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Risultati da 1 a 10 di 64

Discussione: Controricordo

  1. #1
    Paul Atreides
    Ospite

    Predefinito Controricordo

    L'INDIA - Profilo storico (di Mario Pepe) // (pagina 2 di 5)

    Nella seconda metà del secolo V l'impero dei Gupta cominciò a indebolirsi per la pressione ai suoi confini nordoccidentali di popolazioni centroasiatiche, gli Efialiti o Unni bianchi; alla fine del secolo V quasi tutta l'India occidentale era caduta sotto il dominio di queste popolazioni. Alla metà del secolo successivo il paese si divise in molteplici regni indipendenti, in lotta tra di loro, divisione che è perdurata sino alla metà del XX secolo. In questo periodo il buddismo fu progressivamente soppiantato dall'induismo, una religione derivata dal più antico brahmanesimo.
    Nella prima metà del secolo VIII iniziarono le invasioni islamiche che portarono inizialmente alla conquista della regione del Sindh; più tardi una più consistente minaccia fu portata dal sultano turco Mahmud (971-1030) che conquistò i regni indù di Kabul e del Punjab ed effettuò numerose incursioni nel territorio indiano. Per circa due secoli i musulmani non tentarono ulteriori penetrazioni in India ma la situazione cambiò quando nel 1192 il condottiero turco Muhammad Ghori sconfisse l'esercito indiano a Tarain e conquistò la vallata del Gange. Da questo momento inizia il predominio musulmano sull'India. Nel 1206 - assassinato Muhammad - prese il potere il mamelucco Aibek che si proclamò sultano di Delhi; nei decenni successivi il dominio musulmano si consolidò e raggiunse la massima espansione intorno al 1330 con Muhammad ibn Tughluq (1325-1351); tuttavia alcuni sovrani indù riuscirono a conservare la loro autonomia pagando tributi ai sultani musulmani. Il potere di questi ultimi era basato su un rigido ordinamento teocratico-militare e su una gravosa imposizione tributaria; ne derivarono gravi tensioni sociali anche per la persecuzione del buddismo: la resistenza all'Islam -che condusse a vere e proprie guerre- si accentrò nel regno indù di Yijanagar. Alla fine del Trecento il potere del sultanato di Delhi e di altri sultanati indipendenti iniziò a declinare, specie per le incursioni e i saccheggi portati tra il il 1398 e il 1399, dall'imperatore mongolo Tamerlano.
    Al dominio turco si sostituì nel 1451 quello della dinastia afghana dei Lodi, sconfitti nel 1527 a Panipat: Delhi cadde sotto Babur, condottiero turco-mongolo, primo sovrano della dinastia Moghul, che fissò la capitale ad Agra. Sotto Akbar (1556-1605) il dominio Moghul si estese a quasi tutta l'India settentrionale, al Deccan, al Kashmir e al Singh. La sua politica fu ispirata a princìpi di tolleranza con il riconoscimento di uguali diritti alle diverse religioni, in particolare agli Indù che furono ammessi all'amministrazione statale. L'ultimo dei Moghul fu Aurangzeb (1658-1707), fanatico sostenitore dell'islamismo e perciò persecutore degli Indù, con la distruzione dei loro templi; ne derivarono rivolte in specie dei Gathi e delle popolazioni del Punjab, con il trasformarsi del movimento dei Sikh da religioso a politico. Alla morte di Aurangzeb l'impero dei Moghul si disgregò rapidamente.


    ADDENDA MIA

    Strano ma vero, quando si parla dell'India in 'Occidente' l'unica cosa che si ricorda è il colonialismo britannico.

    Giusto per fare un pò di ''controricordo'' [cioè un ricordo che mette in primo piano elementi che nel ricordo ufficiale 'occidentale' sono occultati], ecco alcuni sommari elementi delle 'simpatiche' invasioni turco-islamiche in India.

  2. #2
    Paul Atreides
    Ospite

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    LA NAZIONE GUERRIERA AFRICANA

    Shaka: il fondatore della nazione zulu

    nicola zotti





    Shaka (1787-1828) era un figlio illegittimo di un capo zulu, Senzangakona, e di una donna di un’altra tribù, i Langeni, Nandi.

