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    INNAMORARSI DELLA CHIESA
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    Thumbs up Il coraggio di dire quel "SI"

    Dire sì per sempre. La storia di due chiamate

    di Mattia Bianchi/ 24/09/2005

    Due giovani decidono di diventare suore salesiane. Ma cosa c’è dietro una scelta così radicale? La testimonianza di suor Laura e suor Claudia, ordinate durante il meeting di settembre del Movimento giovanile salesiano.

    Dire un sì a Dio per tutta la vita, scegliendo i voti di castità, povertà e obbedienza, all’insegna della spiritualità di don Bosco. Laura Carta e Claudia Squizzato sono due giovani come tante che ad un certo punto della vita hanno deciso di giocarsi tutto per qualcosa di più grande. Domenica 18 settembre, durante il meeting dei giovani salesiani sono state consacrate e i loro sentimenti si sono aperti alla dimensione del sempre. Il portale del Movimento Giovanile Salesiano del Triveneto le ha intervistate, per cercare di capire cosa si nasconde dietro una scelta così radicale.

    Perché proprio suora?

    Laura: Suora…che termine particolare…! Preferisco l’espressione “consacrata”. Sì, perché si capisce meglio che il protagonista in questa avventura è il Signore che mi ha voluta, creata, chiamata e “consacrata”. É come se mi avesse chiesto: “Laura, io ti voglio tutta per me, che ne dici?”. Una domanda impegnativa alla quale ho “balbettato”: «Sì».

    Claudia: Beh, non nascondo che ci è voluto un po’ prima di convincermi che questo “abito” poteva essere il mio. Le suore mi sembravano tanto strane... ma in realtà le guardavo da lontano, e penso anche con qualche pregiudizio. Quando ho cominciato a condividere con loro, oltre che con i salesiani, la passione per i giovani, le ho sentite vive e vere ricercatrici di Dio e della felicità dei giovani... Questo era quello che cercavo: un “luogo” dove poter donarmi con infinita gratuità a Dio per i giovani!

    Perché proprio 'salesiana'?

    Laura: Salesiana perché lo “spirito salesiano”, sperimentato per la prima volta a 11 anni all’Estate Ragazzi del Bearzi a Udine, mi ha travolta con la sua allegria contagiosa. Poi, lungo gli anni delle scuole superiori, ho scoperto altre caratteristiche di questo spirito, di questo stile, come l’amorevolezza e l’amore al Signore Gesù che si traducono in fatti concreti dell’animazione: l’attenzione all’incontro personale con i ragazzi, il desiderio di portarli all’incontro con Gesù, il servizio tra gli animatori. Insomma dentro questo stile mi ci sono trovata bene. Qualcuno dice che se scopri nel tuo DNA il “gene salesiano” non puoi fare finta di niente...!

    Claudia: Non poteva essere diversamente... perchè don Bosco mi ha conquistato subito. Ricordo il mio primo corso animatori a Castello di Godego (Treviso); avevo 14 anni: era la prima volta che sentivo di un uomo-santo che aveva amato così tanto i ragazzi, che aveva investito tutte le sue forze per il loro bene... Una cosa straordinaria che io non potevo tenermi dentro... Corsi a dirla a tutti quelli che incontravo!!

    Come hai compreso che questa era la tua vocazione?

    Laura: A questa domanda dovrebbe rispondere il Signore visto che è lui che ha fatto “il primo passo”! L’esperienza di comunità estiva dell’Estate Ragazzi del 1993 (sempre a Udine - avrei compiuto 18 anni qualche mese dopo), è stata per me fondamentale: lì ho incontrato il Signore. Ma dove, quando, come? In due luoghi particolari: in chiesa e nel cortile. In chiesa al mattino nella preghiera delle lodi e alla sera nella messa. Le parole dei salmi e del Vangelo non erano più distanti, ma erano comprensibili, parole d’amore, indicazioni concrete per trasformare la mia vita; mentre l’Eucaristia, il pane di vita, diventava cibo che mi dava la forza di essere animatrice. Nel cortile incontravo i bambini e i ragazzi e guardandoli cominciavo a desiderare la loro felicità “nel tempo e nell’eternità”, come voleva don Bosco. Da lì è partito tutto. Prendendo ogni giorno sempre più “confidenza” con il Signore, ero felice di incontrarlo nell’animazione. Allora un giorno mi sono detta: “Vorrei dividere il tempo di ogni mia giornata in tre attività: lo studio, l’animazione e la preghiera”. E così è stato…

