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    Predefinito I settimana di QUARESIMA - Dai Discorsi di san Leone Magno.

    Sermo XXXIX, 2-5, De Quadragesima I. PL 54,264-266.

    Durante la quaresima, miei cari, è preciso dovere emendare tutti gli atti passati di negligenza e cancellare tutte le mancanze. Ben lo sanno le potenze del male, che proprio a questo fine indirizzano tutta la loro forza e malvagità. Esse vogliono far sì che quanti si accingono a celebrare la santa Pasqua del Signore contraggano una qualche impurità e trovino un'occasione di colpa proprio là donde avrebbero dovuto attingere il perdono.

    Il periodo della quaresima, o miei cari, significa perciò maggiore diligenza nel servizio del Signore, perché iniziamo, per così dire, una gara di opere sante: dobbiamo prepararci alla lotta contro le tentazioni e comprendere che quanto più attivi saremo per la nostra salvezza, tanto più violenti saranno gli attacchi dell'avversario. Ma colui che è in noi è più forte di colui che è contro di noi; il nostro vigore è in lui, nel confidare nella sua forza.

    Per questo il Signore ha voluto subire l'attacco del tentatore: per istruirci con il suo esempio e insieme difenderci con il suo aiuto.

    Nel vangelo odierno il Signore vinse l'avversario con le testimonianze della legge, senza far uso della sua potenza. In tal modo intese onorare di più l'uomo e punire di più l'avversario; infatti il nemico del genere umano fu vinto da lui, si direbbe, non già in quanto Dio, ma in quanto uomo. Egli dunque combatté in quella circostanza, perché poi anche noi combattessimo; e vinse, perché anche noi come lui potessimo vincere.

    Non esiste, miei cari, azione virtuosa senza il vaglio delle tentazioni, non c'è fede senza le sue prove, né combattimento senza nemico o vittoria senza scontro.

    La nostra vita si svolge in mezzo ad agguati e battaglie; se non vogliamo essere sorpresi, dobbiamo stare all'erta, e se vogliamo vincere, dobbiamo combattere. Per questo Salomone, l'uomo più sapiente, dichiara: Figlio, se ti presenti per servire il Signore, preparati alla tentazione. Quell'uomo, ricco della sapienza di Dio, conosceva bene che la religiosità autentica comporta il travaglio della lotta e in previsione dei pericoli della battaglia volle preavvertirne il combattente. Così intendeva evitare che il tentatore, assalendo qualcuno all'oscuro del pericolo, lo ferisse rapidamente perché appunto impreparato.

    Istruiti dall'insegnamento divino, noi scendiamo in campo con cognizione di causa per questa lotta. Ascoltiamo l'Apostolo che ci dice: La nostra battaglia non è contro creature fatte di sangue e di carne, ma contro i dominatori di questo mondo di tenebra, contro gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti.

    E teniamo presente che questi nostri nemici comprendono bene che è rivolto contro di loro quanto noi cerchiamo di fare per la nostra salvezza: perciò il fatto stesso che desideriamo qualcosa di buono è tale da provocare i nostri avversari. Tra noi ed essi, a causa dello stimolo dell'invidia demoniaca, esiste un'opposizione di vecchia data, tale che, essendo essi decaduti da quei beni a cui per grazia di Dio siamo elevati, trovano il loro tormento nella nostra giustificazione. Quando noi ci rialziamo, essi crollano; quando noi riprendiamo vigore, essi lo perdono. In breve, quelli che sono rimedi per noi sono colpi per loro, perché il trattamento stesso delle nostre ferite li ferisce.

    State dunque ben fermi, - ci esorta l'Apostolo - cinti i fianchi con la verità, rivestiti con la corazza della giustizia, e avendo come calzatura ai piedi lo zelo per propagare il vangelo della pace. Tenete sempre in mano lo scudo della fede, con il quale potete spegnere tutti i dardi infuocati del maligno; prendete anche l’elmo della salvezza e la spada dello Spirito, cioè la parola di Dio.

    Vedete di quali armi potenti, di quali difese insuperabili ci ha fornito il nostro capo così glorioso e ricco di trionfi, l’invitto comandante supremo della milizia cristiana! Egli ha cinto i nostri fianchi con la cintura della castità, ha calzato i nostri piedi con i vincoli della pace, perché un soldato il cui fianco è scoperto è rapidamente sopraffatto dal provocatore dell'impurità; il soldato privo di calzatura subisce facilmente i morsi del serpente.

    Egli ci ha dato lo scudo della fede per la protezione dell'intera persona, ha posto sulla nostra testa l'elmo della salvezza, ci ha messo in mano la spada, cioè la parola della verità. In tal modo colui che combatte in campo spirituale non solo è ben protetto contro le ferite, ma è in grado di ferire l’avversario.

    Facciamo affidamento, miei cari, su queste armi, iniziamo con animo pronto e intrepido la battaglia che a noi viene proposta; in questo stadio, quale è appunto il periodo del digiuno, non dobbiamo pensare di essere a posto con la sola pratica dell'astinenza dai cibi. Sarebbe troppo poco ridurre il nutrimento del corpo senza alimentare e rinvigorire l'anima.

    Bisogna invece, mentre si mortifica un poco l'uomo esteriore, rimettere in forze l'uomo interiore; mentre si elimina dalla carne la sazietà materiale, irrobustiamo la mente con cibo spirituale e squisito. Ogni cristiano deve oggi guardarsi attorno e scrutare in fondo al suo cuore con diligenza e severità.

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    Predefinito Dai Trattati di sant'Agostino sulla prima lettera di Giovanni.

    In Epist. I° ad Parthos, II, 14. PL 35,1996-1997.

    Ecco le sole tre passioni che agitano la bramosia umana: la concupiscenza della carne, la cupidigia degli occhi e l'orgoglio dell'ambizione terrena. Non ci sono altre fonti di tentazione. Il Signore stesso fu tentato dal diavolo su questo triplice aspetto.

    Il tentatore comincia col mettere alla prova in Gesù la concupiscenza della carne. Infatti, dopo che il Signore ebbe digiunato quaranta giorni e quaranta notti, ebbe fame. Satana allora gli insinuò: Se sei Figlio di Dio, di' che questi sassi diventino pane. In che modo Gesù respinge il tentatore? A noi, i suoi soldati, come insegna a combattere? Fa' attenzione alla sua risposta: Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio.

    Il Signore è tentato anche nella bramosia degli occhi, che desiderano vedere un miracolo. Il demonio dice a Gesù: Gettati giù, poiché sta scritto: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo, ed essi ti sorreggeranno con le loro mani, perché non abbia a urtare contro un sasso il tuo piede. Ma Cristo si oppone al tentatore. Se avesse fatto quel miracolo, sarebbe parso che avesse ceduto alla tentazione o si fosse lasciato trascinare dalla curiosità. Invece Gesù fece i miracoli solo quando volle agire come Dio allo scopo di curare gli infermi.

    Se Cristo avesse operato un miracolo per istigazione del demonio, si sarebbe potuto credere che voleva ostentare la sua onnipotenza. Ma per stornarci da una simile idea e offrirci un modello da seguire in caso analogo, sta' a sentire quel che risponde al demonio. Sta scritto: Non tentare il Signore Dio tuo. Come se dicesse: Se ti obbedissi, tenterei Dio.

    Questa risposta di Cristo sia anche la tua. Quando il nemico ti suggerisce: Che uomo, che cristiano sei? Finora hai compiuto almeno un miracolo? Dove sono i morti risuscitati dalle tue preghiere? Quanti sono i divorati dalla febbre che hai guarito? Se tu valessi qualcosa, faresti prodigi , allora tu rispondi: Sta scritto:Non tentare il Signore Dio tuo.

    Non voglio mettere Dio alla prova, pretendendo dimostrare che gli appartengo o non appartengo secondo che faccia o no, un miracolo.

    In che modo il Signore fu assalito dall'orgoglio dell'ambizione terrena? Essa avvenne quando il diavolo lo condusse sopra un monte altissimo e gli disse: Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai.

    Lo spirito tenebroso istigò nel Re dei secoli l'orgoglio di possedere un regno terreno. Ma il Signore che crea il cielo e la terra, calpesta sotto i piedi tale tentazione. Vincere il demonio è un gioco per il Signore. Tuttavia, gli risponde per insegnarci a rimbeccarlo a nostra volta: Sta scritto: Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto.

    Seguite queste parole e non sarete dominati dall'orgoglio dell'ambizione né dalla voluttà degli occhi, né dalla concupiscenza della carne. Vi aggancerete alla carità e saprete amare Dio. Se invece ci sarà in voi l'amore del mondo, non potrà esservi l'amore di Dio.

