 1939 autorizzò una
    delegazione di sionisti tedeschi a partecipare
    al 21° Congresso sionista di Ginevra. Jabotinsky
    invece si era pronunciato per il boicottaggio
    della Germania, mentre Kareski, membro
    del movimento revisionista, perseguiva una
    politica di collaborazione con la Germania in
    vista di poter costituire lo Heretz Israel. Nel
    1942 restava ancora in attività nella Germania
    un Kibbutz a Nevendorf per esercitare dei potenziali
    emigranti verso la Palestina. «Il Mossad…
    dispose di un centro di circa quaranta
    campi e centri agricoli, ove i futuri coloni si
    preparavano per lo sbarco in Palestina» (105).
    d) Un patto segreto tra la banda Stern e il
    terzo Reich
    I dirigenti ebrei della gang Stern - incredibile
    ma vero - fecero ai nazisti una proposta di
    alleanza nel 1941 per lottare contro gli inglesi:
    la cosa che più colpisce è che uno di essi era
    Yitzhak Shamir, futuro primo ministro di
    Israele. «Lo scarso equipaggiamento militare
    dell’Italia, sia in Libia che in Grecia, convinse
    Stern che l’Italia non aveva i mezzi per condurre
    a termine la sua politica, mentre la Germania
    nel 1940, riportava vittoria su vittoria.
    Tali successi impressionarono Stern, che si
    lanciò in un’avventura folle e senza uscita: formare
    un’alleanza con la Germania hitleriana.
    Stern lavora fino al febbraio 1941 (quando fu
    ucciso dagli inglesi) a concretizzare questo
    obiettivo, fondandosi su un’analisi insolita della
    situazione del Giudaismo. Per lui l’Inghilterra
    è il vero nemico, mentre la Germania è
    solo un OPPRESSORE che appartiene alla linea
    dei PERSECUTORI che il popolo ebreo
    ha incontrato durante la sua storia. Questo è
    l’errore più grande di Stern: vede nel Nazismo
    un movimento animato da un antisemitismo
    ragionevole…» (106). All’inizio del 1941 Lubentchik,
    agente segreto della banda Stern,
    propone un patto militare tra l’Organizzazio-
    ne militare sionista Irgun (una scissione della
    stessa banda) e la Germania, proposta nota
    col nome di testo di Ankara (107), trasmesso a
    Berlino l’11 gennaio 1941 e ritrovato tempo fa
    negli archivi dell’ambasciata tedesca in Turchia.
    In esso si legge: «…I principali uomini di
    stato della Germania nazionalsocialista hanno
    spesso insistito sul fatto che un Ordine Nuovo
    in Europa richiede come condizione previa
    una soluzione radicale della questione ebraica,
    mediante l’emigrazione. L’evacuazione di
    masse ebree d’Europa è la prima tappa della
    soluzione della questione ebraica. Tuttavia, il
    solo mezzo per cogliere tale fine è l’installazione
    di queste masse nella patria del popolo
    ebraico, la Palestina, mediante lo stabilimento
    di uno Stato ebraico nelle sue frontiere storiche…
    » (108). Lo Stato maggiore tedesco, tuttavia,
    decise di appoggiarsi nella lotta alla Gran
    Bretagna, agli arabi che erano milioni, piuttosto
    che agli ebrei, che non erano che un pugno
    di uomini (109). La veridicità di questo documento
    è stata messa in dubbio, ma Israël Eldadsnab,
    uno dei capi storici del gruppo Stern,
    ha confermato la verità dei fatti (110) e il settimanale
    Hotam affermò che tale documento
    era stato consegnato personalmente da Shamir
    e Stern. Quando il 10 ottobre Shamir divenne
    primo ministro dello Stato di Israele
    dopo il dicastero Begin, l’Associazione Israeliana
    dei combattenti antifascisti e delle vittime
    del Nazismo manifestò la sua indignazione
    in un telegramma al presidente Herzog nel vedere
    il posto di primo ministro occupato da
    «uno di quelli che tentarono di arrivare ad
    un’alleanza con dei rappresentanti ufficiali
    della Germania nazista» (111). Se la banda
    Stern fu l’unico gruppo sionista revisionista a
    negoziare col Terzo Reich in piena guerra,
    le organizzazioni sioniste moderate non avevano
    esitato a farlo prima della guerra, in
    gran segreto. «I circoli nazionalisti ebrei sono
    molto soddisfatti della politica della Germania,
    poiché la popolazione ebrea in Palestina
    sarà da tale linea politica talmente accresciuta
    che in un futuro prossimo gli ebrei
    potranno contare su una superiorità numerica
    di fronte agli arabi» (112).
    I RAPPORTI TRA SIONISMO E FASCISMO
    a) La scuola navale del Bétar nell’Italia fascista
    Già negli anni precedenti la prima guerra
    mondiale Jabotinsky aveva sviluppato una teoria
    sui FONDAMENTI RAZZIALI DELLE
    NAZIONI (Razza e nazionalità), i cui postulati
    32
    coincideranno con la Dottrina dello Stato di
    Mussolini (113). «Sprovvisto di animosità nei
    confronti degli ebrei, Benito Mussolini considerava
    le organizzazioni sioniste revisioniste come
    movimenti fascisti. Fu così che fece allenare, a
    partire dal novembre 1934, dietro domanda di
    Jabotinsky, uno squadrone completo del Bétar
    a Civitavecchia, presso la scuola marittima, diretta
    dalle camicie nere. Durante l’inaugurazione
    del quartier generale degli squadroni italiani
    del Bétar, nel marzo 1936, … un triplice canto
    ordinato dal comandante dello squadrone risuonò;
    “Viva l’Italia, il Re, il Duce!”. Esso fu
    seguito dalla “benedizione” che il rabbino Aldo
    Lattes invocò, in italiano e in ebraico, per Dio,
    il Re, il Duce… “Giovinezza” (l’inno del partito
    fascista) fu intonata dai betariani con molto
    entusiasmo. Mussolini ricevette inoltre la promozione
    di betariano nel 1936» (114). Mussolini
    fu anche il primo Capo di Stato a proporre la
    divisione della Palestina e la creazione di uno
    Stato ebraico (115). Jabotinsky tuttavia, al contrario
    dei suoi luogotenenti, non si proclamò
    mai fascista o nazista, anche se prese le difese di
    Mussolini in una serie di articoli scritti negli
    USA nel 1935 (116), mentre tale era considerato
    da molti capi israeliani, al punto che Ben Gurion
    lo chiamava Vladimir Hitler. Nel 1935
    Mussolini confidò a David Prato, futuro gran
    rabbino di Roma che «…il Sionismo per riuscire
    ha bisogno di uno stato ebreo, di una bandiera
    ebrea e di una lingua ebrea. Chi l’ha veramente
    capito è il vostro fascista Jabotinsky»
    (117). I dirigenti sionisti non revisionisti fin dal
    1922 avevano preso contatti con Mussolini, che
    ricevette i primi sionisti poco dopo la marcia su
    Roma, il 20 dicembre 1922, assicurando il gran
    rabbino di Roma che non avrebbe tollerato alcuna
    manovra antisemita (118). Ahimeir, principale
    leader del movimento revisionista palestinese
    negli anni trenta, riaffermò nel marzo
    Squadrone del Bétar sfila in uniforme per le strade di
    Civitavecchia, negli anni ‘30
    1962: «Non erano né Kerensky né Weimar che
    potevano combattere il Bolscevismo; ma il Fascismo
    italiano all’inizio della sua strada» (119).
    b) Mussolini e il Sionismo
    Occorre tuttavia precisare con De Felice
    che «…le avances dei sionisti-revisionisti cessarono
    immediatamente appena fu chiaro che
    Mussolini aveva deciso di imboccare anche in
    materia di antisemitismo la via dell’adeguamento
    assoluto all’alleato nazista» (120).
    D’altronde «…Dopo le sanzioni… votate
    dalla Società delle Nazioni contro l’Italia, Mussolini
    tagliò i rapporti che fino ad allora aveva
    intrattenuto con i dirigenti sionisti e si avvicinò
    agli arabi, nel tentativo di scalzare le posizioni
    britanniche e francesi nel Medio Oriente» (121).
    Per comprendere meglio l’attitudine di
    Mussolini verso il Sionismo giova leggere
    l’interessante Storia degli ebrei italiani sotto
    il fascismo del De Felice, nella quale si vede
    come l’atteggiamento di Mussolini sia stato
    ondivago, a seconda se si trattava del Sionismo
    in Palestina o della partecipazione di
    cittadini italiani al movimento sionista (122).
    «Verso il SIONISMO ITALIANO Mussolini
    nutriva tutti i pregiudizi e le diffidenze
    così diffusi tra nazionalisti e fascisti… La
    convinzione che i sionisti avessero due “patrie”
    e neppure sullo stesso piano tra loro,
    per cui la prevalente sarebbe stata quella
    palestinese, urtava profondante il suo concetto
    monolitico ed esclusivistico della patria
    e gli rendeva automaticamente antipatici
    e sospetti i sionisti… Verso il SIONISMO
    INTERNAZIONALE Mussolini nutriva invece,
    se non simpatia… una certa benevolenza…
    egli vedeva nel Sionismo (specie nei
    suoi gruppi di destra più accesi e antinglesi)
    un prezioso mezzo per inserire l’Italia negli
    avvenimenti mediterraneo-orientali e soprattutto
    un mezzo per creare difficoltà in
    quel settore all’Inghilterra… La carta “Sionismo”,
    così come da un certo momento in
    poi quella degli “arabi”… era per Mussolini
    soprattutto un elemento del suo gioco mediterraneo...
    Che i sionisti, da parte loro, non
    rifiutassero il “rapporto” con l’Italia fascista
    è ovvio. Prima che Mussolini “cadesse sotto
    l’influsso di Hitler”, l’Italia era uno dei paesi
    europei più liberali verso gli ebrei» (123).
    ANTISEMITISMO PAGANO E SIONISMO
    Hannah Arendt, filosofa ebrea tedesca
    (1906-1975) ha scritto considerazioni di grande
    interesse sulla natura del Sionismo: «Per
    33
    quanto riguarda l’organizzazione sionista…
    decise di trattare con Hitler …essa incontrò
    poca opposizione nella patria nazionale
    ebraica» (124). E ancora: «Questo acconsentire
    all’accordo nazi-sionista… non è che uno
    degli esempi tra i molti comprovanti la debolezza
    politica dell’aristocrazia degli ebrei in
    Palestina» (125). La Arendt critica la definizione
    stessa del Sionismo data da Herzl, per
    il quale una nazione «è un gruppo di persone…
    tenute insieme da un comune nemico»
    e afferma che «la conclusione cui giunsero
    questi sionisti fu che SENZA L’ANTISEMITISMO
    IL POPOLO EBRAICO NON SAREBBE
    SOPRAVVISSUTO… per cui SI
    OPPOSERO A QUALUNQUE TENTATIVO
    DI LIQUIDARE L’ANTISEMITISMO
    SU LARGA SCALA. Al contrario,
    dichiararono che “I NOSTRI NEMICI, GLI
    ANTISEMITI, SAREBBERO STATI I
    NOSTRI AMICI PIU FIDATI E I PAESI
    ANTISEMITI I NOSTRI ALLEATI
    …L’antisemitismo era una forza irresistibile
    e gli ebrei AVREBBERO DOVUTO UTILIZZARLA
    o ne sarebbero stati divorati…
    (L’antisemitismo) era la forza motrice responsabile…
    di tutte le sofferenze degli
    ebrei, e avrebbe continuato a causare sofferenza
    FINCHÉ GLI EBREI NON AVESSERO
    IMPARATO AD UTILIZZARLA
    A LORO VANTAGGIO. IN MANI
    ESPERTE QUESTA FORZA MOTRICE
    SI SAREBBE DIMOSTRATA IL FATTORE
    PIÙ SALUTARE NELLA VITA
    EBRAICA… Tutto ciò che occorreva fare
    era usare la FORZA MOTRICE dell’antisemitismo
    che come l’onda del futuro avrebbe
    portato gli ebrei nella terra promessa» (126).