    Claudia: Premessa: la vocazione, come tutte le cose più belle della vita, ha un qualcosa che non si può dire o spiegare... comunque provo a rispondere. Ciò che mi ha aiutato maggiormente a capire, con la mente e il cuore, qual era la mia vocazione è stato il confronto con la guida spirituale. Da soli tante volte si vede tutto annebbiato, si ha paura ed è più facile scappare di fronte alle difficoltà. Invece il Signore, che conosce la nostra fragilità, si serve delle mediazioni umane per far passare la sua volontà.

    Una scelta per sempre: non ti fa un po' paura?

    Laura: “Per sempre”. Si pronuncia un’espressione del genere con grande trepidazione. Essere fedeli non è facile per nessuno e in nessuna scelta di vita. É meglio tentare di guardare la cosa da un altro punto di vista, lasciare che il Signore sia il protagonista e chiedere a lui che ci renda capaci di far poggiare la nostra “fragile” fedeltà sulla sua fedeltà “eterna”.

    Claudia: Se devo essere sincera... NO. O meglio. ho avuto paura e magari mi verrà in futuro, ma ora posso dire di essere serena della scelta che ho fatto, e soprattutto sicura della fedeltà di Dio. Noi possiamo anche sbagliare, allontanarci da Lui, ma il Signore è fedele per sempre e questo mi da tanta pace.

    A te ragazza che stai pensando a questa vocazione vorrei dire?

    Laura: A te, che stai pensando a questa vocazione vorrei ripetere le parole che a suo tempo mi ha detto un bravo salesiano: «La vita consacrata è una vita di “fascino e rischio”». Rischio perché comincia dove la ragione smette di essere protagonista e lascia il giusto spazio alla fede, all’azione dello Spirito e all’abbandono fiducioso nell’Amore di Gesù. Fascino perché quando il Signore seduce è irresistibile come dice Geremia: “Mi hai sedotto Signore. E io mi sono lasciato sedurre”.

    Claudia: Prova a fidarti! Il Signore non tradisce e il suo amore spalanca il cuore su orizzonti grandissimi e ti rende capace di amare senza misura.

    Per saperne di più: www.donboscoland.it



    www.korazym.org
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  2. #2
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    Le Suore domenicane di Betania

    Domenicane di Betania. Perché?

    Nel 1864 un frate domenicano francese : Fr Marie Jean Joseph è mandato dal suo priore a predicare un ritiro spirituale in un carcere del sud della Francia: Cadillac vicino a Bordeaux.

    Vi erano rinchiuse quattrocento donne condannate ai lavori forzati per i reati più diversi: infanticidio, furto, aborto, omicidio.
    Donne imbrogliate dalla vita e dagli uomini. Donne che avevano inseguito un sogno, una promessa di felicità. Donne che si erano fidate. Ben presto però la realtà presentò il suo conto.
    Venendo dalla campagna alla città molte di loro si resero conto che l'amante le aveva ingannate: aspettavano un figlio spesso indesiderato che ricordava loro l'uomo che le aveva tradite e la fame con i suoi morsi spingeva a rubare. Altre sono state travolte da delitti di ogni genere.

    Per loro si aprivano le porte del vecchio castello di Cadillac, trasformato in carcere durante il passaggio dall'agricoltura all'industria. Silenzio perpetuo, lavori forzati, poco cibo e poco sonno erano la loro quotidianità. Molta la disperazione, molti i suicidi.