    Radicatevi nell'amore di Dio. Dio è eterno. Aderendo a lui, resterete in eterno. Ciascuno è ciò che ama. Ami la terra? Sarai terra. Ami Dio? Dovrei concludere: Sarai Dio, ma non oso dirlo io, e perciò ascoltiamo la Scrittura: Io ho detto: "Voi siete dèi, siete tutti figli dell'Altissimo".(Sal 81,6)

    Se dunque volete essere dei e figli dell'Altissimo, non amate né il mondo, né le cose del mondo! Se uno ama il mondo, l'amore del Padre non è in lui; perché tutto quello che è nel mondo, la concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi e la superbia della vita, non viene dal Padre, ma dal mondo. E il mondo passa con la sua concupiscenza; ma chi fa la volontà di Dio rimane in eterno! (1 Gv 2,15-17)

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    Predefinito Immagini per meditare

    Vittore Carpaccio, Meditazione sulla Passione di Cristo (con Giobbe e S. Girolamo), 1510 circa, Metropolitan Museum of Art, New York

    Hans Memling, L'uomo dei dolori, 1480 circa, Palazzo Bianco, Genova

    Hans Memling, L'uomo dei dolori, dopo 1490, Christian Museum, Esztergom

    Raffaello Sanzio, L'uomo dei dolori benedicente, 1506 circa, Pinacoteca Tosio Martinengo, Brescia

    Ivan Nikolaevich Kramskoy, Gesù nel deserto, 1873, Galleria Tretyakov, Mosca, Russia

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    Predefinito

    Da dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - I. Avvento - Natale - Quaresima - Passione, trad. it. P. Graziani, Alba, 1959, p. 506-513

    PRIMA DOMENICA DI QUARESIMA

    Solennità di questo giorno.


    Questa Domenica, la prima della santa Quarantena, è anche una delle più solenni dell'anno. Il suo privilegio, esteso con le ultime decisioni di Roma alle altre Domeniche di Quaresima (Costituzione Divino afflatu), e che per molto tempo lo ha solo condiviso con la Domenica di Passione e delle Palme, è quello di non cedere il posto a nessuna festa, neppure a quella del Patrono, o del Santo Titolare della Chiesa, o della Dedicazione. Negli antichi calendari è chiamata Invocabit, dalla prima parola dell'Introito della Messa; mentre nel Medio Evo la chiamavano Domenica delle torce, in seguito ad un'usanza che non sempre né dovunque pare motivata alla stessa maniera; in certi luoghi, i giovani che s'erano lasciati andare troppo alle dissipazioni del carnevale, dovevano, in quella domenica, presentarsi in chiesa con una torcia in mano, per fare pubblica soddisfazione dei loro eccessi.

    Oggi la Quaresima appare in tutta la sua solennità. I quattro giorni che la precedono furono aggiunti abbastanza tardivamente, per completare la quarantena del digiuno; e il Mercoledì delle Ceneri i fedeli non hanno l'obbligo d'udire la Messa. La santa Chiesa nei vedere oggi tutti i suoi figli riuniti, rivolge loro la parola nell'Ufficio del Mattutino, facendo proprio il linguaggio eloquente di san Leone Magno: "Figli carissimi, dice loro, prima d'annunciarvi il sacro e solenne digiuno della Quaresima, posso io cominciare meglio il mio discorso servendomi delle parole dell'Apostolo, nel quale parlava Gesù Cristo, e ripetendo ciò che ora avete sentito leggere: Ecco ora il tempo propizio, ecco ora il giorno della salute? Perché sebbene non esista tempo dell'anno che non sia ripieno dei benefici di Dio, e benché per grazia sua noi abbiamo sempre accesso al trono della sua misericordia, tuttavia dobbiamo in questo santo tempo applicarci con maggior zelo al nostro profitto spirituale, ed essere animati da nuova fiducia. Infatti la Quaresima, ricordandoci quel sacro giorno in cui fummo riscattati, c'invita a praticare tutti i doveri della pietà, affinché, mediante la purificazione dei nostri corpi e delle nostre anime, ci disponiamo a celebrare i misteri della Passione del Signore".

    Il tempo propizio.

    Un tale mistero meriterebbe da parte nostra un rispetto ed una devozione senza limiti, in modo da essere sempre davanti a Dio quali vorremo essere nella festa di Pasqua. Ma una tale costanza non è la virtù della maggior parte di noi; la debolezza della carne ci obbliga a moderare l'austerità del digiuno, e le diverse occupazioni di questa vita formano l'oggetto delle nostre sollecitudini. Di conseguenza i cuori devoti vanno soggetti ad essere ricoperti da un po' della polvere di questo mondo. Con grande nostro vantaggio fu dunque stabilita questa divina istituzione, la quale ci offre quaranta giorni per ricuperare la purezza delle nostre anime, riparando con la santità delle nostre opere ed i meriti dei nostri digiuni, le colpe degli altri tempi dell'anno.

    Consigli apostolici.

    "Nell'entrare, miei carissimi figli, in questi giorni pieni di misteri, santamente istituiti per la purificazione delle nostre anime e dei nostri corpi, procuriamo d'obbedire al precetto dell'Apostolo, liberandoci da tutto ciò che può macchiare la carne e lo spirito, affinché il digiu_no, dominando la lotta che esiste fra le due parti di noi stessi, faccia sì che l'anima riacquisti la dignità del comando, pur essendo anch'essa sottomessa a Dio, e da lui governata. Non diamo occasione a nessuno di mormorare contro di noi, né esponiamoci al giusto disprezzo di coloro che vogliono trovare a ridire, perché gl'infedeli avrebbero ben motivo di condannarci, se per nostra colpa fornissimo alle loro empie lingue le armi contro la religione, e se la purezza della nostra vita non rispondesse alla santità del digiuno che abbiamo abbracciato. Non ci dobbiamo immaginare che tutta la perfezione del nostro digiuno consiste nell'astinenza dai cibi, perché sarebbe vano sottrarre al corpo una parte del suo nutrimento, se nello stesso tempo non allontanassimo l'anima dall'iniquità".

    L'esempio di Gesù tentato da Satana.

    Ogni Domenica di Quaresima ha per oggetto principale una lettura dei santi Vangeli, destinata ad esercitare i fedeli nei sentimenti che la santa Chiesa vuole loro infondere durante la giornata. Oggi essa ci fa meditare la tentazione di Gesù Cristo nel deserto. Niente meglio di questo importante racconto è più adatto ad illuminarci e fortificarci.

    Riconosciamo di essere peccatori, e desideriamo espiare i nostri peccati. Ma come siamo caduti nel male? Il demonio ci ha tentati e noi non abbiamo respinta la tentazione; abbiamo ceduto alla suggestione dell'avversario, ed il male fu commesso. Tale è la storia del nostro passato, e uguale sarà nell'avvenire, se non approfittiamo della lezione che ci da oggi il Redentore.

    L'Apostolo, spiegandoci la misericordia del divino consolatore degli uomini, insiste sulle tentazioni ch'egli si degnò patire. Una tale prova d'illimitata devozione non ci è affatto mancata; e noi oggi contempliamo l'adorabile pazienza del Santo dei Santi, il quale non disdegna che gli s'avvicini questo schifoso nemico d'ogni bene, affinché noi impariamo come dobbiamo trionfarne.

    Satana guardava con preoccupazione alla santità incomparabile di Gesù: le meraviglie della sua nascita, i pastori chiamati dagli Angeli al presepio, i magi venuti dall'Oriente sotto la guida d'una stella, la protezione che sottrasse il Bambino al furore di Erode, la testimonianza resa da Giovanni Battista al nuovo profeta: tutto questo insieme di fatti contrastava in modo così strano con l'umiltà e l'oscurità dei primi trent'anni del Nazareno, che suscitò i timori del serpente infernale. Il mistero dell'Incarnazione s'era compiuto lontano dai suoi sguardi sacrileghi; e ignora che Maria è la Vergine che, come aveva preannunciato Isaia (7,14), doveva partorire l'Emmanuele. Ma sono giunti i tempi; l'ultima settimana di Daniele ha aperto la sua era; anche il mondo pagano attende dalla Giudea un liberatore. Satana sa tutto questo, e, nella sua ansietà, osa accostarsi a Gesù, sperando che nella conversazione con lui riesca a cogliere qualche indizio. È o non è il Figlio di Dio? Sta tutto qui il problema. Forse, chissà! potrà sorprenderlo in qualche debolezza; il fatto di saperlo un uomo come gli altri lo potrebbe rassicurare.

    La condotta di Gesù.

    Il nemico di Dio e degli uomini doveva però rimanere ben deluso nel suo intento; s'avvicina al Redentore, ma tutti i suoi sforzi dovevano tornare a sua confusione. Con la semplicità e la maestà del giusto , Gesù respinge ogni attacco di Satana, senza svelare la sua origine celeste. Così l'angelo perverso si ritira, senza aver potuto scoprire altra cosa in Gesù se non ch'era un profeta fedele al Signore. Ma si accecherà sempre più nel suo orgoglio, quando fra poco vedrà i disprezzi, le calunnie, le persecuzioni accumularsi sul capo del Figlio dell'uomo, e gli sembreranno così facili i tentativi di farlo cadere. Ma nel momento che Gesù, saziato d'obbrobri e di patimenti, espierà sulla Croce, s'accorgerà finalmente che la sua vittima non è un uomo, ma un Dio, e che tutti i furori congiurati contro il Giusto non erano serviti ad altro che a palesare l'ultimo sforzo della misericordia che salva il genere umano, e della giustizia, che atterra per sempre la potenza dell'inferno.