    I RAPPORTI TRA SIONISMO USA E URSS
    «Il periodo della guerra [1939-1945] trasformò
    la comunità ebraica di Palestina in un
    organismo più forte, cosciente, proteso verso
    l’affermazione concreta dei propri ideali…
    Gli anni della guerra avevano reso l’opinione
    pubblica americana estremamente sensibile
    al dramma dell’Ebraismo europeo ed avevano
    trasformato notevolmente la comunità
    ebraica che si era fatta più omogenea, influente
    ed aperta al Sionismo. In pochi anni
    l’interesse per questo movimento da sentimento
    prettamente filantropico si trasformò
    in una forma di partecipazione concreta» (127).
    Paul Johnson ha affermato recentemente
    che… «L’olocausto e la nuova Sion sono or-
    ganicamente collegati… La fondazione di
    Israele fu come la conseguenza delle sofferenze
    degli ebrei» (128).
    Dopo la guerra il gioco decisivo era nelle
    mani delle grandi superpotenze (USA e
    URSS). L’America presentava lo Stato
    d’Israele come baluardo del mondo occidentale
    nel Medio Oriente. La politica miope
    dei liberalconservatori vedeva (e continua a
    vedere) come UNICO pericolo quello comunista
    (che è certamente enorme e non va
    sottovalutato neppure oggi), ma non riusciva
    a scorgere la portata apocalittica e teologica
    della fondazione dello Stato di Israele,
    e forse ignorava che: «Nell’immediato dopoguerra
    Stalin si presentò più volte come il
    paladino dei popoli colpiti dalla dominazione
    nazista, mostrandosi propenso a considerare
    le istanze degli ebrei che con sei milioni
    di vittime rivendicavano i propri diritti. Il
    rappresentante sovietico alle Nazioni Unite,
    Andrey Gromiko, sostenne che non si potava
    negare al popolo ebraico il diritto di avere
    uno Stato… Approvò quindi il piano UNSCOP
    tra la sorpresa generale» (129). Secondo
    il Johnson «se complotto vi fu per fondare
    Israele, FU L’UNIONE SOVIETICA
    AD ESSERNE MEMBRO INFLUENTE.
    Durante la guerra, per ragioni tattiche, Stalin
    aveva sospeso… la sua politica antisemita,
    creando perfino un Comitato ebraico antifascista.
    Dal 1944, per un breve momento,
    aveva adottato un atteggiamento filosionista
    in politica estera…nel maggio 1947, Andrey
    Gromiko… sorprese tutti annunciando che
    il suo governo era favorevole alla creazione
    di uno Stato ebraico» (130).
    Chi invece comprese molto bene la portata
    della fondazione dello Stato d’Israele
    furono proprio gli ebrei: «In quella circostanza
    [la risoluzione del 1948, n.d.r.] gli
    ebrei di Roma, che tradizionalmente si erano
    imposti di non passare più sotto l’Arco di
    Tito, testimone del loro asservimento, in
    una solenne cerimonia ruppero questo simbolico
    divieto, attraversando l’Arco di Tito
    in senso opposto a quello del trionfo
    dell’imperatore romano» (131). «Fino alla
    metà egli anni cinquanta - poi - la stampa
    occidentale di sinistra presentò Israele come
    la realizzazione concreta dei principi socialisti
    e democratici in opposizione all’arretratezza
    del mondo arabo» (132).
    Tuttavia con il 1949 i rapporti tra URSS
    e Israele cominciano ad incrinarsi.
    Andrew e Leslie Cockburn, in un recente
    34
    e ben documentato libro, gettano nuova luce
    sui rapporti tra USA, URSS e Sionismo:
    «Dopo molti decenni ed una guerra fredda,
    Andrei Gromyko, alzando una mano avrebbe
    dichiarato: “Con questa mano ho creato lo
    Stato di Israele” …L’eloquenza di Gromyko
    si manifestò su ordine di Giuseppe Stalin,
    che, rispetto alla fondazione dello Stato
    d’Israele, non si era certo fatto influenzare
    dai sentimenti… I russi avevano ottime ragioni
    per sostenere sia la resistenza armata
    ebraica contro il dominio britannico in Palestina,
    che la creazione dello Stato sionista, dal
    momento che lo Stato arabo era allora decisamente
    nella sfera di influenza dell’occidente.
    (…) Il sostegno diplomatico… non fu
    l’unica forma d’incoraggiamento che Stalin
    diede alla lotta d’Israele per costruirsi e sopravvivere
    come Stato» (133). Lo Stato di
    Israele inoltre, ricevette aiuti bellici «dal regime
    comunista che prese il potere in Cecoslovacchia
    nel febbraio del 1948, un governo sotto
    l’occhio attento e vigile di Stalin. Nei mesi
    che precedettero la dichiarazione di indipendenza
    di Israele (maggio 1948), i servizi segreti
    militari statunitensi scoprirono l’esistenza
    di un regolare ponte aereo per il trasporto di
    armi tra Praga e il medio oriente (134). (…)
    Roma 1948 proclamazione dello stato d’Israele: gli ebrei
    della città sfilano in senso inverso sotto l’arco di Tito,
    infrangendo una tradizione di 2000 anni poiché quest’arco
    era il simbolo della vittoria degli antichi romani sul popolo
    ebraico. Nella foto il primo a sinistra è il rabbino capo
    d’allora David Prato, il terzo è Settimio Sorani (che scrisse
    un libro sul B’naï B’rith) ed al suo fianco c’è Raffaele
    Cantoni, primo presidente dell’Unione del dopo-guerra
    (foto Karnenu terra e popolo)
    Entro l’autunno del 1948 furono… addestrati
    nelle varie basi cecoslovacche non meno di
    cinquantamila militari israeliani e quando
    questi partirono alla volta di Israele, il loro
    reparto prese il nome di Klement Gottwald, il
    dirigente comunista ceco» (135). Israele rese
    inoltre il favore alla Cecoslovacchia, fornendole
    preziose informazioni sulle più moderne
    armi americane, veri gioielli di un settore di
    tecnologia bellica altamente avanzata, nel
    quale i sovietici erano ancora assai arretrati.
    «Nel 1948, in almeno due occasioni, gli israeliani
    consegnarono ai cecoslovacchi esemplari
    di moderne armi americane… Quando e come
    gli israeliani avessero ottenuto questi prodotti
    della tecnologia occidentale, poi consegnati
    ai sovietici, non si è mai saputo, ma evidentemente
    per lo Stato ebraico si trattava di
    un’operazione che valeva la pena di compiere
    » (136). Tuttavia il rapporto privilegiato con
    l’Est sovietico non doveva essere esclusivo
    poiché non era da solo sufficiente a fornire al
    Sionismo «il terzo elemento essenziale di cui
    aveva bisogno Israele: il denaro… L’unico
    posto dove trovare questi mezzi finanziari
    erano proprio gli stati Uniti d’America», al
    cui vertice vi era il presidente Trumann che
    inizialmente non si mostrò entusiasta ad appoggiare
    la creazione di uno stato ebraico in
    Palestina (137). Fu solo nel corso del suo secondo
    mandato che Trumann riconobbe formalmente
    lo Stato ebraico: «Spingere il presidente
    americano nel campo filo-israeliano era
    stata una mossa importante, ma ciò non comportò
    affatto per Israele la rottura dei suoi legami
    con i paesi dell’Est ed il suo passaggio
    nel blocco occidentale… [in quanto]… Israele
    voleva sia i capitali americani sia i due milioni
    di ebrei dell’Unione sovietica, ma non sembrava
    possibile ottenerli entrambi allo stesso
    tempo. E d’altra Parte il denaro serviva subito.
    La comunità ebraica americana aveva
    contribuito di tasca propria, e con ingenti
    somme, ad operazioni come l’acquisto di armi
    cecoslovacche» (138). Se l’Unione Sovietica si
    accontentava della neutralità di Israele, nel
    corso della guerra fredda gli Stati Uniti non
    erano per nulla soddisfatti di tale posizione.
    Tuttavia gli israeliani «nel timore di alienarsi
    del tutto i sovietici, tentarono di mantenere
    comunque un profilo basso e una certa neutralità…
    Israele si trovava in un vicolo cieco:
    da una parte non osava impegnarsi troppo
    apertamente con gli americani per timore di
    tagliare tutti i legami con l’Est… dall’altra, si
    trovava di fronte al problema di come conti-
    35
    nuare a mungere la “mucca” americana senza
    essere disposta né capace di dare qualcosa in
    cambio (139). …In realtà c’era qualcosa che
    Israele poteva dare alla “mucca” americana,
    ma ciò doveva rimanere segreto» (140). Se era
    molto difficile per gli USA e la CIA contattare
    direttamente gli abitanti dell’Est ed averne
    preziose informazioni, «non rimaneva altro
    che trovare un posto dove vi fosse molta gente
    che avesse vissuto di recente in un territorio
    controllato dai sovietici. Tanto meglio poi
    se quel paese (Israele) aveva anche una consolidata
    esperienza di lavoro clandestino in
    quella parte del mondo ed un’organizzazione
    di servizi segreti altamente efficiente e ansiosa
    di collaborare con gli USA» (141). Questa
    tesi trova conferma anche nel libro di Ostrovsky,
    il quale asserisce che il Mossad dipende
    totalmente dagli ebrei che vivono fuori da
    Israele, i cosiddetti Sayanim, e non potrebbe
    funzionare senza di loro (142).
    IL SIONISMO E L’ANTICO TESTAMENTO
    Ma qual è il piano di Dio? Gerusalemme
    è destinata dal Signore a ridiventare capitale
    di uno Stato ebraico? Il modo in cui si è realizzata
    la formazione dello Stato d’Israele
    corrisponde a ciò che deve essere il regno di
    Giuda secondo le profezie? Questa è la
    chiave della questione sionista: è una chimera
    o è una realtà? Lo studio teologico del
    piano di Dio darà una risposta.
    La risposta si trova nelle profezie bibliche,
    che vanno però bene interpretate, in
    senso spirituale (e non temporale); infatti esse
    non predicono il ristabilimento del regno
    temporale d’Israele, ma preannunciano la
    fondazione della Chiesa romana, regno anzitutto
    e principalmente spirituale e celeste.