    Come tale condusse un’infanzia particolarmente difficile, in una società che aveva scarsissimo rispetto per i non inseriti in un preciso ordine tribale.

    Uomo di eccezionali capacità, intuì le potenzialità militari dell’organizzazione tradizionale degli Zulu e si adoperò per sruttarle a fondo.

    Conquistò la fiducia del capo della confederazione degli Zulu Mthethwa, Dingiswaio, e portò a compimento la più radicale riforma militare mai intrapresa, in Africa o forse nella storia militare.

    Gli zulu stavano conoscendo un periodo di particolare prosperità. Il loro bestiame era aumentato in misura così considerevole da esaurire i pascoli “dolci” dello zululand. A nord il fiume Limpopo e le mosche tse-tse costituivano un ostacolo impassabile, così come a ovest i Drakensberg, ai piedi dei quali si estendevano poco ospitali pascoli acidi. A sud la coltivazione del mais aveva provocato un incremento della popolazione contadina di quelle regioni, mentre ancora più a sud i boeri della colonia del Capo con la loro aggressività

    In Africa le battaglie consistevano in schermaglie ritualizzate. I due schieramenti si fronteggiavano prendendosi a maleparole, scagliandosi qualche giavellotto e lo scontro terminava al primo sangue. Le morti erano accidentali e costringevano l’uccisore ad abbandonare il campo di battaglia per un periodo di purificazione.
    Shaka in breve tempo trasformò l’organizzazione sociale ordinata e naturalmente gerarchizzata degli Zulu in una terribile macchina da guerra.

    Già prima di lui era stata istituita una forma di irrigimentazione per classi di età, simile al reclutamento per leve. Ma Shaka lo trasformò in un sistema permanente, esaltando in ciascun reggimento (ibutho) lo spirito di corpo con lunghi periodi di addestramento in speciali caserme chiamate amakhanda, impedendo ai guerrieri giovani di sposarsi per poterli mantenere a lungo lontano da casa, e differenziando ciascun reggimento con scudi di colori diversi. Gli Zulu, così, si sposavano normalmente dopo i trent’anni d’età: anche se la cosa non li esentava dal prestare servizio militare, ma solo li inseriva nel ruolo dei veterani.

    L’addestramento delle truppe era durissimo, il fisico degli uomini veniva temprato con esercizi terribili: ad esempio i guerrieri dovevano correre a piedi nudi sulle spine per fortificare le piante dei piedi. E la disciplina era severissima, perché la minima infrazione era punita con pesantissime pene corporali quando non con la morte.

    Shaka innovò anche le armi. Irrobustì gli scudi, in modo che potessero essere utilizzati anche nel combattimento corpo a corpo, e sostituì i giavellotti con una corta e solida lancia che Shaka stesso aveva inventato e chiamato iKlwa: un nome onomatopeico che doveva ricordare il suono che la sua lunga e larga lama produceva quando veniva estratta dal corpo di un nemico.

    Shaka aveva capito che non si potevano vincere battaglie decisive finchè ci si limitava a guardarsi da lontano e addestrò la sua armata allo scontro ravvicinato: la scherma che egli insegnò ai suoi uomini era rudimentale ma efficacissima: un colpo dello scudo del guerriero zulu dato da destra verso sinistra, spostava quello dell'avversario e apriva un varco nella sua difesa consentendo di colpirne il fianco sinistro con la iKlwa.

    Non è tutto: Shaka rielaborò la tattica bantu di avviluppamento alle ali e inventò la cosiddetta “testa di bue”.





    Mentre i guerrieri più anziani schierati al centro (la testa) impegnavano il nemico frontalmente, e una riserva (il collo) rimaneva in posizione arretrata a volte addirittura seduta con le spalle ai combattimenti, i guerrieri più giovani, schierati alle ali (le corna) avviluppavano ai fianchi il nemico.

