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Il matrimonio tra la donna e l’Eroe dei due Mondi celebrato anche con rito religioso: la conferma da alcune carte provenienti da Montevideo. E rispunta la domanda sulla fede del generale
da Ravenna Quinto Cappelli
Si riapre il caso del matrimonio religioso fra Giuseppe Garibaldi e Ana Maria De Jesus Ribeiro: per tutti Anita. Lo riporta alla luce don Isidoro Giuliani: 84 anni, 57 dei quali trascorsi alla guida della parrocchia di Mandriole di Ravenna, il paese dove il 4 agosto 1849 la ventottenne Anita morì. Ha appena dato alle stampe il libro Anita Garibaldi, vita e morte dove racconta: «Dall’arcivescovo di Montevideo è arrivata una precisazione storica, che non lascia adito ad altre interpretazioni»: il matrimonio tra la donna e l’Eroe dei due Mondi sarebbe stato celebrato anche con rito religioso. Il parroco di Mandriole si è impegnato per anni, in accurate ricerche «per rettificare certe notizie inesatte sulla "parrocchiana" Anita, che, come risulta dal registro parrocchiale dei morti, fu sepolta l’11 agosto 1849, secondo la testimonianza dell’allora curato don Francesco Burzatti». Don Giuliani appurato che il matrimonio di Giuseppe e Anita Garibaldi, celebrato il 26 marzo 1842 nella chiesa di San Francesco d’Assisi a Montevideo, non è solo civile, come sostengono ancora vari storici e garibaldini, fra cui la pronipote Anita Garibaldi Jallet. La prova è arrivata il 18 luglio 1992 dall’arcivescovo di Montevideo. Nel libro del sacerdote viene pubblicato l’atto di matrimonio, redatto in spagnolo e in italiano, la cui lettura aveva in passato sollevato alcuni dubbi, specialmente nel passo dove si diceva che il matrimonio era stato celebrato «in facie ecclesiae» e «non ricevendo le benedizioni». L’arcivescovo di Montevideo, su questo nodo, ha precisato alcune cose, messe in evidenza anche da don Giuliani. «La prima espressione – scrive commentando l’atto – significa che il matrimonio fu contratto d’accordo con la legislazione canonica e che esso ha valore di sacramento, matrimonio religioso con tutti i diritti e doveri che ne derivano. La seconda espressione significa che i coniugi non hanno ricevuto la benedizione, che s’impartisce dopo il Padre Nostro, in quanto tempo di Quaresima. Però tale benedizione non è essenziale nella celebrazione del matrimonio religioso, che deve essere considerato valido». Una terza prova consiste nel fatto che all’epoca dei fatti la celebrazione del matrimonio aveva valore civile e religioso, in quanto in Uruguay il «Registro civile» fu creato solo nel 1879, ben 37 anni dopo il matrimonio dei coniugi Garibaldi. Secondo don Giuliani, moli altri fatti dimostrano la «fede cristiana» dell’Eroe dei due Mondi e dell’amata sposa: l’aver fatto battezzare i cinque figli, l’aver fatto celebrare tre messe per Anita morente dai frati cappuccini di Pietrarubbia in provincia di Pesaro; la sepoltura di Anita, prima nel cimitero (11 agosto 1849) e poi (nel 1859) all’interno della chiesa parrocchiale di Mandriole, da dove il 23 settembre 1859 lo stesso Garibaldi coi figli Menotti e Teresita, prelevò i resti mortali di Anita. A proposito di quest’ultimo episodio, scrive l’autore della ricerca: «Il ritorno a Mandriola riempì di commozione il generale. Il parroco, don Francesco Burzatti, che aveva accettato con spontanea complicità e senza alcuna richiesta alla Curia di Ravenna la traslazione delle spoglie in chiesa, pose la bara di Anita sul catafalco. Una bimba offrì al generale una piccola corona di fiori, che egli, grato, sistemò sopra la cassettina. Quindi s’inginocchiò e rimase nel più profondo e religioso silenzioso, per circa un quarto d’ora». E poi tutti partirono per Nizza. Proprio questa scena è stata immortalata dal pittore Erulo Eruli in una grande tela, esposta nel Museo del Risorgimento di Torino: nel quadro il parroco ravennate ha riconosciuto vari particolari della chiesa di Mandriole, fra cui la croce astile che si conserva ancora oggi. Nel cimitero di Nizza le spoglie di Anita restarono fino al 1932, anno nel quale Mussolini le fece prelevare per collocarle nel monumento a lei dedicato al Gianicolo di Roma. Altro capitolo. Don Giuliani respinge anche la tesi della morte di Anita per strangolamento per mano dello stesso marito e di altri garibaldini con lo scopo di sbarazzarsi di lei. Il sacerdote accetta la tesi della «morte naturale» per malaria. Chi è, allora, Anita Garibaldi? «Il bisogno di essere accanto al suo consorte – risponde don Giuliani – fu più forte di lei e questo sentimento di sposa l’accompagnò dall’Uruguay fino all’epilogo della sua vita, a Mandriole. Anita fu certamente donna coraggiosa e moglie devota e appassionata. Ma dobbiamo rifiutare le numerose invenzioni romanzesche, che hanno riempito gli spazi vuoti di notizie certe».
da "Avvenire"