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Discussione: Giovedì Santo

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    Predefinito Solenne Triduo Pasquale

    Giovedì santo

    Dalla "Vigna delle anime" di Giacomo Roecx. Exercitia seu meditatio optima vitae et passionis Jesu-Christi, IV. Œuvres de Tauler, trad. Noël, Paris, Tralin, 1912, t. VI, 71-72. 87-89. 99-101.

    Vi do un comandamento nuovo, dice Gesù, esso ricapitola tutti gli altri miei precetti, è il sigillo di tutti i miei insegnamenti: Come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri.

    Come io do la mia vita per voi, voi dovete amarvi e assistervi a vicenda, anche a costo della vita. Io ho amato colui che mi tradì, ho pregato per coloro che mi crocifissero. Anche voi amate i vostri nemici, fate loro del bene; prodigatevi con le opere della carità al servizio di chi vi perseguita o vi nuoce.

    Questo comandamento nuovo dell'amore, il Signore Gesù non lo insegnò solo a parole, ma lo convalidò con l'attuazione concreta e personale. Gli stava a cuore assicurarci che per lui siamo davvero figli; con amore eterno ci tiene dentro il suo cuore paterno. Prima ancora della creazione del mondo noi siamo in lui, da sempre riposiamo in lui come nel nostro fondo e nella nostra origine.

    Nessun padre terreno ha mai avvolto i propri figli con l'amore con cui egli ci ha abbracciato. Nella fedeltà irrinunciabile del suo amore paterno ci ha lasciato un'impareggiabile eredità, un bene senza confronti, il cui valore sovrasta cielo e terra; ci ha donato il suo corpo come cibo e il suo sangue come bevanda.

    L'uomo che aveva mangiato il frutto velenoso offerto dal serpente, aveva l'ineludibile bisogno di ricuperare la salvezza bevendo al calice celeste del sangue di Cristo. Un cibo mortifero l'aveva fatto stramazzare a terra; il pane di vita lo doveva rialzare. Il frutto del legno l'aveva ucciso; grazie al frutto di un altro legno sarebbe tornato in vita.

    L'albero della disobbedienza l'aveva votato alla morte definitiva; l'albero dell'obbedienza l'ha riscattato per la gloria eterna. Dal primo albero pendeva un cibo di morte, da questo il rimedio che dà la vita.

    Il ceppo antico conteneva la linfa della passione; il ceppo nuovo produce il grappolo della salvezza. Da questo grappolo, schiacciato sotto il torchio della passione, è sprizzato il vino nuovo che rallegra il cuore dell'uomo.

    Gesù Cristo crocifisso è il vero grappolo, privo di qualsiasi traccia amara. Pane saporoso, manna celeste, piena di delizie spirituali, che non contiene nulla di aspro, contrariamente al pane d'orzo dell'Antico Testamento, servito da Mosè. È un pane impastato con fiore di frumento, cioè con la grazia divina. Infatti, la realtà ha preso il posto della figura.

    Io anelo a cibarmi integralmente di te, dolcezza celeste. Voglio morire a me stesso e vivere in te. Bramo di trasformarmi, di incorporarmi in te, per riposare in te, mia origine beata. Tu sei la fonte e il principio di tutti gli esseri. Noi siamo e viviamo in te fin dal principio nell'idea eterna che tu hai di noi. Perciò il nostro cuore è inquieto finché non riposa nella sua origine. Con la tua onnipotenza che sostiene il mio essere, attirami a te, scendi in me, o misericordioso.

    Ricomponi la splendida immagine di te che io ho deturpato, riportandola alla sua purezza e integrità originaria. Tu sei il principio infinitamente puro della mia essenza, che è in me creata, in te increata, secondo la tua idea eterna.

    Per l'amore infocato che ti ha spinto a lasciare trafiggere il tuo tenerissimo cuore di carne, ti supplico: attraverso questo cuore squarciato fammi penetrare nel tuo cuore divino e increato. Affrettati a scendere in me; e con te fa venire il Padre di infinita bontà, perché tu sai bene quale è la sua volontà santa e benefica: non separarti da me, ma essere ovunque con te.

    Signore Gesù, immergimi, lavami nel tuo cuore trafitto, perché io possa pervenire con te fino al cuore traboccante d'amore del tuo Padre eterno; e là egli si degni d'accogliermi come figlio adottivo, grazie a te, suo Figlio eterno e consustanziale. Amen.

    Michael Chelich, La lavanda dei piedi, 2000

    Greg Olsen, Preghiera nel Gethsemani

  2. #2
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    Predefinito Dal Commento di Dionigi il certosino sul vangelo di Luca.

    Enarratio in evangelium secundum Lucam, art.47. Opera omnia, Monsterolii, 1901, t. .XII, 210-211.

    Gesù, preso un pane, rese grazie, lo spezzò

    e lo diede loro dicendo: "Questo,

    questo che io vi presento

    e che vi do con la liberalità di un estremo amore,

    questo è il mio corpo

    nella sua stessa realtà, e non soltanto una rappresentazione,

    il mio corpo che è dato per voi.

    il mio corpo esposto alla tortura e alla morte,

    quando il traditore lo consegnerà,

    mentre io mi offro volontariamente

    alla passione per liberarvi.

    Questo corpo è dato per voi.

    in questo stesso istante in cui

    io ve lo do generosamente in cibo,

    per il vostro profitto spirituale,

    perché la grazia divina cresca incessantemente in voi.

    Fate questo in memoria di me.

    Celebrate questo sacramento,

    a tempo debito e solennemente.

    Date questo corpo e prendetelo

    in memoria di me.

    Ricordatevi della crudelissima passione

    che ho sopportato per voi

    e fate memoria del mio estremo amore per voi

    Allo stesso modo. dopo aver cenato,

    prese il calice.

    Gesù prese la coppa nelle sue mani

    e la presentò ai discepoli.

    Lo fece dopo aver mangiato l'agnello pasquale, dicendo:

    Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue. Questa è la

    coppa che conferma e manifesta il Nuovo Testamento,

    il quale viene dichiarato, ratificato e consacrato nel mio sangue.

    Notate che il Signore dicendo:

    Il calice... nel mio sangue!

    indica il contenente per il contenuto,

    ma in verità si tratta del sangue che sta nella coppa.

    Il Nuovo Testamento è dunque istituito dalla consacrazione del sangue di Cristo,

    corroborato e confermato dall'effusione di questo medesimo sangue.

    Infatti un testamento acquista tutta la forza al momento della morte.

    Il mio sangue viene versato per voi

    e sparso da altri per la vostra salvezza,

    versato per tutti i miei discepoli,

    per tutti gli eletti,

    che saranno salvati dalla mia passione.

    Cristo ha istituito il sacramento del suo corpo

    e del suo sangue, in memoria della sua passione

    e della sua obbedienza fino alla morte.

    Conserviamone piamente la memoria,

    perché esso ricapitola tutti gli altri misteri,

    persino i semplici atti della vita del Signore,

    che abbiamo da prendere come modello.

    Ci conformeremo alla passione di Gesù

    mediante l'ascesi corporale

    e l'abnegazione della volontà propria, della voluttà e della vanità.

    Infatti san Paolo ci dice:

    Quelli che sono di Cristo Gesù

    hanno crocifisso la loro carne

    con le sue passioni e i suoi desideri. (Gal 5,24)

    E san Pietro aggiunge:

    Cristo patì per voi,

    lasciandovi un esempio, (1 Pt 2,21)

    perché ne seguiate le orme.

    Ma la passione di Cristo

    è soprattutto il segno e il memoriale

    del suo amore per noi.

    Egli ci ha lasciato il suo corpo e il suo sangue

    in cibo e bevanda per la salute dell'anima

    come il massimo segno dell'amore;

    non vi è infatti più grande espressione

    di amore e di generosità

    che donare sé stesso ad un altro.

    Nel sacramento di questo amore

    Cristo è stato e rimane per sempre

    sia il Dono sia il Donatore.

  3. #3
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    Andrea Del Sarto, L'ultima cena, 1520-25, Convento di S. Salvo, Firenze

    Beato Angelico, Scene della passione, Armadio degli Argenti, 1450, Convento di S. Marco, Firenze

    Jacopo Bassano, Ultima Cena, 1542, Galleria Borghese, Roma

    Daniele Crespi, Ultima Cena, 1624-25, Pinacoteca di Brera, Milano

    Philippe de Champaigne, Gesù nell'orto degli olivi, 1650, Musée des Beaux-Arts, Rennes

  4. #4
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    Duccio di Buoninsegna, Cristo parla agli Apostoli prima di lasciarli, 1308-11, Museo dell'Opera del Duomo, Siena

    Duccio di Buoninsegna, Ultima cena, 1308-11, Museo dell'Opera del Duomo, Siena

    Duccio di Buoninsegna, Lavanda dei piedi, 1308-11, Museo dell'Opera del Duomo, Siena

    Juan de Juanes, Ultima Cena, 1560 circa, Museo del Prado, Madrid

    Valentin De Boulogne, Ultima Cena, 1625-26, Galleria Nazionale d'Arte Antica, Roma

    Otto van Veen, Ultima Cena, 1592, O.-L. Vrouwekathedraal, Antwerp

    Simon Vouet, Ultima Cena, 1615-20, Palazzo Apostolico, Loreto

  5. #5
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    Dal sito SANTI E BEATI:

    Giovedì Santo - Cena del Signore

    (celebrazione mobile)