    In questo modo egli sconfisse nemici molto superiori in numero ed in fama, portando il territorio in suo controllo da poco più di 160.000 km. quadrati a quasi 18.500.000.

    Shaka fu indubbiamente uno tra i più grandi comandanti militari della storia e, se può essere considerato un primato, fu il primo ad avere un'armata interamente composta di donne -- addirittura 10.000 -- nel suo esercito

    Quando Digingswaio fu assassinato, Shaka prese il potere e iniziò un regno di appena 11 anni (anch’egli venne assassinato) durante il quale si calcola che le sue guerre provocarono ben 2 milioni di morti tra le popolazioni conquistate.

    La battaglia di Isandlwana e l’episodio di Rorkes Drift ovvero i fatti che vedete descritti nei film “Zulu” e “Zulu Dawn” sono di più di mezzo secolo successivi alla morte di Shaka e riguardano la guerra tra il britannico lord Chelmsford (che assomiglia terribilmente a Peter O’Toole, solo con la barba) e il nipote di Shaka, Cetshwayo.


    ADDENDA MIA

    Anche in questo caso, del Sudafrica nel ricordo 'occidentale' si trattiene solo l'apartheid boero.

    Ma gl'immensi stermini di Shaka sono totalmente sottaciuti. La ''difaqane'' zulu è stata rimossa. E' il caso, allora, di ''controricordare''...

  3. #3
    Paul Atreides
    Ospite

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    Un altro clamoroso esempio è la Spagna.

    Tutti ricordano le espulsioni in massa di ebrei e musulmani sotto il regno di Ferdinando d'Aragona ed Isabella di Castiglia .

    Ma quanti ricordano le analoghe espulsioni di ebrei e cristiani durante il dominio in Spagna della dinastia Almohade? Quanti sanno che le stesse opere 'metafisiche' di Averroè vennero date alle fiamme dagli Almohadi? Quanti sanno che la stessa famiglia di Maimonide fu costretta a lasciare la Spagna a causa delle persecuzioni degli Almohadi?

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  4. #4
    Paul Atreides
    Ospite

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    Altro esempio

    Riguardo la Cina, tutti ricordano i cattivi colonialisti anglo-francesi e le due guerre dell'oppio [la prima combattuta solo dagli inglesi 1840-1842 e la seconda dagli anglo-francesi 1858-1860] e la repressione, ad opera di un contingente internazionale, della rivolta dei boxers.

    Ma chi ricorda che la rivolta dei T'ai-p'ing [1850-1864], scoppiata nel Kwangtung-Kwangsi e sfociata nella conquista di Nanchino e nella proclamazione del ''Regno celeste della grande pace'', fece qualcosa come 20 milioni di morti tra i cinesi?

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  5. #5
    Paul Atreides
    Ospite

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    Islam schiavista

    Dal Niger al Sudan, la schiavitù continua a essere praticata e giustificata in nome del Corano. A rilanciare l’allarme sono i vescovi dell’Africa nera, un reporter italiano e una baronessa inglese della House of Lords


    di Sandro Magister


    ROMA – Iosephina Bakhita, la prima santa del Sudan, canonizzata da Giovanni Paolo II nel 2000, era stata da giovane una schiava, venduta e rivenduta sui mercati di El Obeid e Khartoum. Ebbe la fortuna di finire in Italia. Quando fu liberata e si fece battezzare correva l’anno 1890.

    Ma oggi, a più di un secolo di distanza, tra il Sahara e il Nilo di schiavi ve ne sono ancora. Ed è uno schiavismo soprattutto di matrice islamica, erede della tratta che per secoli trasferì a forza dall’Africa sub-sahariana verso le terre arabe e musulmane da 11 a 14 milioni di africani.