    Questo era il disegno della divina Provvidenza, nel permettere che lo spirito del male osasse contaminare con la sua presenza il ritiro dell'Uomo-Dio, indirizzargli la sua parola e mettere sopra di lui le sue empie mani. Ma studiamo le circostanze della triplice tentazione subita da Gesù per istruirci ed incoraggiarci.

    I nostri tre nemici.

    Noi abbiamo tre sorta di nemici da combattere, e l'anima nostra è vulnerabile da tre parti; infatti: "Tutto ciò ch'è nel mondo è concupiscenza della carne, concupiscenza degli occhi e superbia della vita" (1 Gv 2,16). Per la concupiscenza della carne dobbiamo intendere l'amore dei sensi avido dei godimenti della carne; se esso non è frenato, trascina l'anima ai piaceri illeciti. La concupiscenza degli occhi significa l'amore dei beni di questo mondo, delle ricchezze e della fortuna; le quali cose brillano dinanzi ai nostri sguardi prima di sedurci il cuore. Finalmente la superbia della vita è la confidenza in noi stessi, che genera la vanagloria e la presunzione, e ci fa dimenticare che abbiamo ricevuto da Dio la vita e i doni che si degnò spargere sopra di noi.

    Ora, tutti i nostri peccati scaturiscono da una di queste tre fonti, e le tentazioni mirano a farci accettare, o la concupiscenza della carne, o la concupiscenza degli occhi, o la superbia della vita. Il Salvatore, nostro modello in ogni cosa, volle sottoporsi a tutte e tre le prove.

    Le tre tentazioni.

    Satana lo tenta prima nella carne, insinuandogli il pensiero che avrebbe adoperato il suo potere soprannaturale per saziare immediatamente la fame che lo stimola. Di' che queste pietre diventino pani: tale è il suggerimento del demonio al Figlio di Dio. Esso vuol vedere se la premura di Gesù nel soddisfare al bisogno del suo corpo non lo denoterà per un uomo debole e soggetto alla intemperanza. Quando invece viene a noi, tristi eredi della concupiscenza di Adamo, le sue suggestioni si spingono ancora oltre: aspira a macchiarci l'anima per mezzo del corpo. Ma la suprema santità del Verbo incarnato non poteva permettere che Satana ardisse di fare una simile prova del suo potere sopra di lui, alla stessa maniera che tenta l'uomo nei suoi sensi. In questo, dunque, il Figlio di Dio ci dà una lezione di temperanza; e sappiamo che per noi la temperanza è la madre della purità, e che l'intemperanza solleva la ribellione dei sensi.

    La seconda tentazione è di superbia. Gettati sotto, e gli Angeli ti sosterranno. Qui il nemico vuoi vedere se i favori del cielo hanno generato nell'anima di Gesù quell'alterigia e quella ingrata presunzione, che inducono la creatura ad attribuire a sé i doni di Dio e a dimenticare il proprio benefattore, per mettersi a regnare al suo posto. L'Angelo ribelle è deluso ancora una volta, e l'umiltà del Redentore spaventa la sua superbia.

    Fa allora un ultimo tentativo. Forse, pensa, colui che s'è mostrato così temperante ed umile, sarà sedotto dall'ambizione della ricchezza. "Guarda lo splendore e la gloria di tutti i regni della terra: io te li posso dare, purché mi adori. Gesù respinge sdegnato la meschina offerta, e caccia via da sé il seduttore maledetto, il principe del mondo, insegnandoci con tale esempio a disprezzare le ricchezze della terra ogni volta che, per conservale od acquistarle, dovessimo violare la legge di Dio e rendere un omaggio a Satana.

    Le vittorie e l'esempio di Cristo.

    Ora, in che modo il Redentore, nostro divino capo, respinge la tentazione? Ascolta forse i discorsi del suo nemico? Gli lascia il tempo di far brillare davanti agli occhi tutto il suo prestigio? È così che troppo spesso abbiamo fatto noi, e siamo stati vinti. Gesù oppone semplicemente al nemico lo scudo dell'inflessibile Legge di Dio:

    Sta scritto: - gli risponde - Non di solo pane vive l'uomo. Sta scrìtto: Non tenterai il Signore Dio tuo. Sta scritto: Adorerai il Signore Dio tuo e servirai a lui solo. Seguiamo d'ora innanzi questa grande lezione. Eva si perdette, e con essa il genere umano, per aver intavolato conversazione col serpente. Chi procura la tentazione vi soccomberà. In questi santi giorni il cuore è più guardingo, le occasioni sono allontanate e le abitudini interrotte; purificate dal digiuno, dalla preghiera e dall'elemosina, le anime nostre risusciteranno con Gesù Cristo; ma conserveranno questa nuova vita? Tutto dipenderà dalla nostra condotta nelle tentazioni. Fin dall'inizio della santa Quarantena la Chiesa, mettendo sotto ai nostri occhi la narrazione del santo Vangelo, vuole al precetto aggiungere l'esempio. Se saremo vigili e fedeli, la lezione ci porterà i suoi frutti; e quando avremo raggiunta la Pasqua, la vigilanza, la diffidenza di noi stessi e la preghiera, col divino aiuto che non manca mai, ci assicureranno le perseveranza.

    La Chiesa greca oggi celebra una delle sue più grandi solennità. Chiamano tale festa Ortodossia, ed ha lo scopo d'onorare la restaurazione delle sante Immagmi a Costantinopoli e nell'impero d'Oriente, nell'842, quando l'imperatrice Teodora, col concorso del santo Patriarca Metodio, pose fine alla persecuzione degl'iconoclasti e fece rimettere in tutte le chiese le sante Immagini, che il furore degli eretici aveva fatto scomparire.

    MESSA

    La Stazione è, a Roma, nella Basilica di S. Giovanni Laterano. Era giusto che una Domenica così solenne fosse celebrata nella Chiesa Madre e Matrice di tutte le Chiese, non solo della santa città, ma di tutto il mondo. Li, il Giovedì Santo, si riconciliavano i pubblici Penitenti; lì pure, nella notte di Pasqua, i Catecumeni ricevevano il santo Battesimo nel Battistero di Costantino. Nessun'altra Basilica era più adatta alla riunione dei fedeli, in questo giorno in cui tante volte venne promulgato, dalla voce dei Papi, il digiuno quaresimale.

    EPISTOLA (2 Cor 6, 1-10). - Fratelli: vi esortiamo a non ricevere invano la grazia di Dio. Egli infatti dice: T'ho esaudito nel tempo propizio, e nel giorno della salvezza ti ho soccorso. Ecco ora il tempo propizio, ecco ora il giorno della salute. Non diamo motivo di scandalo a nessuno, affinché non sia vituperato il nostro ministero, ma diportiamoci in ogni cosa come ministri di Dio, con molta pazienza nelle tribolazioni, nelle necessità, nelle angustie. Sotto le battiture, nelle prigionie, nelle sedizioni, nelle fatiche, nelle vigilie, nei digiuni, con purezza, con scienza, con longanimità, con soavità, con Spirito Santo, con carità non simulata, con la parola della verità, con la virtù di Dio, con le armi della giustizia a destra e a sinistra; in mezzo alla gloria e all'ignominia, alla cattiva e alla buona fama; siam trattati come seduttori e siamo veraci; come ignoti, e siamo ben conosciuti; come moribondi, ed ecco viviamo; siamo castigati, e non uccisi; tristi e sempre allegri; poveri, e ne arricchiamo tanti; possessori di niente, e possediamo ogni cosa.

    La vita dell'uomo è una milizia.

    Questo passo dell'Apostolo ci mostra la vita cristiana sotto un aspetto ben differente da come suole vederla la nostra debolezza. Per trascurarne l'importanza, noi saremmo facilmente portati a pensare che tali consigli s'addicevano ai primi tempi della Chiesa, quando i fedeli, esposti a continue persecuzioni ed alla morte, avevano bisogno d'un grado eccezionale di rinuncia e d'eroismo. Ma sarebbe una grande illusione, credere che siano finite tutte le battaglie del cristiano. Esiste sempre la lotta contro i demoni e il mondo, contro il sangue e la carne; per questo la Chiesa ci manda nel deserto con Gesù Cristo, per ivi imparare a combattere. Lì comprenderemo che la vita dell'uomo sulla terra è una milizia (Gb 7,1), e se non lottiamo sempre e coraggiosamente, questa vita che vorremmo passare nel riposo finirà con la nostra disfatta. Appunto per farci evitare tale sventura, la Chiesa ci dice oggi per bocca dell'Apostolo: Ecco ora il tempo propizio, ecco ora il giorno della salute. Perciò, comportiamoci in ogni cosa come servi del Signore e resistiamo con fermezza fino alla fine di questo tempo. Dio veglia sopra di noi, come vegliò sul suo Figliolo nel deserto.