    Già ai tempi della venuta di Cristo i dottori
    gli scribi e i farisei, interpretando alla lettera
    le profezie, si facevano un’idea del tutto
    terrestre e materiale del regno del Messia, ed
    è per questo che condannarono a morte Gesù,
    che predicava un regno principalmente
    spirituale (la Chiesa in terra e il Cielo nell’al
    di là) per tutti gli uomini. I sionisti di allora
    non furono contenti ed eliminarono il vero
    Messia. Ed è ancora con tale falsa interpretazione
    delle profezie messianiche che gli ebrei,
    sin dalla distruzione di Gerusalemme (70) e
    fino ai giorni nostri, continuarono a sperare
    nella ricostituzione del regno d’Israele.
    La causa di tali false interpretazioni è,
    per la teologia cattolica, il disconoscimento
    del duplice oggetto di tali profezie: uno temporale,
    riguardante la restaurazione di Gerusalemme
    e dello Stato ebraico dopo la cattività
    babilonese (586 a. C.) e non dopo la
    morte del Messia e la distruzione di Tito
    (70); l’altro spirituale e riguardante la fondazione
    della Chiesa, l’Israele spirituale che
    deve condurre gli uomini di tutti i popoli in
    Cielo (la Gerusalemme celeste).
    L’insigne teologo ed esegeta mons. Lémann
    scrive a questo riguardo: “È dopo
    aver… misconosciuto il duplice oggetto delle
    profezie messianiche, l’uno temporale, relativo
    all’antica Gerusalemme terrestre, e l’altro
    spirituale, relativo alla Gerusalemme delle
    anime, opera del Messia, che il popolo ebraico
    s’è ingannato e s’inganna ancora. (…) Purtroppo…
    il popolo ebraico si è attaccato e si
    attacca ancora alle IMMAGINI che rivestono
    la VERITÀ delle profezie… Ed è una seconda
    e nuova riedificazione di Gerusalemme
    e del Regno di Giuda che molti di loro
    persistono a volere. CHIMERA! Il duplice
    oggetto delle profezie essendosi avverato,
    uno venticinque secoli fa, grazie alla riedificazione
    materiale di Gerusalemme dopo l’esilio
    babilonese, sotto Esdra e Nehemia; l’altro,
    diciannove secoli fa, grazie alla fondazione
    della Chiesa: Gerusalemme spirituale…
    Cercare di ricostruire una Gerusalemme
    terrestre è lo stesso che voler edificare l’ombra
    della realtà. Ora da diciannove secoli e
    per sempre la realtà, che è la Chiesa, ha dissipato
    l’ombra. Umbram fugat veritas!” (143).
    Già Sant’Alfonso Maria de’ Liguori aveva
    individuato questi errori: «Due furono
    gl’inganni de’ Giudei circa il Redentore che
    aspettavano: il primo fu che quanto predissero
    i profeti de’ beni spirituali ed eterni, de’
    quali dovea il Messia arricchire il suo popolo,
    essi vollero intenderlo de’ beni terreni e
    temporali: Et erit fides in temporibus tuis, divitiae
    salutis, sapientia et scientia, timor Domini,
    ipse est thesaurus eius (Is. XXXIII, 6).
    Ecco i beni promessi dal Redentore, la fede,
    la scienza delle virtù, il santo timore: queste
    furon le ricchezze della salute promesse.
    Inoltre Egli promise che avrebbe recata la
    medicina a’ penitenti, il perdono a’ peccatori
    e la libertà a’ cattivi del demonio: Ad annuntiandum
    mansuetis misit me, ut mederer
    contritis corde et praedicarem captivis indulgentiam
    et clausis apertiorem (Is. LXI, 1).
    L’altro inganno de’ Giudei fu che quello
    ch’era stato predetto da’ profeti della seconda
    venuta del Salvatore, quando Egli verrà a giu-
    36
    dicare il mondo nella fine de’ secoli, vollero
    intenderlo della prima venuta. Scrisse bensì
    Davide del futuro Messia ch’egli dovea vincere
    i principi della terra ed abbattere la superbia
    di molti e, colla forza della spada, distruggere
    tutta la terra: Dominus a dextris tuis: confregit
    in die irae suae reges. Iudicabit in nationibus…
    conquassabit capita in terra multorum
    (PS. CIX, 5 et 6). Ed il profeta (Gioele II, 11)
    [leggi Geremia XII, 12] scrisse: Gladius Domini
    devorabit ab extremo terrae usque ad extremum
    eius. Ma ciò s’intende già della seconda
    venuta, quando verrà da giudice a condannare
    i malvagi; ma parlando della prima venuta,
    nella quale dovea venire a consumare
    l’opera della Redenzione, troppo chiaramente
    predissero i profeti che il Redentore dovea fare
    in questa terra una vita povera e disprezzata.
    Ecco quel che scrisse il profeta Zaccaria
    parlando della vita abbietta di Gesù Cristo:
    Ecce rex tuus venit tibi iustus et salvator: ipse
    pauper et ascendens super asinam et super pullum
    filium asinae (Zach. IX, 9)» (144).
    IL SIONISMO E IL NUOVO TESTAMENTO
    Gesù, per ben quattro volte, ha profetizzato
    riguardo al futuro del Tempio di Gerusalemme;
    una prima volta ha annunciato il
    suo abbandono da parte di Dio (Lc. XII,
    34,35): “ecco che la vostra casa sarà ABBANDONATA”
    (l’aggettivo deserta riportato
    nella Vulgata non si trova nel testo greco).
    Tale sentenza annuncia l’abbandono del
    Tempio da parte di Dio: Gesù non chiama
    più il Tempio la MIA casa o la casa del PADRE
    MIO, ma la VOSTRA casa.
    Una seconda volta Gesù predice la distruzione
    da cima a fondo del Tempio: “Non
    lasceranno (i tuoi nemici) di te PIETRA SU
    PIETRA” (Lc. XIX, 41-44).
    Una terza volta Gesù predice che il Tempio
    sarà reso come deserto: “Ed ecco che la
    vostra casa vi sarà lasciata DESERTA” (Mt.
    XXIII, 37-38). Questo è un nuovo annuncio,
    più solenne, che Dio avrebbe abbandonato il
    Tempio dove abitava. Gesù ripete due volte
    tale abbandono del Tempio, poiché gli ebrei
    avevano la folle confidenza che il Tempio, essendo
    la casa di Dio, li avrebbe risparmiati da
    qualsiasi calamità. Gesù perciò vuole togliere
    loro una tale fiducia, ripetendo l’annuncio
    dell’abbandono ed anzi per far meglio capire
    la gravità di tale abbandono aggiunge qui la
    terribile parola deserta, a significare che il
    Tempio è destinato a cadere in rovina.
    Gesù infine si è pronunciato una quarta
    volta, giurando addirittura che il Tempio sarebbe
    stato distrutto insieme con le sue stesse
    rovine: “In verità vi dico non resterà pietra
    su pietra CHE NON SIA DISTRUTTA”
    (Mt. XXIV, 2). Ebbene Dio ABBANDONÒ
    il Tempio quando Gesù fu messo a morte ed
    il velo del Tempio si strappò in due (Mc. 15,
    38; Lc, 23, 45). Il Tempio fu DISTRUTTO
    da Tito, che fece demolire dai soldati le mura
    del Tempio incendiato. Restavano le FONDAMENTA,
    che, al tempo di Giuliano
    l’Apostata, FURONO DIVELTE proprio
    dagli ebrei stessi i quali le avevano dissotterrate
    nella speranza di scavarne delle nuove e
    di ricostruire il Tempio, cosa che non fu possibile
    a causa di un fuoco sprigionatosi dalla
    terra e di numerosi terremoti, “che inghiottirono…
    ciò che restava delle fondamenta del
    Tempio” (145). Ecco compiuta la quarta promessa,
    le rovine stesse del Tempio sono state
    distrutte: “Lapis super lapidem qui non destruatur”
    (Mt. XXIV, 2). Tale distruzione,
    secondo la Tradizione, non è soltanto totale,
    ma DEFINITIVA! San Giovanni Crisostomo
    asserisce: “nessuno può distruggere ciò
    che Gesù Cristo ha edificato, così nessuno
    può riedificare ciò che ha distrutto. Egli ha
    fondato la Chiesa e nessuno potrà mai distruggerla;
    Egli ha distrutto il Tempio e nessuno
    potrà mai riedificarlo” (146).
    CIÒ CHE GESÙ HA PROFETIZZATO
    RIGUARDO A GERUSALEMME
    Due cose ha profetizzato Gesù: la distruzione
    di Gerusalemme e la sua sorte dopo la
    distruzione, quando essa dovrà essere “calpestata
    dai pagani, sino a che i tempi delle
    nazioni siano compiuti” (Lc. XXI, 24).
    Dopo la distruzione, operata da Tito nel
    70, Gerusalemme fu effettivamente ancora
    occupata, saccheggiata, calpestata e dominata
    da diversi popoli pagani. Venti volte conobbe
    l’invasione e il saccheggio! Cominciarono
    le legioni di Adriano nel 130; nel 613 fu
    la volta dei persiani, ai quali seguì nel 627
    Eraclio e nel 636 il califfo Omar. Una quinta
    ed una sesta volta fu occupata tra il 643 e
    l’868, quando la dinastia degli Omniadi cadde
    e fu sostituita dagli Abassidi. Nell’arco di
    circa duecento anni subì nove invasioni: nel
    868 dal sovrano egiziano Ahmed, nel 905 dai
    califfi di Baghdad, nel 936 da Maometto-Ikhschid,
    nel 968 dai Fatimiti, nel 984 dal turco
    37
    Ortok, e in seguito dal califfo d’Egitto, nel
    1076 dal turco Meleschah, poi dagli Orokidi
    e ancora nel 1076 dai Fatimiti. La sedicesima
    volta furono i crociati che entrarono a Gerusalemme
    alle quindici del venerdì 15 luglio
    del 1099, alla stessa ora della morte di Gesù
    Cristo. Nel 1188 fu Saladino che tolse ai cristiani
    i luoghi santi, nel 1242 il sovrano
    d’Egitto Nedjmeddin, nel 1382 i Mammalucchi
    e infine nel 1516 i Turchi con Séhim I.
    Sul versetto evangelico che segue la predizione
    della soggezione di Gerusalemme ai
    pagani “fino a che i tempi delle nazioni non
    siano compiuti” si danno due interpretazioni:
    per la prima, sostenuta da S. Giovanni
    Crisostomo (II oratio contra Judeos) le parole
    di Cristo significano “fino a che non vi
    siano più nazioni”, cioè FINO ALLA FINE
    DEL MONDO, e quindi esclude la possibilità
    che Gerusalemme possa diventare mai
    la capitale di uno Stato ebraico. Per la seconda,
    invece, Gerusalemme sarà calpestata
    fino a che la pienezza delle nazioni non sia
    entrata nella Chiesa con la conversione di
    Israele, in base alle parole di San Paolo (Rm.
