LETTERA DEL PAPA AI SACEDOTI, CARD. HOYOS, “UNA LETTERA FIRMATA DA UN LUOGO SEGNATO DALLA CROCE DI CRISTO: L’OSPEDALE”
Quest’anno la Lettera del Santo Padre ai sacerdoti per il Giovedì Santo porta una data particolare: “Dal policlinico Gemelli in Roma, 13 marzo, quinta domenica di Quaresima, dell’anno 2005, ventisettesimo di Pontificato”. È stata dunque firmata durante il secondo ricovero di Giovanni Paolo II. “Se ogni Lettera del Santo Padre ai sacerdoti per il Giovedì Santo è sempre una viva testimonianza della premurosa carità del Successore di Pietro – ha detto questa mattina ai giornalisti il card. Dario Castrillon Hoyos, prefetto della Congregazione per il clero - questa Lettera lo è in modo del tutto particolare, perché essa è firmata da un luogo segnato dalla Croce di Cristo: l’ospedale”. “Da quel luogo di cura – ha proseguito il prefetto – ‘ammalato tra gli ammalati’, il Papa, nel silenzio della sua sofferenza, ripete con l’esempio di una vita donata sino alla fine, l’affermazione paolina: ‘Noi predichiamo Cristo crocifisso… potenza di Dio e sapienza di Dio’”. Dalla “sua Croce”, il Santo Padre diventa così per i sacerdoti di tutto il mondo testimone della “capacità di trasformare la propria esistenza sacerdotale in un dono radicale per la Chiesa e per l’umanità”. Il prefetto ha voluto poi assicurare il Santo Padre, a nome di tutti sacerdoti del mondo, di voler accogliere “le sue parole per essere custodi dell’Eucaristia, in una veglia continua ed in tutti gli angoli della terra e porremmo in ginocchio al Tabernacolo tutte le nostre solitudini”. Ed ha poi concluso: “Nonostante il passare degli anni, rafforzati dalle parole del Papa, contageremo la giovinezza di Dio che è in noi su coloro che incontreremo sul nostro cammino. Le parole di vita eterna che il Santo Padre ci offre, sono un invito a non aver paura dell’età ed un incoraggiamento a superare la stanchezza, con il vigore trasformante del pane eucaristico”.
Sollecitato dalle domande dei giornalisti il card. Darío Castrillón Hoyos, prefetto della Congregazione per il clero, ha ribadito l’importanza di questa Lettera, anche per le condizioni in cui essa è maturata e cioè durante il secondo ricovero del Santo Padre al policlinico Gemelli. "Ecco perché – ha spiegato il prefetto – ho detto dalla Croce. Tutti abbiamo visto il dolore del Papa – ha poi aggiunto – tutto il mondo ha visto come il Santo Padre ha sofferto e come abbia pensato in ogni momento a tutta la Chiesa e al clero". "Mi sono commosso – ha ricordato il cardinale Hoyos - nel vedere che le prime parole di Giovanni Paolo II sono state per dei vescovi, dei vescovi africani". È un segno di comunione con le Chiese lontane: con quell’atto "il Papa accoglieva la Chiesa". In questi giorni – ha proseguito il prefetto - il Santo Padre si è presentato "debole nell’espressione fonica ma forte nell’amore e nella significanza per il mondo e per la Chiesa". Importante, secondo il card. Hoyos, l’accento sull’atteggiamento dell’obbedienza. "Un’obbedienza - ha detto ancora il cardinale - all’Eucaristia. La consacrazione è l’azione più sacra che un sacerdote possa realizzare". L’invito, dunque, è a tenere nella massima cura la "severità" e la "santità del Rito". Il prefetto ha quindi raccontato che alla Santa Sede arrivano lettere in cui i fedeli si lamentano per i riti non curati e giungono notizie anche dalla stampa di "abusi nel rito sacro dell’Eucaristia". "Qualche volta – ha detto - per far capire le cose, si prende un modo di fare più popolare perché si crede che la gente ha bisogno di un linguaggio più semplice. Un po’ come fa una mamma con il bambino. Ma non è così. Sempre con grande rispetto alla gerarchia locale – ha concluso Hoyos – il Santo Padre chiede di essere obbedienti alle norme che i vescovi danno, in specie per l’Eucaristia".
Agenzia Sir