    Nel tentativo di umanizzare questa situazione viene chiesto l'aiuto dei domenicani di Bordeaux per predicare un ritiro spirituale.
    Il priore chiede a fr. Marie Jean Joseph di predicare questo ritiro. Lui conosce quel luogo quella zona di silenzio che circondava l'area della piazza e del castello.

    Lui, nativo di Cadillac, sapeva bene i pregiudizi e il disprezzo per quelle donne, aveva respirato fin da piccolo quest'aria.
    Come predicare un Dio che salva, un Dio che ama, che non giudica, in un contesto di tale sofferenza?

    Nel settembre 1864 P. Lataste, era entrato alle quattro e trenta del mattino nel carcere di Cadillac per predicare un ritiro a quattrocento donne condannate al silenzio perpetuo e ai lavori forzati.
    Entra con timore e tremore pensando che sarebbe stato inutile predicare un Dio d'amore in quel luogo di disperazione e di solitudine.

    Inizia: "Carissime sorelle". E loro, donne avvilite rialzano la testa. Sorelle? Loro? Loro che la società disprezza, loro il cui destino è segnato per sempre dall'esclusione dalla società civile e dalla chiesa.

    Quel giovane domenicano, prete da un anno soltanto, non ignaro della vita e del male, svela loro una verità che riabilita: nel cuore di Dio quale differenza c'è fra lui che è prete e loro che sono donne "da poco"? Nessuna. Dio ama entrambi di un amore unico, particolare. Il suo amore ha redento e perdonato entrambi. E' di questo amore che parlerà loro P. Lataste, nel breve spazio di quattro giorni.

    La misericordia è per oggi, la conversione può aspettare domani. Questo il cuore della predicazione di P. Lataste. La predicazione dell'epoca era di ben altra tendenza: prima la conversione, poi la penitenza, e poi, ma solo poi la misericordia. "È oggi che Dio vuol darvi il suo amore, oggi che vuol aprirvi le sue braccia di Padre, oggi che vi accoglie con tutta la sua tenerezza.
    È nell'oggi che queste donne ritrovano un Dio che non le giudica, che le perdona, che non guarda al passato, ma solo a ciò che sono oggi. Trovano la vera libertà nel fondo del loro essere. Vogliono seguire questo Dio.

    È nell'adorazione notturna, avvenuta alla fine del ritiro che il loro desiderio si fa più tenace, più pressante. E' in quella notte che sperimentano un Dio che siede alla tavola dei peccatori, che viene a cercare la compagnia di donne che nessun uomo vorrebbe mai incontrare. E' qui che osano sfidare il predicatore, che lo spingono alla coerenza concreta. Nel secolo dell'onore francese, donne del genere non avevano posto nella vita religiosa. Bisognava essere irreprensibili. Per Dio invece nessuna differenza… .Qualcosa non quadra!

    Aveva predicato un Dio che non fa differenza; perché avrebbero dovuto continuare a portare il peso del loro passato entrando in una comunità religiosa dove il marchio del peccato sarebbe stato visibile nell'abito diverso che le avrebbe distinte per sempre da chi era stata una ragazza irreprensibile?

    P. Lataste ha un'intuizione: far nascere una comunità dove donne passate per i bassi fondi della vita potessero vivere insieme con donne che non hanno conosciuto il male nelle forme estreme. All'interno della comunità, non si conoscerà il passato le une delle altre. Dall'esterno nessuno potrà distinguere chi è la ragazza per bene e chi è la ragazza da poco, ma tutte saranno unite da quell'unico Amore che solo può dare il coraggio di cambiare vita, che solo può far nascere fiori dal letame.
    Nasce così la prima comunità. Vita fraterna, il lavoro come mezzo per guadagnarsi da vivere, vita di preghiera e di studio, sono il cemento che crea e unisce la comunità. Come a Cadillac in cui quattrocento donne per l'intera notte hanno adorato Cristo Pane di Vita, ancora oggi l'adorazione quotidiana è per noi luogo di guarigione, di rendimento di grazie e di intercessione.