    XI, 25-26): “L’accecamento ha colpito in parte
    Israele, fino a che la pienezza dei gentili sia
    entrata, e così tutto Israele sia salvato”. Questa
    tesi esclude anche, con l’entrata progressiva
    delle nazioni nella Chiesa e la salvezza
    finale di Israele, la ricostruzione del regno
    d’Israele, come dimostrano anche l’abbé Lémann
    e Mons. Spadafora (147).
    GESÙ E IL REGNO DI ISRAELE
    Il giorno dell’Ascensione gli Apostoli,
    non ancora ripieni di Spirito Santo, erano imbevuti
    di sogni di gloria e felicità temporale,
    come tutti gli ebrei di quell’epoca che aspettavano
    un Regno terrestre del Messia guerriero
    e conquistatore. E siccome Gesù aveva
    parlato loro in quel giorno del Regno di Dio
    e della discesa dello Spirito Santo, ecco che
    le loro speranze di regalità temporale si risvegliarono
    e chiesero a Gesù: “Maestro, è
    ora che realizzerai il Regno di Israele?” (148).
    Nella risposta di Gesù [“Non spetta a voi conoscere
    i tempi e i momenti che il Padre ha riservato
    al suo potere. Ma voi riceverete la
    virtù dello Spirito Santo che scenderà su di voi
    e sarete miei testimoni a Gerusalemme, in tutta
    la Giudea e la Samaria fino alle estremità
    della terra” (149)] vi è un insegnamento indiretto
    riguardo al ristabilimento del regno di
    Israele, in quanto nell’eleggere i discepoli co-
    me suoi testimoni fino alle estremità del
    mondo, Nostro Signor Gesù Cristo faceva loro
    capire che NON SI TRATTAVA per Lui
    DI RENDERE ALLA NAZIONE EBREA
    IL SUO REGNO TEMPORALE, ma di
    fondare, tramite il loro ministero apostolico,
    il Regno di Israele spirituale, la Chiesa (Verus
    Israël) che da Gerusalemme avrebbe dovuto
    diffondersi in tutto il mondo.
    Questo è il Regno di Israele che Gesù Cristo
    è venuto a fondare, Regno delle anime,
    Regno dei Cieli: la Chiesa qui in via, e il Paradiso
    in Patria! Nessun accenno ad uno Stato
    di Israele che riapparirà a Gerusalemme.
    Alla obiezione spontanea che attualmente
    Gerusalemme è nuovamente la capitale di
    uno Stato ebraico, che la Palestina è il Regno
    d’Israele occorre dare una risposta ampia
    e articolata.
    Il fatto che Dio abbia permesso il ritorno
    di una gran massa di ebrei in Terra Santa
    non solo non contraddice le profezie di Gesù
    Cristo ma LE COMPIE, in quanto le
    Scritture ci parlano, anche della conversione
    di Israele al Cristianesimo. E Mons. Lémann
    stesso vedeva in tale movimento verso la Palestina
    una PREPARAZIONE AL RAGGRUPPAMENTO
    imponente di ebrei che
    sarà necessario perché LA LORO CONVERSIONE
    IN MASSA appaia EVIDENTE
    AL MONDO INTERO.
    E il ritorno in massa del popolo ebraico
    nella Terra Santa implica veramente la realizzazione
    STRETTA E FORMALE del
    Sionismo? Prima della sua conversione al
    Cristianesimo il popolo ebraico ritroverà il
    possesso COMPLETO ED INDIPENDENTE
    del paese dei suoi avi? La storia fino ad
    ora ha risposto. Il possesso non è PIENO,
    COMPLETO ed ESCLUSIVO. Inoltre lo
    Stato di Israele per essere VERO E LEGITTIMO
    Regno d’Israele dovrebbe essere teocratico
    ed avere perciò il terzo Tempio. Ora,
    come affermano tutti gli ebrei ortodossi, il
    Sionismo attuale non è riuscito a far rivivere
    tale stato di cose, anzi non ha voluto neppure
    provarci per principio; pertanto lo Stato di
    Israele è soltanto MATERIALMENTE, ma
    non FORMALMENTE, il Regno sognato
    dai talmudisti. Inoltre gli ebrei non hanno
    ancora il pieno possesso della Terra Santa,
    che devono spartire, in stato di guerra continua,
    con lo Stato palestinese (150).
    Secondo Mons. Lémann, anche DOPO
    LA CONVERSIONE AL CRISTIANESIMO,
    gli ebrei non potranno ristabilire il Re-
    38
    gno d’Israele, non saranno cioè rimessi da
    Dio nel paese dei loro avi in cui godranno la
    pace più profonda, perché il ritorno di Israele
    nella terra promessa deve essere interpretato
    in senso spirituale e metastorico, cioè
    come la conversione e il rientro d’Israele
    nella Chiesa di Cristo, il Verus Israël.
    Altri esegeti affermano invece che Israele
    sarà ristabilito in Palestina e che vi formerà
    uno Stato [cristiano, dal momento che
    si parla di Israele convertito] (151).
    La conversione futura degli ebrei è ammessa
    comunemente dai teologi cattolici, tra
    i quali alcuni affermano che gli ebrei, ritornati
    a Cristo e incorporati alla Chiesa, saranno
    ricondotti provvidenzialmente in Palestina
    dove restaureranno Gerusalemme ed anche
    il Tempio, ma in onore di Gesù Cristo.
    S. Beda afferma, ad esempio: “Quando
    Israele si convertirà non è temerario sperare
    che ritornerà sul suolo dei suoi padri, che riprenderà
    il possesso di Gerusalemme per
    abitarvi” (152). Questa opinione tuttavia, anche
    se riprende quelle profezie che annunciano
    il ristabilimento del Regno d’Israele
    ed è seguita da alcuni esegeti, sembra rinnovare
    nel fondo l’errore del Giudaismo talmudico,
    che si ferma al significato letterale
    delle profezie senza coglierne quello spirituale.
    Anche l’opinione che gli ebrei convertiti
    ricostruiranno il Tempio in onore di Gesù
    Cristo è respinta da Mons. Lémann in
    quanto contraria a tutta l’economia del
    Nuovo Testamento: infatti il Tempio aveva,
    oltre la destinazione immediata al culto divino
    dell’Antica Alleanza, - ormai revocata -
    un significato simbolico (153), era figura del
    TEMPIO FUTURO fondato da Dio stesso,
    la Chiesa romana. Il Santo rappresentava la
    Chiesa militante e il Santo dei Santi quella
    trionfante. Ora che la realtà ha sostituito la
    figura non vi è più motivo di ricostruire un
    Tempio che era eminentemente figurativo.
    LA SORTE DI GERUSALEMME FINO
    ALLA FINE DEL MONDO.
    Su questo argomento esistono due tesi; la
    prima afferma che quando i tempi delle nazioni
    saranno compiuti Gerusalemme non
    conoscerà la convivenza con l’Islàm e diverrà
    una capitale cristiana, mentre l’altra,
    più sicura, asserisce che GERUSALEMME
    SARÀ CALPESTATA FINO ALLA FINE
    DEL MONDO a causa del deicidio.
    Anche le parole di Gesù “Gerusalemme
    sarà calpestata dai pagani, fino a che i tempi
    delle nazioni siano compiuti” (154), vengono
    spiegate in modo diverso: per alcuni significano
    che Gerusalemme cesserà di essere calpestata
    quando il Vangelo sarà predicato ovunque
    nel mondo intero e Israele si convertirà
    divenendo uno Stato cristiano; la maggior
    parte degli esegeti, però, sostiene che Gerusalemme
    sarà calpestata fino alla fine del
    mondo, secondo la tesi di san Giovanni Crisostomo:
    «Mai Gerusalemme gioirà di un
    pieno e tranquillo splendore… Essa presenterà
    sempre i segni della desolazione decretata.
    Se arrivasse l’Anticristo, nell’avvenire, e
    riuscisse a darle uno splendore anticristiano,
    esso sarà soltanto FITTIZIO E PASSEGGERO.
    Credere il contrario significa illudersi…
    Se “l’uomo del peccato, il figlio della perdizione”(
    II Tess. 2,3), per cercare di far mentire
    le profezie, tenterà di rendere a Gerusalemme
    il suo splendore passato, immediatamente
    essa cadrà sotto il colpo di una maledizione
    simile a quella che pronunciò Giosuè
    contro chiunque tentasse di ricostruire le mura
    di Gerico: “maledetto sia davanti al
    Signore”… Lo stesso avverrà per il tentativo
    dell’Anticristo… Per far sparire lo splendore
    che Gerusalemme non deve più conoscere [e
    qui si vede la gravità del piano di Giovanni
    Paolo II in Tertio Millennio Adveniente] (155)
    un miracolo di vendetta divina colpirà l’Anticristo
    e bloccherà il suo braccio» (156).
    ROMA CONTRO GERUSALEMME
    «Vi sono due città quaggiù riguardo alle
    quali le macchinazioni degli uomini resteranno
    impotenti: Roma e Gerusalemme… Roma
    sede del Vicario di Cristo, non cesserà
    mai di esserlo. Leone XIII lo ha proclamato
    una volta di più nella sua Enciclica relativa
    al Giubileo del 1900: “Il segno divino, che è
    stato impresso a questa città, non può essere
    alterato né dalle macchinazioni umane né da
    alcuna violenza. Gesù Cristo Salvatore del
    39
    mondo, ha scelto, sola tra tutte, la città di
    Roma per una missione più alta ed elevata
    che le cose umane, e se l’è consacrata. Ha
    deciso che il trono del suo Vicario vi restasse
    in perpetuo”. Ma se Roma deve restare fino
    alla fine del mondo la sede indistruttibile del
    regno di Cristo e del Papato, Gerusalemme,
    al contrario, non ridiverrà mai la capitale né
    il seggio di un nuovo regno d’Israele. Un
    marchio divino è stato ugualmente impresso
    su di essa, quello del castigo. Né le combinazioni
    umane, né alcuna violenza non saprebbe
    farlo scomparire» (157).
    IL SIONISMO E L’ANTICRISTO
    È sentenza comune dei Padri della Chiesa
    (158) che gli ebrei devono ricevere e acclamare
    l’Anticristo come loro Messia e che Gerusalemme
    non ridiverrà la capitale di uno stato
    ebraico (perfettamente e completamente)
    neanche sotto il Regno dell’Anticristo e grazie
    al suo aiuto. Per ben capire la portata di
    tale asserzione occorre prima risolvere la
    questione di quale sarà la sede dell’Anticristo,
    per la quale esistono due opinioni.
    Secondo la prima l’Anticristo avrà come
    sede del suo regno Gerusalemme; molti sono
    i sostenitori di questa tesi e tra questi S.
    Ireneo (159), Lattanzio (160), Sulpizio Severo
    (161), San Roberto Bellarmino (162), Cornelio
    a Lapide (163), Francisco Suarez (164). Essa si
    fonda sull’Apocalisse in cui san Giovanni afferma
    che Enoch ed Elia, avversari dell’Anticristo,
    saranno uccisi «nella gran città ove
    il Signore è stato crocefisso» (165), cioè a Gerusalemme
    dove quindi l’Anticristo, avrà
    prima posto la sede del suo regno.