    VANGELO (Mt 4, 1-11). - In quel tempo: Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per essere tentato dal diavolo. E dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, finalmente ebbe fame. E il tentatore, accostandosi disse: Se tu sei Figlio di Dio, di' che queste pietre diventino pani. Ma Gesù rispose: Sta scritto: Non di solo pane vive l'uomo, ma di ogni parola che procede dalla bocca di Dio. Allora il diavolo lo trasportò nella città santa e avendolo posto sul pinnacolo del tempio gli disse: Se tu sei Figlio di Dio, gettati di sotto, poiché sta scritto che agli Angeli suoi ha commessa la cura di te; ed essi ti sosterranno, affinché il tuo piede non inciampi in qualche pietra. E Gesù a lui: Sta anche scritto: Non tentare il Signore Dio tuo. Di nuovo il diavolo lo menò sopra un monte altissimo e, mostrandogli tutti i regni del mondo e la loro magnificenza, gli disse: Tutto questo io ti darò, se prostrandoti, mi adorerai. Allora Gesù rispose: Va' via Satana, che sta scritto: Adorerai il Signore Dio tuo e servirai a lui solo. Allora il diavolo lo lasciò, ed ecco gli Angeli vennero a servirlo.

    Compassione verso Gesù.

    Ammiriamo l'ineffabile bontà del Figlio di Dio, che, non contento d'espiare tutti i nostri peccati con la croce, si degnò imporsi un digiuno di quaranta giorni e di quaranta notti per incoraggiarci alla penitenza. Egli non permise che la giustizia del Padre suo esigesse da noi un sacrificio, ch'egli per primo non avesse offerto con la sua persona, e in circostanze mille volte più rigorose di quelle che si possono riscontrare in noi. Che sono mai le nostre opere di penitenza, spesso anche così contese alla giustizia di Dio dalla nostra viltà, se le paragoniamo al rigore del digiuno di Gesù sul monte? Cercheremo ancora di dispensarci dalle leggere penitenze, di cui il Signore si degna accontentarsi, e che sono così lontane da ciò che abbiamo meritato con le nostre colpe? Invece di lamentarci di un piccolo incomodo e della stanchezza di qualche giorno, compatiamo piuttosto il tormento della fame che prova l'innocente Redentore per quaranta lunghi giorni e quaranta lunghe notti nel deserto.

    Confidenza nella tentazione.

    La sua preghiera, l'abnegazione per noi, il pensiero della giustizia del Padre suo lo sostengono nella debolezza; ma, allo spirare della quarantena, la natura umana è ridotta agli estremi. È allora che l'assale la tentazione; ma ne trionfa con una calma ed una fermezza che ci devono servire d'esempio. Quale audacia in Satana, osare avvicinarsi al giusto per eccellenza ! Ma anche che pazienza in Gesù che si lascia mettere le mani addosso e trasportare nell'aria, da un luogo all'altro, dal mostro dell'abisso!

    L'anima cristiana è frequentemente esposta a crudeli insulti da parte del suo nemico, fino ad essere tentata, qualche volta, di lagnarsi con Dio per l'umiliazione che soffre. Pensi allora a Gesù, al Santo dei Santi, al Figlio di Dio e al vincitore dell'inferno dato, per cosi dire, in balìa dello spirito del male; da lui Satana avrà una vergognosa sconfitta. Così anche l'anima cristiana, se resisterà con tutta la sua energia alla forza della tentazione, diventerà l'oggetto delle più tenere compiacenze di Dio, a eterna infamia e castigo di Satana.

    Uniamoci agli Angeli fedeli che, dopo l'allontanamento del principe delle tenebre, accorrono a ristorare le forze esauste del Redentore, offrendogli da mangiare.

    Che compassione essi sentono della sua divina stanchezza! Come s'affrettano a riparare, con le loro adorazioni, l'orribile oltraggio di cui s'è fatto reo Satana verso il sovrano Padrone di tutte le cose! E come ammirano la carità di un Dio che, per amore degli uomini, sembra aver dimenticato la sua dignità, e non pensa che alle sventure ed alle necessità dei figli di Adamo!

    PREGHIAMO

    O Dio, che ogni anno purifichi la tua Chiesa con l'osservanza quaresimale, concedi alla tua famiglia di rendere fruttuose con le buone opere quelle grazie che si sforza di ottenere con l'astinenza.

    Gustave Doré, Tentazioni di Cristo


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    Predefinito Dal «Commento sui salmi» di sant'Agostino, vescovo

    Sal 60, 2-3, in CCL 39, 766

    «Ascolta, o Dio, il mio grido, sii attento alla mia preghiera» (Sal 60, 1). Chi è colui che parla? Sembrerebbe una persona sola. Ma osserva bene se si tratta davvero di una persona sola. Dice infatti: «Dai confini della terra io t'invoco; mentre il mio cuore è angosciato» (Sal 60, 2).
    Dunque non si tratta già di un solo individuo: ma, in tanto sembra uno, in quanto uno solo è Cristo, di cui noi tutti siamo membra. Una persona sola, infatti, come potrebbe gridare dai confini della terra? Dai confini della terra non grida se non quella eredità, di cui fu detto al Figlio stesso: «Chiedi a me, ti darò in possesso le genti e in dominio i confini della terra» (Sal 2, 8).
    Dunque, è questo possesso di Cristo, quest'eredità di Cristo, questo corpo di Cristo, quest'unica Chiesa di Cristo, quest'unità, che noi tutti formiamo e siamo, che grida dai confini della terra.
    E che cosa grida? Quanto ho detto sopra: «Ascolta, o Dio, il mio grido, sii attento alla mia preghiera; dai confini della terra io t'invoco». Cioè, quanto ho gridato a te, l'ho gridato dai confini della terra: ossia da ogni luogo.
    Ma, perché ho gridato questo? Perché il mio cuore è in angoscia. Mostra di trovarsi fra tutte le genti, su tutta la terra non in grande gloria, ma in mezzo a grandi prove.
    Infatti la nostra vita in questo pellegrinaggio non può essere esente da prove e il nostro progresso si compie attraverso la tentazione. Nessuno può conoscere se stesso, se non è tentato, né può essere coronato senza aver vinto, né può vincere senza combattere; ma il combattimento suppone un nemico, una prova.
    Pertanto si trova in angoscia colui che grida dai confini della terra, ma tuttavia non viene abbandonato. Poiché il Signore volle prefigurare noi, che siamo il suo corpo mistico, nelle vicende del suo corpo reale, nel quale egli morì, risuscitò e salì al cielo. In tal modo anche le membra possono sperare di giungere là dove il Capo le ha precedute.
    Dunque egli ci ha come trasfigurati in sé, quando volle essere tentato da Satana. Leggevamo ora nel vangelo che il Signore Gesù era tentato dal diavolo nel deserto. Precisamente Cristo fu tentato dal diavolo, ma in Cristo eri tentato anche tu. Perché Cristo prese da te la sua carne, ma da sé la tua salvezza, da te la morte, da sé la tua vita, da te l'umiliazione, da sé la tua gloria, dunque prese da te la sua tentazione, da sé la tua vittoria.
    Se siamo stati tentati in lui, sarà proprio in lui che vinceremo il diavolo. Tu fermi la tua attenzione al fatto che Cristo fu tentato; perché non consideri che egli ha anche vinto? Fosti tu ad essere tentato in lui, ma riconosci anche che in lui tu sei vincitore. Egli avrebbe potuto tener lontano da sé il diavolo; ma, se non si fosse lasciato tentare, non ti avrebbe insegnato a vincere, quando sei tentato.

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    Sandro Botticelli, La tentazione di Cristo, 1481-85, Cappella Sistina, Vaticano

    Duccio di Buoninsegna, La tentazione di Cristo sul monte, 1308-11, Frick Collection, New York

    Juan de Flandes, La tentazione di Cristo, 1500-04 circa, National Gallery of Art, Washington

    Paolo Veronese, Battesimo e tentazioni di Cristo, Pinacoteca di Brera, Milano

    Charles de La Fosse, Cristo soccorso dagli Angeli dopo le tentazioni, 1690 circa, Hermitage, San Pietroburgo

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    Carl Bloch, Cristo vince le tentazioni, XIX sec.

    Ary Scheffer, Le tentazioni di Cristo, 1859 circa, Musée du Louvre, Parigi

    Jacques de Stella, Cristo servito dagli angeli dopo le tentazioni, XVII sec., Galleria degli Uffizi, Firenze

    Jacques de Stella, Cristo servito dagli angeli dopo le tentazioni, 1635-40, Portland Art Museum, Portland, Oregon

    Michael Pacher, La tentazione di Cristo, 1471-81

  8. #8
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    Predefinito Dalla "Mistica Città di Dio" della Ven. Suor Maria di Gesù Agreda

    Libro V, Cap. 25, §§ 985-994

    CAPITOLO 25

    Gesù, il nostro redentore, dopo aver ricevuto il battesimo, si incammina nel deserto, dove, con l’esercizio delle virtù eroiche, insegna agli uomini come combattere e vincere i vizi; Maria santissima ne è a conoscenza e lo imita in tutto.