    Il giorno del Giovedì Santo è riservato a due distinte celebrazioni liturgiche, al mattino nelle Cattedrali, il vescovo con solenne cerimonia consacra il sacro crisma, cioè l’olio benedetto da usare per tutto l’anno per i Sacramenti del Battesimo, Cresima e Ordine Sacro e gli altri tre oli usati per il Battesimo, Unzione degli Infermi e per ungere i Catecumeni.
    A tale cerimonia partecipano i sacerdoti e i diaconi, che si radunano attorno al loro vescovo, quale visibile conferma della Chiesa e del sacerdozio fondato da Cristo; accingendosi a partecipare poi nelle singole chiese e parrocchie, con la liturgia propria, alla celebrazione delle ultime fasi della vita di Gesù con la Passione, morte e Resurrezione.
    Nel tardo pomeriggio c’è la celebrazione della Messa in “Cenae Domini”, cioè la ‘Cena del Signore’. Non è una cena qualsiasi, è l’Ultima Cena che Gesù tenne insieme ai suoi Apostoli, importantissima per le sue parole e per gli atti scaturiti; tutti e quattro i Vangeli riferiscono che Gesù, avvicinandosi la festa degli ‘Azzimi’, chiamata Pasqua ebraica, mandò alcuni discepoli a preparare la tavola per la rituale cena, in casa di un loro seguace.
    La Pasqua è la più solenne festa ebraica e viene celebrata con un preciso rituale, che rievoca le meraviglie compiute da Dio nella liberazione degli Ebrei dalla schiavitù egiziana (Esodo 12); e la sua celebrazione si protrae dal 14 al 21 del mese di Nisan (marzo-aprile).
    In quella notte si consuma l’agnello, precedentemente sgozzato, durante un pasto (la ‘cena pasquale’) di cui è stabilito ogni gesto; in tale periodo è permesso mangiare solo pane senza lievito (in greco, azymos), da cui il termine ‘Azzimi’.
    Gesù con gli Apostoli non mangiarono solo secondo le tradizioni, ma il Maestro per l’ultima volta aveva con sé tutti i dodici discepoli da lui scelti e a loro parlò molto, con parole che erano di commiato, di profezia, di direttiva, di promessa, di consacrazione.
    Il Vangelo di Giovanni, il più giovane degli Apostoli, racconta che avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine, e mentre il diavolo già aveva messo nel cuore di Giuda Iscariota, il seme del tradimento, Gesù si alzò da tavola, depose le vesti e preso un asciugatoio se lo cinse attorno alla vita, versò dell’acqua nel catino e con un gesto inaudito, perché riservato agli schiavi ed ai servi, si mise a lavare i piedi degli Apostoli, asciugandoli poi con l’asciugatoio di cui era cinto.
    Si ricorda che a quell’epoca si camminava a piedi su strade polverose e fangose, magari sporche di escrementi di animali, che rendevano i piedi, calzati da soli sandali, in condizioni immaginabili a fine giornata. La lavanda dei piedi era una caratteristica dell’ospitalità nel mondo antico, era un dovere dello schiavo verso il padrone, della moglie verso il marito, del figlio verso il padre e veniva effettuata con un catino apposito e con un “lention” (asciugatoio) che alla fine era divenuto una specie di divisa di chi serviva a tavola.
    Quando fu il turno di Simon Pietro, questi si oppose al gesto di Gesù: “Signore tu lavi i piedi a me?” e Gesù rispose: “Quello che io faccio, tu ora non lo capisci, ma lo capirai dopo”; allora Pietro che non comprendeva il simbolismo e l’esempio di tale atto, insisté: “Non mi laverai mai i piedi”. Allora Gesù rispose di nuovo: “Se non ti laverò, non avrai parte con me” e allora Pietro con la sua solita impulsività rispose: “Signore, non solo i piedi, ma anche le mani e il capo!”.
    Questa lavanda è una delle più grandi lezioni che Gesù dà ai suoi discepoli, perché dovranno seguirlo sulla via della generosità totale nel donarsi, non solo verso le abituali figure, fino allora preminenti del padrone, del marito, del padre, ma anche verso tutti i fratelli nell’umanità, anche se considerati inferiori nei propri confronti.
    Dopo la lavanda Gesù si rivestì e tornò a sedere fra i dodici apostoli e instaurò con loro un colloquio di alta suggestione, accennando varie volte al tradimento che avverrà da parte di uno di loro, facendo scendere un velo di tristezza e incredulità in quel rituale convivio.
    “In verità, in verità vi dico: uno di voi mi tradirà”, gli Apostoli erano sgomenti e in varie tonalità gli domandarono chi fosse, lo stesso Giovanni il discepolo prediletto, poggiandosi con il capo sul suo petto, in un gesto di confidenza, domandò: “Signore, chi è?”. E Gesù commosso rispose: “È colui per il quale intingerò un boccone e glielo darò” e intinto un boccone lo porse a Giuda Iscariota, dicendogli: “quello che devi fare, fallo al più presto”; fra lo stupore dei presenti che continuarono a non capire, mentre Giuda, preso il boccone si alzò, ed uscì nell’oscurità della notte.
    Questa scena del Cenacolo è stata in tutti i secoli soggetto privilegiato di tanti artisti, che l’hanno efficacemente raffigurata, generalmente con Gesù al centro e gli Apostoli seduti divisi ai due lati, con Giovanni appoggiato col capo sul petto e con il solo Giuda seduto al di là del tavolo, di fronte a Gesù, che intinge il pane nello stesso piatto. L’atteggiamento di Gesù e degli Apostoli è sacerdotale, ma con i volti che tradiscono il dramma che si sta vivendo.
    Dopo l’uscita di Giuda, il quale pur ricevendo con il gesto cordiale e affettuoso il boccone intinto nel piatto, che in Oriente era segno di grande distinzione, non seppe capire, ormai in preda all’opera del demonio, l’ultimo richiamo che il Maestro gli faceva, facendogli comprendere che lui sapeva del tradimento ordito d’accordo con i sacerdoti e del compenso pattuito dei trenta denari; Gesù rimasto con gli undici discepoli riprese a colloquiare con loro.
    I discorsi che fece, nel Vangelo di S. Giovanni, occupano i capitoli dal 13 al 17, con argomenti distinti ed articolati, dagli studiosi definiti ad ‘ondate’ perché essi sono ripresi più volte e in forme sempre nuove; ne accenneremo i più importanti.
    “Figlioli, ancora per poco sono con voi; voi mi cercherete ma, come ho già detto ai Giudei, lo dico ora anche a voi: dove vado io, voi non potete venire. Vi dò un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avrete amore gli uni per gli altri”.
    E a Pietro che insisteva di volerlo seguire, assicurandogli che era disposto a dare la sua vita per lui, Gesù rispose: “Darai la tua vita per me? In verità, in verità ti dico: non canterà il gallo, prima che tu non mi abbia rinnegato tre volte”.
    Il discorso di Gesù prosegue con una promessa “Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede in me. Nella casa del Padre mio vi sono molti posti. Io vado a prepararvi un posto; ritornerò e vi prenderò con me, perché siate anche voi dove sono io. E del luogo dove io vado, voi conoscete la via”.
    Il concetto del ‘posto’ o della casa che ci aspetta, risente dell’antica concezione che si aveva dell’aldilà, come una abitazione dove i defunti prendevano posto. Così nell’Apocalisse, il cielo era immaginato come una casa al cui centro stava il trono di Dio, circondato dalla corte celeste e dalle dimore dei giusti e dei santi. Anche nei testi rabbinici si legge che le anime saranno introdotte nell’aldilà, in sette dimore distinte per i giusti e sette per gli empi.
    A Tommaso che gli chiede: “Se non sappiamo dove vai, come possiamo conoscere la via?”, Gesù risponde con un’altra grande rivelazione: “Io sono la Via, la Verità, la Vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me”. E a Filippo che chiede di mostrare loro il Padre, Gesù ribadisce la profonda unità e intimità fra lui e Dio Padre.
    Le sue parole e le sue opere di salvezza sono animate e sostenute dal Padre, che parla e opera nel Figlio. A questo punto Gesù, per la prima delle cinque volte che pronuncierà nei suoi discorsi di quella sera, nomina il ‘Consolatore’ traduzione del termine greco “paraklitos” (Paraclito), che solo nel Vangelo di Giovanni designa lo Spirito Santo; cioè il dono dello Spirito che sostiene nella lotta contro il male e che rivela la volontà divina; riservato ai credenti e che continuerà l’opera di Gesù dopo la sua Risurrezione.
    “Queste cose vi ho detto quando ero ancora tra voi. Ma il Consolatore, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, Egli vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che vi ho detto. Vi lascio la pace, vi dò la mia pace. Non come la dà il mondo, io la dò. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore. Avete udito che vi ho detto: Vado e tornerò a voi…”.
    I Vangeli di Matteo, Marco e Luca dicono poi che “Gesù mentre mangiava con loro, prese il pane e pronunciata la benedizione, lo spezzò e lo distribuì agli apostoli dicendo: “Prendete questo è il mio corpo”, poi prese il calice con il vino, rese grazie, lo diede loro dicendo: “Questo è il mio sangue, il sangue dell’alleanza versato per molti”.
    Gesto strano, inusuale, forse non subito capito dagli Apostoli, ma che conteneva il dono più prezioso che avesse potuto fare all’umanità: sé stesso nel Sacramento dell’Eucaristia e con il completamento della frase: “fate questo in memoria di me”, riportata da Luca 22,19, egli istituiva il sacerdozio cristiano, che perpetuerà nei secoli futuri il sacrificio cruento di Gesù, nel sacrificio incruento celebrato ogni giorno ed in ogni angolo della Terra, con la celebrazione della Messa.
    Inoltre rivolto a Pietro, ancora una volta lo indica come capo della futura Chiesa e primo fra gli Apostoli: “Simone, Simone, ecco: Satana vi ha cercato per vagliarvi come il grano, ma io ho pregato per te, perché non venga meno la tua fede; e tu una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli”, cioè di essere da sostegno agli altri nella fede; con ciò Gesù è sempre con lo sguardo rivolto oltre la sua morte e delinea il futuro della Chiesa.
    Nel prosieguo del suo discorso, Gesù ammaestra gli Apostoli con altra similitudine, quella della vite e dei tralci: “Io sono la vera vite e il Padre mio è il vignaiolo. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo toglie e ogni tralcio che porta frutto lo pota, perché porti più frutto…. Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da sé stesso se non rimane nella vite, così neppure voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete fare nulla…”.
    Poi preannuncia le persecuzioni e le sofferenze che saranno loro inflitte per causa sua: “Se il mondo vi odia, sappiate che prima di voi ha odiato me… Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi; se hanno osservato la mia parola, osserveranno anche la vostra. Ma tutto questo vi faranno a causa del mio nome, perché non conoscono Colui che mi ha mandato”. “ Vi scacceranno dalle sinagoghe, anzi verrà l’ora in cui chiunque vi ucciderà, crederà di rendere culto a Dio”.
    Infine dopo altre frasi di consolazione e rassicurazione dell’aiuto del Padre attraverso di Lui, Gesù conclude la lunga cena, con quella che nel capitolo 17 del Vangelo di S. Giovanni, è stata chiamata da s. Cirillo di Alessandria “la preghiera sacerdotale”, vertice del testamento spirituale, racchiuso nei ‘discorsi d’addio’ fatti quella sera.
    È una bellissima invocazione al Padre per raccomandargli quegli uomini, capostipiti di una nuova Chiesa, che hanno creduto in lui, tranne uno, perché veramente Figlio di Dio, della stessa sostanza del Padre, e lo hanno seguito lungo quegli anni, assimilato i suoi insegnamenti, disposti con l’aiuto dello Spirito, a proseguire il suo messaggio di salvezza.
    Ecco perché la Chiesa celebra oltre l’Istituzione dell’Eucaristia, anche l’Istituzione dell’Ordine Sacro; è la “festa del sacerdozio cristiano” e della fondazione della Chiesa.
    Per concludere queste note sul Giovedì Santo, ricordiamo che Gesù dopo la cena, si ritirò nell’Orto degli Ulivi, luogo abituale delle sue preghiere a Gerusalemme, in compagnia degli Apostoli, i quali però stanchi della giornata, delle forti emozioni, della cena, dell’ora tarda, si addormentarono; più volte furono svegliati da Gesù, che interrompeva la sua preghiera: “La mia anima è triste fino alla morte. Restate qui e vegliate”; “Vegliate e pregate per non entrare in tentazione; lo spirito è pronto, ma la carne è debole”; “Basta, è venuta l’ora: ecco il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani dei peccatori: alzatevi e andiamo! Ecco, colui che mi tradisce è vicino”.
    Era cominciata la ‘Passione’ che la Chiesa ricorda il Venerdì Santo; i riti liturgici del Giovedì Santo si concludono con la reposizione dell’Eucaristia in un cappella laterale delle chiese, addobbata a festa per ricordare l’Istituzione del Sacramento; cappella che sarà meta di devozione e adorazione, per la rimanente sera e per tutto il giorno dopo, finché non iniziano i riti del pomeriggio del Venerdì Santo.
    Tutto il resto del tempio viene oscurato, in segno di dolore perché è iniziata la Passione di Gesù; le campane tacciono, l’altare diventa disadorno, il tabernacolo vuoto con la porticina aperta, i Crocifissi coperti.
    Nella devozione popolare dei miei tempi di ragazzo, le madri raccomandavano ai figli di non giocare, di non correre o saltare, perché Gesù stava a terra nel “sepolcro”, nome erroneamente scaturito al tempo del Barocco e indicante l’”altare della reposizione”, dove è posta in adorazione l’Eucaristia.

    Autore: Antonio Borrelli



    Greg Olsen, In Remembrance of Me

    Simon Dewey, Ultima Cena

    Simon Dewey, O my Father

    Heinrich Hofmann, Agonia di Gesù nel Getsemani

    Matthias Stomer, Agonia di Gesù nel Getsemani, XVII sec., Staatliche Museen, Berlino



  6. #6
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    Predefinito Dalla "Mistica Città di Dio" della Ven. Suor Maria di Gesù Agreda

    Libro VI, Cap. 9, §§ 1141-1155

    CAPITOLO 9

    Il giovedì della cena, a Betania, il Redentore prende congedo dall'augusta Signora per andare verso la croce; ella gli chiede di poter ricevere la comunione al momento stabilito, e lo segue a Gerusalemme con Maria di Màgdala e altre sante donne.


    1141. Continuando a narrare questa Storia, ricordo che abbiamo lasciato Cristo a Betania, dopo il ritorno da Gerusalemme alla sera del suo trionfo. Ho già anticipato quello che fecero i demoni prima che egli fosse consegnato ed altre cose che conseguirono dal loro conciliabolo infernale, nonché dal tradimento di Giuda e dal consiglio dei farisei. Torniamo ora a ciò che avvenne in tale località, dove, nei tre giorni che passarono dalla domenica delle palme al giovedì, la Vergine assistette e servì sua Maestà. Questi trascorse con lei tutto il tempo, eccetto quello che impiegò a predicare nel tempio il lunedì e il martedì; il mercoledì, infatti, non vi salì, come ho già detto. Durante tali ultimi viaggi istruì più diffusamente e in maniera più chiara i discepoli circa i misteri della redenzione. Ciascuno di essi, però, pur udendo gli insegnamenti e gli avvertimenti del suo Maestro, non corrispondeva se non secondo la disposizione con cui li accoglieva e secondo gli effetti suscitati nel proprio intimo. Rimanevano sempre piuttosto lenti nel capire e, deboli quali erano, dopo il suo arresto non misero in atto ciò che si erano offerti di fare.

    1142. Nell'imminenza della sua uccisione, il Signore si intrattenne con Maria beatissima su quanto stava per realizzare e sulla legge di grazia, comunicandole arcani così sublimi che molti di essi ci resteranno nascosti finché non lo vedremo nella patria celeste. Di quelli che ho conosciuto, posso esprimere assai poco; asserisco, però, che egli depositò nelle profondità della prudentissima colomba tutto ciò che Davide definisce sapienza di Dio, cioè la sua opera "ad extra" più mirabile, il nostro riscatto e la glorificazione degli eletti, ad esaltazione del suo nome. Le ordinò quanto avrebbe dovuto fare durante il suo supplizio e al momento della morte che andava ad accettare per noi, e la preparò con nuove illuminazioni. In questi colloqui, l'Unigenito prese a rivolgersi a lei nel modo grave e solenne proprio di un sovrano, data l'importanza di ciò di cui trattavano, facendo cessare del tutto le manifestazioni di affetto caratteristiche del figlio e dello sposo. L'attaccamento naturale della dolce Regina e la sua ardente carità erano ormai a un grado eccelso, troppo elevato per la comprensione terrena; così, è impossibile palesare quali fossero, all'avvicinarsi della fine di quella calda conversazione, la tenerezza e l'affanno del candidissimo cuore di una simile madre, nonché i gemiti che ella emetteva dai suoi recessi, come tortora che già cominciava a sentire la sua solitudine, tale da non poter essere riempita da tutte le creature dell'intero universo.

    1143. Arrivò il giovedì, vigilia della crocifissione di Gesù, il quale prima del sorgere del sole chiamò la sua diletta, che prostrandosi davanti a lui come al solito gli rispose: «Parlate, la vostra serva vi ascolta». Egli la fece rialzare e con grande amore e serenità proclamò: «È giunta l'ora stabilita da sempre nei decreti di mio Padre per la salvezza del mondo, che la sua volontà venerabile e gradita mi ha affidato; la ragione richiede che ci spogliamo della nostra, che tante volte abbiamo presentato in dono. Permettetemi di andare a dare la vita per i miei fratelli e, come mia autentica genitrice, considerate un bene che io mi consegni ai miei nemici per essere docile all'Altissimo. Per questa stessa obbedienza, acconsentite a collaborare con me, poiché è dal vostro ventre castissimo che ho ricevuto la forma passibile nella quale deve essere soddisfatta la giustizia superna. Come avete pronunciato il "fiat" per la mia incarnazione, bramo che facciate lo stesso anche per la mia passione; così, darete all'Onnipotente il contraccambio al privilegio di essere stata scelta per concepirmi. Egli, infatti, mi ha inviato per ritrovare, mediante lo strazio del mio corpo, le pecorelle perdute della sua casa, cioè i discendenti di Adamo».

    1144. Queste ed altre affermazioni trapassarono l'anima infiammata della Signora e la sottoposero al più comprimente torchio di dolore che avesse mai sopportato. Quell'ora era già prossima e la sua angoscia non poteva appellarsi né al tempo né ad alcun altro tribunale superiore contro la decisione immutabile dell'Eterno, che aveva fissato quel termine per l'immolazione del Figlio. Da una parte, ella lo guardava come vero Dio, infinito negli attributi e nelle perfezioni, nonché come vero uomo, con la sua umanità congiunta alla persona del Verbo e santificata dai suoi influssi; contemplandolo in tale incomparabile dignità, ripensava alla sottomissione che le aveva mostrato quando lo aveva allevato e ai molti tesori che ella aveva avuto dalla sua generosità nel lungo periodo passato con lui. Dall'altra parte, rifletteva su come presto sarebbe rimasta priva di tali ricchezze, della bellezza del suo volto e della soavità delle sue efficaci parole; per di più, ciò non le veniva meno in un attimo, ma era ella stessa che lo abbandonava a tormenti ignominiosi e al sacrificio cruento, mettendolo in balìa dei più empi e spietati avversari. Tutte queste considerazioni, che si prospettavano ben vivide nella mente della Vergine, penetrarono il suo cuore sensibile e appassionato, dandole una sofferenza realmente inesplicabile. Tuttavia, con la magnanimità di una regina, ella, superando la sua invincibile afflizione, si stese ancora ai piedi del Maestro e, baciandoli con somma riverenza, disse:

    1145. «Dominatore di ogni essere, io sono vostra ancella, sebbene voi siate nato dal mio grembo, poiché con incomparabile bontà vi siete chinato a sollevarmi dalla polvere a questo onore. È dunque giusto che io, vile vermiciattolo, sia grata alla vostra liberale clemenza e mi conformi al volere del Padre e vostro. Mi rimetto al suo beneplacito, perché esso si compia in me come in voi. La rinuncia maggiore per me è quella di non perire con voi, poiché farlo sul vostro modello e insieme a voi darebbe immenso sollievo alle mie pene, che mi diverrebbero tutte dolci di fronte alle vostre, ma mi basterà l'angustia di non potervi dimenticare in quanto dovrete sostenere. Eccovi, o mia letizia, i miei desideri e il mio cruccio di dover restare viva e vedere morire voi, che siete agnello senza macchia e impronta della divina sostanza. Accettate la mia tribolazione allo scorgere la terribile crudeltà delle colpe punita in voi, che siete assolutamente innocente, per mano di quanti vi odiano. Cieli ed elementi, e voi creature che siete in essi contenute, spiriti sovrani, patriarchi e profeti, aiutatemi tutti a piangere la morte del mio adorato, che vi ha tratto all'esistenza. Unitevi, poi, ai miei singhiozzi per la triste miseria di coloro che ne saranno causa: saranno esclusi dal gaudio perenne che egli deve guadagnare loro e non vorranno ricavare alcun vantaggio da un simile beneficio. Oh, infelici dannati! Felici invece voi, predestinati, perché le vostre vesti saranno lavate nel sangue dell'agnello! Voi, che avete saputo approfittare di questo favore, lodate il Signore. O mio Unigenito e mio bene incommensurabile, date vigore a questa donna affranta e ammettetela come discepola e compagna a condividere il vostro martirio, affinché anch'io presenti con voi il mio».

