MAZZINI IN PIEMONTE
di Terenzio Grandi
L'influsso dell'apostolato di Mazzini nel Piemonte può e-
sere considerato guardando a tre particolari periodi. Il primo,
intorno ai tempi della Giovine Italia, il secondo che va dal'48
al '61 e riflette il «grande decennio» torinese del risorgimento,
e il terzo, quello che si inizia col '70 e viene ai giorni nostri.
C'è qualche distacco tra i periodi, ed hanno, ciascuno, caratte-
ristiche diverse.
Primo periodo. il lavoro cospirativo iniziato da Mazzini a
Marsiglia con la Giovine Italia trova un apporto notevolissimo
in Piemonte. Convergevano in quel lavoro i reduci della Car-
boneria, i memori della ventata rivoluzionaria francese o i lo-
ro giovani figli, alcuni discendenti di famiglie nobili provin-
ciali, che miravano ad uscire dalla gretta consuetudine, o por-
tati ad elevarsi con gli studi in ambienti di più largo respiro
all'estero; alcuni popolari, e, specialmente, elementi militari u-
sciti dalla media borghesia.
Si trovano di ciò le testimonianze presso chi ha studiato
quell'epoca, se ne trovano frequentissime nell'epistolario
mazziniano. E si possono leggere particolari che qui solo ac-
cenniamo di volo, nell'opera di Aldo Vannucci sui Martiri del-
la Libertà italiana, e nella curiosa e interessante e ormai rara
Storia della Giovine Italia scritta e detta a spizzichi, partendo
dall'illustrazione della vita dei Fratelli Ruffini, da quel galan-
tuomo di campagna, letterato con venature frondiste e avve-
niriste, senatore e liberale avv. Giovanni Faldella, che esaltava
i cospiratori mazziniani, i cui motivi ideali certo avevano fatto
qualche presa nel suo cuore giovanile, mentre molto perdona-
va a Carlo Alberto, abbondantemente imprestandogli uno
sviscerato amore per la causa italiana.
Il Piemonte già aveva provato la reazione contro i costitu-
zionali del '21, ed aveva dovuto assistere alle fucilazioni e
condanne susseguite. David Levi diceva che i Barboni inflis-
sero ai Pagano, Cirillo, Caraffa, alla Sanfelice, il supplizio con
apparato terribilmente poetico mentre «i martiri piemontesi
venivano ammazzati, per così dire, prosaicamente in fami-
glia» , e furono 73 in pochi giorni.
Con la Giovine Italia, i fucilati del Piemonte furono minori
che nel '21: ricordiamo, dei piemontesi, Giuseppe Biglia di
Mondovì, Francesco Miglio di Rivalta, Andrea Vochieri di A-
lessandria; furono assai più i condannati a morte in contuma-
da, e gli imprigionati, e gli sfuggiti al carcere.
Tra i fucilati, notevole e noto, anche per la teatralità, stavol-
ta, del supplizio, è il citato Andrea Vochieri, avvocato di Ales-
sandria. Tra gli esuli e i seguaci più vicini all' associazione Gio-
vine Italia, e alla rivista omonima, si staccano il conte Carlo
Angelo Bianco, nato a Barge, già condannato a morte in effi-
gie nel 1821, combattente in Spagna e in Grecia, autore nel
1830 di quel famoso trattato su La guerra di insurrezione per
bande che seguì quello del Pisacane; Paolo Pallia, di molto in-
gegno e di profonde cognizioni nelle lingue araba, ebraica, si-
riaca e caldaica, di Rivara Canavese, che prese parte alla Spe-
dizione di Savoia e morì a Parigi poco più che trentenne nel
1837; e David Levi, di Chieri, che poi in versi e in prosa e-
spresse i suoi sentimenti liberali, e l'avv. Azario di Vercelli, e il
notissimo avvocato Angelo Brofferio, dell'astigiano, che per
tutta la vita ebbe rapporti discontinui col mazzinianesimo, in
relazione al suo effervescente temperamento poetico-demago-
gico, che ne faceva un piemontese sui generis.
