Come ci hanno insegnato, nella vita non bisogna mai dire mai. E in politica é ancora piú importante non dire mai piú. Ossia sostenere con fretta incauta che un ciclo elettorale, un leader, un blocco di partiti hanno finito per sempre la loro corsa. Ricordo come un incubo la copertina dell'"Espresso" che Claudio Rinaldi ed io decidemmo di fare nella primavera del 1996, dopo la sconfitta di Silvio Berlusconi e la vittoria dell'Ulivo. Presentava il faccione affranto del Berlusca, disegnato con sadismo da Kruger. Il titolo strillava: "The end", la fine. Certo, la fine del berlusconismo, del suo dio in terra, dei suoi vassalli, dei suoi leccapiedi...
Quell' errore non me lo sono dimenticato. E adesso, dopo il boom dell'Unione nelle regionali, sto bene attento a non bruciarmi le dita. Ma mi accorgo che non tutti nel centrosinistra si muovono con la stessa prudenza. Così, allo scopo di aiutare dei cari amici a non fare brutte scivolate sul tappeto rosso della vittoria, indicherò alle Loro Signorie unioniste cinque atteggiamenti sbagliati che bisogna stroncare sul nascere.
Punto primo: troppa euforia. Certi titoloni definitivi stampati dai giornali ulivisti fanno pensare che Romano Prodi stia già a Palazzo Chigi, il che non è. Lo stesso dicasi per molte cronache partigiane, altisonanti, retoriche: roba da Minculpop rosso invece che nero. Anche Prodi deve stare attento a non eccedere. Leggo su "Repubblica" del 10 Aprile il commento del Prof alla notizia che Berlusconi guiderà la campagna del 2006: "E' una buona notizia, così vinco di sicuro". Urca, tocchiamo subito ferro!
Punto secondo: troppa voglia di mettere al bando gli avversari prima ancora di averli sconfitti. Un esempio? L'editto del "Piotta", ossia del deputatone verde Paolo Cento. Il 9 Aprile ha spiegato al "Corriere della sera" che, dopo l'immancabile vittoria del 2006, verranno cacciati dalla Rai questo, quello e quell'altro. Nella lista degli epurandi ci ha messo pure Antonio Socci, che è già stato epurato dai suoi amici del centrodestra. Il quale Socci ha giustamente sparato a Cento una precisazione: in tivù sono fuori da tutto. Guai a seguire il "Piotta": la smarronata è garantita.
Punto terzo: troppa fretta nel designare il futuro governo dell' Unione e dire questo sì e questo no. Sta battendo tutti in velocità il Parolaio Rosso. Mentre non ha ancora contato i voti persi da Rifondazione, ha già deciso che Mario Monti non potrà sperare in nessun ministero, Prodi si schiodi questa idea dal cervello. Fausto Bertinotti ha concesso, con degnazione: "Monti può rimanere anche fuori dall'agone politico ed essere ugualmente rispettabile".
Com'è generoso, lei, buona Fausto! Ma qui siamo già ai prodromi di una tragicommedia politica che, nei prossimi mesi, occuperà a fondo il Bestiario. I lettori mi daranno atto di aver sempre consigliato a Prodi di mollare Rifondazione al suo destino. Qesto partito sarà il verme che si mangerà la mela dell’Unione. Qualcuno mi ha affidato del menagramo. Mi limito a rispondere: lo vedete?, il verme è già all’opera. Aspettate e piangerete.
Punto quarto: troppa furbizia nell’adulare il possibile vincitore. Volete un esempio? La sera di sabato 9 Aprile su La7, nel talk show chiamato “L’infedele", Gad Lerner si è prodotto in una chilometrica intervista a Prodi. Che tipo di intervista? Nel vederla, mi sono detto subito: intervista seduta, in ginocchio, iper-amichevole verso uno zione molto amato, interpellato con il tu e chiamato per nome, Romano, caro Romano… L’esatto contrario di come si dovrebbe interrogare un politico in tivù. Gli odiati giornalisti americani usano ben altro stile. Viene definito “del cane da guardia”, che mostra i denti nell’interesse di chi ascolta.
Lì per lì ho pensato di essere prevenuto contro Lerner, ormai mezzo giornalista e mezzo politico (dell’Unione). Poi ho visto che altri hanno reagito come il sottoscritto. Sul “Corriere della sera”, Daniele Capezzone, segretario dei radicali, è stato velenoso: “Gad Lerner? E’ il nuovo Emilio Fede del centrosinistra”. Fede ha replicato: “Assolutamente no. Io sono più bello, più simpatico e meno fazioso”. Quindi ha aggiunto, al curaro: “Quello che mi assomiglia di più è Gianni Floris, di “Ballarò”.
E qui siamo al punto quinto: troppa voracità nell’immaginare la futura occupazione delle poltrone. Occupazione che si progetta totalitaria, così come sarà certamente totalitario il trionfo unionista nel 2006. Emerge una tentazione che fu già del famoso, e jellato, Cesare Previti: “Non faremo prigionieri!”. Tutto ai vincitori, niente agli sconfitti. Per restare alla Rai, il modello non sarà più Tele-Kabul, bensì Tele-Ballarò, con la moltiplicazione dei Floris. La tivù di Stato diventerà un’immensa Rete Tre, pessimo rimedio allo strazio berlusconista attuale. Ma il troppo stroppia, amici dell’Unione. Attenti a non esagerare, soprattutto prima del tempo.
("Espresso" n° 15, del 25 Aprile 2005)