    1146. Ella gli rispose così e con altre espressioni che non sono in grado di riportare, disposta ad imitare la sua passione e ad aver parte in essa, come coadiutrice della nostra redenzione. Subito, domandò di poter far conoscere un altro suo anelito ed avanzare una richiesta che già da molto teneva pronta nel suo intimo, perché le era noto tutto quello che sua Maestà avrebbe dovuto operare alla conclusione dei suoi giorni. Questi acconsentì e Maria purissima riprese: «Mio diletto, luce dei miei occhi, io non sono all'altezza di ciò per cui sono ansiosa di supplicarvi; ma voi siete il respiro della mia speranza e con questa fiducia vi imploro di volermi fare partecipe, se vi è gradito, dell'ineffabile sacramento del vostro corpo e sangue sacratissimo, che avete determinato di istituire come pegno della vostra gloria. Così, quando vi riaccoglierò dentro di me, mi saranno comunicati gli effetti di un mistero tanto unico e mirabile. Sono consapevole che nessuno può essere degno di siffatta grazia, ordinata dalla vostra sola magnificenza; per vincolarla a me, posso offrirvi solo voi stesso, con i vostri meriti infiniti. Se l'umanità beatissima alla quale li legate mi dà qualche diritto per il fatto che l'avete avuta dalle mie viscere, questo varrà per me non tanto perché voi siate mio nell'eucaristia, quanto piuttosto perché io sia vostra mediante il diverso modo di possedervi ricevendovi, così da tornare a stare alla vostra amabile presenza. A questa santissima comunione ho dedicato le mie azioni e i miei sospiri fin dal momento in cui avete avuto la compiacenza di darmene cognizione e di informarmi della vostra volontà e della decisione di rimanere per mezzo di essa nella vostra Chiesa. Venite, dunque, alla vostra prima e antica dimora, quella della vostra Madre, amica e serva, che voi faceste esente dal peccato comune a tutti perché potesse custodirvi nel suo ventre. Ospiterò in me quanto io stessa vi ho trasmesso e staremo avvinti in un nuovo e strettissimo amplesso, che avrà la forza di rinfrancare il mio cuore e di infiammarne i sentimenti, perché io non stia mai lontana da voi, che siete la delizia inesauribile e tutta la gioia della mia anima».

    1147. In tale occasione, la nostra Signora pronunciò molte parole cariche di immensa tenerezza e venerazione, perché parlò con meraviglioso slancio nel pregare Gesù di farla accostare alle specie del pane e del vino consacrati. Questi le si rivolse con soavità anche maggiore, accordandole ciò e promettendole di concederglielo fin dal principio. Già da allora ella, con rinnovato abbandono, cominciò a fare profondi atti di umiltà, di gratitudine, di riverenza e di viva fede per trovarsi preparata.

    1148. Cristo ingiunse agli angeli della Vergine che da quell'istante in poi la assistessero visibilmente e la consolassero nella sofferenza e nella solitudine, come in effetti fecero. Comandò, poi, a lei che alla sua partenza per Gerusalemme gli andasse dietro a breve distanza con le pie donne che lo accompagnavano fin dalla Galilea, istruendole e animandole affinché non venissero meno per lo scandalo di osservarlo morire in maniera così infame. Al termine di tale colloquio, il Figlio dell'eterno Padre le dette la sua benedizione, congedandosi da lei per il viaggio che lo portava alla croce. Il dolore che in questo commiato li trafisse supera ogni pensiero terreno, perché fu pari al loro reciproco affetto, ed esso era proporzionato alla condizione e alla dignità delle loro persone; tuttavia, se possiamo dirne assai poco, non siamo dispensati dal ponderarlo e dal prendervi parte con la massima compassione della quale siamo capaci, per non essere ripresi come irriconoscenti e insensibili.

    1149. Dopo aver salutato la sua dolce Madre e accorata sposa, egli uscì con i suoi da Betania per salire per 1'ultima volta alla città santa. Era il giovedì della cena, verso mezzogiorno. Appena fatto qualche passo, levò lo sguardo all'Altissimo e, magnificandolo e dandogli grazie, con accesa carità e con prontissima obbedienza donò ancora tutto se stesso per il riscatto del genere umano. Con straordinario fervore e con tanta fermezza di spirito che non posso esprimerla senza venir meno alla verità e al mio desiderio, fece questa orazione: «Dio mio, per vostro beneplacito e per amore vostro vado a sottopormi ad atroci tormenti per la libertà dei miei fratelli, plasmati dalle vostre mani. Vado a consegnare me stesso per la loro salvezza e per riunire insieme quelli che sono dispersi e divisi per la colpa di Adamo. Vado a disporre i tesori con i quali essi, fatti a vostra immagine e somiglianza, devono essere adornati e arricchiti per essere riammessi alla vostra familiarità e alla felicità perpetua, e perché il vostro nome sia da tutti celebrato ed esaltato. Per quanto dipende da voi e da me, nessuno rimarrà senza rimedio abbondantissimo, tale che la vostra inviolabile equità sia giustificata verso quelli che lo disprezzeranno».

    1150. Per seguire l'Autore della vita, Maria si mise subito in cammino con Maria di Màgdala e le altre. Come il divino Maestro illuminava e formava i Dodici affinché non soccombessero durante la sua passione per le ignominie che lo avrebbero visto subire e per l'occulta tentazione di satana, anche la Regina della virtù confortava e rinvigoriva le discepole che erano con lei perché non si turbassero scorgendolo spirare dopo essere stato vergognosamente flagellato. Queste, benché per natura più fragili degli apostoli, furono più salde di alcuni di essi nel serbare con cura gli insegnamenti di lei. Quella che progredì di più fu Maria di Màgdala, come raccontano gli evangelisti, perché la fiamma che la consumava la rendeva totalmente ardente e, inoltre, per la sua indole ella era magnanima, coraggiosa e tenace, sollecita e premurosa. Tra tutti, fu lei che si assunse come proprio dovere quello di prestare continuamente aiuto e sostegno alla Signora in quei terribili giorni, senza mai allontanarsene; e così fece, come amante fedelissima.

    1151. Gesù fu imitato dalla Vergine anche nella preghiera e nell'offerta fatta in questa circostanza; ella, infatti, mirava tutte le sue azioni nel terso specchio del chiarore superno, allo scopo di emularle. Veniva servita e scortata dai suoi custodi, che le si manifestavano in forma umana visibile, come sua Maestà aveva stabilito. Con loro conversava sul sublime mistero del suo Unigenito, che né le sue compagne né alcun'altra creatura di quaggiù potevano comprendere. Solo essi percepivano e giudicavano adeguatamente l'incendio che divampava senza misura nel suo cuore puro e candido, nonché la forza con cui la attraevano dietro di sé i profumi inebrianti' del legame che la univa al suo Figlio, sposo e salvatore, e presentavano all'Onnipotente il sacrificio di lode ed espiazione della sua diletta e primogenita. Poiché tutti i mortali ignoravano la grandezza del beneficio della redenzione e quanto li obbligasse la carità del Signore e sua, ella stessa ingiungeva agli angeli di dare gloria e onore alla Trinità, e questi lo facevano secondo la sua volontà.

    1152. Mi fanno difetto le parole adatte, nonché il dolore e i sentimenti convenienti, per riferire quanto capii relativamente alla loro ammirazione. Da una parte osservavano il Verbo e la loro Principessa tutti intenti alla propria opera, spinti dall'incontenibile amore che avevano ed hanno per gli uomini, e dall'altra la viltà, l'ingratitudine, la pigrizia e la durezza di questi nel confessare il proprio debito e nel ritenersi tenuti a ringraziare per un favore tale che avrebbe mosso a riconoscenza gli stessi demoni, se fossero stati capaci di esso. Non solo se ne stupivano, ma rimproveravano la nostra intollerabile mancanza. Io sono una debole donna e valgo meno di un vermiciattolo; tuttavia, in questa luce che mi è stata data, vorrei alzare la voce così da farla udire nell'intero universo, per risvegliare quanti sono inclini alla vanità e cercano la menzogna, ricordando loro questo vincolo e chiedendo a tutti, prostrata con la faccia al suolo, di non voler essere tanto insensibili e crudeli nemici di se stessi, ma di rigettare piuttosto tale sonno da spensierati che seppellisce nel pericolo della dannazione e tiene distanti dalla beatitudine celestiale che Cristo ci ha meritato con un'agonia oltremodo acerba.

    Insegnamento della Regina del cielo

    1153. Carissima, ora che la tua anima è stata rischiarata con concessioni così straordinarie, ti invito nuovamente a entrare nel profondo pelago degli arcani riguardanti la passione. Ordina le tue facoltà e fa' uso di tutte le tue energie interiori per essere degna di intendere almeno un po', di ponderare e di sentire le onte e le sofferenze delle quali il Figlio stesso dell'eterno Padre accettò di caricarsi, umiliandosi fino ad essere crocifisso per riscattare tutti, nonché ciò che io feci e sopportai standogli accanto. Bramo che tu studi e apprenda questa scienza tanto dimenticata, per seguire il tuo sposo e per prendere esempio da me, tua madre e maestra. Bramo che, scrivendo e provando intanto nel tuo animo quanto io ti insegnerò, ti spogli completamente di ogni attaccamento terreno e di te medesima, per ricalcare povera e distaccata i nostri passi distolta da ogni realtà materiale. Adesso, con un privilegio speciale, ti chiamo totalmente sola all'adempimento del beneplacito di Gesù e mio, desiderando istruire anche altri per mezzo tuo. Dunque, è necessario che ti dichiari obbligata per tutto questo come se si trattasse di un dono elargito esclusivamente a te e come se dovesse rimanere assolutamente inutile se non ne trai vantaggio tu. Lo devi apprezzare fino a questo punto perché, per l'amore con cui il mio Unigenito dette se stesso per te, ti guardò con affetto così intenso come se soltanto tu fossi bisognosa della sua morte per la tua salvezza.

    1154. È con questa regola che devi stimare il tuo debito. Il Creatore medesimo, incarnato, è perito per i suoi fratelli, ma questi mostrano un'esecrabile e rischiosa smemoratezza. Procura, allora, di compensare tale ingiuria adorandolo per tutti, come se il pagamento fosse affidato unicamente a te e alla tua fedeltà. Contemporaneamente, affliggiti per la cieca stoltezza di costoro nel disdegnare la loro felicità senza fine e nell'attirare contro di sé l'ira di sua Maestà, togliendo efficacia alle più grandi prove del suo immenso bene verso il mondo. È per questo che ti rivelo tanti segreti e la pena senza pari che sostenni fin dal mio commiato da lui, quando egli si stava avviando al proprio sacrificio. Non ci sono termini in grado di esprimere la mia amarezza; perciò, di fronte ad essa, non devi considerare pesante nessuna tribolazione né ambire riposo o piacere naturale di alcun tipo, ma solo anelare di patire con il Signore. Unisciti ai miei travagli, corrispondendo con diligenza ai miei numerosi benefici.

    1155. Voglio anche che tu mediti quanto siano detestabili agli occhi dell'Altissimo e ai miei, nonché a quelli di tutti i cittadini del cielo, la negligenza e il disprezzo nell'accostarsi alla santa comunione, come anche la carenza di disposizione e di fervore con cui lo si fa. Perché tu comprenda e comunichi questo ammonimento, ti ho manifestato ciò che feci io, preparandomi per tanti anni al momento in cui avrei accolto Cristo nel sacramento, oltre a quello che riferirai in seguito per vostro ammaestramento e a vostra vergogna. Se io, senza colpa alcuna che mi fosse di impedimento e piena di tutte le grazie, feci in modo di accrescere in me l'ardore, l'umiltà e la gratitudine, che cosa dovreste fare voi, figli della Chiesa, che ogni giorno cadete in nuovi peccati, per giungere a ricevere degnamente la bellezza della sua stessa divinità e umanità? Che conto dovranno rendere i cattolici nel giudizio? Essi hanno con sé, nell'eucaristia, il medesimo Dio, che aspetta che vengano a lui per ricolmarli dell'abbondanza delle sue benedizioni, eppure trascurano questo ineffabile favore per abbandonarsi perdutamente ad effimere delizie, facendosi schiavi di ciò che non è che apparente e fallace. Meravigliati, come gli angeli e i beati, per tanta insensatezza e sta' ben in guardia dall'incorrervi anche tu.

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    Libro VI, Cap. 10, §§ 1156-1179

    CAPITOLO 10

    Cristo, nostro salvatore, celebra con i suoi discepoli l'ultima cena secondo la legge e lava loro i piedi, la sua Madre santissima conosce e comprende tutti questi misteri.


    1156. Nel primo pomeriggio del giovedì precedente la sua morte, il nostro Redentore proseguiva il suo cammino verso Gerusalemme. I discepoli, nei colloqui che egli teneva con loro riguardo agli arcani sui quali li stava istruendo, gli esposero alcuni dubbi su ciò che non intendevano. Egli rispose a tutti come maestro della sapienza e padre premuroso, con parole piene di dolcissima luce, che penetrava il loro intimo; infatti, avendoli sempre amati, in quelle ultime ore della sua esistenza terrena, come cigno divino, manifestava con più forza la soavità della sua voce e del suo affetto. La sua imminente passione e la cognizione dei tanti tormenti che lo aspettavano non gli impedivano di farlo; anzi, come il calore concentrato per l'opposizione del freddo torna ad uscire con tutta la sua efficacia, l'incendio che ardeva senza misura nel suo cuore divampava con maggiore tenerezza e impeto ad accendere quegli stessi che cercavano di estinguerlo, cominciando a ferire i più vicini con le sue fiamme. Noi discendenti di Adamo, eccetto Cristo e la sua Madre beatissima, solitamente siamo resi impazienti dalla persecuzione, irritati dalle ingiurie e sconcertati dalle pene. Ogni cosa avversa ci turba, disanima e inasprisce contro chi ci offende, così che reputiamo grande virtù il non vendicarci all'istante. La carità di Gesù, però, non si alterò per le ingiurie che prevedeva e non si stancò per l'ignoranza dei suoi e per l'infedeltà che stava per sperimentare in loro.