Si potrà osservare, come poi disse Gustavo Modena, che la
Giovine Italia è stata occasione di martirio per molti, ma altresì
è stata un semenzaio di altrettanti futuri uomini di governo
per la monarchia sabauda. Il fatto è che allora, nel suo tempo,
anche l' opera di questi giovani esuberanti e incostanti nella
scia dell'Apostolo tetragono, ha contribuito all'avanzamento
delle vicende patrie.
Il secondo periodo da noi considerato è notevole non tanto
per l'apporto al mazzinianesimo di elementi indigeni, piutto-
sto scarsi, quanto perche alla proclamazione del regno d'Italia
favorendo la politica cavourriana l'immigrazione in Piemonte
da ogni altra parte italiana, Torino diventa campo aperto e
gradito anche agli esuli politici di sentimenti repubblicani del
Lombardo Veneto, degli Stati della Chiesa, del Napoletano.
Tra le molte figure, due per prime ne citeremo, perche e-
mergono con profili di netto rilievo. Una è femminea, di com-
postezza gentile e severa: Giuditta Sidoli, la diletta amica di
Mazzini ch'egli veniva talvolta in segreto a visitare, e col quale
ella serbò buoni rapporti sino alla morte avvenuta nel 1861;
l'altra è Gustavo Modena, il grande attore tragico, il fiero re-
pubblicano, che dopo dieci anni di reciso divieto era potuto
entrare finalmente nella capitale piemontese per esercitare
l'arte sua, e raccogliere allori sulle scene, dopo quelli raccolti
altrove nei teatri e sui campi di battaglia. Insieme a lui era la
indivisibile ed amorosa compagna, Giulia, che gli sopravvisse
in Torino altri dieci anni, cioè sino al 1871. Pur non facendo
politica militante, repubblicana era anche un'altra grande arti-
sta della scena, Giacinta Pezzana di Alessandria, vissuta in di-
verse riprese a Torino. Torino vide pure per un certo tempo il
giornalista «luogotenente» mazziniano Vicenzo Brusco On-
nis, e qui gli morì la giovane sposa mentre dava la vita a Lina,
«Figlia spirituale di Mazzini» come è stata chiamata da Fanny
Manis che le dedicò un libro, prediletta figlioccia di Sarina
Nathan. Qui risiedettero i veneti Francesco Dall'Ongaro, Do-
menico Giuriati, Leopoldo Varè, i lombardi Ordono de Rosa-
les e Giovanni Grillenzoni (che si sposò a Torino nel 1852),
due validi sostenitori questi del movimento repubblicano, ed
infiniti altri per lasse di tempo più o meno lunghe.
La figura più tipicamente mazziniana e piemontese del
periodo, è però Giuseppe Ottavio Minoli, di Oleggio, che
Mazzini aveva conosciuto nel 1841 a Londra, ove tolse mo-
glie, e che fu combattente alle Cinque giornate di Milano, sta-
bilendosi poi a Torino, come industriale sarto. Egli continuò
negli anni seguenti i suoi rapporti con Mazzini, carteggiando,
accogliendolo in una sua villa vicino al Po quando veniva in
Torino, e visitandolo all'estero. Dicesi che il Minoli, dell' Al-
leanza Repubblicana Universale, non fosse estraneo al finan-
ziamento della spedizione dei Mille.
Passiamo al terzo periodo. Si inizia con la campagna gari-
Baldina dei Vosgi in Francia, del '70-'71 che chiamò a raccolta
l'animosa gioventù repubblicana, molto raccogliendo dal Pie-
monte. Vi si immolò Adamo Ferraris, fratello allo scienziato
Galileo, che già era stato, giovanissimo, a Mentana, lasciando-
ci di quella campagna un diario a stampa a ben pochi noto;
Luigi dell'Isola Molo, di Barbania nel Canavese, che vi perdè
una gamba; altri valorosamente combatterono, come Narrato-
ne, Beghelli, Jona, Mereu, che poi presero parte attiva alla vita
politica repubblicana torinese.