    La seconda opinione afferma invece che
    la capitale del regno dell’Anticristo sarà Roma,
    perché, per i sostenitori di questa tesi, il
    testo dell’Apocalisse non si riferisce necessariamente
    a Gerusalemme come sede dell’Anticristo,
    il quale potrebbe ordinare la soppressione
    dei due testimoni in quella città, avendo
    però altrove la sua sede; anzi per opporsi
    meglio a Cristo «NON CERCHERÀ DI
    SOPPIANTARE IL SUO VICARIO, IL
    PAPA?» (166). Coloro che preparano il suo regno
    (gli anticlericali di ogni sorta), sembrano
    averlo compreso molto bene, infatti «è CONTRO
    ROMA che si sono coalizzati, da svariati
    anni gli sforzi dei massoni e degli ebrei,
    questi formidabili preparatori della potenza
    dell’Anticristo. Una volta stabilitosi a Roma,
    “terra di gloria” nulla sarà più facile all’Anti-
    Membri della Brigata Ebraica arrestano dei soldati
    tedeschi alla fine della II Guerra mondiale
    (Foto tratta dall’Encyclopedia Judaica)
    cristo che rendersi a Gerusalemme. E là, in effetti
    che l’attende, secondo la profezia di Daniele,
    la vendetta di Dio» (167).
    Ma anche nel caso in cui l’Anticristo si
    stabilisse a Gerusalemme, non per questo si
    realizzerà il sogno del Sionismo, perché questi
    non avrà come fine quello di ristabilire il
    Regno di Israele e di realizzare così le profezie,
    ma solo di farsi adorare come Dio, per
    cui «…il popolo ebreo, pur acclamandolo in
    un primo momento, dovrà, come tutti gli altri
    popoli, curvarsi sotto il suo giogo: nessuna
    indipendenza nazionale entro il suo impero»
    (168) e aperti gli occhi si convertirà a Gesù
    Cristo guardando Colui che hanno trafitto.
    Per quanto riguarda il Tempio, poi, ci si
    può chiedere se l’Anticristo arriverà a ricostruirlo
    in odio alle profezie di Gesù Cristo e
    per cercare di smentirle o screditarle; alcuni
    Padri ed esegeti, tra cui san Ireneo, san Cirillo
    di Gerusalemme, Suarez, lo affermano, interpretando
    alla lettera le parole di san Paolo
    «arriverà fino a sedersi nel Tempio di Dio, come
    se lui stesso fosse Dio» (169). Molti altri Padri
    invece intendono metaforicamente la parola
    Tempio, che non è quello di Gerusalemme.
    Per san Girolamo «si siederà nel Tempio
    di Dio: vale a dire o in Gerusalemme, o nella
    Chiesa e ciò mi sembra più vero [vel in Ecclesia,
    ut verius arbitramur]» (170). Della stessa
    opinione sono anche san Giovanni Crisostomo
    (171) e Teodoreto che spiega anche il modo
    in cui avverrà: «Ciò che san Paolo chiama
    il Tempio di Dio, sono le chiese nelle quali
    questo empio prenderà il primo posto, sforzandosi
    di farsi riconoscere come Dio» (172).
    Ma pur ammesso che l’Anticristo cerchi di
    ricostruire il terzo Tempio, non per questo si
    avvereranno le speranze del Sionismo, perché
    lo scopo non sarà la gloria di Jahwé, ma il suo
    culto personale in sostituzione di quello di
    Dio. Inoltre «tale tentativo sarà talmente imperfetto
    che il Tempio non sarà ricostruito
    NEL SENSO STRETTO o proprie loquendo…
    Il Tempio non potrà essere ricostruito
    FORMALITER, poiché l’impresa avrà per
    oggetto non il culto del vero Dio, ma quello
    dell’Anticristo. Poiché benché all’inizio, l’Anticristo,
    per ingannare gli ebrei, simulerà di voler
    ricostruire il Tempio per il culto di Dio, in
    realtà e nel segreto del suo cuore, agirà solo
    per la sua gloria e per farsi adorare» (173).
    CONCLUSIONE: L’ATTUALE STATO DI
    ISRAELE È IL REGNO MESSIANICO?
    40
    Il Sionismo attualmente realizzatosi è
    l’avverarsi di un BEL SOGNO o è una CHIMERA?
    Dopo aver visto la risposta
    dell’ebreo convertito Augustin Lémann nel
    1901 esaminiamo quanto affermano oggi storici
    e politologi di diversa estrazione di pensiero.
    Secondo Paul Johnson la nuova Sion
    era stata concepita come risposta all’antisemitismo
    del XIX secolo e pertanto non aveva
    alcun fondamento né fine religioso, ma
    era solo «uno strumento politico e militare
    per la sopravvivenza del popolo ebraico…
    L’essenza del Giudaismo era che l’esilio sarebbe
    finito per un evento metafisico, in un
    momento stabilito da Dio, non per una soluzione
    politica escogitata dall’uomo. Lo Stato
    sionista era semplicemente un nuovo Saul,
    suggerire che fosse una forma moderna del
    Messia era non soltanto sbagliato, ma blasfemo.
    (…) Poteva soltanto generare un altro
    falso messia» (174). Gershom Scholem, grande
    studioso di mistica ebraica, ammoniva:
    «L’ideale sionista è una cosa e l’ideale messianico
    un’altra, e le due cose non hanno
    punti di contatto se non nella fraseologia roboante
    delle adunate di massa che spesso
    infondono nei nostri giovani lo spirito del
    nuovo shabbatismo destinato a fallire» (175).
    «Il Sionismo non aveva posta - secondo il
    Johnson - per Dio come tale… ecco perché
    fin dal principio la maggior parte degli ebrei
    osservanti considerarono il Sionismo con sospetto
    o con decisa ostilità e alcuni …ritennero
    che fosse OPERA DI SATANA… La
    creazione dello Stato sionista non era un reingresso
    ebraico nella storia, un Terzo Stato, ma
    l’inizio di un esilio nuovo e molto più pericoloso…
    Il Sionismo era ‘ribellione’ contro il Re
    dei re …lo Stato ebraico sarebbe finito in una
    catastrofe peggiore dell’olocausto» (176).
    Le ultimissime recenti stragi hanno fatto
    scrivere a Fiamma Nirestein: «SMARRIMENTO.
    Israele, che ha per pietra angolare
    il concetto della sicurezza dello Stato ebraico,
    che è nato deciso a riscattare per sempre la
    storia giudaica dal sentimento di inevitabile e
    continuo pericolo, si trova forse per la prima
    volta dal 1948, anno della sua fondazione, a
    non sapere che fare, a percepire, a causa degli
    attacchi omicidi-suicidi che si susseguono
    implacabilmente, un senso di vuoto, di perdita,
    di SMARRIMENTO appunto» (177).
    Lo stesso disagio evidenzia, sempre su
    La Stampa, Avraham Ben Yehoshua:
    «L’INCUBO: ebrei contro ebrei: Torna
    l’antico spettro della guerra civile.
    Negli ultimi tempi la stampa israeliana
    dedica molto spazio all’eventualità di una
    guerra civile. Il trauma di una guerra fratricida…
    si accompagna al ricordo della perdita
    della sovranità… Nell’anno 70… Gerusalemme
    fu conquistata… ma alla disfatta militare
    conribuì una guerra fratricida… combattuta
    tra coloro che si erano scelti per nome
    ‘zeloti’ e i cosiddetti ‘sadducei’. Questa guerra
    interna indebolì lo Stato ebraico e preparò
    il terreno alla sconfitta militare definitiva,
    ed è per questo che ogni sintomo di possibile
    lotta di questo genere risveglia un ricordo
    doppiamente traumatico… In fondo i
    motivi di divisione erano gli stessi che si riscontrano
    oggi nella società israeliana. Si
    tratta della lotta tra due diversi codici… il
    codice religioso e quello nazionale… Si è
    tornati [oggi] in un certo senso all’antico
    conflitto tra i due codici… non ci si deve stupire
    perciò se tra i più violenti oppositori al
    governo attuale ci sono numerose persone
    che esibiscono la propria religiosità. Sono loro
    gli esponenti di punta di un’opposizione
    che rischia di diventare violenta. Perché il
    codice religioso, che si esprime nella sacralizzazione
    della terra di Israele, ha la meglio su
    quello nazionale… Come per gli zeloti non
    era assurdo ribellarsi contro l’Impero romano.
    Così per i religiosi contemporanei non
    c’è niente di male nel continuare l’assurda
    dominazione su un popolo che rappresenta
    circa il cinquanta per cento della sua stessa
    popolazione senza concedere i diritti civili…
    C’è quindi la possibilità che questi fattori
    [USA e Europa, n.d.r.] contribuiscano ad impedire
    che i sostenitori del codice religioso
    scatenino una guerra civile dagli esiti DIFFICILMENTE
    PRONOSTICABILI» (178).
    «Israele il giorno dopo la grande sciagura
    [la morte di Rabin, n.d.r.]… la grande paura
    degli israeliani ha un nome blasfemo: guerra
    civile. Inutile nascondersi dietro un dito.
    Israele corre e correrà codesto rischio mostruoso,
    devastante, se colui che ha raccolto
    il testimone non agirà in fretta» (179).
    Sembra quasi di cogliere il dubbio o il timore
    che il Sionismo, lungi dal rappresentare
    un magnifico successo, possa trasformarsi
    in un TERRIBILE SCACCO.
    Al termine dell’analisi del Sionismo si ritorna
    al punto iniziale: tutto ciò che riguarda
    il problema ebraico è problema esclusivamente
    religioso: già san Gregorio Magno affermava
    che «coloro che ricusano di credere
    al Redentore si daranno poi …all’Anticristo»
    41
    (180). Il motivo può essere trovato nelle parole
    stesse della Nirenstein: Israele ha rigettato la
    vera pietra d’angolo Nostro Signor Gesù Cristo
    (che avrebbe dovuto riunire gli ebrei ai
    pagani nell’unica chiesa di Dio, come la pietra
    d’angolo fa da base a due muri della casa)
    e ve ne ha sostituita un’altra, il concetto della
    SICUREZZA dello Stato ebraico; ma mai
    l’uomo sarà sicuro se non fonda ogni sua speranza
    in Dio e nel suo Unigenito Gesù Cristo
    (181). Allora la sostituzione di un Messia personale
    con un’idea astratta è alla base dello
    scacco del Sionismo, è la ragione profonda
    della situazione di SMARRIMENTO constatata
    dalla Nirenstein, nonostatnte l’opulenza
    e la potenza attuale dello Stato d’Israele, perché
    il cuore dell’uomo non troverà pace finché
    non riposerà in Colui che l’ha redento e
    che nel Vangelo aveva predetto: «La pietra
    [Cristo] che riprovarono gli edificanti [i giudei]
    è diventata PIETRA ANGOLARE [che
    unisce in una sola Chiesa i due popoli, il pagano
    e l’israelita]. Chiunque cadrà su questa
    si sfracellerà ed essa stritolerà colui sul quale
    cade [cioè colui che per disprezzo l’avrà voluta
    rimuovere]» (182).