    1157. Lo interrogarono su dove volesse consumare la Pasqua; i giudei, infatti, in quella notte cenavano e festeggiavano tale ricorrenza molto importante. Nella loro legge era la figura più chiara dello stesso Signore e di quanto in lui e attraverso di lui si sarebbe dovuto operare, anche se gli apostoli non erano ancora in grado di conoscerlo sufficientemente. Egli, allora, inviò in città Pietro e Giovanni davanti agli altri: avrebbero visto entrare in una casa un servo con una brocca d'acqua e là avrebbero dovuto chiedere in suo nome al padrone che gli approntasse una stanza per stare a tavola con loro. Questi, una delle persone più ricche e rinomate del luogo, gli era devoto e aveva creduto nella sua dottrina e nei suoi miracoli. A motivo della sua pietà meritò che l'Autore della vita scegliesse la sua abitazione per consacrarla, con ciò che vi realizzò, come tempio santo per quanto ancora lì si sarebbe compiuto in seguito. Essi andarono subito e, individuati i segni che erano stati dati loro, pregarono quel tale di accoglierlo e di riceverlo come suo ospite per la solennità degli Azzimi; così, infatti, si chiamava quella Pasqua.

    1158. Costui fu illuminato nell'animo con un favore speciale ed offrì generosamente la sua dimora, con il necessario per eseguire tutto secondo l'uso comune. Immediatamente destinò loro una sala assai ampia, addobbata e adornata come conveniva al mistero tanto venerabile che sarebbe stato istituito, anche se né egli stesso né i due ne erano al corrente. Quando tutto fu pronto arrivarono sua Maestà e gli altri, e poco dopo giunsero anche Maria e le donne che la seguivano. Senza indugio l'umile Regina, stesa al suolo, adorò come di consueto suo Figlio, gli domandò la benedizione e lo implorò di comandarle ciò che avrebbe dovuto fare. Le fu detto di appartarsi in una piccola stanza e di contemplare da lì quanto la Provvidenza aveva determinato di effettuare in tale sera, confortando le sue compagne e rischiarandole diligentemente su quello di cui era opportuno avvertirle. Ella obbedì e si ritirò con esse ingiungendo loro di perseverare nella fede e nell'orazione; intanto, continuava ad attendere con fervore la comunione, della quale sapeva vicino il momento, stando sempre attenta con lo sguardo interiore a tutto ciò che il suo Unigenito faceva.

    1159. Il nostro Salvatore, quando la purissima Vergine si fu allontanata, si introdusse con i Dodici e con altri nell'ambiente allestito per loro. Mangiò con essi l'agnello, osservando tutte le prescrizioni senza tralasciare niente di quanto egli stesso aveva deliberato per mezzo di Mosè. In quest'ultima cena, spiegò ai presenti di che cosa fossero figura quei riti e rivelò loro che erano stati dati ai patriarchi e ai profeti per significare quello che stava adempiendo e doveva adempiere come redentore del mondo. Affermò che l'antica legge e le sue figure avrebbero perso il loro valore con l'avvento della verità; infatti, non potevano più restare le ombre, essendo già venuta in lui la luce e la nuova legge di grazia, nella quale sarebbero rimasti soltanto i precetti di quella naturale, fissata perpetuamente. Questi sarebbero stati elevati e perfezionati dagli altri suoi dettami e consigli; inoltre, con la forza che avrebbe conferito ai nuovi sacramenti, gli antichi sarebbero cessati, in quanto inefficaci e solo figura degli altri. Per tali scopi egli faceva quella celebrazione, con la quale dava termine al loro culto e ai loro costumi, che dovevano preparare a ciò che ora stava attuando; conseguito il fine, si interrompeva l'utilizzo dei mezzi.

    1160. Con questi ammaestramenti, gli apostoli compresero ineffabili segreti di tali profondi arcani, mentre i semplici discepoli non capirono molto. Giuda intese poco o nulla, meno di tutti, perché era posseduto dall'avarizia e badava solo all'infame fellonìa che aveva tramato, stando completamente immerso nel pensiero di perpetrarla di nascosto. Anche Gesù manteneva il silenzio su di essa, perché così si addiceva alla sua equità e all'ordine dei suoi altissimi giudizi. Non volle escluderlo da niente, finché non si trasse fuori egli stesso per la sua perversa volontà, e lo trattò sempre come suo discepolo, apostolo e ministro, non smettendo di rispettarlo. Con il suo esempio educò i figli della Chiesa ad avere un considerevole ossequio verso i sacerdoti e a custodirne con zelo l'onore, senza divulgare i loro peccati e le debolezze che scorgono in essi, come in uomini di fragile natura. Dobbiamo supporre che non ci sarà alcuno peggiore di quel perfido; del resto, il nostro credo ci insegna che nessuno sarà come il Signore, né avrà tanta autorità e tanto potere. Dunque, non sarà mai legittimo che i mortali, tutti infinitamente da meno rispetto a quest'ultimo, si comportino con i pastori, migliori del traditore benché malvagi, come egli stesso non fece con lui. La questione non cambia nel caso dei superiori, dato che anche sua Maestà lo era eppure lo tollerò e proseguì a riverirlo.

    1161. In questa occasione, il Figlio compose un cantico impenetrabile a lode del Padre, perché si erano compiute le figure della legge antica, a sua gloria. Prostrato a terra, umiliandosi secondo la sua santissima umanità, confessò e adorò la Divinità come enormemente più grande di lui. Parlandogli, elevò intimamente una sublime e fervida preghiera:

    1162. «Dio immenso, il vostro celeste ed immutabile beneplacito decretò di formare la mia vera umanità, stabilendo che in essa io fossi primogenito di tutti i predestinati, per vostra esaltazione e loro interminabile gaudio, e che per mio mezzo essi si disponessero ad ottenere la beatitudine; per questo, per riscattare i discendenti di Adamo, ho vissuto con loro per trentatré anni. È giunta l'ora, opportuna e a voi gradita, che il vostro nome si manifesti e sia conosciuto e magnificato da ogni nazione attraverso la predicazione, che palesi a tutti la vostra imperscrutabile eccellenza. È tempo che venga aperto il libro sigillato con sette sigilli consegnatomi dalla vostra sapienza' e che venga posta felicemente fine all'immolazione di animali, che ha significato quello che io volontariamente ho ormai intenzione di donare di me stesso per le membra del corpo del quale sono il capo, le pecorelle del vostro gregge, che vi supplico di guardare con misericordia. Se essa placava il vostro sdegno grazie a ciò che preannunciava, è ragionevole che questo si concluda totalmente. Adesso mi offro con prontezza in sacrificio per essere crocifisso per tutti e mi pongo come olocausto nel fuoco del mio stesso amore. Si mitighi a questo punto il rigore della vostra giustizia e mostrate clemenza verso di essi. Diamo loro una norma di salvezza, attraverso la quale si aprano le porte del paradiso, finora sbarrate per la disobbedienza, e ritrovino un cammino sicuro per entrare con me ad ammirarvi, se vorranno seguire i miei comandamenti e ricalcare le mie orme».

    1163. L'Onnipotente accettò questa invocazione e inviò subito dalle altezze innumerevoli eserciti di angeli, affinché assistessero nel cenacolo ai prodigi che il suo Unigenito stava per realizzare. Frattanto, Maria nel suo ritiro era assorta in somma contemplazione, ravvisando ogni cosa distintamente e con chiarezza, come se fosse stata presente. Collaborava in tutto con lui come le veniva dettato dalla sua eccezionale saggezza. Faceva atti eroici ed eccelsi di ognuna delle virtù, con le quali doveva corrispondere alle sue; queste, infatti, le risuonavano nel petto castissimo, dove con eco arcana venivano ripetute. Ella, nel modo a lei conveniente, innalzava le stesse orazioni, ed inoltre stupendi inni per ciò che l'umanità santissima nella persona del Verbo stava facendo per adempiere il volere superno e dare termine alle antiche figure della legge.

    1164. La singolare armonia delle doti e delle azioni della nostra Signora, se ora la percepissimo, sarebbe meritevole di ogni meraviglia anche per noi, come lo fu per gli

    spiriti sovrani e lo sarà per tutti nell'aldilà. Esse stavano ordinate nel suo cuore come in un coro, senza confondersi né impedirsi le une con le altre, e in tale circostanza erano attive, tutte e ciascuna, con maggiore forza. Sapeva come in Cristo tutto si compiva ed era sostituito dalla nuova legge e da sacramenti più nobili ed efficaci; osservava il frutto sovrabbondante della redenzione negli eletti, la rovina dei dannati, la glorificazione del Creatore e della santissima umanità di Gesù, la fede e la cognizione universale della Divinità, che veniva preparata a beneficio del mondo; vedeva spalancarsi il cielo, chiuso da tanti secoli, affinché i mortali vi avessero subito accesso attraverso lo stabilirsi e il progredire della Chiesa, fondata sul Vangelo, e di tutti i suoi misteri. Ne era artefice mirabile e prudente suo Figlio, tra il plauso e lo stupore degli abitanti del regno di Dio, che ella benediceva con rendimenti di grazie, senza tralasciare neppure un apice, gioendo e consolandosi con incomparabile giubilo.

    1165. Nel contempo, però, discerneva che queste opere ineffabili sarebbero costate a sua Maestà dolori, ignominie, ingiurie e tormenti, e infine il supplizio più duro e aspro. Era cosciente che egli avrebbe dovuto soffrire tutto ciò nella carne ricevuta da lei e che, nonostante questo, tanti gli sarebbero stati ingrati e non ne avrebbero tratto profitto. Tale consapevolezza riempiva di desolante amarezza il candidissimo animo della pietosa Madre, ma questi moti interiori potevano essere contenuti nel suo nobile intimo, dal momento che ella era ritratto vivo e proporzionato di lui. Non si turbava o alterava e non mancava di sollevare e di educare le pie donne che erano con lei. Senza perdere la sublimità delle rivelazioni che le erano date, discendeva esternamente ad istruirle e confortarle con consigli salutari e con parole di vita eterna. O straordinaria Maestra ed esempio grandissimo, ben degno di essere imitato da noi! Purtroppo è vero che i nostri doni, se paragonati con quel pelago di grazia e di luce, sono impercettibili; ma è vero anche che le nostre pene e tribolazioni, a confronto delle sue, sono quasi apparenti e di poco peso, poiché ella da sola sopportò più di tutti gli altri messi insieme. Eppure, non sappiamo sostenere con pazienza la minima avversità, né per emularla e dimostrarle il nostro amore, né per la nostra beatitudine senza fine. Tutte le contrarietà ci inquietano, ci irritano e sono accolte da noi con disappunto: quando sopraggiungono, sciogliamo il freno alle passioni, resistiamo con ira, reagiamo con tristezza, abbandoniamo indocili la ragione, e tutti gli impulsi cattivi si scompigliano stando pronti a farci precipitare. Anche la prosperità ci diletta e ci rovina; insomma, non possiamo confidare in niente nella nostra natura macchiata e corrotta. In queste occasioni ricordiamoci, dunque, della nostra Regina, per rimettere al loro posto i nostri disordini.

    1166. Conclusa la cena prescritta, dopo avere bene insegnato tutto agli apostoli, l'Unigenito si accinse a lavare loro i piedi, conformemente al racconto di Giovanni. Prima di cominciare, si rivolse ancora all'Altissimo, stendendosi al suo cospetto come aveva fatto all'inizio. Questa implorazione non fu vocale, ma egli disse mentalmente: «Padre mio, autore dell'intero universo, io sono vostra immagine, generato dal vostro intelletto e impronta della vostra sostanza. Essendomi offerto secondo la disposizione della vostra volontà perfetta per riscattare tutti con la mia crocifissione, bramo, per vostro beneplacito, di arrivare ad essa abbassandomi fino alla polvere, affinché la smisurata superbia di Lucifero venga confusa dalla semplicità del vostro diletto. Per lasciare una testimonianza di tale virtù ai Dodici e alla comunità ecclesiale, che si deve edificare su questo sicuro basamento, intendo lavare i piedi dei miei discepoli, anche quelli di Giuda, inferiore a tutti per la malvagità che ha tramato. Inginocchiandomi davanti a lui con sincera e profonda umiltà, gli manifesterò la mia amicizia e la possibilità di salvezza. Egli è il più acerrimo nemico che ho tra i mortali, ma non gli negherò la mia pietà e il perdono del suo tradimento; così, se lo rifiuterà, il cielo e la terra sapranno che io gli ho allargato le braccia della mia clemenza ed egli l'ha disprezzata con ostinazione».

    1167. Fece quest'orazione per compiere tale gesto. Non ci sono termini e paragoni per comunicare qualcosa dell'impeto con il quale il suo ardore determinava e faceva tutto ciò: è lenta l'attività del fuoco, la corrente del mare, la caduta della pietra e ugualmente inadeguati sono gli altri movimenti immaginabili negli elementi; non possiamo, però, ignorare che solo la sua carità e la sua sapienza poterono pensare tale espressione di modestia. Egli, nella sua divinità e umanità, si piegò fino alla parte più bassa dell'uomo, i piedi, e addirittura fino a quelli del peggiore tra tutti. Colui che era la Parola di Dio pose la sua bocca su quanto era meno decoroso e più spregevole. Colui che era il Santo dei santi e la stessa bontà per essenza, Signore dei signori e re dei re, si chinò davanti alla persona più scellerata perché potesse essere redenta, se avesse voluto comprendere e accettare questo beneficio, che non è mai sufficientemente ponderato e magnificato.

    1168. Dopo aver pregato si alzò e, con un aspetto bellissimo, sereno e affabile, comandò ai suoi di sedersi tutti ordinatamente, come se fossero stati tanti magnati e lui il loro servo. Quindi, si tolse il mantello che teneva sopra la tunica inconsutile, che gli giungeva ai calcagni pur senza coprirli. In quel momento portava dei sandali, quantunque in certe circostanze se li levasse per predicare scalzo. Erano sempre gli stessi che Maria gli aveva messo per la prima volta in Egitto e che da quel giorno erano cresciuti lentamente come i suoi piedi. Spogliatosi dunque del mantello, al quale si riferisce l'Evangelista parlando di vesti, prese una lunga stoffa e si cinse con una parte di essa, facendo pendere l'altra estremità. Versò poi dell'acqua in un catino, mentre tutti, pieni di meraviglia, stavano attenti a quello che veniva eseguito.

    1169. Si avvicinò al capo degli apostoli per iniziare da lui, ma questi nel suo fervore, quando vide prostrato davanti a sé lo stesso Cristo che aveva confessato come Figlio del Dio vivente, rinnovando nel suo intimo questa fede con la luce che allora lo illuminava e ravvisando con grande consapevolezza la propria bassezza, turbato e sorpreso domandò: «Signore, tu lavi i piedi a me?». Il nostro bene replicò con incomparabile mansuetudine: «Quello che io faccio, tu ora non lo capisci, ma lo capirai dopo». Ciò significava: «Conformati adesso al mio volere e non anteporre il tuo giudizio, perché così perverti l'ordine delle virtù e le separi. Prima devi soggiogare il tuo intelletto e credere che è conveniente quanto io faccio; solo dopo afferrerai i misteri nascosti nelle mie opere, perché all'intelligenza di essi devi accedere attraverso la porta dell'obbedienza, senza la quale la tua umiltà non può essere veramente tale, ma orgoglio. Del resto, la tua non si può porre innanzi alla mia; infatti, io mi sono umiliato fino alla morte, e per farlo in questa misura ho obbedito, mentre tu, che sei mio discepolo, non ti attieni al mio insegnamento e sotto un'apparenza di umiltà sei disobbediente. Se inverti tali qualità dando retta alla tua presunzione, ti privi di entrambe».