    985. Con la testimonianza che la somma Verità aveva reso sulle rive del Giordano della divinità di Gesù, la persona e le parole di lui acquisirono una credibilità tale che egli avrebbe potuto incominciare subito la sua predicazione, facendosi conoscere attraverso di essa, i miracoli, le opere e la vita stessa, affinché tutti lo confessassero quale Figlio dell'eterno Padre, Messia d'Israele e salvatore del genere umano. Tuttavia, il Maestro della santità non volle farlo senza aver prima trionfato sui nostri nemici: il mondo, il demonio e la carne, e infine gli inganni che questi costantemente procuravano. Inoltre, con gli atti eroici delle virtù, voleva impartire le prime lezioni della vita spirituale e cristiana e mostrarci come combattere e avere la meglio nella battaglia. Dapprima riuscì a schiacciare i nostri comuni rivali, permettendo così che la nostra fragile natura li incontrasse indeboliti nel caso in cui noi non avessimo voluto consegnarci al loro potere, né di nostra volontà ridonare ad essi le forze perdute. Quantunque sua Maestà, come Dio, fosse infinitamente superiore ai diavoli e come uomo non avesse commesso né colpa né peccato, quale giusto e santo volle sottomettere i vizi e il loro autore, offrendo la sua umanità al conflitto della tentazione e celando ad essi, a tale scopo, la sua potenza.

    986. Recandosi nel deserto ci insegnò a vincere il mondo, perché, sebbene questo sia solito abbandonare coloro dei quali non ha bisogno per i suoi fini terreni e non perda tempo ad inseguire coloro che non lo cercano, chi ne disprezza veramente il fascino deve dimostrarlo allontanandosene non solo con il cuore, ma anche con le azioni, per quanto è possibile. Egli sottomise la carne ed insegnò a noi a fare lo stesso con la penitenza del lungo digiuno che inflisse al suo corpo innocente, quantunque non avesse sperimentato alcuna ribellione nei confronti del bene, né sentimenti inclini al male. Sconfisse il padre della menzogna con la dottrina e la verità, dal momento che tutte le seduzioni di costui vengono solitamente mascherate e vestite di fraudolenta falsità. Inoltre, scegliendo di iniziare a proclamare la buona novella e di farsi conoscere solo dopo aver conseguito tale vittoria, ci diede un altro ammaestramento sul pericolo che noi corriamo nell'accettare gli onori mondani - fossero pure questi doni ricevuti dal cielo - prima di aver superato gli avversari e di essere morti alle passioni; infatti, se il plauso delle creature ci ritrova con il cuore afferrato da esse e privi di mortificazione, la grazia e i benefici dell'Altissimo avranno poca stabilità, poiché il vento della vanagloria è solito trascinare persino i monti più solidi. A ciascuno di noi spetta il compito di accorgersi che teniamo il tesoro in vasi di creta, perché quando il Signore vuole esaltare il suo nome nella nostra debolezza sa perfettamente quali mezzi usare per porla al sicuro e portare quindi alla luce le sue opere. Quanto a noi, solo il timore ci minaccia e ci appartiene.

    987. L'Unigenito, dopo aver preso commiato da Giovanni il Battista, accompagnato dagli angeli che lo servivano come re e sovrano e lo veneravano con canti di lode per ciò che stava realizzando in ordine alla salvezza, si diresse verso il luogo prestabilito dal volere superno. Così giunse in quel posto solitario tra rupi e rocce aride e sterili, in mezzo alle quali si trovava una caverna o grotta molto nascosta, che scelse come abitazione per i giorni del digiuno. Si prostrò al suolo con profondo abbassamento, come era solito fare insieme alla sua beatissima Madre prima di pregare, e magnificò l'Onnipotente per le meraviglie compiute e soprattutto per avergli concesso quella terra così adatta per il suo ritiro; ringraziò anche lo stesso deserto per averlo accolto, dandogli la possibilità di rimanere nascosto dal mondo per tutto il tempo necessario. Poi si mise a intercedere incessantemente con le braccia distese a forma di croce mentre elevava suppliche per il riscatto dell'umanità: questa risultò essere la sua occupazione più frequente durante la sua permanenza là. Qualche volta durante tali implorazioni sudava sangue, per le ragioni che esporrò quando parlerò dell'orazione nell'orto degli Ulivi.

    988. Alcune volte, mentre camminava, molti animali selvatici gli correvano intorno e con ammirevole istinto lo riconoscevano come loro creatore, e in testimonianza di ciò emettevano guaiti e si esprimevano con ogni genere di movimento. Soprattutto gli uccelli volavano dinanzi a lui e gli manifestavano il loro giubilo con diversi soavi canti, facendogli festa e omaggiandolo. A loro modo volevano anche esprimere la loro gratitudine per poter essere a lui vicini, cosicché quell'eremo venisse santificato dalla sua divina presenza. Egli cominciò l'astinenza senza prendere alcun cibo per tutti i quaranta giorni, offrendolo all'Eterno per espiare gli eccessi disordinati che i mortali avrebbero commesso col vizio della gola che era frequentemente e apertamente onorato, sebbene fosse considerato vile e abietto. Nella maniera in cui vinse questo vizio, vinse anche tutti gli altri, dando così soddisfazione delle ingiurie che il legislatore supremo riceveva con essi. Secondo quanto mi sembra di capire, egli, prima di iniziare la predicazione e la missione di maestro, redentore e mediatore presso il Padre, volle trionfare su tutti i vizi e per riparare le offese fatte a Dio esercitò le virtù contrarie: col digiuno rimediò quindi la smoderatezza della gola. Fece lo stesso per tutto il tempo della sua vita, ma specialmente destinò a tale scopo le sue opere d'infinito valore mentre era nel deserto.

    989. Come un padre affettuoso, i cui numerosi figli avessero commesso grandi delitti e per questo meritassero orrendi castighi, il nostro fratello Gesù elargì i suoi favori per la nostra salvezza e pagò i nostri debiti per preservarci dalla pena dovuta. Donò la sua umiltà per compensare la nostra superbia, la povertà scelta liberamente per la nostra avarizia, l'aspra penitenza per i turpi piaceri, la mansuetudine e la carità verso i nemici per l'ira e la vendetta, l'attenzione vigilante e la sollecitudine per la nostra pigrizia e trascuratezza, la sincerità più schietta e genuina, la verità e la dolcezza per la falsità e l'invidia. Così andava placando il giusto giudice e chiedendo il perdono per gli uomini degeneri e disobbedienti. In tal modo non ottenne solo questo, ma guadagnò per noi anche nuove grazie e nuovi aiuti, perché giungessimo a godere della sua compagnia, ad essere degni di contemplare il suo volto e quello dell'Altissimo e a prender parte alla loro gloria da sempre e per sempre. Anche se egli avrebbe potuto conseguire tutto questo con la minore delle sue opere, non agì come avremmo fatto noi e il suo amore sovrabbondò in incalcolabili dimostrazioni, affinché la nostra ingratitudine e durezza di cuore non avessero scuse.

    990. Alla Principessa, per avere notizia degli atti di sua Maestà, sarebbero bastate la luce divina e le continue visioni e rivelazioni che aveva, ma ella nel suo zelo inviava al suo Unigenito frequenti messaggi per mezzo degli angeli. Lo stesso Signore disponeva che ciò avvenisse attraverso questi fedeli ambasciatori, perché i sensi di entrambi udissero reciprocamente i concetti che formavano i loro animi, e puntualmente essi li riferivano a Maria con le stesse parole uscite dalla bocca di Gesù e a Gesù con quelle di Maria, sebbene tutti e due ne fossero già informati per altra via. Non appena la Regina fu al corrente del fatto che egli si era incamminato verso il deserto e delle sue intenzioni, serrò le porte di casa senza che nessuno potesse accorgersi che dimorava all'interno. Si tenne talmente nascosta che gli stessi vicini pensarono che ella pure si fosse allontanata. Si raccolse nel suo oratorio e vi rimase quaranta giorni e quaranta notti senza uscire mai e senza prendere cibo, come sapeva che stava facendo il suo diletto: entrambi intendevano osservare la stessa forma di vita e lo stesso rigoroso digiuno. Lo imitò in tutto, con la preghiera, le prostrazioni a terra e le genuflessioni senza ometterne alcuna, e la cosa più stupefacente è che le compiva simultaneamente a lui e per questo motivo tralasciò ogni altra faccenda. Oltre ai messaggi che le erano recati, era in grado, a motivo di quel beneficio di cui ho più volte riferito, di vedere le operazioni dell'anima del Verbo incarnato, sia che questi fosse presente sia che fosse assente. Inoltre, per quanto riguarda le azioni corporali, che ella percepiva attraverso i sensi quando stavano insieme, ora, essendo egli lontano, riusciva a conoscerle attraverso la visione intellettuale, oppure le erano manifestate dagli stessi esseri celesti.

    991. Il nostro Maestro, finché si trattenne in quel luogo, faceva ogni giorno trecento genuflessioni e prostrazioni ed altrettante ne faceva la Vergine; il tempo che le restava, ella lo impiegava solitamente per comporre canti di lode. Ricalcando le sue orme cooperò con lui, riportò le medesime vittorie sui vizi e riparò gli stessi con le sue eroiche virtù. Se egli, come redentore, meritò tanti favori a nostro vantaggio e pagò i nostri debiti secondo la più severa giustizia, ella, come ausiliatrice e madre nostra, misericordiosamente intercedette per noi e divenne mediatrice nella misura in cui era possibile ad una semplice creatura.