    BIBLIOGRAFIA
    Opere di carattere generale:
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    Unicopli, Milano 1993.
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    Milano 1986.
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    e pregiudizio, La Giuntina,
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    - L. CREMONESI, Le origini del Sionismo e la
    nascita del Kibbutz (1887-1920). La
    Giuntina, Firenze 1985.
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    ebraica, Bonacci, Roma 1992.
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    all’emancipazione, Laterza, Bari 1992.
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    ed antisemitismo, La Giuntina,
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    mitisme, Calmann-Lèvy, Paris 1969.
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    Marsilio, Venezia 1992.
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    Milano 1979.
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    Treccani, vol. 31, col.864-866, Roma 1949.
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    Roma.
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    Milano.
    Sulla storia del Sionismo:
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    terra promessa, Bari 1983, Milano 1986.
    - M. BUBER, Sionismo. La storia di un’idea,
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    Roma 1970-75 (2 voll.).
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    Italia, Milano 1972.
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    Casale Monferrato 1991.
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    Neuchatel 1969.
    - JOYCE- KOLKO, I limiti della potenza americana,
    Milano 1975.
    - BIDUSSA, Il Sionismo politico, Unicorpi
    Milano 1993.
    Note
    1) “Negli ultimi venticinque anni del XIX secolo,
    …un nuovo tipo di movimento prese forma nell’Europa
    orientale con l’obiettivo di promuovere il ritorno degli
    ebrei nella terra d’Israele… Molte autorità ortodosse si
    opposero a quanto secondo loro era un’arrogante appropriazione
    del ruolo del Messia… Nel 1890 un giornalista
    viennese, Theodor Herzl, fu inviato a Parigi per riferire
    dell’affare Dreyfus… Herzl, un ebreo non religioso,
    fu indignato dall’antisemitismo… di molti oppositori
    di Dreyfus. Divenne profondamente convinto che non
    42
    poteva esservi libertà e uguaglianza per gli ebrei se non
    nella loro terra. Così Herzl fondò il Movimento sionista,
    un’organizzazione dedicata a promuovere la causa di
    uno stato ebraico in terra d’Israele allora dominato dalla
    Turchia… Durante la prima guerra mondiale (1917)
    la Gran Bretagna emanò un documento in cui appoggiava
    il concetto di Palestina come sede di un focolare nazionale
    ebraico. Così dopo aver conquistato quella terra
    ai turchi, la Gran Bretagna ricevette un mandato sui territori
    della Società delle nazioni… Nel 1947 la Gran
    Bretagna informò le Nazioni Unite di voler abbandonare
    il suo mandato sulla Palestina… l’ONU votò la spartizione
    della Palestina in due stati separati: uno ebraico e
    l’altro arabo e mise Gerusalemme sotto una giurisdizione
    internazionale. I paesi arabi si rifiutarono di accettare
    questa soluzione e cinque di essi mandarono i loro
    eserciti in Palestina appena se ne andarono via gli inglesi…
    La dirigenza ebraica proclamò la nascita dello Stato
    d’Israele al termine della sovranità britannica il 14 maggio
    1948. Le forze militari israeliane riuscirono a sconfiggere
    sul campo gli eserciti arabi, e Israele si appropriò
    di un territorio più vasto di quello previsto dal piano di
    spartizione dell’ONU. Lo Stato ebraico riuscì ad occupare
    anche una parte di Gerusalemme a eccezione della
    Città Vecchia… [essa] ed alcuni territori abitati dalla
    maggioranza di arabi rimasero occupati dalle forze militari
    giordane e furono chiamati la Riva occidentale (West
    bank)… Nel 1967 Israele lanciò una azione preventiva
    contro l’Egitto… Le forze militari israeliane riuscirono
    ad occupare la penisola del Sinai, la Riva occidentale e
    la città vecchia di Gerusalemme, il conflitto durò sei
    giorni. Nel 1973 l’Egitto attaccò le forze militari israeliane
    nel Sinai: in quell’occasione l’esito non fu conclusivo
    come per il passato… l’Egitto era riuscito a rspingere
    un’avanzata israeliana sui suoi territori”. Cfr.R. A. ROSEMBERG,
    l’Ebraismo, storia, pratica, fede, Mondadori,
    Milano 1995, pagg. 170-174.
    2) A. LÉMANN, L’avenir de Jerusalem, Paris 1901, pag. 3.
    3) Che cos’è il Sionismo, a cura del Centro d’informazione
    di Israele, Gerusalemme 1990.
    4) A. LÉMANN, op. cit., pag. 11.
    5) A. LÉMANN, op. cit., pag. 353.
    6) Sodalitium, n° 39, pagg. 58-61; n° 40, pagg. 54-56.
    7) A. LÉMANN, op. cit., pag. 26.
    8) Cfr. M. BLONDET, I fanatici dell’Apocalisse, Il
    Cerchio, Rimini 1992.
    9) A. LÉMANN, op. cit. , pag. 26.
    10) Ibidem, pag. 41.
    11) Ibidem, pag. 43. Si veda anche, a questo proposito:
    L. POLIAKOV, I banchieri ebrei e la Santa Sede,
    Newton Compton, Roma 1974.
    12) Archives isräelites, anno 1862, pag. 309.
    13) A. LEMANN, op. cit., pag, 65.
    14) P. SELLA, Prima d’Israele, ed. L’uomo libero,
    Milano 1990, pagg. 19-21.
    15) P. SELLA, op. cit, pag. 25.
    16) P. SELLA, op. cit, pagg. 26.
    17) P. SELLA, op. cit, pag. 36.
    18) P. SELLA, op. cit, pag. 162.
    19) P. SELLA, op. cit, pag169.
    20) P. SELLA, op. cit, pag. 224.
    21) P. SELLA, op. cit, pag. 234.
    22) P. SELLA, op. cit, pag.240.
    23) Non può non sorprendere a questo proposito,
    l’intervista concessa dall’on. Fini al JERUSALEM POST e
    riportata dal Secolo d’Italia col titolo Abbiamo un amico
    a Roma, a cura di Dennis Eisemberg e Uri Dan, ex
    agente del Mossad e autore di Mossad, 50 ans de guerre
    secrète (Presse de la cité, Paris 1995). Alla dichiarazione
    di Fini che «Gerusalemme deve e può essere solo degli
    israeliani» [4 luglio 1995, pag. 5] gli intervistatori commentano:
    «È davvero raro trovare un uomo di stato europeo
    che non sia impegnato a chiedere a Israele di rinunciare
    ad una parte della sua sovranità su Gerusalemme…
    o di internazionalizzare la città. Il tutto sullo
    sfondo di pressioni del Vaticano».
    24) P. GUZZANTI, Tel Aviv, anima ribelle d’Israele,
    in La Stampa. 15 /7/1995, pag. 9.
    25) A. LEMANN, op. cit., pag. 70.
    26) A. LEMANN, op. cit., pag. 71. Si veda anche Le
    Réveil d’Israël, luglio 1898.
    27) A. LEMANN, op. cit., pag. 71.
    28) Archives israëlites, 23 settembre 1897.
    29) A. LEMANN, op. cit., pag. 77.
    30) Archives israëlites, 20 settembre 1897.
    31) M. Dreyfuss, Gran rabbino di Parigi, in Archives
    israëlites, 23 settembre 1897.
    32) Archives israëlites, 15 settembre 1898.
    33) Cf. Le Réveil d’Israël, ottobre 1899.
    34) A. LEMANN, op. cit., pag. 122.
    35) La croix, 10 marzo 1895.
    36) E. RATIER, Mystères et secrets du B’naï B’rith,
    ed. Facta, Paris 1993.
    37) A. LEMANN, op. cit., pag. 180 .
    38) B’naï B’rith, The first Lodge of England, 1910-
    35, Paul Goodman, stampato dalla Loggia, Londra 1936.
    39) M. Honigbaum, B’naï B’rith journal, giugno 1988.
    40) B’naï B’rith Magazine, supplement, febbraio 1925
    41) E. RATIER, op. cit., pag.183.
    42) E. RATIER, op. cit., pag.188.
    43) E. RATIER, op. cit., pag. 190.
    44) SAMUEL HAPPERIN, The Polittical World of
    American Zionism, edito da Informations Dynamics
    Inc., 1985.
    45) E. RATIER, op. cit., pag. 202.
    46) F. TAGLIACOZZO-B. MIGLIAU, Gli ebrei nella
    storia e nella società contemporanea, La Nuova Italia,
    Firenze 1993, pag. 114.
    47) TEODORO HERZL, Lo Stato Ebraico, Roma
    1955, pag. 77.
    48) F. TAGLIACOZZO- B. MIGLIAU, op. cit., pag. 115.
    49) TOM SEGEV, Le septiem million, ed. Liana Levi,
    Jerusalem, 1991 (1993).
    50) BARBARA SPINELLI, in La Stampa, 27 aprile
    1995, pagg. 1-6.
    51) F. TAGLIACOZZO-B. MIGLIAU, op. cit., pag. 120.
    52) A. LEMANN, op. cit., pag. 136.
    43
    53) S. FERRARI, Vaticano e Israele, Sansoni, Firenze
    1991, pag. 9. Cfr. H. F. KÖCK, Der Vatikan und Palëstina,
    Wien-München, Herold 1973, pag. 40.
    54) PASQUALE BALDI, La Questione dei Luoghi
    Santi in generale, Bona, Torino 1919, pagg. 85-87.
    Cfr. A. BAUDRILLART, Jérusalem délivrée, Beauchesne,
    Paris 1918 ed E. JULIEN, La délivrance de Jérusalem,
    Imprimerimeries reunies, Boulogne-sur-Mer 1917.
    55)S. SAYEGH, Le Statu quo des Lieux Saints, Pontificia
    Università Lateranense, Roma 1971.
    56) S. FERRARI, op. cit., pag. 11.
    57) S. FERRARI, op. cit., pag. 12. cfr. anche: S. I. MINERBI,
    Il Vaticano, la Terra Santa e il Sionismo, Bompiani,
    Milano 1988, pag. 39.
    58) G. VERRUCCI, La Chiesa nella società contemporanea,
    Laterza, Bari 1988, pagg. 10-11.
    59) S. FERRARI, op. cit., pag. 13. Cfr. Anche: G. ALBERIGO-
    A. RICCARDI, Chiesa e papato nel mondo contemporaneo,
    Laterza, Bari 1990.
    60) S. FERRARI, op. cit., pag. 13-14.
    61) S. I. MINERBI, Il Vaticano, la Terra Santa e il
    Sionismo, Bompiani, Milano 1988, pag. 189. Dello stesso
    autore vedasi anche Il Vaticano e la Palestina durante
    la prima guerra mondiale, in Clio 1967, pagg. 433-435, e
    E. FARHAT, Gerusalemme nei documenti pontifici, Città
    del Vaticano 1987, Libreria editrice Vaticana.
    62) Allocuzione Causa nobis, 13 giugno 1921, AAS,
    XII, 1921, pagg. 281-285.
    63) Ibidem.