    1170. Egli non intese questo ammaestramento, racchiuso nella risposta, perché, pur stando alla sua scuola, non era arrivato a sperimentare gli influssi celesti della lavanda alla quale l'Autore della vita si accingeva e del contatto con lui. Imbarazzato dalla propria inopportuna riverenza, ribatté: «Non mi laverai mai i piedi!». Fu ammonito con più durezza: «Se non ti laverò, non avrai parte con me». Con questa frase severa, sua Maestà canonizzò la sicurezza dell'obbedienza. Secondo la logica terrena pare che Pietro avesse delle valide motivazioni per opporsi ad un'azione tanto inaudita e tale da essere ritenuta molto audace, come era il consentire, uomo vile e non immune da colpe, che gli stesse inginocchiato dinanzi Dio stesso, da lui riconosciuto e adorato come tale. Questa giustificazione, però, non fu considerata buona, perché Gesù non poteva sbagliare in quello che faceva e, quando non ci risulta palese l'errore in chi ha autorità, l'obbedienza deve essere cieca e non, cercare ragioni per resistere. Il Salvatore voleva dare rimedio alla ribellione dei nostri progenitori, Adamo ed Eva, per mezzo della quale il peccato era entrato nel mondo Per la somiglianza che l'atteggiamento del pescatore aveva con essa, della quale partecipava, il Signore gli fece temere una punizione simile, affermando che se non si fosse assoggettato non avrebbe avuto parte con lui. Ciò corrispondeva a escluderlo dai suoi meriti e dal frutto della redenzione, per la quale siamo fatti capaci e degni della sua amicizia e della sua gloria. Lo minacciò pure di negargli il suo corpo e il suo sangue, che stava per consacrare sotto le specie del pane e del vino. Anche se in queste desiderava donarsi interamente, e non diviso, e anelava ardentemente di comunicarsi in tale modo arcano, l'indocilità avrebbe potuto sottrarre a costui l'amoroso beneficio se avesse perseverato in essa.

    1171. Alle parole dell'Unigenito, il principe del collegio apostolico rimase tanto castigato e istruito che, con eccellente abbandono, esclamò subito: «Signore, non solo i piedi, ma anche le mani e il capo!». Ciò equivaleva a dire: «Offro i miei piedi per correre verso l'obbedienza, le mie mani per esercitarla e il mio capo per non seguire il mio proprio giudizio contro di essa». Cristo accettò questo atto di sottomissione e dichiarò: «Chi ha fatto il bagno, non ha bisogno di lavarsi se non i piedi ed è tutto mondo; e voi siete mondi, ma non tutti»; infatti, uno di loro era completamente immondo. Proclamò questo perché i suoi, tranne Giuda, erano stati resi giusti dalle sue esortazioni; essi avevano solo bisogno di lavare le imperfezioni e le pecche leggere, per ricevere l'eucaristia con disposizione migliore, come è necessario per ottenerne gli effetti soprannaturali e per conseguire grazia più copiosa, piena ed efficace. Le mancanze veniali, le distrazioni e la tiepidezza nell'accostarsi ad essa, difatti, sono di enorme intralcio. Così, Pietro venne purificato e dopo di lui anche gli altri, tra lo stupore e le lacrime, perché erano tutti rischiarati e colmati di nuovi favori.

    1172. Il Maestro passò al traditore, la cui slealtà e perfidia non poté estinguere la sua carità, né impedirgli attestazioni di affetto maggiori che ai suoi compagni. Senza manifestare pubblicamente questi particolari segni di tenerezza, li fece evidenti a lui in due maniere: innanzitutto, nell'amabilità e nella delicatezza con cui si mise ai suoi piedi, li bagnò, li baciò e li strinse al petto; poi, nelle sublimi ispirazioni con le quali toccò il suo intimo, nella misura richiesta dalla debolezza e miseria di quell'animo depravato, cioè dandogli aiuti molto più larghi che agli altri. La sua condizione, però, era pessima, i suoi vizi estremamente radicati in lui, la sua ostinazione indurita e le sue facoltà turbate e debilitate. Egli si era allontanato in tutto e per tutto dall'Altissimo e si era dato in potere al demonio, che stava in lui come in un trono della sua perversità, e pertanto ostacolò ogni soccorso e ogni impulso positivo. Si aggiunse inoltre la paura di ciò che gli avrebbero fatto gli scribi e i farisei se non avesse rispettato l'accordo. Alla presenza di sua Maestà e per l'energia interiore del sostegno che gli era concesso, la luce dell'intelletto lo voleva muovere; per questo, si sollevò nella sua coscienza tenebrosa una burrasca turbolenta, che lo riempì di confusione e di astio, lo infiammò di rabbia, lo gettò nella disperazione, lo spinse distante dal medico che intendeva applicargli la cura salutare, e convertì questa in veleno mortale e in fiele amarissimo della malvagità dalla quale era pervaso e posseduto.

    1173. La sua iniquità si oppose alla forza del contatto con le mani divine nelle quali l'eterno Padre aveva posto ogni tesoro, nonché la possibilità di compiere cose mirabili e di arricchire tutte le creature. Anche se la sua pertinacia non avesse avuto altri ausili che quelli portati ordinariamente dalla visione del Redentore, la sua malignità sarebbe stata superiore ad ogni immaginazione. Il corpo di Gesù era assolutamente perfetto e armonioso; il suo aspetto era composto e sereno, bello, piacevole e soave; i suoi capelli, tra il biondo e il castano, erano tagliati pari secondo l'uso di Nazaret; i suoi occhi erano grandi e sommamente graziosi e nobili; la bocca, il naso e le altre parti del suo viso erano ben proporzionate. In tutto, poi, appariva tanto affabile e leggiadro che chiunque lo mirava senza malizia era spinto a rispettarlo e ad amarlo. Inoltre, la sua vista provocava vivo giubilo, con singolare illuminazione delle anime, generava in esse pensieri celesti e produceva altri influssi. Giuda ebbe ai suoi piedi questa persona così incantevole e venerabile, che gli dava inconsuete dimostrazioni di cortesia, peraltro con stimoli più abbondanti di quelli comuni. La sua scelleratezza, però, fu tale che niente poté piegare o ammorbidire il suo cuore di pietra; anzi, si sdegnò della dolcezza di lui e non volle guardarlo in faccia, né porgli attenzione. Dal momento in cui aveva perso la fede e la grazia, infatti, aveva cominciato a provare questo odio contro di lui e contro la sua Madre santissima, e non li fissava mai in volto. Più spaventoso fu il terrore che della vicinanza di Cristo ebbe Lucifero. Come ho spiegato, questi se ne stava nel vile discepolo e, non tollerando l'umiltà che il Salvatore usava con gli apostoli, cercò di uscire da colui che dominava e dal cenacolo; ma il vigore del braccio onnipotente non permise che se ne andasse, per schiacciare la sua superbia. In seguito, però, il demonio venne scacciato di là, pieno di furore e di sospetti che costui fosse vero Dio.

    1174. Terminata la lavanda e ripreso il suo mantello, l'Unigenito si mise a sedere in mezzo ai suoi e fece loro il lungo discorso che ci riferisce il quarto evangelista, iniziando con queste parole: «Sapete ciò che vi ho fatto? Voi mi chiamate Maestro e Signore e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri. Vi ho dato infatti l'esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi. In verità, in verità vi dico: un servo non è più grande del suo padrone, né un apostolo è più grande di chi lo ha mandato». Proseguì rivelando loro eccelsi misteri, istruendoli, ammonendoli e formandoli; non mi trattengo qui a ripetere questo, rimettendomi al testo sacro. Tale discorso li rischiarò ancora sulla beatissima Trinità e sull'incarnazione, li dispose ulteriormente all'eucaristia e li confermò in quanto già sapevano della profondità della sua predicazione e dei suoi miracoli. Fra tutti, quelli che lo penetrarono di più furono Giovanni e Pietro, perché ciascuno ebbe una comprensione diversa, maggiore o minore in base alla propria condizione spirituale e alla volontà celeste. Il primo racconta ciò parlando della domanda che rivolse circa il traditore a sua Maestà; questi stesso durante la cena, quando egli si reclinò sul suo petto, gli svelò chi era. Il secondo lo aveva sollecitato a farlo perché desiderava esserne informato per vendicare il suo Signore o impedirne la consegna, mosso dal fervore che gli ardeva dentro e che era solito manifestare più degli altri. Giovanni, però, non glielo disse, pur avendolo conosciuto dal segno indicatogli, cioè dal boccone offerto a quell'infame: tacque e mantenne il segreto, esercitando la carità che gli era stata comunicata e insegnata alla scuola del suo Maestro.

    1175. Fu privilegiato in questo favore e in molti altri quando poggiò il capo sul petto di Gesù, dove apprese sublimi arcani riguardanti la sua divinità e umanità nonché la Regina. In tale occasione, quest'ultima gli fu affidata, affinché ne avesse cura; dalla croce, infatti, non gli fu proclamato: «Ella sarà tua madre», né a lei: «Egli sarà tuo figlio». Il Redentore non lo decise allora, ma dichiarò pubblicamente quello che già prima aveva raccomandato e ordinato. Di tutti gli atti che eseguì nella lavanda dei piedi e delle sue espressioni la purissima Vergine aveva straordinaria cognizione e visione, come già altrove si è asseri to, e per tutto ella compose cantici a lode e gloria dell'Altissimo. Quando in seguito furono compiute le sue meraviglie, le osservava non come venendo a scoprire qualcosa di nuovo, prima ignorato, ma come scorgendo realizzare quello che già sapeva e che teneva scritto nel suo intimo, così come nelle tavole di Mosè erano incisi i comandamenti. Intanto, illuminava le pie donne che erano con lei su quanto era conveniente, serbando per sé ciò che non erano capaci di intendere.

    Insegnamento della Regina del cielo

    1176. Carissima, pretendo che tu eccella nelle tre virtù principali di mio Figlio, da me affrontate nel presente capitolo, imitandolo in esse come sua sposa e mia diletta discepola. Queste sono la carità, l'umiltà e l'obbedienza, nelle quali egli al concludersi della sua esistenza terrena si volle distinguere di più. Senza dubbio, mostrò sempre il suo affetto verso gli uomini, poiché per loro e a loro vantaggio fece tante e così mirabili azioni, dall'istante in cui fu concepito nel mio seno per intervento dello Spirito Santo. Al termine dei suoi giorni, però, quando stabilì la legge evangelica e il Nuovo Testamento, la fiamma dell'accesa carità che bruciava in lui si palesò con più forza, agendo in tale circostanza con tutta la sua efficacia. Da parte sua concorsero i dolori della morte, che lo circondavano, e da parte dei discendenti di Adamo l'avversione a patire e ad accettare il bene, la somma ingratitudine e la perversità. Questi, infatti, tentavano di disonorarlo e togliere la vita a chi la dava loro e preparava per tutti la beatitudine senza fine. Con una simile contraddizione, crebbe l'amore che non si doveva spegnere; così, egli fu più ingegnoso per conservarsi nelle sue opere, determinò come restare tra i suoi, dovendosi allontanare da loro, e fece capire con l'esempio, le esortazioni ed i gesti quali fossero i mezzi validi e certi per essere partecipi dei suoi effetti.

    1177. In quest'arte di amare il prossimo per Dio, voglio che tu sia molto saggia e solerte. Lo sarai se anche le pene e le ingiurie risveglieranno in te l'impeto della carità. Devi valutare attentamente che essa è sicura e senza sospetti quando non viene sollecitata con regali o lusinghe. È un debito amare chi ti fa del bene, ma, se rifletti, devi convenire che in quel caso non sai se lo ami per Dio o per ciò che ti è dato. In questa seconda ipotesi, si tratterebbe di amore verso l'interesse o verso te stessa, non verso il tuo prossimo per Dio. Chi ama per altre finalità o per motivi allettanti non conosce la carità, perché è posseduto dal cieco amor proprio del suo piacere. Se, invece, ami chi non ti spinge a questo per tali vie, la causa e l'oggetto principale è il Signore stesso, che ami nella sua creatura, qualunque essa sia. Poiché, poi, non puoi praticare la carità corporale tanto quanto quella spirituale, sebbene tu debba abbracciarle entrambe in base alle tue possibilità ed alle opportunità che ti si presenteranno, in quest'ultima devi estenderti continuamente a cose grandi, come brama l'Onnipotente, con preghiere, invocazioni, esercizi e anche con ammonimenti prudenti e santi, procurando in tal modo la salvezza. Ricordati che il mio Unigenito non fece a nessuno un favore temporale senza accompagnarlo ad uno spirituale. I suoi atti non sarebbero stati perfetti se non fossero stati fatti con questa pienezza. Da ciò comprenderai quanto i benefici dell'anima siano da preferire a quelli esteriori: chiedili sempre dando loro la priorità, quantunque la gente mondana ordinariamente cerchi con sconsideratezza quelli caduchi, dimenticando le ricchezze imperiture e riguardanti la vera amicizia e grazia dell'Eterno.

    1178. L'umiltà e l'obbedienza furono esaltate nel mio Gesù da quello che egli fece e insegnò lavando i piedi ai suoi; se non scenderai più giù della polvere, con la luce interiore che hai di questo raro modello, il tuo cuore sarà assai duro e indocile alle sue parole. D'ora in poi, dunque, sii ben persuasa che non potrai mai dire o immaginare di esserti umiliata adeguatamente, benché tu venga disprezzata al di sotto di tutti, per quanto peccatori; nessuno, infatti, sarà peggiore di Giuda, né tu puoi essere come il tuo Maestro. Nonostante questo, se meriterai che egli ti faccia omaggio di tale virtù, ciò ti darà una specie di eccellenza e proporzione con la quale divenire degna del titolo di sua sposa e in qualche maniera simile a lui stesso. Senza di essa, nessuno può essere sublimato tanto: quello che è alto deve prima essere abbassato ed è chi si abbassato che può e deve essere innalzato; si è sempre sollevati in corrispondenza di quanto ci si mortifica.

    1179. Affinché tu non smarrisca la gioia dell'umiltà pensando di custodirla, ti avverto che non va anteposta all'obbedienza, né va regolata secondo il proprio senno, ma secondo quello del superiore; altrimenti, sotto un'opposta apparenza, vivi da superba, perché non solo non ti collochi all'ultimo posto, ma ti elevi al di sopra della volontà di chi ti governa. Questo ti dimostra come tu ti possa ingannare, avvilendoti come Pietro per non accogliere la generosità di Cristo. Così ti privi non solo dei tesori ai quali resisti, ma anche della stessa umiltà, che è il più eccelso, della riconoscenza da te dovuta a lui per i suoi sommi fini e della glorificazione del suo nome. Non tocca a te penetrare i suoi imperscrutabili giudizi, né correggerli con le tue argomentazioni, per le quali ti ritieni non idonea a ricevere dei doni o a fare alcune opere. Tutto ciò è semenza dell'orgoglio di Lucifero, nascosto da una falsa modestia: con essa egli tenta di renderti incapace di aver parte del Signore, delle sue elargizioni e della sua familiarità, che tanto desideri. Sia, dunque, per te legge inviolabile credere, accettare, stimare e gradire con riverenza le sue concessioni, appena i tuoi confessori e superiori le avranno approvate. Allora, non cominciare a perderti in ragionamenti cavillosi, con nuovi dubbi e timori; agisci piuttosto con fervore, e sarai umile, obbediente e mansueta.