    Insegnamento della Regina del cielo

    992. Figlia mia, le penitenze corporali sono indispensabili: molti si sono persi per sempre e molti altri corrono lo stesso pericolo, perché hanno ignorato questo dovere e hanno dimenticato o addirittura disprezzato l'obbligo di abbracciare la croce. I mortali devono affliggere la loro carne innanzitutto perché sono stati concepiti nella colpa e con essa tutta la natura umana è diventata corruttibile, e le passioni inclini al male e ostili allo spirito si sono ribellate alla ragione; infatti, se si permette che queste seguano le proprie inclinazioni, trascinano l'anima facendola precipitare da un vizio all'altro. Se però tale fiera viene soggiogata e domata col freno dell'astinenza, perde la sua forza e l'intelligenza ha il sopravvento con la luce della verità. Il secondo motivo per il quale ci si deve mortificare è che nessuno ha cessato di peccare contro Dio. Alla trasgressione deve corrispondere inevitabilmente il castigo, o in questa vita o nell'altra, e, poiché l'anima e il corpo hanno peccato insieme, devono essere puniti entrambi secondo equità; il dolore interiore non è sufficiente, se la carne per non dover patire tenta di schivare la pena adeguata. Il debito del reo è tanto grande quanto la sua capacità di rimediare è limitata e scarsa: egli non saprà mai, quantunque si sforzi ininterrottamente, se avrà potuto riparare e rendere soddisfazione al giudice, e quindi non deve smettere di impegnarsi fino alla fine dei suoi giorni.

    993. La divina clemenza è a tal punto liberale con gli uomini che, se essi cercano come possono di espiare i loro peccati con la penitenza, sua Maestà non solo si mostra compensato delle offese subite, ma anche promette loro nuove grazie e il premio eterno. È necessario che i servi fedeli e prudenti, che amano veramente il loro Signore, procurino di aggiungere altre opere volontarie, perché al debitore che pensa solamente a pagare, senza fare più di quello che deve, benché paghi, nulla avanza ed egli resta povero, senza alcun capitale. Che cosa dunque devono fare o sperare coloro che non pagano, né compiono nulla a tal fine? Il terzo motivo per il quale ci si deve maggiormente mortificare è la sequela del nostro Maestro. Egli ed io, sebbene non avessimo né macchie né passioni disordinate, ci sacrificammo e tutta la nostra esistenza terrena trascorse nella continua afflizione dei sensi. Non bisognava che il Cristo sopportasse questi oltraggi per entrare nella gloria del suo corpo e del suo nome? Ed io lo seguii in tutto. Ordunque, se noi ci siamo comportati in questo modo perché conveniente, quale diritto hanno i discendenti di Adamo di cercare un altro cammino e di condurre una vita comoda, molle, dilettevole e avida di piaceri, aborrendo e disprezzando tutte le fatiche, le ignominie, i digiuni e gli atti di compunzione? Quale argomento adducono per cui il soffrire dovrebbe essere solo per il mio Unigenito e per me, mentre coloro che si procurano la condanna se ne stanno con le mani in mano, dediti alle lussuriose inclinazioni della carne, e usano le forze spirituali, che hanno ricevuto da lui per porsi al suo servizio e ricalcare le sue orme, per appagare i loro piaceri e per servire satana che li ha fin là trascinati? Questa mostruosità, che ormai regna dappertutto, ha provocato l'ira e l'indignazione dell'Onnipotente.

    994. È vero, carissima, che i tormenti di mio Figlio hanno riparato le mancanze dei meriti umani. Egli ordinò anche a me di imitare precisamente i suoi supplizi e i suoi esercizi, affinché, sebbene fossi solo una semplice creatura, cooperassi con lui facendo le veci dei mortali. Ciò però non avvenne per esonerare questi ultimi dalla penitenza, ma per incitarli ad essa; infatti, non sarebbe stato necessario patire così tanto solo per rendere soddisfazione per essi. Gesù, come vero padre e fratello, volle anche dare valore alle azioni e alle mortificazioni di chi lo avrebbe seguito, poiché le stesse sarebbero state di poco conto agli occhi dell'Altissimo senza quelle che fece lui. E se questo vale per le opere virtuose e perfette, che sarà di quelle piene di difetti comunemente fatte dagli uomini, benché siano oggetto di virtù? Infatti, anche quelle di coloro che sono progrediti spiritualmente e giusti hanno bisogno di essere integrate e migliorate. Il nostro Salvatore ne colmò tutti i vuoti e le lacune affinché queste stesse, unite alle sue, fossero accette e gradite al sommo sovrano. Chi però non ne compie alcuna e se ne sta ozioso, non può avvalersi delle opere del suo Redentore: non si trova, infatti, in lui nulla da integrare o da ritoccare, ma al contrario molto da condannare. Ora, non mi riferisco all'esecrabile errore di quei credenti che perfino nelle pratiche di penitenza hanno introdotto la sensualità e la vanità del mondo. Per essi è opportuno un maggior castigo più per questo che per le altre colpe, dal momento che uniscono alla contrizione fini vani ed imperfetti dimenticando quelli soprannaturali che danno merito alla mortificazione e pongono in stato di grazia. Se sarà utile, ti parlerò di tale argomento in un'altra occasione. Per ora piangi su una simile cecità e tieniti pronta a sopportare ogni fatica e dolore, e, se anche tu soffrissi come gli apostoli, i martiri e i confessori, faresti solo il tuo dovere. Castiga sempre il tuo corpo e moltiplica lo zelo nel farlo; pensa che ti mancano ancora molte cose, che la vita è così breve e debole è la tua capacità di retribuzione.

  9. #9
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    Libro V, Cap. 26, §§ 995-1008

    CAPITOLO 26

    Cristo, nostro salvatore, alla fine del suo digiuno permette a Lucifero di tentarlo e lo vince; la sua Madre santissima ha notizia di tutto.


    995. Nel capitolo ventesimo di questo libro si dichiarò che il tentatore uscì dalle profonde caverne per trovare il nostro divino Maestro, il quale però gli si nascose fino a quando non andò nel deserto dove, dopo un digiuno di quasi quaranta giorni, permise che gli si accostasse, come afferma il Vangelo. Lucifero si rallegrò molto nel constatare che colui che cercava era solo, poiché Maria, che egli e i suoi ministri di tenebre consideravano nemica per le vittorie che riportava su di loro, non era presente. Dato che non era ancora iniziata la battaglia, la loro superbia presumeva che, in assenza della Madre beatissima, fosse sicuro il trionfo sul Figlio; tuttavia, avvicinandosi per conoscere meglio il combattente, si sentirono tutti timorosi e codardi, ma non perché capissero che era Dio vero, poiché di questo non avevano neppure il sospetto osservandolo così disprezzato, né per aver confrontato con lui le loro forze, che avevano messo alla prova soltanto contro la celeste Signora. Fu, piuttosto, lo scorgerlo assolutamente tranquillo, con un aspetto tanto pieno di maestà e con opere tanto alte ed eroiche, che li spaventò e scoraggiò; tali azioni e qualità, infatti, non erano come quelle degli altri, che essi seducevano e vincevano facilmente. Il dragone, parlando di questo con i suoi, disse loro: «Chi è mai costui, così austero e libero dai vizi dei quali ci serviamo solitamente? Se è così indifferente al mondo e conserva così soggetta e indebolita la sua carne, da dove entreremo noi per tentarlo? O come speriamo di sopraffarlo, se ci ha tolto le armi che usiamo per muovere guerra? Diffido molto di questo scontro». Tanto vale e tanto può il disprezzo delle cose terrene e la mortificazione da fare paura al diavolo ed a tutto l'inferno; la sua tracotanza non si innalzerebbe sino a questo punto, se non trovasse le persone sottomesse a lui ancor prima di circuirle.

    996. Il Salvatore lasciò satana nell'inganno di crederlo una semplice creatura, sebbene assai giusta e retta, affinché dispiegasse tutto il suo vigore e la sua malizia per la contesa, come fa quando ravvisa in quelli che vuole irretire tali perfezioni ed eccellenze. Così questi, facendo ogni sforzo con la sua consueta arroganza e con tutta la sua abilità, incominciò il duello di cui né prima si vide né poi si vedrà altro simile sulla terra tra mortali e demoni. Egli e i suoi associati dimostrarono pienamente la propria energia e astuzia, aizzati dal loro stesso sdegno e furore contro la superiorità del Signore, che pure mitigava i suoi atti, la sua sapienza e la sua bontà infinita, e con equità e misura celava la causa originaria del suo immenso potere, manifestandone solo quanto bastava per ottenere il successo sugli avversari con la santità di uomo. Per lottare come tale pregò il Padre nella parte più elevata dello spirito, dove non arriva la conoscenza dell'infelice tiranno: «Dio mio, affronto il mio rivale per abbattere la sua furia e il suo orgoglio contro di voi e contro le anime che amo; per vostra gloria e loro bene voglio abbassarmi a sopportare l'audacia di questo serpente e schiacciare il suo capo, cioè la sua alterigia, affinché i cristiani lo trovino già vinto quando saranno attaccati da lui, se per propria colpa non gli si abbandoneranno. Vi supplico di ricordarvi del mio trionfo quando verranno tormentati da lui e di ritemprarne la fiacchezza, perché grazie ad esso conseguano il loro, si rinfranchino con il mio esempio e imparino come resistergli e sconfiggerlo».