    Di questa tratta poco si è studiato e poco si dice, a differenza di quella che si diresse verso le Americhe. L’ultima assemblea generale delle conferenze episcopali cattoliche dell’Africa, tenuta a Dakar nell’ottobre del 2003, vi ha dedicato una sessione, introdotta da affermazioni come questa:

    “A lungo le analisi su questo tema sono state poste all’indice. Una causa della paralisi di questa coscienza storica è stato l’atteggiamento di molti intellettuali e governanti musulmani riguardo alla tratta trans-sahariana. Per ragioni di sensibilità religiosa non vogliono riconoscere adeguatamente la responsabilità araba e islamica in questo dramma, i cui effetti nefasti continuano tutt’ora. Oggi nel mondo arabo il termine nero significa semplicemente schiavo. Le tracce del commercio trans-sahariano formano strade geografiche che portano nel Maghreb e nel Medio Oriente”.

    * * *

    Ieri come oggi. Su una di queste strade – attualmente percorsa da africani che da Senegal, Mali, Guinea, Costa d’Avorio, Ghana, Benin, Togo, Nigeria, Camerun convergono sul Niger e da lì, da Agadez (nella foto la moschea), affrontano il deserto fino alle coste della Libia per poi raggiungere l’Italia e l’Europa – l’inviato del “Corriere della Sera” Fabrizio Gatti s’è imbattuto in casi di schiavitù da XXI secolo, e ne ha dato conto in un reportage pubblicato in cinque puntate tra il 24 dicembre 2003 e il 2 gennaio 2004 sul maggior quotidiano italiano.


    Sull’attuale rotta trans-sahariana degli emigranti, l’epicentro della schiavitù è l’oasi di Dirkou, nel Niger, appena passato il deserto di Téneré. I clandestini vi arrivano senza più un soldo, derubati di tutto dai militari del Niger nei frequenti posti di blocco. E allora, scrive Fabrizio Gatti:


    “Per non morire di fame lavorano gratis, nelle case dei commercianti o nei palmeti. Lavano pentole, curano orti e giardini, raccolgono datteri, impastano mattoni. In cambio di una scodella di miglio, un piatto di pasta, il caffè, qualche sigaretta. Volevano arrivare in Italia, sono diventati schiavi. Solo dopo mesi di fatica il padrone li lascia andare, pagando finalmente il biglietto per la Libia: 25 mila franchi, 38 euro e 50. Ma la paura è di finire come quelli che sono prigionieri da più di un anno. Sono diventati pazzi e vivono nella boscaglia”.

    E la filosofia di questa nuova tratta degli schiavi? Un caporale di fanteria, “faccia e cognome arabi”, la spiega così all’inviato del “Corriere”, additando i neri in ginocchio nella sabbia:

    “Noi già pregavamo Allah che quelli ancora suonavano i tamburi e si mangiavano tra loro come animali. Quelli là non sono come noi. Se possono pagarsi il viaggio fino in Italia, vuol dire che sono ricchi. È giusto che lascino qualcosa in Niger, a noi che non abbiamo i soldi per andarcene”.


    Il reporter commenta:

    “È una vecchia storia. Arabi libici e neri hausa del Niger considerano gli abitanti della costa africana semplicemente inferiori. Un tempo attraversavano il Ténéré e il Sahara sulla stessa rotta, per comprarli e rivenderli come schiavi. Adesso li ammassano sui camion peggio delle bestie. Cammelli e capre fanno viaggi di prima classe, a loro confronto. Hanno spazio per sdraiarsi, fieno e acqua. Dei clandestini a nessuno importa se muoiono nel deserto”.


    * * *

    A est del Niger c’è il Ciad. E poi il Sudan, traversato dal Nilo e segnato da una lunga guerra civile tra il nord arabo e musulmano, detentore del potere, e il sud nero e non islamizzato. Nel Sudan, da parte dei dominanti arabi, la schiavitù continua a essere non solo praticata, ma anche teorizzata in nome del Corano.


    Un libro pubblicato a Londra nel giugno 2003 dall’istituto britannico Civitas documenta che in Sudan, in aree a popolazione nera come Bahr El-Ghazal, i monti Nuba, il Sud Kordofan e il Darfur, sono ricorrenti le incursioni di gruppi arabi armati, finalizzate a “uccidere gli uomini e trarre in schiavitù le donne e i bambini”.