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    Libro VI, Cap. 11, §§ 1180-1203

    CAPITOLO 11

    Cristo, nostro salvatore, celebra la cena sacramentale ed istituisce l'eucaristia, consacrando il pane e il vino nel suo sacratissimo e vero corpo e sangue: le preghiere e le invocazioni che fece; come comunicò la sua santissima Madre, ed altri misteriosi prodigi che avvennero in questa occasione.


    1180. Con gran timore mi accingo a trattare del Sacramento dei sacramenti, l'ineffabile eucaristia, e di ciò che fu necessario per la sua istituzione. Difatti, sollevando gli occhi dell'anima per ricevere la luce divina che mi guida e mi assiste in quest'Opera, la scienza che mi viene infusa su tante meraviglie e su misteri così eccelsi è tale che ho paura della mia piccolezza, rivelatami nello specchio della stessa luce. Le mie facoltà sono confuse, e non trovo né posso trovare parole congruenti per spiegare ciò che vedo e per dichiarare il mio pensiero, benché tanto inferiore all'oggetto dell'intelletto. Tuttavia parlerò come ignorante, lacunosa nei termini e inabile nelle capacità, per non mancare all'obbedienza e per tessere questa Storia, continuando a raccontare ciò che in queste meraviglie operò la gran signora del mondo, Maria santissima. Se non mi esprimerò con la competenza che richiede la materia, mi facciano da scusante la mia misera condizione e il mio stupore, perché non è facile discendere alle parole appropriate, quando la volontà desidera solo con i sentimenti supplire il limite della capacità di intendere e brama di godere in disparte ciò che non può né conviene manifestare.

    1181. Cristo, nostro bene, celebrò la cena prevista dalla legge, come era suo solito, adagiato in terra con gli apostoli, sopra una mensa o predella che si alzava dal suolo poco più di sei o sette dita, conformemente all'usanza dei giudei. Terminata la lavanda dei piedi, sua Maestà ordinò di preparare un'altra mensa più alta, simile a quella che oggi usiamo per mangiare. Con questa cerimonia pose fine alle cene ed alle rappresentazioni sommesse e figurative, e diede inizio al nuovo convito in cui istituì la legge di grazia. Da qui prese avvio la consuetudine, che permane nella Chiesa cattolica, di consacrare su una mensa o su un altare. I santi apostoli coprirono la nuova mensa con una tovaglia molto preziosa e sopra di essa posero un piatto o sottocoppa ed una coppa grande a forma di calice, sufficiente a ricevere il vino necessario, secondo il volere di Cristo nostro salvatore che con la sua potenza e divina sapienza preveniva e disponeva tutto. Il padrone di quella casa mosso da un grande impulso gli offrì questi vasi preziosi, ricchi di pietra simile a smeraldo. In seguito, furono usati dai santi discepoli per la consacrazione, quando riconobbero il tempo più opportuno e conveniente per celebrare. Gesù si sedette a mensa con i Dodici e con altri seguaci, e chiese che gli portassero del pane genuino, senza lievito, che pose sul piatto, e del vino puro con il quale riempì il calice della quantità necessaria.

    1182. Il Maestro della vita fece un dolcissimo discorso agli apostoli: le sue divine parole, che sempre penetravano sino all'intimo del cuore, in questo sermone furono come raggi accesi dal fuoco della carità, che scaldarono di questa dolce fiamma gli animi dei discepoli. Egli manifestò loro nuovi ed altissimi misteri sulla sua divinità e umanità, e sulle opere della sua redenzione; raccomandò la pace e l'unione della scambievole carità, che lasciò vincolata a quel sacro mistero che aveva stabilito di operare; promise ad essi che, se si fossero amati gli uni gli altri, il suo eterno Padre li avrebbe amati come amava lui, e infuse in loro la sapienza per comprendere questa promessa ed avere la cognizione di essere stati eletti per istituire la nuova Chiesa e la legge di grazia. Infine, rinnovò l'illuminazione, che già avevano, circa la suprema dignità, l'eccellenza e i privilegi della sua purissima Madre. Su tutti questi misteri san Giovanni ricevette una maggiore luce a causa del ministero a cui era destinato. Dalla stanza dove era ritirata in divina contemplazione, la celeste Signora vedeva tutto quello che il suo santissimo Figlio operava nel cenacolo, e con profonda intelligenza lo penetrava ed intendeva più di tutti gli apostoli, e perfino degli stessi angeli che assistevano, come si è detto sopra, in forma corporea, adorando il loro vero Signore, re e creatore. Dal luogo dove stavano, Enoch ed Elia furono trasportati nel cenacolo dagli angeli, perché il Signore aveva disposto che questi due padri, uno della legge naturale e l'altro di quella scritta, si trovassero presenti alla meravigliosa istituzione della nuova legge e fossero partecipi dei suoi mirabili misteri.

    1183. Mentre tutti questi personaggi che ho nominato si trovavano assieme, aspettando con stupore ciò che stava per fare l'Autore della vita, apparvero nel cenacolo le persone dell'eterno Padre e dello Spirito Santo, come era accaduto al Giordano e sul Tabor. Quantunque tutti gli apostoli e i discepoli sentissero qualche effetto di questa visione, solo alcuni l'avvertirono, e tra questi in modo speciale l'evangelista san Giovanni, che nei divini misteri ebbe sempre il privilegio di un acume penetrante come la vista di un'aquila. Tutto il cielo si trasferì nel cenacolo di Gerusalemme. Tanto doveva essere e fu magnifica l'opera con la quale si istituì la Chiesa del Nuovo Testamento, si stabilì la legge di grazia e si preparò la nostra eterna salvezza! Per comprendere quanto operò il Verbo incarnato, desidero sottolineare che avendo egli due nature, divina e umana, presenti entrambe nella sua stessa persona, le azioni di ambedue le nature si dichiarano e si predicano attribuendole ad un'unica persona, quella del vero Dio e vero uomo. Conformemente a ciò, quando dico che il Verbo incarnato parlava e pregava il suo eterno Padre, non si deve intendere che egli parlasse e pregasse con la natura divina, nella quale era uguale al Padre, ma con quella umana, in cui era inferiore e costituito come noi di anima e corpo. In questa forma Cristo, nostro bene, nel cenacolo rese onore, magnificenza e lode all'Onnipotente per la sua divinità e per il suo essere infinito, ed intercedendo a favore del genere umano pregò dicendo:

    1184. «Padre mio e Dio eterno, io vi onoro, vi lodo e vi magnifico nell'essere infinito della vostra divinità inaccessibile, nella quale sono una medesima cosa con voi e con lo Spirito Santo, perché sono stato generato "ab aeterno" dal vostro intelletto, come impronta della vostra sostanza ed immagine della vostra stessa indivisibile natura. Io voglio portare a termine l'opera della redenzione umana che mi avete affidato nella natura che presi nel grembo verginale di mia Madre; desidero espletarla nel modo più perfetto e con la pienezza del vostro divino consenso e così passare da questo mondo alla vostra destra portandovi tutti quelli che mi avete dato senza che alcuno vada perduto, per quanto dipenda dalla nostra volontà e dalla forza stessa della redenzione. Ho posto le mie delizie tra i figli degli uomini che in mia assenza resteranno orfani e soli, se li lascio senza assistenza. Voglio, perciò, Padre mio, lasciare loro un pegno certo e sicuro del mio inestinguibile amore e del premio eterno che per essi ho preparato. Voglio lasciare loro un ricordo indefettibile di ciò che ho operato e patito per essi. Voglio che ritrovino nei miei meriti un facile ed efficace rimedio al peccato, di cui furono partecipi per la disobbedienza del primo uomo; e voglio restituire ad essi copiosamente il diritto, che perdettero, di prender parte alla felicità eterna, per la quale furono creati».

    1185. «E proprio perché saranno pochi coloro che accederanno a questo stato di perfezione, è necessario che rimangano altri mezzi di riscatto con cui riacquistarlo, ricevendo nuovi doni e grandissimi favori dalla vostra ineffabile clemenza, per restare giustificati e santificati tramite diverse vie, durante il loro pericoloso pellegrinaggio terreno. La nostra volontà eterna, con la quale decretammo la creazione dell'uomo dal nulla, affinché egli prendesse esistenza e la conservasse, fu al fine di donargli le perfezioni e la beatitudine della nostra divinità; ma il vostro amore, che mi obbligò a nascere con un corpo corruttibile e ad umiliarmi per gli uomini fino alla morte di crocee, non resta soddisfatto se non trova nuove maniere di comunicarsi ad essi, secondo la loro capacità e la nostra sapienza. Ciò deve avvenire con segni visibili e sensibili, percepibili dalla natura fisica dei mortali, ma che abbiano effetti invisibili, di cui sia partecipe il loro spirito immortale».

    1186. «Per il fine altissimo della vostra esaltazione e della vostra gloria chiedo, Signore e Padre mio, il "fiat" della vostra eterna volontà, nel nome mio e di tutti i figli poveri ed afflitti di Adamo. E se le loro colpe provocano la vostra giustizia, la loro condizione di miseria e di bisogno invoca la vostra infinita misericordia, accanto alla quale io interpongo le opere della mia umanità unita con vincolo indissolubile alla mia divinità: l'obbedienza con la quale accettai di essere passibile sino alla morte; l'umiltà con la quale mi assoggettai agli uomini ed ai loro depravati giudizi; la povertà e le sofferenze della mia vita; le ignominie, la passione e morte; e infine l'amore con cui accettai tutto ciò per la vostra gloria, e perché voi siate riconosciuto ed adorato da tutte le creature capaci di ricevere la vostra grazia e di magnificarvi. Voi, Signore e Padre mio, mi rendeste fratello degli uomini e capo di tutti gli eletti che devono godere con noi per sempre della nostra divinità, affinché come figli siano eredi con me dei vostri beni eterni e come membra partecipino dell'influsso del capo: effetto che io bramo di comunicare loro, per l'amore che come per fratelli ho verso di essi. E per quanto mi riguarda, voglio condurli tutti con me alla vostra amicizia e comunione, per la quale furono formati nel loro capo naturale, il primo uomo, da cui discendono».

    1187. «Con questo amore immenso dispongo, Signore e Padre mio, che tutti i mortali da questo momento possano essere rigenerati nella pienezza della vostra amicizia e della vostra grazia con il sacramento del battesimo. Essi lo possono ricevere subito dopo essere venuti alla luce, senza volere proprio, manifestandolo altri per loro, affinché rinascano nella vostra accettazione. Da quel momento in poi saranno eredi della vostra gloria; resteranno contrassegnati come figli della Chiesa con un carattere indelebile, che non potranno mai più perdere; rimarranno purificati dalla macchia del peccato originale; e riceveranno i doni delle virtù teologali, fede, speranza e carità, con le quali potranno operare come figli, riconoscendovi Signore, sperando in voi ed amandovi per voi stesso. Gli uomini riceveranno anche le virtù con cui frenare e governare le passioni disordinate del peccato, e sapranno discernere senza inganno il bene ed il male. Il battesimo sia il vestibolo d'ingresso alla mia Chiesa, e la porta che apre l'accesso agli altri sacramenti ed ai nuovi benefici della grazia. Dispongo ancora che dopo questo sacramento ne ricevano un altro, dal quale siano corroborati e confermati nella santa fede che hanno professato, e che devono professare e difendere con fortezza arrivando all'uso della ragione. E poiché gli uomini per la loro fragilità mancheranno facilmente nell'osservanza della mia legge, e la mia carità non sopporta che vengano lasciati senza un rimedio facile ed opportuno, voglio che serva a questo fine la penitenza. Per suo mezzo i figli della Chiesa, riconoscendo le loro colpe con dolore e confessandole, potranno ritornare nello stato di giustizia e raggiungere la gloria che ho promesso loro. Lucifero e i suoi seguaci in tal modo non riporteranno il trionfo di averli allontanati dallo stato di grazia e di sicurezza in cui li aveva posti il battesimo».

    1188. «1 mortali giustificati per mezzo di questi sacramenti si ritroveranno abilitati ad amare in sommo grado e ad essere in piena comunione con me, durante l'esilio della loro vita terrena: unione che stabiliranno ricevendomi in un modo del tutto ineffabile nelle specie del pane e del vino in cui lascerò il mio corpo e il mio sangue. Ed in ciascuno sarò presente tutto, realmente e veramente, attraverso il misterioso sacramento dell'eucaristia, perché mi dono in forma di alimento proporzionato alla condizione umana ed allo stato dei viatori, per i quali opero queste meraviglie e con i quali sarò presente in questo modo tutti i giorni fino alla fine del mondo. Ed affinché gli uomini abbiano un altro mezzo che li purifichi e li difenda, quando giungeranno al termine della vita, istituisco per essi l'estrema unzione, che sarà anche una specie di pegno della loro risurrezione nei medesimi corpi segnati da questo sacro sigillo. Tutti questi sacramenti sono indirizzati a santificare le membra del corpo mistico della mia Chiesa, nella quale si deve osservare in modo sommo l'ordine e la concordia, dando a ciascuno l'autorità corrispondente al proprio ufficio. Voglio così che coloro che li conferiscono siano ordinati mediante un altro sacramento che li collochi nel supremo grado di sacerdoti rispetto a tutti gli altri fedeli: a tale effetto serva l'ordine, perché li contrassegni, li distingua e li santifichi in modo speciale ed eminente. E benché tutti ricevano da me questa eccellente investitura, dispongo che ciò avvenga per mezzo di un capo che sia mio vicario, rappresenti la mia persona, e sia il supremo sacerdote nella cui volontà deposito le chiavi del cielo ed al quale tutti devono ubbidire sulla terra. Infine, per una più alta perfezione della mia Chiesa istituisco il matrimonio, perché santifichi il vincolo naturale ordinato alla procreazione umana. Per effetto di questi sacramenti tutti i gradi della Chiesa saranno così arricchiti ed ornati dei miei infiniti meriti. Questa, eterno Padre, è la mia ultima volontà, con la quale faccio tutti i mortali eredi dei miei tesori, che vincolo alla mia nuova Chiesa, in cui li lascio depositati».

    1189. Cristo, nostro redentore, fece questa preghiera solamente in presenza degli apostoli. Ma la beatissima Regina, che dal luogo dove stava ritirata l'osservava e l'accompagnava con le sue orazioni, si prostrò a terra ed offrì, come madre, all'eterno Padre le suppliche del Figlio. E quantunque non potesse intensificare, con tutte le sue forze, le opere del nostro Salvatore, alla richiesta che egli presentava all'Onnipotente concorse anch'ella, come sua coadiutrice, similmente a quanto aveva fatto in altre occasioni, fomentando da parte sua la divina misericordia, affinché l'eterno Padre non guardasse mai il suo Unigenito da solo, ma sempre in compagnia di sua Madre. E così fece l'Onnipotente, guardando entrambi con tenerezza ed attenzione, ed accettando le preghiere e le suppliche del Figlio e della Madre per la salvezza degli uomini. In quest'occasione la Regina operò anche un'altra cosa, perché il suo santissimo Figlio la affidò a lei. Per intendere questo è opportuno considerare che Lucifero si trovò presente alla lavanda degli apostoli, come si è già detto nel precedente capitolo; egli, pertanto, non avendo avuto il permesso di uscire dal cenacolo, da ciò che vide fare a Cristo nostro bene, arguì con astuzia che volesse operare qualcosa di portentoso a beneficio dei Dodici. E benché il dragone si riconoscesse molto debilitato e senza forze per lottare contro il Redentore, con implacabile furore e superbia volle investigare quei misteri per escogitare qualche malvagità. La gran Signora vide questo estremo tentativo di Lucifero e che il suo santissimo Figlio rimetteva a lei questa causa; pertanto accesa di zelo e di amore per la gloria dell'Altissimo, con autorevolezza di regina ordinò al dragone e a tutte le sue schiere che proprio in quello stesso momento uscissero dal cenacolo e sprofondassero nell'inferno.