    64) Su questo argomento vedasi G. CASTELLI CAVAZZANA,
    L’opera per la preservazione della fede in Palestina,
    ed. Cavalieri del Santo Sepolcro, Milano 1933;
    C. CRIVELLI, Protestanti e cristiani orientali, ed. La
    Civiltà Cattolica, Roma 1944, pagg. 397-429;
    Osservatore Romano, 20 novembre 1924.
    65) Cfr. Osservatore Romano 30 giugno 1922.
    66) S. FERRARI, op. cit., pag. 16.
    67) L’Osservatore Romano, 14 novembre 1924,
    “Dalla Palestina. Le avanguardie dei missionari”.
    68) Cfr. L’Osservatore Romano, 15 novembre 1924,
    “Come divenni cattolico. Hans Herzl, figlio del fondatore
    del Sionismo, racconta la sua conversione dal giudaismo”.
    Cfr. Anche: La Civiltà Cattolica 1937, III, pag. 37, “La
    questione giudaica e l’apostolato cattolico”.
    69) La Civiltà Cattolica 1938, VI, pag. 78, “Intorno
    alla questione del Sionismo”.
    70) La Civiltà Cattolica 1922, III, pag. 117, “Il Sionismo
    dinanzi all’opinione dei non ebrei”.
    71) La Civiltà Cattolica 1937, II, pag. 431, “La questione
    giudaica e il Sionismo”.
    72) La Civiltà Cattolica 1934, IV, pag. 136, “La questione
    giudaica e l’antisemitismo nazista”.
    73) La Civiltà Cattolica 1938, II, pag. 81, “Intorno alla
    questione del Sionismo”. Vedasi anche La Civiltà Cattolica
    1924, IV, pag. 487, “Un episodio del Sionismo in Palestina”.
    Cfr. E. CAVIGLIA, Il Sionismo e la Palestina negli
    articili dell’Osservatore Romano e della Civiltà Cattolica, in
    Clio 1981, pagg. 79-90; R. DE FELICE, Storia degli ebrei italiani
    sotto il fascismo, Einaudi, Milano 1961, pagg. 60-61.
    74) Acta Diurna Sancta Sedis, IX, pag. 184, 13 marzo
    1943.
    75) S. FERRARI, op. cit., pag. 20.
    76) La Civiltà Cattolica 1938, II, pag. 76, “Intorno
    alla questione del Sionismo”.
    77) M.J. DUBOIS, The Catholc Viecu, in Encyclopedia
    Judaica Yearbook, 1974, Jerusalem, pag. 168.
    78) S. FERRARI, op. cit., pag. 21.
    79) L’Osservatore Romano, 20 settembre 1921.
    Uri Dan, il giornalista che intervistò anche l’on. Fini
    in compagnia del fondatore e primo
    capo del “Mossad”: Isser Harel
    80) S. FERRARI, op. cit., pag.22.
    81) Lettera del card. Maglione al card. Cicognani, 18
    maggio 1944, in Acta Diurna Sanctae Sedis,IX, pag. 302.
    82) Acta Diurna Sanctae Sedis,XI, pag. 509.
    83) S. FERRARI, op. cit., pag. 42.
    84) Si possono consultare al riguardo:
    G. VANZINI, Il Sionismo e la divinità di Gesù Cristo,
    Artigianelli, Pavia 1933; A. GRASSI, Contributo alla soluzione
    della questione dei Luoghi Santi, Tipografia dei
    Padri francescani, Gerusalemme 1935;
    dalla Civiltà Cattolica: La rivoluzione mondiale e gli
    ebrei, 1922, IV, pag. 111 e segg.; Il pericolo giudaico e
    gli Amici d’Israele, 1928, II, pag. 342 e segg.; La questione
    giudaica, 1936, IV, Pagg. 37-88; la questione giudaica
    e il Sionismo, 1937, II, pagg. 418-99;
    G. DE VRIES, Cattolicesimo e problemi religiosi nel
    prossimo Oriente, Roma 1944, La Civiltà Cattlica.
    85) L’Osservatore Romano, 28 maggio 1948. Già il
    14 maggio, giorno della nascita di Israele aveva scritto:
    «Il Sionismo moderno non è il vero Israele biblico, ma
    è uno stato laico… è perciò che la Terra Santa e i luoghi
    sacri appartengono al cristianesimo, vero Israele».
    Vedasi anche J. PARKERS, Il problema ebraico nel
    mondo moderno, Nuova Italia, Firenze 1953 e G. LOGIUDICE,
    L’essenza dell’Ebraismo liberale, in Civiltà
    Cattolica, 1952, III, pagg. 411-15.
    86) F. TAGLIACOZZO, op. cit., pag. 192.
    87) M. BLONDET, I fanatici dell’Apocalisse, Il Cerchio,
    Rimini 1992, pag. 26.
    88) E. RATIER,Les guerriers d’Israël, ed. Facta, Paris
    1995, pag. 29.
    89)Cfr. J. SCHECHTMAN, The Jabotinsky-Slavinsky
    agreement, Jewis Social Studies, ottobre 1955.
    90) Cfr. P. GINIEWSKI, in Cactus, maggio 1991.
    91) E. RATIER, op. cit., pag. 39.
    92) E. RATIER, op. cit., pag. 41.
    93) E. RATIER, op. cit., pagg. 41-42.
    94) Il Bétar, presentato ufficialmente a Parigi [dove il
    25 aprile 1925 era stata fondata anche l’Alleanza dei Sionisti
    revisionisti] il 5 dicembre 1929 col nome di Berich
    Trumpledor-Jeunesse sioniste révisioniste, è nato dal Movimento
    sionista revisionista fondato nel 1923 da Jabotinsky
    a Riga. «Il Bétar… è oggi per la gioventù la struttura
    militare del partito HÉRUT, che deriva a sua volta dal
    TAGAR, organizzazione che ha il compito di proteggere
    manu militari le comunità». (L’événement du jeudi, 26 settembre
    1991). Tagar in ebraico significa sfida; in Francia
    rappresenta l’organizzazione più militante del Bétar e
    riunisce esclusivamente studenti dai diciotto ai ventitre
    anni. La sua sede parigina è nello stesso edificio del Bétar,
    59 Boulevard de Strasbourg, Xeme arrondissement, e
    sulla sua carta intestata figura un’altra organizzazione, il
    Movimento degli studenti sionisti (che è in realtà il Tagar
    stesso). Secondo Emanuel Ratier è un’organizzazione paramilitare
    i cui membri hanno il diritto di indossare
    l’uniforme; possiede inoltre un suo giornale, il Cactus, che
    esce solo sporadicamnete e a cui collabora il giornalista
    ultrasionista Paul Giniewski, autore del libro La croix des
    Juifs (ed. MJR, Genève 1994 di cui ha trattato don F. RICOSSA
    in Sodalitium n° 41, pagg. 42-57). A partire dal settembre
    1992 il Tagar pubblica anche L’Étudiant juif; inoltre
    intrattiene rapporti abbastanza buoni con lo Tsahal,
    l’esercito israeliano.GLI ARGOMENTI DEL BÉTAR
    SONO SIMMETRICI A QUELLI DEGLI ANTISEMITI:
    GLI EBREI NON POTREBBERO MAI ESSERE
    FRANCESI (O TEDESCHI O ITALIANI…) COME
    GLI ALTRI. QUESTO PUNTO E MOLTO IMPORTANTE
    PER GLI ULTRASIONISTI, PERCHÉ DI-
    44
    STRUGGE COMPLETAMENTE OGNI IDEA DI INTEGRAZIONE
    O DI ASSIMILAZIONE E SEMBRA
    CONFERMARE COME IL SIONISMO E L’ANTISEMITISMO
    BIOLOGICO COLLIMINO IDEOLOGICAMENTE.
    L’HÉRUT francese è il rappresentante in
    Francia del partito di Begin e Shamir e riunisce i sionisti
    revisionisti seguaci di Jabotinsky. Fu eretto in associazione
    legale nel 1905 ed è la casa-madre del Bétar-Tagar. Il
    LIKUD (alleanza di diversi partiti di estrema destra) ha
    come elemento motore proprio l’Hérut. Chi controlla ad
    altissimo livello l’autodifesa ebraica è il MOSSAD, il cui
    fondatore Isser Harel ha dichiarato nel 1992, in seguito
    ad alcune manifestazioni dei naziskin tedeschi, che se le
    autorità germaniche sono incapaci di fermare l’ascesa del
    neonazismo: «… perché mai il dipartimento azione del
    servizio segreto israeliano non eliminerebbe lui stesso -
    discretamente - ovunque sia necessario i nuovi adepti della
    peste bruna?» (Le Monde, 26/XI/1992). Harel spiega
    anche come abbia organizzato dei gruppi di autodifesa in
    tutta Europa: «Abbiamo deciso di soccorrere tutte le comunità
    ebraiche nei paesi in cui i governi non potevano o
    non volevano frenare l’ondata antisemita. L’abbiamo fatto
    in Europa e nel mondo intero… creando delle organizzazioni
    ebraiche di difesa. (…) Ciò non è stato fatto in
    coordinazione con le autorità locali, abbiamo preso questa
    iniziativa unilateralmente» (Tribune Juive, 26/I/1993).
    95) E. RATIER, op. cit., pag. 46.
    96) Cit. in E. RATIER, op. cit., pagg.41-42.
    97) E. RATIER, op. cit., pag.50.
    98) Citato in RATIER, op. cit., pag.58.
    Cfr. Y. SHAVIT, Jabotinsky and the Revisionist movement,
    FrancK Cass, 1988;
    A. DIELHOFF, L’invention d’une nation, Gallimard,
    Paris 1993.
    99) Citato in RATIER, op. cit., pag. 60.
    100) E. RATIER, op. cit., pagg. 75-77.
    Cfr. L. BRENNER, Zionism in The age of dictators,
    Corcum Hell, 1983;
    E. BEN ELISSAR, La diplomatie du Troisième reich
    et les juifs, Julliard 1969.
    101) 15/III/1935, pag. 1.
    102) Cit. in E. RATIER, op. cit., pag. 77.
    103) Citazioni da E. RATIER, op. cit., pag. 78.
    104)Cfr. F. NICOSIA, The Third Reich and the Palestine
    Question, Tauris [London] 1985.
    105) E. RATIER, op. cit., pag. 93.
    106) A. DIECK HOFF, L’invention d’une natoin,
    Israël et la modernité politique, Gallimard 1993 citato in
    E. RATIER, op. cit., pagg. 97-98.
    107) Il testo originale è stao pubblicato da D. YISRAELI,
    Le problème palestinien dans la politique allemande,
    Bar Ilan University, 1974.
    108) citato in E. RATIER, op. cit., pag. 98.
    109) Cfr. N. YAHIM-MOR, Israël, La rainessance,
    1978.
    110) Cfr. Yediot Aharonot, 4/II/1983.
    111) Cfr. Jerusalem Post, 18/IX/1983.
    112) L. BRENNER. Zionism in the Age of the Dictators,
    Corcun Hell, 1983.
    113) Cfr. M. COHEN, Du rêve sioniste à la réalité
    israélienne, La Découverte, 1990.