    Il libro riporta le testimonianze di donne e ragazzi sfuggiti alla schiavitù e mostra come negli anni Novanta la prassi sia stata incoraggiata dal National Islamic Front, il partito egemone a Khartoum, diretto da un leader di spicco dell’islamismo mondiale, Hassan Al-Turabi:


    “Capi del NIF mobilitavano le tribù arabe, le incoraggiavano a partecipare alla jihad, promettevano loro gli schiavi come bottino di guerra, assicuravano che la schiavitù era giustificata dal Corano come mezzo per convertire all’islam, e fornivano l’appoggio logistico ai raid, con cavalli, armi e truppe”.

    Uno degli autori del libro è la baronessa Caroline Cox, membro ed ex vicepresidente della House of Lords, la camera alta britannica. Nel suo primo viaggio in Sudan, la baronessa Cox arrivò in un villaggio, Nyamlell nella regione di Bahr El-Ghazal, dove poco prima 80 uomini e 2 donne erano stati uccisi e 282 donne e bambini erano stati portati via come schiavi. In seguito fece un’altra ventina di viaggi in Sudan, spesso in aree proibite, raccogliendo una documentazione sempre più vasta.

    Il libro riferisce anche colloqui con mercanti arabi di schiavi. Sostengono che la shari’a, la legge islamica, li autorizza a ridurre in schiavitù i figli e i famigliari degli uomini contro i quali sono in guerra. E affermano di vendere schiavi ad arabi di altri paesi.


    Una ex schiava originaria di Karko sui monti Nuba, Mende Nazer, ha raccontato la sua storia in un libro uscito l’anno scorso in tedesco e ora anche in inglese. Catturata nel 1992, fu prima schiava di una ricca famiglia di Khartoum e poi, dal 2000, di un diplomatico sudanese a Londra, dal quale scappò chiedendo asilo politico.

    __________


    Il libro della baronessa Cox e del direttore di Civitas con in appendice il “case study” sulla schiavitù in Sudan:

    Caroline Cox, John Marks, “The ‘West’, Islam and Islamism. Is ideological Islam compatible with liberal democracy?”, Civitas, London, 2003, pp. 127, £ 6,00.


    ADDENDA MIA

    Effettivamente, tutti ricordano la tratta dei negri organizzata dai bianchi, ma nessuno ricorda l'altra tratta negriera organizzata da arabi e musulmani e diretta verso i paesi arabi e musulmani

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  6. #6
    Paul Atreides
    Ospite

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    E, a proposito di schiavitù, non è ancor'oggi in massima parte rimosso il ricordo delle decine di migliaia di europei ridotti in schiavitù negli emirati barbareschi [la ''Barberia''] di Algeri, Tripoli, Tunisia e Marocco?

    Finalmente, un lodevole controricordo su questa schiavitù è offerto dal capitolo secondo del bellissimo testo di Linda Colley, ''Prigionieri. L'Inghilterra, l'Impero e il mondo. 1600-1850'', Einaudi, 2004.

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  7. #7
    Paul Atreides
    Ospite

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    Vorrei ricordare adesso un fatto troppo poco conosciuto. Il 20 settembre 480 a. C. venne combattuta una battaglia decisiva, quella di Salamina. Ma ''volle il caso che, nello stesso giorno, in Sicilia Gelone e Terone vincessero il cartaginese Amilcare" [Erodoto, ''Storie'', VII, 166]. La battaglia è quella di Imera. E quella data è una delle pagine più luminose della nostra storia. Infatti, nello stesso giorno la civiltà greca salvò se stessa per ben due volte.

  8. #8
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    Thread da mettere in rilievo, auspicabilmente.

  9. #9
    suum cuique
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    Mi associo e me ne vado a letto sperando che domani brilli il Sole.

  10. #10
    Orazio Coclite
    Ospite

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    Pollice in alto per l'ottimo Paul Atreides, e mi si consenta una volta tanto una svergognata e plateale sviolinata (per dirla alla Kit Carson), i cui contributi rimangono una delle principali ragioni per cui frequento questo forum.


 

 
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