il Minoli ancora era attivo (morì nel 1880), quando, subito
dopo il '70, si affermava come figura più rappresentativa del
repubblicanesimo in Torino Domenico Narratone, della Lo-
mellina, reduce di tre campagne garibaldine, organizzatore
dell' A.RU., parlatore, pubblicista, difensore delle rivendica-
zioni operaie, caro a Mazzini, arrestato tra quei di villa Ruffi a
Rimini morto poi nel Brasile nel 1899. Altri uomini di quel
tempo furono Giuseppe Beghelli giornalista focoso, autore di
pampIeths antidinastici, di una Storia della Repubblica romana in
due volumi: direttore di periodici molto diffusi nelle classi po-
polari; morto poco più che trentenne nel 1878; Carlo Laplace,
primo candidato operaio alla deputazione; il prof. Abele Ca-
pellano, pubblicista, il dott. Timoteo Riboli, medico di Garibal-
di fondatore della società protettrice degli animali; l'ing. Luigi
Anelli, che sposò poi una figlia di Felice Dagnino e fu fisico il-
lustre a Pisa. Dell'elemento femminile sono da notare la scrit-
trice e poliglotta Luisa To-sko, la greca Debenedetti, Ferrero
Gola, la Maria Ferraris organizzatrice delle sartine e quindi u-
mile e generosa «Mamma Ferràris» per tutti i giovani e vecchi
repubblicani torinesi.
Nel primo ventennio di questo periodo sorsero e vissero e
morirono molte associazioni di tinta repubblicana, esattamen-
te in quest' ordine: Circolo Pensiero e Azione, Lega Democrati-
ca, Consolato dei rappresentanti delle associazioni operaie di
Torino, Associazione democratica subalpina, Gioventù repub-
blicana.
Questa nell'86 raccoglieva uomini saliti in qualche fama
politica, come Battelli e Merlani poi deputati, e fedeli al partito
repubblicano come Guidazio, Paglieri, Fistono, e giovani che
in seguito capeggiarono il partito socialista come gli avvocati
Allasia e Cagno, e Mongini.
Soltanto «La Fratellanza Artigiana» invece, sorta nel 1883,
visse sino al 1910, ed è stata l'anello di congiunzione tra gli e-
lementi mazziniani e garibaldini del partito d'azione e la orga-
nizzazione, non mai molto numerosa, in realtà, ma sempre
presente, che da cinquant'anni segue l'attuale partito repub-
blicano. Alcuni nomi di militanti di questo periodo: gli avvo-
cati Albino Bracale e Pier Mario Carini, Eligio Franchi, da bre-
sciano fattosi torinese, Teresa Moglia, i professori Dante Za-
nardi e Amaldo Buzzi, i rag. Francesco Cera e, più giovane e
attivo ancora, Vittorio Parmentola, così Luigi A. Giovagnini.
Alcuni periodici sono stati pubblicati in questo periodo: u-
na decina; per lo più meteore di sei mesi di corsa.
Di fuori Torino ricorderemo il geom. Felice Camera e il far-
macista Carlo Garino ad Alessandria, il ferroviere Ludovico
Bretti canavesano, i biellesi Giovanni Ubertini e avvocato e
deputato Luigi Guelpa. Personalità repubblicane vissute per
molti anni in Torino: Aglauro Ungherini rnarchigiano bibliofi-
lo e polonista, l' eroico trentino Ergisto Bezzi colonnello gari-
baldino, la scrittrice Bice Magliano Pareto, genovese, Pio Viaz-
zi di Gavi, giurista, filosofo, trasferito in Milano, poi deputato
di Grosseto. Tutte figure ormai sparite.
Salutiamo quindi, per chiudere, i viventi decani, prof Raf-
faele V. Foa, di Casale Monferrato, che risiede a Torino, e Lui-
gi Stradella di Alessandria che risiede a Roma, e gli uomini
raccolti nelle associazioni politiche e sociali, il cui animo anco-
ra è acceso da qualche vagante scintilla della fede e dell'apo-
stolato di Giuseppe Mazzini.
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