VIA CRUCIS AL COLOSSEO
venerdì santo Giovanni Paolo II non ha potuto presiedere il tradizionale rito ma ha comunque seguito la liturgia in collegamento televisivo dalla cappella del Palazzo Apostolico Sui maxischermi tutti hanno potuto vederlo in preghiera. E alla quattordicesima stazione ha voluto tenere in mano il crocifisso

Il Papa: «Offro le mie sofferenze perché si compia il disegno di Dio»

In un messaggio letto all'inizio del rito dal cardinale Camillo Ruini il Pontefice ha espresso la sua partecipazione, invocando il dono della pace per tutto il mondo


Da Roma Salvatore Mazza

Seduto sulla sua poltrona, nella sua cappella privata, rivolto verso l'altare. Pieno di sofferenza, e pronto a offrirla «perché il disegno di Dio si compia e la sua parola cammini fra le genti». E alla fine, alla quattordicesima stazione, con una croce di legno nelle mani. A indicare fino in fondo la sua partecipazione. L'hanno visto così, l'immagine rilanciata dai maxischermi nell'area dell'Anfiteatro Flavio, le migliaia di persone che anche quest'anno, nonostante l'assenza annunciata del Papa, la prima nel suo lungo Pontificato, si sono presentate puntuali all'appuntamento con la Via Crucis del Venerdì Santo. Una grande folla commossa che, nella notte illuminata dalle torce romane, l'ha accolto con un applauso che è sembrato infinito, sentendolo davvero unito «nell'invocazione così densa di significato: Adoramus te, Christe, et benedicimus tibi, quia per sanctam crucem tuam redemisti mundum». È stato proprio il messaggio che Giovanni Paolo II ha voluto indirizzare all'assemblea, letto dal cardinale vicario Camillo Ruini, delegato a presiedere il rito, ad aprire la cerimonia: «Sì, adoriamo e benediciamo il mistero della croce del Figlio di Dio, perché è proprio da quella morte - ha scritto il Pontefice - che è scaturita una nuova speranza per l'umanità». Infatti, ha scritto ancora Papa Wojtyla, «l'adorazione della Croce ci rimanda a un impegno al quale non possiamo sottrarci: la missione che San Paolo esprimeva con le parole: "Completo quello che manca nella mia carne ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa"». E dunque, ha aggiunto quasi spiegando il senso di quella sua presenza muta, da lontano, «offro anch'io le mie sofferenze, perché il disegno di Dio si compia e la sua parola cammini fra le genti. Sono a mia volta vicino a quanti, in questo momento, sono provati dalla sofferenza. Prego per ciascuno di loro. In questo giorno memoriale del Cristo crocifisso guardo e adoro con voi la Croce e ripeto le parole della liturgia: O crux, ave spes unica! Ave, o Croce, unica speranza, donaci pazienza e coraggio e ottieni al mondo la pace! Con questi sentimenti - ha concluso - benedico voi e quanti partecipano a questa Via Crucis mediante la radio o la televisione».
A guidare la Via Crucis, come detto, è stato il cardinale vicario di Roma e presidente della Conferenza episcopale italiana Camillo Ruini, che ha portato la croce nelle prime due stazioni e nell'ultima, la quattordicesima. Col porporato, lungo la strada si sono alternati nel portare la Croce due frati francescani della Custodia di Terra Santa, una religiosa indiana, una laica sudcoreana della diocesi di Chonju, una famiglia della diocesi di Roma, una laica dello Sri Lanka, una famiglia di immigrati albanesi e un giovane sudanese di Khartoum. A scandire il rito le meditazioni scritte dal prefetto della Congregazione della Dottrina della Fede Joseph Ratzinger, suonate come un pressante invito, «nella putrefazione delle ideologie», a riscoprire il cristianesimo come «il nuovo profumo che riporta sulle tracce della vita». E dunque, davanti al mistero della Croce, tutti siamo chiamati a fermarsi «davanti a questa immagine di dolore, davanti al Figlio di Dio sofferente. Guardiamo a lui - ha scritto il cardinale Ratzinger nella meditazione finale della Via Crucis - nei momenti della presunzione e del godimento, in modo da imparare a rispettare i limiti e a vedere la superficialità di tutti i beni puramente materiali. Guardiamo a lui nei momenti di calamità ed angustia, per riconoscere che proprio così siamo vicini a Dio. Cerchiamo di riconoscere il suo volto in coloro che tenderemmo a disprezzare».

Avvenire - 26 Marzo 2005