NASCITA DELLA LINGUA PIEMONTESE
E SUA TRASFORMAZIONE ATTRAVERSO I SECOLI
L’identità di un popolo è costituita dalla sua cultura e si esprime attraverso la sua lingua naturale.
Il linguaggio naturale è dunque la massima espressione dell’identità del popolo, anzi è l’essenza dell’anima del popolo stesso. La vita di un’etnia continua fino a che continua ad esistere e ad essere parlata la sua lingua. Se questa lingua muore, il popolo non ha più possibilità di esistenza. La lingua piemontese è quindi l’espressione dell’identità del popolo piemontese.
Ma come nasce questa lingua?
Fin dal II° millennio A.C., tutta l’area padana occidentale, quindi il Piemonte, è abitata dai Liguri, un popolo pre-indoeuropeoche qui giunge attraverso varie immigrazioni, dalla penisola iberica. Il termine "Ligure" non ha relazione con la Liguria attuale e va inteso in senso molto più ampio.
Dei Liguri e del loro linguaggio, restano i nomi di alcune località che ancor oggi terminano con suffisso in "asco-a" (Beinasco – Revigliasco – Grugliasco – Airasca, ecc…). Secondo alcuni storici il nome della città di Asti è tale in quanto in ligure antico "ast" aveva il significato di "collina". Anche l’antico nome del fiume Po, "Bodincus" è tipicamente ligure.
Dal VII° al VI° secolo A.C. sono collocate le altre migrazioni di un altro popolo, di origine indoeuropea: i "Celti". Essi si uniscono ai Liguri in una vera e propria simbiosi, senza alcuna lotta, amalgamando i costumi, le religioni ed i linguaggi.
Gli storici antichi definiscono questo nuovo popolo con la denominazione di "Celto –Liguri".
Molti sono i vocaboli di origine celtica, ancora presenti nel linguaggio piemontese attuale:
Drugia (letame) dal celtico Dru (fertile);
Balma (caverna) dal celtico Balmein (pietra alta);
Bealera (corso d’acqua) dal celtico Beal (corso d’acqua);
Brich (colle) da Beal (colle);
Bisa (vento freddo) da Bis (pungente), ecc..
I Celto-Liguri hanno i primi contatti con la civiltà latina nel III° secolo A.C., quando giungono in Piemonte le legioni romane. L’occupazione romana distrugge alcune tribù (i Salassi), ma altre sopravvivono. Vari legionari si stabiliscono in Piemonte e la lingua latina si innesta così sull’idioma celto-ligure. Nasce quindi un nuovo linguaggio che via via nel tempo riceve altre impronte poiché attraverso i vari secoli il Piemonte è soggetto a molte invasioni barbariche.
Nel corso del VI° secolo giungono i Longobardi.
I suffissi in "engo" di vari toponimi attuali sono di derivazione longobarda: (Murisengo, Verolengo), ecc..
Il vocabolo piemontese "masca" (strega o fattucchiera), deriva dal longobardo "masco".
"Barba" (zio) da bas (zio materno).
"S-cianché" (strappare) da "claquer".
"Matòt" (ragazzo) da "mad" (fanciullo).
Nel X° secolo i Saraceni percorrono, facendo innumerevoli scorrerie, in lungo ed in largo, la terra piemontese. Anch’essi ci lasciano dei vocaboli:
"Armassin" (susina);
"Cossa" (zucca);
"Coefa" (velo) da Keifa;
"Fàudal" (grembiule) da fodhal (grembo);
"Fardel" (fagotto) da farda (carico del cammello).
Dall’XI° al XVII° secolo si susseguono invasioni francesi, spagnole, prussiane.
L’influsso francese è molto evidente nel nostro lessico e nella nostra sintassi. Non si deve dimenticare che la lingua piemontese e quella francese sono due lingue romanze gemelle: la prima si è formata su un nucleo ligure-celtico, al di qua delle Alpi; la seconda su un nucleo gallo-celtico, al di la delle Alpi.
Anche gli Spagnoli lasciano alcuni vocaboli nel nostro idioma:
"Creada" (fantesca);
"Borich" (asino);
"Lunes/Martes/Mércol" (Lunedì/Martedì/Mercoledì);
"Dësmora" (giocattolo);
"Gnògne" da nono (vecchio, buffone).
I Prussiani introducono altri loro vocaboli, ancora attuali:
"Magon" (afflizione) da Magen (mal di stomaco);
"Trafen" (rumore) da Treffen (battaglia);
"Brandé" (bruciare) da Brand (tizzone);
"Asil" (aceto) da Essil;
"Cassul" da Kessel;
"Ciòca" da Kloka;
"Rupì" da Ruppen, ecc… ecc…
Quanto detto dimostra chiaramente che la lingua piemontese è formata da un substrato celto-ligure su cui si è innestata la lingua latina; via via, con il tempo si sono introdotti vari vocaboli di carattere europeo. E’ quindi una lingua autoctona. E’ una lingua e non un dialetto, perché come vedremo in seguito, ha una letteratura scritta e segue determinate regole grammaticali.
Accanto alla lingua unitaria ufficiale consacrata dagli scrittori, ( la cosiddetta Koiné unitaria comune), vi sono le parlate orali locali che sono espressioni fonetiche diverse, le quali, però, seguono le medesime regole grammaticali, qualora vengano scritte.
La lingua scritta non è in opposizione alle parlate locali, anzi è arricchita da esse. Il rapporto che c’è tra la koiné e le parlate locali è simile a quello che c’è tra l’italiano scritto e le varianti locali della lingua italiana.
Riepilogando, il piemontese è lingua vera e propria e non dialetto, tanto meno, dialetto dell’italiano, come certuni osano definirlo! A conferma di ciò si possono portare vari esempi:
Dante Alighieri nel "Vulgari Eloquentia" affermò che il linguaggio in uso nelle terre "oltre Alessandria" (ad ovest di Alessandria) era un "turpidissimum eloquium (vulgari)" per lui incomprensibile.
Nella letteratura italiana si studia che il più antico documento letterario è la canzone "Contrasto" di Cielo D’Alcamo del 1250 circa. Vediamo quattro versi di tale "canzone":
"Molte sono le femine
che hanno dura la testa
e l’uomo con parabole
le dimina e ammonesta".
Confrontiamoli con quattro versi del più antico documento in lingua piemontese, che è del 1150 (i Sermoni Subalpini):
"La mia meisun
si est meisun d’orassion
ma vos en aven fait
balma de lairuns!".
Quale abisso linguistico tra queste due citazioni!
Si è parlato di "regole grammaticali scritte". Infatti la prima grammatica della lingua piemontese risale al 1783. E’ opera di Maurizio Pipino che per primo ne ha normalizzato la grafia.
Ad essa si ispira la grafia "piemontese moderna", definita negli Anni Trenta dal fondatore della "Compagnia dij Brandé": Pinin Pacòt.
MICHELA GROSSO