    A Torino

    In due andiamo una volta la settimana al carcere femminile delle Vallette. E, come a Cadillac, cerchiamo dove è possibile, di testimoniare la speranza. Incontriamo le donne che vogliono parlarci. Sono straniere, lontane dalla famiglia, senza nessuno con cui parlare, vi sono anche italiane con situazioni difficili alle spalle. Offriamo a chi lo chiede e compatibilmente con il nostro stile di vita, la possibilità di venire da noi per il tempo dei permessi cui hanno diritto.
    Come le nostre comunità, così la nostra accoglienza non fa distinzione fra chi è "caduta" o "chi è rimasta in piedi". Vengono da noi ragazze che cercano un tempo di ritiro, di preghiera, di accompagnamento spirituale, un clima di silenzio, di adorazione e vengono ragazze che invece hanno bisogno di un luogo in cui la bellezza dell'ambiente, la pace e la semplicità delle relazioni aiutano a ritrovare un po' di serenità, dopo tante tempeste.
    Si può venire da noi anche solo per partecipare ad un momento di preghiera.

    Con il gruppo Abele di don Ciotti

    Da quando siamo a Torino lavoriamo a metà tempo, con il gruppo Abele. Da qualche anno andiamo dal lunedì al venerdì nella comunità alloggio di malati di Aids per preparare il pranzo per i ragazzi e gli operatori. Che cosa abbiamo in comune noi con il gruppo Abele? L'esperienza che l'Amore sperimentato e condiviso fa rinascere le persone…..e di questi miracoli ne vediamo tanti.

    I lunedì sera a Porta Nuova.

    Così sono nati i nostri lunedì sera a Porta Nuova:
    da un desiderio: dare spazi nuovi di condivisione al nostro carisma nella realtà di oggi, qui a Torino, e da una scommessa: un amico incontrato una sera, ormai tardi, a Porta Nuova ci disse: "Venite con me, vado con altri ad incontrare i tossici e la gente che vive a Porta Nuova la notte". All'inizio ci siamo appoggiate ad un altro gruppo dal quale ci siamo però staccate per diversità di impostazione e di modo di relazionarsi con le persone.

    Ora il nostro gruppo è formato oltre che da noi, da alcuni novizi dei Frati Domenicani di Chieri, da una coppia, da una giovane laureata in scienze dell'educazione e da altre persone che si sono aggiunte, tra cui alcuni ragazzi rumeni regolari a Torino.
    Incontriamo la gente che vive la notte intorno a Porta Nuova. Li incontriamo nel loro ambiente naturale: la strada con tutte le sue dinamiche. Siamo noi che andiamo da loro e non viceversa.

    All'inizio pensavamo soprattutto ai tossici, poi strada facendo abbiamo incontrato i senza fissa dimora, le donne, gli stranieri, alcuni uomini italiani in cerca di relazioni sessuali con minori o con giovani stranieri. Insomma il popolo della notte.
    Volevamo e vogliamo accompagnare per un pezzo di strada chi vive la strada, partendo dalla relazione e dal mettere al centro la persona con i suoi bisogni. Il panino che offriamo è il mezzo per entrare in relazione. Abbiamo scoperto che l'importante è esserci, è offrire relazione e lasciare all'altro la libertà di gestire la propria vita. Abbiamo verificato che al momento opportuno il cambiamento avviene anche senza di noi; quando avviene, noi ne siamo spettatrici.
    Non abbiamo mai quantificato e classificato, quanta gente incontriamo, dipende dalle serate. La situazione di ora è diversa da quella che abbiamo incontrato agli inizi.
    La stazione ha buttato fuori chi dormiva dentro, sono stati aperti dormitori intorno a Porta Nuova, la Polizia è più visibile, lo spaccio di droga ha cambiato il suo centro di gravità, i tossici che dormivano all'entrata sono spariti, non c'è più gente ferma, tutti sono di passaggio. Per un inverno siamo andati anche a Porta Susa. Lì sono molte le donne, i minori soli e i malati psichici.
    Non siamo un servizio sociale, i nostri incontri sono informali, ascoltiamo le storie di quelli che incontriamo, la loro disperazione, ma anche il loro bisogno di relazioni umane con persone non del giro o della strada con le quali poter parlare senza quell'intreccio di falsità, di falsa immagine e di rapporti di forza che la strada insegna ad assumere se si vuol sopravvivere e non morire.
    "Hai fame?" chiedevo tempo fa ad un giovane marocchino che si era avvicinato, la sua risposta fu: "Ho fame di relazione, di parlare, e non di pane, anche questa è fame sai?". Chi di noi può dirsi esente da questa fame? Siamo fratelli e sorelle in umanità.