    114) RATIER, op. cit., pag. 66.
    Cfr. la rivista L’idea sionista, in L. Brenner, Zionism
    in the Age of the Dictators.
    115) Cfr. B. MUSSOLINI in Il Popolo d’Italia,
    8/IX/1933 e 17/II/1934.
    116) Cfr. Jewish Daily Bulletin, 1935.
    117) M. BAR ZOHAR, Ben Gurion, le prophète
    armé, Fayard 1966.
    118) Cfr.E. RATIER, op. cit., pag. 68.
    119) Cit. in E. RATIER, op. cit., pag. 70.
    120) R. DE FELICE, op. cit., pag. 174.
    121) F. TAGLIACOZZO, op. cit., pag. 198.
    122) « Mussolini non era mai stato antisemita, almeno
    fino al 1936. Aveva trattato col Sionismo con grande
    apertura e spregiudicatezza, ogni volta che gli era stato
    utile nella sua prospettiva di penetrazione nel Medio
    Oriente e di contrapposizione alla prevalenza anglofrancese.
    Aveva esaltato… il contributo degli ebrei al
    Risorgimento…». Da G. SPADOLINI, Gli anni della svolta
    mondiale, Longanesi, Milano 1990, pag. 250.
    123) R. DE FELICE, op. cit., pag. 159-161..
    124) HANNAH ARENDT, Ripensare in Sionismo in
    Ebraismo e modernità, Feltrinelli, Milano 1993, pag. 26.
    125) HANNAH ARENDT, op. cit., pag. 87.
    126) HANNAH ARENDT, op. cit., pagg. 98-134.
    127) F. TAGLIACOZZO, op. cit., pag. 405-413.
    128) PAUL JOHNSON, Storia degli ebrei, Longanesi,
    Milano 1987, pag. 580.
    129) F. TAGLIACOZZO, op. cit., pag. 419.
    130) PAUL JOHNSON, op. cit., pag. 587-588.
    131) F. TAGLIACOZZO, op. cit., pag. 421.
    132) F. TAGLIACOZZO, op. cit., pag. 438.
    133) ANDREW E LESLIE COCKBURN, Amicizie pericolose,
    Gamberetti editrice, Roma 1993, pagg. 45-46.
    134) Cfr. S. GREEN, Taking Sides, William Mozzow,
    New York 1984.
    135) A. E L. COCKBURN, op. cit.,pagg. 46-47.
    136) A. E L. COCKBURN, op. cit.,pag. 47. Cfr. S.
    GREEN, Living by the sword, Brattleboro, VT, Amana
    Books, 1988, pagg. 217-219.
    137) cfr. M. J. STONE, Truman and Israel, University
    of california press, Berkeley 1990.
    138) A. e L. COCKBURN, op. cit., pag. 49-55, passim.
    139) cfr. U. BIALER, Between East and West, Cambridge
    University Press, New York 1990.
    140) A. e L. COCKBURN, op. cit., pag. 59.
    141) A. e L. COCKBURN, op. cit., pag. 67.
    142) V. OSTROVSKY, Mossad. Un agent des services
    secrets israeliens parle, Presse de la Cité 1990. Il libro
    dell’Ostrovsky, nonostante sia di un agente dei servizi segreti,
    sembra essere attendibile, in quanto - come scrive
    Actualité juive - «Un ex agente del Mossad, Vistor
    Ostrovsky, condannato a trent’anni di prigione per contumacia,
    persegue legalmente una catena di televisione candese…
    “per incitamento all’omicidio” Vistor Ostrovsky è
    l’autore di due libri di successo sul Mossad, basati su cinque
    anni passati nei servizi israeliani… La suddetta catena
    televisiva denunciata dall’Ostrovsky riceveva il 5
    ottobre 1994 il giornalista israeliano Yosef Lapid che,
    qualche giorno prima aveva scritto sul quotidiano israeliano
    Ma aziv che Ostrovsky non dovrebbe avere il diritto
    di vivere. Durante l’intervista televisiva Lapid ha dichiarato
    che il Mossad non assassinerebbe Ostrovsky per non
    compromettere le relazioni israeliano-candesi.» da Actualité
    Juive, n° 417, febbraio 1995, pag. 13.
    143) Ibidem, pagg. 165-169.
    144) S. ALFONSO MARIA DE’ LIGUORI, Passione di
    Nostro Signor Gesù Cristo, Alfonsianum, Roma 1934,
    pagg. 188-189.
    145) A. LEMANN, op. cit., pagg. 177-8.
    146) S. GIOVANNI CRISOSTOMO, Homiliae contra
    Judeos. Cf. V. MESSORI, Pati sotto Ponzio Pilato, Sei,
    Torino 1992 e M. BLONDET, I fanatici dell’Apocalisse, Il
    Cerchio, Rimini 1992.
    147) F. SPADAFORA, Gesù e la fine di Gerusalemme,
    45
    Istituto Padano di Arti Grafiche, Rovigo 1950.
    148) Atti, I, 6.
    149) Atti, I, 7-8.
    150) Cfr. J. PIGNAL, Le Sionisme palestinien et, son
    attitude religieuse, in Christus, Lyon 1935, pagg. 482-507.
    151) Cfr. T. DE SAINT JUST, Les frères Lémann juifs
    convertis, Duculot, Gembloux 1937, pag. 442.
    152) BEDA, In Luc. XXI, 24 In Rom. XI, 25-26.
    153) S. TOMMASO D’AQUINO, Summa Theologica,
    1a 2æ q 102 a 2.
    154) Lc. XXI, 24.
    155) Giovanni Paolo II nella Lettera Apostolica spiega
    che stiamo per entrare nel terzo millennio della Nuova
    Era e che il Concilio Vaticano II è stato l’avvenimento
    che ha dato inizio alla preparazione del Giubileo del
    secondo millennio. «Con il Concilio è stata come inaugurata
    l’immediata preparazione al gran giubileo del Duemila
    » (Tertio Millennio Adveniente, n° 20). Il Concilio è
    una specie di “Avvento” che ci prepara alla venuta del
    Messia (come se il Messia non fosse già venuto nella persona
    di Gesù Cristo!). La preparazione dell’anno duemila
    è una chiave ermeneutica per capire le encicliche di
    Giovanni Paolo II, per il quale «il Giubileo consisterà
    nel visitare tutti quei luoghi che si trovano sul cammino
    del popolo di Dio dell’Antica Alleanza» (Ibidem, n° 24),
    che per Giovanni Paolo II «non è stata mai revocata»
    (cfr. N. LOHFINK, L’alleanza mai revocata, Queriniana,
    Brescia 1991). Il Duemila dovrà essere accuratamente
    preparato con una fase PREPARATORIA (dopo quella
    IMMEDIATA del Concilio Vaticano II) articolata in
    due fasi: a) «…una prima fase di sensibilizzazione dei fedeli
    », dal 1994 al 1996 con carattere ANTEPREPARATORIO
    (n° 31), che «dovrà servire a ravvivare nel popolo
    cristiano la coscienza del valore e del significato che il
    Giubileo del Duemila riveste nella storia umana». In
    questo periodo non solo si è creato un apposito Comitato
    di studio, ma « …è giusto che… la Chiesa si faccia
    carico… del peccato dei suoi figli… in tutte quelle circostanze
    in cui si sono allontanati dallo spirito di Cristo…
    Tra i peccati che esigono… conversione devono essere
    annoverati… quelli che hanno pregiudicato l’unità voluta
    da Dio per il suo Popolo». (Come se la Chiesa non
    fosse più UNA come recita il Credo!). Tale periodo servirà
    a superare le divisioni del secondo millennio della
    storia della Chiesa. L’altro peccato di cui si deve chiedere
    perdono è il ricorso a «metodi di intolleranza… nel
    servizio della Verità» (n° 35). Questi peccati dei cattolici
    «ne hanno deturpato il volto [della Chiesa], impedendole
    di riflettere pienamente l’immagine del suo Signore» (n°
    35). La Chiesa anteconciliare quindi non è pienamente la
    Chiesa di Cristo e ciò per almeno un millennio!
    La seconda fase propriamente preparatoria va dal
    1997 al 1999. Nel primo anno (1997) si rifletterà su Gesù
    Cristo, nel secondo sullo Spirito Santo e nel terzo sul
    Padre, il tutto alla luce del dialogo specialmente con
    ebrei e musulmani (che negano il Padre il Figlio e lo
    Spirito Santo!). Sono poi previsti incontri comuni a Gerusalemme.
    Il 1999 [e basta capovolgere le cifre per
    avere il numero della Bestia ‘666] è il trampolino di lancio
    per il Giubileo del Duemila «che avverrà contemporaneamente
    in Terra Santa e a Roma (n° 55). «La dimensione
    ecumenica del Sacro Giubileo potrà… essere
    evidenziata da un significativo INCONTRO PANCRISTIANO
    » (n° 55). Se si legge Tertio Millennio Adveniente
    alla luce di quanto la Tradizione ha insegnato
    sulla conversione di Israele, preceduta dall’avvento
    dell’Anticristo, non si potrà non restare terrificati.
    156) A. LÉMANN, op. cit., pag. 333.
    46
    157) Ibidem, pagg. 333-334
    158) Cfr. Sodalitium,n° 21, pagg. 3-14.
    159) S. IRENEO, Adversus Haereses, lib. V, cap. 25.
    160) LATTANZIO, Institutiones, lib. VI, cap. 15.
    161) SULPIZIO SEVERO, Vita Sancti Martini, dial. II.
    162) SAN ROBERTO BELLARMINO, De romano Pontifice,
    lib. III, cap. 13.
    163) CORNELIO A LAPIDE, In II ad Thessalonicenses,
    Ii in Dom., IX, 27.
    164) FRANCISCO SUAREZ, Disputationes LIV, De
    Antichristo, sectio V, obj. VI.
    165) Apocalisse, XI, 7,8.
    166) A. LÉMANN, op. cit., pag. 220.
    167) A. LÉMANN, op. cit., pag. 220-221.
    168) A. LÉMANN, op. cit., pag. 222.
    169) SAN PAOLO, II Tess. , II, 4.
    170) SAN GIROLAMO, Ad Algasiam, q. II.
    171) II ad Thessalonicenses, II.
    172) TEODORETO, in II ad Thessalonicenses, II.
    173) A. LÉMANN, op. cit., pag. 229-230.
    174) P. JOHNSON, op. cit., pag. 611.
    175) ‘With Gershon Scholem: An Interview’ in W.J.
    Dannhauser, G. S.: Jesus and Judaism in crisis, New
    York, 1976.
    176) P. JOHNSON, op. cit., pagg. 612-615.
    177) Da La Stampa, 10/IV/1995, pag. 7.
    178) La Stampa, 22/VIII/1995, pagg. 2-3.
    179) IGOR MAN, Contro la grande paura, in La
    Stampa, 6/11/95, pag. 1.
    180) Comm. In I Reg., II.
    "Sarà qualcun'altro a ballare, ma sono io che ho scritto la musica. Io avrò influenzato la storia del XXI secolo più di qualunque altro europeo".

    Der Wehrwolf

 

 
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