MODELLI DI VITA
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Curato d’Ars, prete delle piccole cose
Nel centenario della beatificazione alla Lateranense giornata di studio su san Giovanni Maria Vianney esempio per tutti i sacerdoti Il rettore Fisichella: «Un uomo
totalmente conformato a Cristo»
Da Roma Federica Cifelli
Una santità vissuta nel quotidiano del proprio ministero. In un sacerdozio semplice ed essenziale, intimamente radicato nella comunione, anzi, nella conformazione totale a Cristo. È l'eredità più grande che il Curato d'Ars, san Giovanni Maria Vianney, consegna anche oggi ai sacerdoti, ai parroci di cui è patrono, e a tutta la Chiesa. Lo ha ribadito Rino Fisichella, rettore della Pontificia Università Lateranense, aprendo la giornata di approfondimento dedicata all'attualità spirituale e pastorale del Curato d'Ars, promossa dall'Università insieme alla parrocchia romana di San Giovanni Maria Vianney nel centenario della beatificazione. «Il Concilio Vaticano II - spiega Fisichella - ha riconosciuto chiaramente l'identità del sacerdote in questo donare tutto se stesso in una chiamata alla gratuità che deve testimoniare la gratuità del dono immenso che abbiamo ricevuto». Facendo della propria vita un'offerta, «per Cristo, con Cristo e in Cristo». Per monsignor Marco Frisina, direttore dell'Ufficio liturgico del Vicariato di Roma, in questa dossologia è racchiuso «tutto il senso del nostro ministero sacerdotale, che il Curato d'Ars ha vissuto con totale dedizione». Un ministero, il suo, iniziato con l'ordinazione sacerdotale il 13 agosto 1815, in una Francia tormentata e divisa dalle leggi della Rivoluzione. L'alternativa a questo mondo lontano dal Vangelo per Vianney sta nella figura del padre spirituale, don Balley: da lui assorbe la grande tensione mistica, la centralità della preghiera e della penitenza. «Per lui, contadino e figlio di contadini, diventa l'immagine di cosa vuol dire essere "in persona Christi». E questa sua ricerca di una figura di riferimento per capire meglio la vocazione sacerdotale - ha continuato Frisina - è estremamente attuale oggi che quel pensiero tardo illuminista pare aver trovato una seconda giovinezza». Questo stesso vivere «in persona Christi» sarà quello che poi spingerà ad Ars, dove Vianney viene destinato alla morte di do n Balley, migliaia di persone. Le sue tecniche pastorali sono ridotte all'osso: l'accoglienza ininterrotta nel confessionale, che considera un po' la porta della parrocchia, dove incontrare la sua gente e mostrarle il Paradiso; la catechesi; la preghiera eucaristica. «Ma vive tutto sapendo che Cristo agisce in lui, e lasciandolo agire. E questo resta il nostro ruolo anche oggi - ha aggiunto monsignor Frisina -: essere preti configurati a Cristo, è il senso autentico della nostra ordinazione». Non «modernizzare» la figura del prete, dunque, ma renderla sempre viva nell'oggi. Questa la sfida che interpella ogni sacerdote, «il cui ministero deve essere strettamente legato all'esperienza del cuore di Cristo, all'incontro con lui», ha osservato il professore Denis Biju-Duval, preside dell'istituto Redemptor Hominis della Lateranense. Nasce da qui, ha spiegato, anche il profilo del sacerdote «postmoderno», disegnato in buona parte già dal Concilio Vaticano II. Il suo «assumere la modernità per evangelizzarla» è stato infatti profetico anche nei confronti della postmodernità, segnata in maniera sempre più forte «dalla secolarizzazione e dall'ideologia laicista». Di qui l'invito alle moderne generazioni di preti a vivere «rapporti veramente fraterni di comunione umana e battesimale con i laici». Forti di un ministero che coordina apostolicità ed Eucaristia. Su questo si è soffermato il professore Giovanni Tangorra, docente di Teologia sacramentaria all'ateneo del Laterano, che ha ripercorso la storia della dottrina sacerdotale a partire dal Nuovo Testamento. Il punto di approdo è l'idea conciliare del ministero da vivere «in persona Christi", ma anche "in persona Ecclesiae», con quel forte «legame ecclesiologico che evita la clericalizzazione». E il sacramento comunitario per eccellenza, ha continuato il professore, l'Eucaristia: «Celebrarla vuol dire convergere in unità, sapendo di essere il banditore di Dio che convoca la comunità». È questo che fa del sacerdote l'uomo della comunione, al servizio dell'unità.