    "Chiunque voi siate, venite da Gesù.
    Egli ha tanta bontà
    e tanto perdono per chi si sente colpevole.
    Ha del balsamo per tutte le ferite,
    dell'acqua per tutti i peccati" P. Lataste

    se ti interessa ci trovi qui:

    Domenicane di Betania
    str. Castello di Mirafiori, 46
    10135 Torino
    tel. Fax 011 34 52 83
    e-mail: domenicane.betania@libero.it
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  3. #3
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    Tre suore domenicane:
    Internet e
    ricerca vocazionale

    4 mila i contatti da luglio ad oggi,
    è anche in italiano e francese



    --------------------------------------------------------------------------------



    Madrid (Spagna) (VID) – Le vocazioni “passano” attraverso Internet? Sì, secondo tre religiose Domenicane della Presentazione, che a Barcellona, in Spagna, hanno dato vita al sito www.mivocacion.com nato nel luglio 2004 e che ha ricevuto finora oltre 4 mila visite.
    All’iniziativa dedica un’ampia presentazione “Ivicon”, il notiziario della Conferenza dei Religiosi e delle Religiose spagnole.
    Le pagine del sito offrono una presentazione della Vita consacrata e dello stile dei religiosi e delle religiose, comprese le “caratteristiche” da cui ognuno può riconoscere come autentica la propria ricerca di Dio.
    Le tre religiose spagnole, in particolare, rilevano, attraverso “Ivicon”, che l’impegno profuso nel promuovere vocazioni “cibernetiche”, dunque attraverso Internet, è particolarmente importante in coincidenza con la giornata del 2 febbraio.
    “Dio – rilevano – si serve di ogni mezzo, anche di ciò che sembra inverosimile, per toccare l’intimo del cuore di ognuno. Parla così attraverso Internet perché naviga nel cuore delle persone e da lì diventa presente”.
    Per prevenire comunque le possibili obiezioni, nel sito si precisa che “non basta” certamente una pagina dedicata alla vocazione a far avvicinare le persone alla Vita Consacrata. Tuttavia può essere un primo stimolo e un “aiuto a cercare, a diventare consapevoli di cosa si sta cercando, a verificare le inquietudini, a cercare ancora”. Da questa ricerca deve comunque partire un “discernimento personalizzato”. Il sito oltre che in spagnolo, è disponibile anche in francese e in italiano.


    Tratto da www.vidimusdominum.org
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    L’EREDITÀ E LE SFIDE

    Ottobre 1965: il Vaticano II promulga il documento «Perfectae Caritatis» Ora un simposio internazionale analizza la strada fatta e quella che attende i religiosi

    Vita consacrata, dal Concilio al futuro

    Rodé: Bibbia, liturgia, fraternità e servizio ai poveri hanno contrassegnato il rinnovamento. Cottier: nel carisma dei fondatori una profezia da attualizzare