    997. I custodi celesti stavano a contemplare questa battaglia, ma nascosti per disposizione dell'Altissimo, affinché il maligno non si accorgesse di loro, né scoprisse qualcosa della potenza divina di Cristo; davano tutti gloria e lode al Padre ed allo Spirito Santo, i quali si compiacevano delle sue ammirabili azioni. Pure la Regina guardava quanto stava avvenendo dal suo luogo di orazione. La tentazione ebbe inizio il trentacinquesimo giorno del digiuno e della solitudine di Gesù e durò sino al termine dei quaranta giorni scritti nel Vangelo. Il drago gli si presentò in forma umana, come sé non fosse già stato riconosciuto da lui, e per raggiungere il suo scopo assunse un'apparenza risplendente come angelo di luce; pensando che dopo un tempo tanto lungo avesse fame, gli si rivolse così: «Se sei Figlio di Dio, dì che questi sassi diventino pane». Gli chiese ciò perché era quello di cui aveva maggior timore e desiderava avere qualche indizio al riguardo. Il Redentore, però, ribatté soltanto: «Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio», riprendendo il capitolo ottavo del Deuteronomio. L'altro non penetrò il senso in cui esso era stato citato, ma capì che anche senza alimento corporale sua Maestà poteva sostenere l'esistenza terrena. Sebbene ciò fosse vero, dal momento che si esprimeva pure questo, il significato dato a tale espressione era più ampio, perché era come dirgli: «Colui con il quale tu parli vive nella Parola di Dio, che è il Verbo eterno, a cui è ipostaticamente unito»; benché costui bramasse sapere proprio questo, non meritò d'intenderlo, perché non accettò di adorarlo.

    998. Satana si sentì bloccato dal vigore di tale risposta e dalla virtù occulta che conteneva, ma non volle far trasparire debolezza né arrendersi. Il Signore gli concesse di persistere e di condurlo a Gerusalemme, dove fu posto sopra il pinnacolo del tempio, da cui poteva osservare un ampio numero di persone senza essere scorto da alcuno. Qui il nemico, stimolando la sua immaginazione, affermò che, se lo avessero visto cadere da un luogo tanto alto senza riportare alcuna lesione, lo avrebbero acclamato grande, santo e operatore di prodigi; nel farlo si avvalse ancora del testo sacro ed esclamò: «Se sei Figlio di Dio, gettati giù, poiché sta scritto: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo, ed essi ti sorreggeranno con le loro mani, perché non abbia a urtare contro un sasso il tuo piede». Gli spiriti del cielo accompagnavano il loro Re per assistere a tale impresa, solo in vista del vantaggio che ne sarebbe risultato all'umanità, meravigliati che avesse accondisceso a lasciarsi trasportare fisicamente da Lucifero, con il quale erano presenti moltissimi demoni, tanto che l'inferno era restato quasi spopolato. L'Autore della sapienza replicò: «Sta scritto anche: Non tentare il Signore Dio tuo». In tal modo il Salvatore si mostrava incomparabilmente mansueto, profondamente umile e tanto superiore al principe delle tenebre nella maestà e nella fermezza che questi, per tale nobiltà e completa imperturbabilità, si alterò ancor più nella sua indomita superbia, con nuovo tormento e affanno.

    999. Il diavolo provò un altro stratagemma per attaccarlo, cioè quello dell'ambizione, offrendogli parte del proprio dominio; perciò lo fece ascendere su un monte elevato dal quale si distinguevano parecchie terre e, con perfidia e sfacciataggine, gli disse: «Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai». Esorbitante arroganza, più che assurda menzogna e ingannevole perfidia! Assicurava, infatti, ciò che non aveva né poteva cedere, giacché il mondo, i regni, i principati, le ricchezze e i tesori, tutto è del Signore, che li dona e li toglie a chi vuole e quando gli piace e lo crede opportuno. Costui non può mai regalare qualche bene che sia suo, anche di quelli temporali, per cui tutte le sue promesse sono false. Gli fu risposto con autorità incontrastabile: «Vattene, satana! Sta scritto: Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto». Nell'intimargli di andarsene, Cristo gli tolse la facoltà di tentarlo e, con onnipotente comando, fece precipitare lui e tutte le sue legioni nelle più remote caverne sotterranee, dove per tre giorni sostarono fissi e inchiodati senza riuscire a muoversi. Avuta poi licenza di rialzarsi, trovandosi così distrutti e inerti, incominciarono a sospettare che chi li aveva abbattuti fosse effettivamente il Figlio di Dio fatto carne, e rimasero in tale dubbio senza arrivare mai ad averne la certezza sino a quando egli spirò. Il serpente, intanto, si disperava per il danno che aveva subito in questa battaglia e si consumava nel suo furore.

    1000. Il nostro beato vincitore glorificò l'eterno Padre e lo magnificò con lodi e rendimenti di grazie perché gli aveva concesso di prevalere sul comune nemico dei mortali. Fu ricondotto nel deserto da una gran moltitudine di angeli che allora, cantandogli armoniosi inni per il suo trionfo, lo tennero proprio sulle loro mani, benché non ne avesse bisogno in quanto avrebbe avuto la possibilità di far uso del suo potere. Quel rispetto gli era dovuto in contraccambio della sfrontatezza con cui il drago aveva osato far salire sul pinnacolo del tempio e sull'altura la sua umanità santissima, nella quale stava sostanzialmente e realmente la divinità. Non si sarebbe mai potuto pensare che Gesù gli avesse dato tale permesso, se ciò non venisse detto nel Vangelo. Non so, però, quello che per noi è causa di maggior stupore, se l'avere acconsentito ad essere portato in diversi luoghi da lui, che non lo conosceva, o ad essere tradito da Giuda e ricevuto nel sacramento da quel discepolo maligno e da tanti credenti che, nonostante lo confessino Dio e Signore, si accostano all'eucaristia tanto indegnamente. Ciò che di sicuro deve lasciarci sbalorditi è che egli abbia tollerato tali offese e continui a sopportare quest'ultima per noi, per vincolarci e trarci a sé con la mitezza e con la pazienza della sua carità. O dolcissimo Redentore mio, quanto siete soave, benigno e clemente verso le anime! Per loro scendeste dal cielo, patiste e deste la vita per salvarle. Con misericordia le aspettate e le sostenete, le chiamate, le cercate, le accogliete, vi introducete nel loro intimo, siete tutto per esse e volete che ciascuna sia tutta per voi. Quello che mi trafigge e spezza il cuore è che, mentre il vostro vero amore ci attira, noi fuggiamo da voi e corrispondiamo con ingratitudini a simile tenerezza. Oh, amore immenso, tanto malamente accettato e ripagato! Date lacrime ai miei occhi per piangere una cosa così meritevole di essere biasimata e in ciò mi aiutino tutti i giusti. La Scrittura afferma che, dopo aver riaccompagnato Cristo in quel luogo arido, i custodi iniziarono a servirlo; infatti, alla fine di queste prove e dell'astinenza dal cibo, gliene presentarono uno divino affinché ne mangiasse, e con questo il suo sacro corpo recuperò le forze naturali. A tale pasto non assistettero solo essi, che si congratularono per la vittoria, ma anche gli uccelli della zona, accorsi a ricreare i sensi del loro Artefice fatto uomo con armonie e voli molto graziosi e accordati. A modo loro fecero lo stesso le belve della montagna, spogliandosi della propria ferocia, con gradevoli bràmiti e movimenti per colui che attestavano loro sovrano.

    1001. Ritorniamo a Nazaret, dove dal suo oratorio Maria guardava con sublimi illuminazioni la lotta del Figlio e, intanto, riceveva ininterrottamente notizie attraverso i suoi messaggeri. Nel momento stesso in cui egli si rivolse al Padre prima di entrare nel conflitto della tentazione, fece la medesima preghiera. Combatté insieme con lui, benché invisibilmente e in spirito; condannò e sconfisse il principe delle tenebre e i suoi seguaci, cooperando in tutto a nostro favore con le azioni di sua Maestà. Quando seppe che questi veniva fatto passare da una parte all'altra, gemette amaramente perché la malvagità del peccato costringeva lo stesso Re dei re e Signore dei signori a dare tale autorizzazione e ad essere tanto accondiscendente. Per i successi da lui riportati sul demonio, compose nuovi inni a esaltazione della divinità e dell'umanità santissima, che poi gli angeli gli intonarono, e tramite loro gli mandò le sue felicitazioni per il trionfo e per il beneficio che con esso otteneva per tutti. Egli la confortò per mezzo degli stessi e si complimentò ancora per ciò che anch'ella, imitandolo e rimanendogli accanto, aveva compiuto con fatica contro satana.

    1002. Essendo stata compagna fedele e partecipe del tormento e del digiuno, era opportuno e ragionevole che la Vergine fosse tale pure nella consolazione. Perciò, l'Unigenito che tanto l'amava le inviò un po' dell'alimento che gli esseri celesti gli avevano recato e comandò ad essi che glielo offrissero. Oh, meraviglia! Un enorme stormo dei medesimi uccelli che lo stavano contemplando li seguirono a Nazaret, meno rapidi, ma ugualmente molto veloci. Irruppero nella casa della Regina e signora dell'universo e, mentre ella consumava quanto le era stato posto davanti, eseguirono per lei gli stessi canti e gorgheggi con i quali avevano onorato il Salvatore. Tali vivande, migliori perché venivano dalle mani di Cristo ed erano state benedette da esse, la rinvigorirono e ristorarono dagli effetti di così prolungate privazioni. Ella ringraziò l'Onnipotente e si umiliò sino a terra. Furono tanti e tali gli atti eroici di virtù esercitati da lei in quel frangente che non è possibile tradurli in parole, perché sorpassano la nostra capacità di espressione. Li vedremo in Dio quando godremo di lui; allora gli daremo la lode che il mondo intero gli deve per doni talmente ineffabili.