    1190. In questa impresa, per la pertinacia del principe delle tenebre, il braccio dell'Onnipotente diede a Maria santissima una nuova forza a cui non resistette nessuno dei demoni. Furono così ricacciati nelle caverne infernali fino a quando ebbero il nuovo permesso di uscire e di trovarsi presenti alla passione e morte del nostro Redentore, con la quale dovevano rimanere del tutto vinti ed accertati che Cristo fosse effettivamente il Messia e il salvatore del mondo, vero Dio e vero uomo. Da ciò si può comprendere il motivo per cui Lucifero e i suoi seguaci furono presenti alla cena prevista dalla legge, alla lavanda degli apostoli e poi a tutta la passione, ma non si trovarono all'istituzione della santa eucaristia né alla comunione che i discepoli ricevettero dalle mani dello stesso Cristo, nostro Signore. Subito dopo, la gran Regina si elevò all'adempimento di un più sublime esercizio e alla contemplazione dei misteri che si preparavano. I santi angeli la magnificarono come valorosa e nuova Giuditta cantandole inni di gloria per il trionfo riportato contro il dragone infernale. Nello stesso tempo Cristo, nostro bene, compose un altro cantico in onore dell'eterno Padre, rendendogli grazie per i favori concessi a beneficio degli uomini.

    1191. Dopo quanto si è detto, il divin Maestro prese nelle sue venerabili mani il pane che era sul piatto, chiedendo interiormente al Padre quasi il permesso e il beneplacito per farsi veramente e realmente presente nell'ostia, sia in quell'ora che anche dopo nella santa Chiesa, in virtù delle parole che stava per pronunciare. In atto di obbedienza, alzò allora gli occhi al cielo con tanta maestosità da suscitare negli apostoli, negli angeli e nella stessa Vergine un nuovo timore riverenziale. In seguito proferì le parole della consacrazione sopra il pane, lasciandolo mutato transustanzialmente nel suo vero corpo, e sopra il calice del vino, convertendolo nel suo vero sangue. Nel momento in cui Cristo nostro Signore terminò di pronunziare la formula, risuonò la voce dell'eterno Padre che diceva: «Questi è il mio Figlio dilettissimo, in cui è e sarà il mio compiacimento sino alla fine del mondo; egli starà con gli uomini per tutto il tempo che durerà il loro esilio terreno». Questa stessa dichiarazione fu confermata anche dallo Spirito Santo. La santissima umanità di Cristo, nella persona del Verbo, fece un profondo inchino alla divinità presente nel suo corpo e nel suo stesso sangue. La vergine Madre, che se ne stava ritirata e raccolta in preghiera, in quell'istante si prostrò a terra e adorò il suo Figlio sacramentato con incomparabile rispetto; similmente fecero anche gli angeli assegnati alla sua custodia, tutti gli spiriti celesti, ed infine Enoch ed Elia in nome loro e degli antichi patriarchi e profeti delle leggi naturale e scritta.

    1192. Tutti gli apostoli e i discepoli prestarono fede a questo eccelso mistero - eccetto Giuda il traditore - e lo adorarono con profonda umiltà e venerazione, ciascuno secondo la propria disposizione. Quindi il nostro gran sacerdote Cristo innalzò il suo corpo e il suo sangue, affinché lo adorassero tutti coloro che assistevano a questa prima Messa: e così avvenne. In questa solenne elevazione furono illuminati interiormente più degli altri la sua purissima Madre, san Giovanni, Enoch ed Elia perché conoscessero in modo sublime come nelle specie del pane fosse presente il sacratissimo corpo, in quelle del vino il sangue, ed in entrambe tutto Cristo vivo e vero, per l'unione inseparabile della sua santissima anima con il suo corpo e il suo sangue. Essi avrebbero compreso anche come in questo sacramento vi fosse la presenza dell'intera Divinità, come nella persona del Verbo stessero quelle del Padre e dello Spirito Santo, e come in modo mirabile e misterioso per mezzo di queste unioni, di queste esistenze inseparabili e concomitanti restassero presenti nell'eucaristia tutte e tre le Persone con la perfetta umanità di Cristo nostro Signore. La divina Signora penetrò profondamente tutto ciò, mentre gli altri lo capirono nella misura a ciascuno conveniente. Tutti coloro che erano presenti a questo prodigioso evento poterono comprendere anche l'efficacia delle parole della consacrazione, e come queste fossero già cariche della forza divina affinché, pronunziate con l'intenzione di Cristo da qualsiasi sacerdote presente e futuro sui rispettivi elementi, convertissero la sostanza del pane nel suo corpo e quella del vino nel suo sangue, lasciando gli accidenti senza soggetto e con una nuova maniera di sussistere, senza andare perduti. Tutto ciò riporta una certezza così assoluta ed infallibile che scompariranno il cielo e la terra prima che manchi l'efficacia di questa formula di consacrazione, purché venga debitamente pronunziata dal ministro e sacerdote di Cristo.

    1193. La nostra divina Regina conobbe anche, con speciale visione, come il sacro corpo di Cristo nostro Signore stesse nascosto sotto gli accidenti del pane e del vino senza alterarli, né essere alterato da loro: difatti, né il corpo può essere soggetto di essi né essi possono essere forme del corpo. Le specie stanno con la stessa estensione e con le stesse qualità prima e dopo la consacrazione, occupando il medesimo spazio, come si vede nell'ostia consacrata. Il sacratissimo corpo, benché abbia tutta la sua grandezza, vi è presente in modo indiscutibile senza che una parte si confonda con l'altra: Cristo è tutto in tutta l'ostia, e tutto in qualunque parte di essa, senza che l'ostia dilati o limiti il corpo né il corpo l'ostia, perché né l'estensione propria del corpo ha relazione con quella delle specie accidentali, né quella delle specie dipende dal santissimo corpo. E così hanno un diverso modo di esistenza. Il corpo compenetra la quantità degli accidenti senza che questi lo impediscano. E sebbene in natura con la sua estensione la testa ricerchi luogo e spazio diversi dalle mani e queste dal petto e dalle altre membra, con la potenza divina il corpo consacrato si pone con tutta la sua grandezza in un medesimo spazio, perché non ha alcuna relazione con l'area che naturalmente occupa, dispensandosi da tutti questi rapporti e risultando senza di essi un corpo quantitativo. Né si trova presente in un luogo solo, né in una sola ostia, ma in molte nello stesso tempo, quantunque le particole consacrate siano di numero infinito.

    1194. Comprese, similmente, la nostra Signora che il corpo e il sangue, benché non avessero dipendenza naturale dagli accidenti nel modo sopraddetto, non si sarebbero conservati in essi sacramentati al di là del tempo in cui le specie sarebbero durate, senza decomporsi, disponendo così la santissima volontà di Cristo, autore di queste meraviglie. E questo fu espressione di una dipendenza volontaria dell'esistenza miracolosa del suo corpo e del suo sangue dall'esistenza incorrotta del pane e del vino. E nel momento in cui questi si corrompono e vengono distrutti o alterati dalle cause naturali - come accade per azione del calore dello stomaco dopo aver ricevuto il Santissimo Sacramento, oppure come succede per altre cause che possono produrre lo stesso effetto - allora Iddio crea un'altra nuova sostanza, nell'istante in cui le specie stanno per subire l'ultima trasformazione. Con questa sostanza, in cui non esiste più il sacro corpo, si attua la nutrizione del fisico, che in tal modo si alimenta lasciando subentrare la forma umana che è l'anima. Questo evento meraviglioso della creazione di una nuova sostanza, che riceva gli accidenti alterati e decomposti, scaturisce da una parte dalla volontà divina, che ha stabilito che il corpo non perduri con l'alterazione delle specie, e dall'altra dall'ordine di natura, perché il fisico dell'uomo, incline ad alimentarsi, non può aumentare la propria massa se non con un'altra nuova sostanza che le si aggiunga senza che gli accidenti continuino ad avere in essa le loro proprietà.

    1195. La destra dell'Onnipotente racchiuse in questo Santissimo Sacramento questi ed altri misteri. La Signora del cielo e della terra li penetrò tutti profondamente, mentre san Giovanni, i due padri dell'antica legge, che si trovavano nel cenacolo, e gli apostoli ne capirono una buona parte nel modo a loro confacente. La purissima Regina non solo comprese questo beneficio così comune ed altrettanto grande, ma venne a conoscenza anche dell'ingratitudine con cui i mortali si sarebbero comportati verso un mistero così ineffabile, istituito a loro rimedio. Decise, allora, da quel momento in poi, di considerare suo dovere il compito di compensare e supplire con tutte le sue forze la nostra villania e noncuranza, rendendo grazie all'eterno Padre ed al suo santissimo Figlio per una meraviglia così rara, creata in favore del genere umano. E nutrì questa speciale attenzione per tutto il tempo della vita; e molte volte eseguiva questo esercizio spargendo lacrime di sangue dal suo ardentissimo cuore al fine di riparare la nostra riprensibile e vergognosa dimenticanza.

    1196. Un'ammirazione ancor più grande mi desta quel che successe a Gesù; egli dopo aver innalzato il Santissimo Sacramento affinché - come ho già detto - i discepoli lo adorassero, lo spezzò con le sue sacre mani, comunicando innanzitutto se stesso, come primo e sommo sacerdote. E riconoscendosi, in quanto uomo, inferiore alla Divinità che egli riceveva nel suo stesso corpo e sangue, si umiliò, si prostrò fino all'annientamento ed ebbe come un tremore nella parte sensitiva, manifestando, con ciò, due cose: l'una, la riverenza con cui si doveva ricevere il suo sacratissimo corpo; l'altra, il dolore che sentiva per la temerità e l'audacia con cui molti uomini avrebbero ardito accostarsi a questo altissimo ed eminente sacramento per riceverlo o toccarlo. Gli effetti che produsse in Cristo, nostro bene, la comunione furono mirabilmente divini, perché per un breve lasso di tempo ridondò in tutto il suo corpo lo splendore della gloria della sua santissima anima, come sul Tabor. Questa meraviglia fu manifestata pienamente alla sua purissima Madre e ne compresero solo qualcosa san Giovanni, Enoch ed Elia. Con questo privilegio la santissima umanità si dispensò dal ricevere sollievo o dal nutrire sino alla morte qualche desiderio. La vergine Madre vide anche con speciale visione come il suo santissimo Figlio ricevesse se stesso sacramentato e rimanesse così nel suo divin petto. Tutto ciò provocò magnifici effetti nella nostra Regina.

    1197. Cristo, nostro bene, nel comunicarsi elevò un canto di lode all'eterno Padre ed offrì se stesso sacramentato per la salvezza di tutti i mortali. Immediatamente dopo, spezzò un'altra parte del pane consacrato e la consegnò all'arcangelo Gabriele, perché la portasse a Maria santissima e la comunicasse. I santi angeli, per questo privilegio, rimasero soddisfatti e ripagati dalla delusione che la dignità sacerdotale, così eccelsa, fosse spettata agli uomini e non a loro. Infatti, solo l'aver tenuto nelle loro mani il corpo sacramentato del Signore e vero Dio suscitò in essi una nuova e grande letizia. La divina Signora, versando copiose lacrime, stava già in attesa della santa comunione, quando giunse san Gabriele con una schiera innumerevole di angeli; ella così ricevette questo particolare beneficio dalla mano del santo principe, e fu la prima a comunicarsi dopo il suo santissimo Figlio, imitandolo nell'umiliazione, nella riverenza e nel santo timore. Il Santissimo Sacramento restò depositato nel petto di Maria santissima, dentro il suo cuore, come in un legittimo sacrario e tabernacolo dell'Altissimo. Questa dimora dell'eucaristia durò per tutto il tempo che intercorse tra quella notte e il momento in cui, dopo la risurrezione, san Pietro celebrò la prima Messa, come si dirà in seguito. L'onnipotente Signore dispose questa meraviglia per consolare la celeste Regina, ed anche per adempiere, anticipatamente, la promessa fatta alla sua Chiesa: Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo. Difatti, dopo la sua morte la sua santissima umanità non poteva essere presente nella Chiesa in un'altra maniera che non fosse quella di restare depositata in Maria purissima: arca viva che conteneva la vera manna con tutta la legge evangelica, allo stesso modo dell'arca di Mosè che aveva anticamente custodito le figure. Nel petto della Signora e regina del cielo fino alla nuova consacrazione le specie sacramentali non si consumarono né si alterarono.

    1198. La celeste Principessa, ricevuta la santa comunione, rese grazie all'eterno Padre ed al suo santissimo Figlio con nuovi cantici, ad imitazione di ciò che aveva fatto il Verbo divino incarnato. Subito dopo il nostro Salvatore diede il pane sacramentato agli apostoli ed ordinò che lo distribuissero fra loro e lo mangiassero. Con questo comando conferì loro la dignità sacerdotale, che essi prontamente cominciarono ad esercitare, comunicando ciascuno se stesso, con somma riverenza, versando copiose lacrime e rendendo culto al corpo ed al sangue del Redentore, che avevano ricevuto. Nel ministero del sacerdozio ebbero così la preminenza più antica, come si addiceva a coloro che dovevano essere fondatori della Chiesa. San Pietro, per ordine di Cristo, prese altre particole consacrate e comunicò i due antichi padri, Enoch ed Elia; e così con il giubilo e per gli effetti della santa eucaristia questi rimasero nuovamente confortati ed esortati a pazientare sino alla fine del mondo nell'attesa della visione beatifica, che per tanti secoli viene loro rimandata dalla divina volontà. I due patriarchi, per questo beneficio, elevarono ferventi lodi e resero umili grazie all'Onnipotente; furono così riportati al loro luogo per ministero dei santi angeli. Il Signore dispose questa meraviglia per rendere partecipi della sua incarnazione, e della redenzione e risurrezione generale, tutti coloro che erano vincolati alle due leggi, naturale e scritta. Infatti il sacramento dell'eucaristia, che racchiudeva in sé tutti questi misteri, venendo comunicato ai due santi uomini Enoch ed Elia, che si ritrovavano vivi in carne mortale, si estendeva nella comunione ai due stati della legge, naturale e scritta, perché gli altri che lo ricevettero appartenevano alla nuova legge di grazia, i cui padri erano gli apostoli. I santi Enoch ed Elia conobbero tutto ciò, ed in nome degli altri santi delle loro rispettive leggi resero lode al loro e nostro Redentore per questo arcano privilegio.