    Da Roma Mimmo Muolo

    Tra i record del Vaticano II ce n'è anche uno che riguarda la vita consacrata. «Mai nessun Concilio ecumenico - ha ricordato ieri il prefetto della Congregazione per i religiosi, monsignor Franc Rodé - aveva parlato in maniera così diffusa e profonda di questo importante carisma nella Chiesa, costituendo così il punto di partenza da cui prese avvio la ricca riflessione che portò al sorgere della moderna teologia della vita consacrata».
    Il merito è anche del documento Perfectae Caritatis di cui alla fine di ottobre ricorrerà il quarantennale e che è da ieri sotto la lente di ingrandimento di un convegno organizzato dall'apposito dicastero della Santa Sede.

    Oltre 250 religiosi ed esperti provenienti da tutto il mondo sono riuniti nell'Aula sinodale in Vaticano. Ed è stato proprio monsignor Rodé ad aprire in mattinata i lavori, con uno sguardo panoramico ai quarant'anni trascorsi. «Uno sguardo - ha sottolineato il prefetto - che non può non mettere in risalto i molteplici aspetti positivi del cammino: dall'ampio orizzonte biblico che ha vivificato i fondamenti della vita consacrata, alla riscoperta della liturgia e della lectio divina; dalla vita fraterna che ha trovato freschezza e rapporti di autentica comunione, all'impegno con i poveri che ha portato i consacrati ad essere loro più vicini; dalla riconversione delle opere in favore dei nuovi bisogni dell'umanità, all'inserimento più convinto e propositivo nella Chiesa locale».
    Naturalmente non sono mancate quelle che il prefetto ha definito «tensioni polarizzanti».

    «Istituzione e carisma, separazione e presenza nel mondo, verticalismo e orizzontalismo, disciplina regolare e attività apostolica». Soprattutto ci si è chiesto se il vento di novità sia stato «un'evoluzione, un'involuzione o una rivoluzione».
    Oggi, ha concluso monsignor Rodé prima di dare la parola al cardinale Georges Cottier, rimane quanto mai attuale «l'istanza di un profondo rinnovamento fatta propria dai Padri Conc iliari e rivolta a tutta la vita consacrata».

    Un'istanza che proprio il teologo della Casa Pontificia ha rimarcato e cercato di sviluppare nella sua relazione. Compito dei membri di una famiglia religiosa, ha detto, «è riscoprire il carisma genuino insito nell'intuizione del fondatore o della fondatrice». Questa intuizione, ha spiegato infatti Cottier, «viene da Dio». E anche se la fedeltà a tale carisma «non dev'essere imitazione meccanica, la voce dei fondatori risulta profetica».
    Nel campo delle vocazioni, poi, gli ordini devono mantenere «molta attenzione e discernimento».

    «Ci può essere la tentazione - ha ammonito il cardinale, che appartiene all'ordine dei domenicani - da parte di istituti con scarsità di vocazioni, di accogliere candidati per i quali l'entrata nella vita religiosa rappresenti un elemento di promozione sociale o l'uscita da una condizione di miseria, oppure che pensino così di risolvere i problemi affettivi». Naturalmente simili situazioni vanno evitate.

    Ad ogni modo, secondo il teologo della Casa Pontificia, «ogni forma di rinnovamento non avrà successo se non sarà accompagnata da un parallelo rinnovamento spirituale».

    Infine la questione dell'obbedienza.

    «Chi si trova in situazioni di frontiera - ha osservato il relatore - può percepire il proprio stato come una condizione di solitudine e di abbandono, e alcuni possono cadere nella tentazione di autoproclamare una qualifica di profeta». Contro questi «atti di imprudenza», secondo Cottier, «serve un dialogo aperto con i superiori, mentre i superiori devono ascoltare i sottomessi e far sì che obbediscano spontaneamente e volontariamente».

    Il simposio si chiuderà oggi con la Messa nella Basilica di San Pietro, dopo un attento esame della situazione della vita consacrata nei diversi continenti.

    www.avvenire.it
    Fraternamente Caterina
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