    1199. Mentre gli apostoli ricevevano il Santissimo Sacramento accadde anche un altro miracolo, rimasto nel segreto: il perfido traditore, Giuda, vedendo che il divin Maestro ordinava loro di comunicarsi, decise come uomo infedele di non farlo e, se avesse potuto, di conservare il sacro corpo, per poi portarlo nascostamente ai sacerdoti e ai farisei e farne così un capo d'accusa. Il suo proposito era quello di riferire a questi che il divin Maestro asseriva che quel pane era il suo stesso corpo, affinché essi gli imputassero ciò come un grave delitto. E se per caso non avesse potuto raggiungere tale scopo, avrebbe ordito qualche altro vituperio al divin Sacramento. La Signora e regina del cielo, la quale per visione chiarissima stava osservando tutto ciò che succedeva - sia la predisposizione con cui gli apostoli internamente ed esternamente ricevevano la santa comunione, sia gli effetti di questa e i loro sentimenti - si accorse anche degli esecrabili intenti dell'ostinato Giuda. Come madre, sposa e figlia si accese allora di zelo per la gloria del suo Signore e, conoscendo che era volontà divina che usasse in quell'occasione l'autorità di regina, ordinò ai suoi angeli che estraessero di bocca al malvagio discepolo il pane e il vino consacrati subito dopo che li ebbe ricevuti, e li ponessero dove stava il rimanente. In quella circostanza spettava a lei difendere l'onore del suo santissimo Figlio, affinché Giuda non lo ingiuriasse come sperava con quella nuova ignominia che aveva macchinato. Gli angeli ubbidirono e, quando il peggiore dei viventi giunse a comunicarsi, gli tolsero di bocca le specie sacramentali. Le purificarono di ciò di cui si erano impregnate nell'immondissimo luogo della sua bocca, le riportarono nello stato di prima e le posero nascostamente fra le altre, mentre il Signore zelava l'onore del suo nemico ed ostinato Apostolo. Queste specie furono poi ricevute da coloro che si comunicarono dopo Giuda, secondo l'ordine di anzianità, poiché egli non fu né il primo né l'ultimo a prenderle. I santi angeli eseguirono tutto in pochissimo tempo. Il nostro Salvatore, in seguito, rese grazie all'eterno Padre e così diede compimento ai misteri della cena sacramentale, prevista dalla legge, e dette inizio a quelli della sua passione, che io riferirò nei successivi capitoli. La Regina dei cieli continuava a ponderarli e ad ammirarli tutti, e ad intonare inni di lode e di magnificenza all'altissimo Signore.

    Insegnamento della Regina del cielo

    1200. Oh, figlia mia, se coloro che professano la fede cattolica aprissero i cuori induriti e ostinati alla vera conoscenza del misterioso beneficio della santa eucaristia! Oh, se distaccandosi e alienandosi dagli affetti terreni, e moderando le loro passioni, si applicassero con viva fede a comprendere nella divina luce il felice privilegio di avere sempre presente in mezzo a loro l'eterno Dio sacramentato e di poterlo ricevere e frequentare, rendendosi partecipi degli effetti di questa manna del cielo! Oh, se conoscessero degnamente questo grande dono; se stimassero questo tesoro; se gustassero la sua dolcezza; se in esso avessero parte delle virtù nascoste del loro Dio onnipotente! Essi non avrebbero più nulla da desiderare né da temere durante questo esilio terreno. I mortali non devono lamentarsi nel tempo propizio della legge di grazia di essere afflitti dalle passioni e dalla loro fragilità, perché in questo pane del cielo hanno in mano la salvezza e la fortezza. Né devono risentirsi di essere tentati e perseguitati dal demonio, perché lo vinceranno con il buon uso di questo ineffabile sacramento, ed accostandovisi degnamente. I fedeli hanno la colpa di non attendere a questo divino mistero, e di non valersi della sua infinita potenza per tutti i loro bisogni e travagli, in risposta e a rimedio dei quali lo istituì il mio santissimo Figlio. In verità ti dico, o carissima, che Lucifero e i suoi demoni hanno un tale timore alla presenza dell'eucaristia che il solo avvicinarsi ad essa provoca loro maggiori tormenti che stare nell'inferno. E sebbene entrino nelle chiese per tentare i credenti, in realtà violentano se stessi, perché per precipitare un'anima, obbligandola o attirandola a commettere un peccato principalmente nei luoghi sacri ed alla presenza dell'eucaristia, vengono a patire crudeli pene. Ma è lo sdegno che nutrono contro Dio e contro le anime che li spinge ad usare tutte le loro forze, sebbene si debbano esporre al nuovo tormento di stare vicini a Cristo sacramentato.

    1201. Quando il Santissimo Sacramento viene condotto per le strade in processione, i demoni ordinariamente fuggono e si allontanano in tutta fretta, e non ardirebbero accostarsi a coloro che lo accompagnano se non fosse per l'abilità e per la lunga esperienza che hanno di vincerne alcuni, inducendoli a mancare di rispetto al Signore. Per questo fine, essi si affaticano tanto a ordire insidie nei templi, perché sanno quanto grave sia in questi luoghi sacri l'ingiuria al Signore, il quale vi si trova sacramentato per amore, aspettando gli uomini per santificarli ed attendendo che gli rendano il contraccambio del dolcissimo amore che egli dimostra loro con tante finezze. Da quanto ti ho detto potrai comprendere quale potere possieda chi riceve degnamente questo sacro pane degli angeli, e come i demoni temerebbero gli uomini, se questi lo frequentassero con devozione e purezza di cuore, cercando di conservarsi in questo stato fino alla comunione successiva. Ma sono molto pochi quelli che vivono con questa sollecitudine, mentre il nemico è sempre in agguato, spiando e cercando che subito i mortali si trascurino, si intiepidiscano e si distraggano affinché non si valgano contro di lui di armi così poderose. Imprimi nel tuo cuore questo insegnamento; e poiché, senza che tu lo meriti, l'Altissimo ha disposto che tu riceva ogni giorno, per obbedienza, il Santissimo Sacramento, cerca con tutte le forze di mantenerti nello stato in cui ti disponi per la comunione sino a quando non farai la successiva. La volontà del mio Signore - e anche la mia - è che con questa spada tu combatta le guerre dell'Altissimo, in nome della santa Chiesa, contro i nemici invisibili che oggi affliggono e contristano la Signora delle genti, senza che vi sia chi la consoli o chi degnamente consideri ciò. Piangi per questa causa e il tuo cuore si spezzi per il dolore perché, nonostante l'onnipotente e giusto giudice sia sdegnato contro i cattolici per avere essi provocato la sua giustizia con peccati così continui e smisurati - malgrado la fede che professano -, non vi è chi consideri, ponderi e tema un danno così grande. E non vi è neppure chi si disponga ad un sincero pentimento: rimedio che i fedeli potrebbero subito sollecitare con il buon uso del divino sacramento dell'eucaristia, con l'accostarvisi e con la mia intercessione.

    1202. In questa colpa, gravissima in tutti i figli della Chiesa, sono più riprensibili i sacerdoti indegni e cattivi, perché dall'irriverenza con cui trattano il Santissimo Sacramento dell'altare gli altri cattolici hanno attinto l'occasione per disprezzarlo. Difatti, se il popolo cristiano vedesse i presbiteri accostarsi ai divini misteri con timore e tremore riverenziale, ben comprenderebbe che con lo stesso timore e tremore tutti dovrebbero trattare e ricevere il loro Dio sacramentato. Coloro che si comportano conformemente a quanto detto risplendono nel cielo come il sole tra le stelle, perché dalla gloria del mio santissimo Figlio ridonda su quelli che lo accolgono con riverenza una luce speciale, che non possiedono quelli che non frequentano con devozione la santa eucaristia. Inoltre i corpi gloriosi di questi zelanti fedeli porteranno sul petto, dove lo ricevettero, un segno o uno stemma brillantissimo e bellissimo a testimonianza del fatto che furono degni tabernacoli del Santissimo Sacramento. Ciò sarà, a loro insaputa, motivo di gaudio e di godimento per essi, di giubilo e lode per gli angeli e di ammirazione per tutti. Essi riceveranno anche un altro premio accidentale, perché conosceranno e vedranno con speciale intelligenza il modo in cui il mio santissimo Figlio è presente nell'eucaristia, e tutti i miracoli che si racchiudono in essa. Ciò desterà in loro un gaudio così grande che basterebbe a ricrearli eternamente, quando non ne avessero altro nel cielo. Anzi, la gloria di coloro che si saranno comunicati con degna devozione e purezza di cuore uguaglierà e addirittura supererà quella di alcuni martiri che non ricevettero l'eucaristia.

    1203. Voglio ancora, figlia mia, che proprio dalla mia bocca tu ascolti ciò che io reputavo di me stessa, quando durante il mio pellegrinaggio terreno dovevo ricevere il mio figlio e Signore sacramentato. Ed affinché tu lo capisca meglio, rinnova nella tua memoria tutto quello che hai inteso della mia vita, nella misura in cui io te l'ho manifestato: fui preservata nella mia concezione dalla colpa originale; superai in amore i supremi serafini; non commisi mai peccati; esercitai sempre tutte le virtù eroicamente, avendo in ogni mia opera un altissimo fine; imitai il mio santissimo Figlio con somma perfezione; lavorai fedelmente; patii con coraggio e cooperai a tutte le opere del Redentore nella misura che mi spettava; e non cessai mai di amarlo e di conseguire la pienezza di grazia e di gloria in grado eminentissimo. Eppure ritenni che tutti questi meriti mi fossero degnamente ricompensati con il ricevere una sola volta il suo sacratissimo corpo nell'eucaristia, non stimandomi all'altezza di un così grande beneficio. Considera adesso, figlia mia, ciò che tu e gli altri figli di Adamo dovete meditare quando vi accostate a ricevere questo mirabile sacramento. E se per il più grande dei santi sarebbe premio sovrabbondante una sola comunione, che cosa dovrebbero sentire e fare i sacerdoti e i fedeli che la frequentano? Apri i tuoi occhi tra le dense tenebre e la cecità degli uomini, e innalzati verso la divina luce per penetrare questi misteri. Giudica le tue opere piccole e misere, i tuoi meriti molto limitati, le tue fatiche leggerissime, e considera la tua gratitudine molto scarsa ed esigua rispetto ad un beneficio così raro qual è quello che la santa Chiesa abbia Cristo, il mio santissimo figlio, sacramentato e desideroso che tutti lo ricevano per arricchirli. E poiché per questo bene non hai da offrirgli una degna retribuzione, almeno umiliati sino a lambire la polvere e giudicati indegna con tutta la verità del cuore. Magnifica l'Altissimo, benedicilo e lodalo, mantenendoti sempre pronta e disposta con fervidi affetti a riceverlo e a patire molte sofferenze al fine di conseguire un bene così grande.

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    Predefinito Dalle "Lettere" di san Cipriano.

    Sappiatelo, fratelli: nell'offerta del calice abbiamo imparato a rispettare la tradizione proveniente dal Signore. Perciò dobbiamo fare quello che il Salvatore ha fatto per primo, non qualcosa d'altro. Perché il calice sia offerto in sua memoria, deve contenere vino misto ad acqua. Infatti Cristo ha detto: io sono la vera vite (Gv 15, 1). Quindi il sangue del Signore non è dato certamente dall'acqua, ma dal vino. Non possiamo reputare che nel calice ci sia il suo sangue da cui siamo redenti e che ci dà la Vita, quando manchi il vino che rappresenta appunto il sangue di Cristo, annunciato e figurato dalle Scritture.
    Una prima figura profetica del sacrificio del Signore ci è offerta con il sacerdote Melchisedek. La Scrittura dice: Melchisedek, re di Salem, offrì pane e vino; era sacerdote del Dio altissimo e benedisse Abram ... (Gn 14, 18). Che Melchisedek simboleggiasse Cristo, lo dice lo Spirito Santo nei salmi, con le parole che il Padre rivolge al Figlio: Io ti ho generato prima della stella del mattino. Tu sei sacerdote per sempre al modo dì Melchisedek (Sal 109, 3-4 LXX). Tale ordine fa riferimento a quel sacrificio e alla sua origine, in quanto Melchisedek era in verità sacerdote del Dio altissimo, aveva offerto pane e vino e aveva benedetto Abramo.
    Chi mai è sacerdote di Dio altissimo più del Signore Gesù Cristo, Lui, che offrì un sacrificio a Dio Padre, lo stesso che aveva offerto Melchisedek, cioè il pane e il vino, il suo corpo, ovviamente, e il suo sangue? La benedizione rivolta ad Abramo coinvolgeva il nostro popolo.

    Secondo il racconto della Genesi, perché Melchisedek potesse regolarmente benedire Abramo, dovette precedere la simbologia del sacrificio, costituita dall'offerta del pane e del vino. E quel sacrificio simbolico arrivò al compimento e fu consumato quando il Signore offrì il pane e il calice del vino. Colui che è la pienezza di ogni realtà, ha allora realizzato ciò che il simbolo annunciava. Nei proverbi di Salomone lo Spirito Santo mostra pure una figura del sacrificio del Signore facendo allusione alla vittima immolata, al pane, al vino ed anche all'altare. La Sapienza, si legge, ha innalzato una casa su sette colonne, ha sacrificato le sue vittime, ha mescolato nella coppa il vino e l'acqua e ha preparato la sua mensa. Poi ha mandato i suoi servi ad invitare ad attingere dal suo cratere gridando questo annuncio: Chi è inesperto accorra qui. E a coloro che erano privi di sapienza diceva: Venite a mangiare del mio pane e a bere il vino che io ho mescolato per voi (cf. Pro 9, 1-5 LXX). Il testo dei Proverbi parla di vino misto ad acqua. Si tratta di un annuncio profetico del calice del Signore che contiene vino mescolato ad acqua. La passione del Signore avrebbe realizzato quella predizione.

    Anche nella benedizione di Giuda c'è tale significato; anche in quel caso appare la figura di Cristo. Egli deve essere adorato e lodato dai suoi fratelli; deve colpire la schiena dei nemici con quelle mani con cui portò la croce e vinse la morte; deve essere il leone della tribù di Giuda, che si corica e dorme nella passione e che poi sorge e diventa speranza per i popoli. E la Scrittura aggiunge: Egli lava nel vino la veste e nel sangue dell'uva il manto (Gn 49, 11). Se parla di sangue di uva, che altro vuol significare se non che il vino rappresenta il sangue del calice del Signore?
    Anche in Isaia lo Spirito Santo offre le stesse testimonianze della passione del Signore: Perché rossa è la tua veste e i tuoi abiti come quelli di chi pigia nel tino? (Is 63, 2). L'acqua può forse far diventare rossi i vestiti? Nel torchio si pigia forse l'acqua con i piedi? O dal medesimo si ha forse l'acqua? Certamente si parla di vino, perché si capisca che attraverso il vino si intende il sangue del Signore e perché fosse annunciato dai profeti ciò che in seguito doveva essere realizzato attraverso il calice del Signore. Si parla anche di torchio, cioè di pigiare e premere. Come non si può arrivare a bere il vino senza prima aver pigiato e spremuto i grappoli, così noi non potremmo bere il sangue di Cristo, se prima egli non fosse stato calpestato e premuto e non avesse bevuto lui per primo il calice, con il quale aveva offerto da bere ai credenti.

 

 
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