    Domanda che feci alla Regina del cielo, Maria santissima

    1003. Nostra eccelsa sovrana, è così premurosa la vostra disponibilità che mi infonde la fiducia di sottoporvi, come a maestra e madre della sapienza, un'incertezza che mi si presenta su ciò che in questo ed in altri capitoli la vostra sublime luce ed istruzione mi ha manifestato circa il cibo celeste che i custodi somministrarono a Gesù nel deserto. Io comprendo che questo dovette essere dello stesso genere degli altri che portarono a lui e a voi in alcuni casi in cui, per sua disposizione, vi mancava il nutrimento comune. Ora io l'ho chiamato "cibo celeste" dato che non conosco altri termini con cui spiegarmi, ma non so se questi siano pertinenti, perché ignoro da dove esso venisse e che qualità avesse, come anche se in cielo vi possano essere alimenti per provvedere ai corpi, perché là non è necessario un simile modo di vivere e un sostentamento terreno. Sebbene anche nei beati i sensi abbiano talune cose per loro gradevoli e, tra gli altri, il gusto percepisca qualche sapore, credo che questo non avvenga attraverso le diverse vivande, ma come effetto della sovrabbondanza della gloria dell'anima, della quale anch'essi partecipano stupendamente, ciascuno nella maniera che gli è propria, senza l'imperfezione e la rozzezza che durante l'esistenza mortale hanno le loro operazioni e i loro oggetti. Su tutto ciò, come persona incompetente, desidero essere rischiarata dalla vostra pietosa e materna benignità.

    Risposta e insegnamento di Maria santissima

    1004. Figlia mia, hai fatto bene a dubitare perché è vero che nell'empireo non vi è alcun nutrimento materiale, come hai recepito e affermato. Quanto al cibo che fu servito al Signore e a me nelle condizioni di cui hai scritto, tu lo definisci giustamente "celeste" come io stessa ti ho detto; infatti, le sue proprietà furono date dal cielo e non dalla terra, dove tutto è grossolano e assai limitato. Per capire la sua peculiarità ed il modo in cui la provvidenza lo forma, devi renderti conto che, quando la generosità divina stabiliva di sfamarci con esso mandandocelo portentosamente tramite i santi messaggeri per supplire alla penuria di altro, si avvaleva di qualche realtà tangibile. La più comune era l'acqua, sia per la sua trasparenza e semplicità sia perché l'Altissimo per questi prodigi non vuole niente di molto complesso, mentre altre volte si trattava di pane e di frutta; a tutto ciò il suo potere conferiva una tale squisitezza da trasformarlo in qualcosa di superiore ai piatti più prelibati tanto quanto il cielo è distante dalla terra. Non vi è nulla al mondo con cui paragonarlo perché tutto al confronto è insipido e senza efficacia. Affinché tu intenda meglio ti saranno utili i seguenti esempi. Il primo è quello della focaccia che fu donata ad Elia; essa aveva una tale forza che lo sostenne nel cammino sino al monte Oreb. Il secondo è quello della manna, che è chiamata pane degli angeli, perché essi la preparavano condensando il vapore del suolo, che poi spargevano dopo averlo diviso in granelli; aveva molta varietà di sapori, come dicono le Scritture, e una grande capacità di alimentare. Il terzo è il segno che Cristo fece alle nozze di Cana, cambiando l'acqua in vino di eccellente qualità, come si può desumere dallo stupore di quelli che lo assaggiarono.

    1005. La potenza di Dio dava bontà e doti eccezionali a questo elemento oppure lo mutava in altra bevanda soavissima e delicata, e faceva lo stesso con il pane e la frutta, rendendo tutto più spiritualizzato e in grado di nutrire, deliziare e ristorare in modo mirabile: la debolezza umana diventava vigorosa, agile e pronta per opere ardue, e questo avveniva senza malessere né appesantimento. Di tale specie era quello che fu presentato a mio Figlio dopo il digiuno, come anche quello che nei deserti d'Egitto e in altre occasioni ricevemmo col mio sposo Giuseppe. Sua Maestà ha mostrato questa prodigalità verso molti suoi amici e servi, fornendo loro simili mezzi di sussistenza, benché non così frequentemente, né con tante circostanze miracolose. Ciò ti basti come risposta e adesso sta' attenta alla dottrina di questo capitolo.

    1006. Per una miglior comprensione di quanto hai annotato in esso, voglio che tu rifletta in maniera particolare su tre finalità che Gesù si propose fra le altre per scontrarsi con Lucifero e i suoi ministri infernali; questo ti darà più intelligenza e coraggio contro di essi. La prima fu distruggere il male e la semenza che per la caduta dei progenitori costui aveva posto nella nostra natura con i sette vizi capitali: la superbia, l'avarizia, la lussuria e i rimanenti, che sono le sue sette teste. Il dragone usò l'astuzia di mettere un demonio a capo degli altri per ciascuno di questi, che venivano utilizzati come armi, suddivise per attaccare i discendenti di Adamo e circuirli nell'ordine confuso di cui parlasti all'inizio della Storia. Proprio per questo il mio Unigenito entrò in battaglia con i principi delle tenebre e li debellò con le sue virtù. Sebbene nel Vangelo siano nominate solo tre tentazioni, perché furono le più manifeste, la lotta e la vittoria furono maggiormente gloriose in quanto prevalse su tutte le legioni avversarie. Sconfisse la superbia con l'umiltà, l'ira con la mansuetudine, l'avarizia con il disprezzo delle ricchezze ed in modo analogo gli altri peccati. Il più grande danno e abbattimento per i nemici fu il conoscere con certezza, ai piedi della croce, che colui che li aveva prostrati ed oppressi era il Verbo disceso tra noi. Fu allora che cominciarono a dubitare di avere la meglio sui mortali, almeno su quelli che si sarebbero avvalsi del suo potere e dei suoi trionfi.

    1007. La seconda finalità fu obbedire all'eterno Padre, il quale gli aveva comandato non solo di dare la vita per gli uomini e salvarli con la sua passione, ma anche di affrontare questo conflitto con i diavoli e di piegarli con il valore spirituale dei suoi incomparabili meriti. La terza è una conseguenza delle precedenti e fu quella di lasciare l'esempio e l'insegnamento per sgominarli, perché nessuno fosse sorpreso nel vedersi perseguitato da essi e tutti avessero, nelle tribolazioni, la consolazione di sapere che il loro Redentore le aveva sofferte in se stesso prima di loro. Queste prove, benché in qualche modo differenti, in sostanza furono le stesse, solo presentate con più durezza e malizia da parte di satana. Cristo gli diede licenza di dispiegare contro di lui tutte le sue forze con la massima intensità, per soggiogarle con la sua potenza divina rendendole più fiacche per gli assalti che avrebbe fatto in seguito, i quali così sarebbero stati più facilmente superabili, se le loro vittime avessero voluto approfittare del beneficio che veniva elargito loro.

    1008. A tutti sono necessarie queste istruzioni per sopraffare il maligno, ma tu, mia cara, ne hai bisogno più degli altri, perché il suo furore contro di te è immenso e la tua natura è fragile per resistere, se non ti avvali delle mie parole e del modello che hai di fronte. Innanzitutto devi tenere sottomessi il mondo e la carne: questa, mortificandola con prudente rigore; quello, fuggendo ogni essere e nascondendoti nel segreto della tua interiorità. Potrai vincerli entrambi non uscendo da tale ritiro, non perdendo d'occhio il bene e la luce che lì ricevi e non attaccandoti a niente di visibile più di quanto ti permetta la carità. Riguardo a ciò ti ricordo di nuovo il precetto strettissimo che tante volte ti ho imposto: Dio ti ha donato una disposizione innata ad amare molto e desideriamo che questa si consacri interamente ed in pienezza a noi; non devi perciò acconsentire con la volontà neanche ad un solo moto dell'istinto, per quanto sembri leggero, né devi accettare l'impulso dei tuoi sensi, se non per l'esaltazione dell'Altissimo e per fare o patire qualche cosa per lui e a vantaggio del tuo prossimo. Se mi darai ascolto in tutto, farò in modo che tu sia munita e corazzata contro questo crudele serpente per combattere le guerre del Signore: sarai circondata da mille scudi, con i quali tu possa difenderti e colpirlo. Stai sempre attenta a giovarti contro di lui dei versetti della Scrittura, senza frapporre, con un rivale così astuto, né ragionamenti né molti discorsi. Le creature deboli non devono iniziare discussioni con il maestro della menzogna; proprio per questo il mio Figlio santissimo, che era onnipotente e infinitamente sapiente, non lo fece, affinché guardando a lui le anime apprendessero tale cautela e tale maniera di procedere. Armati di fede viva, speranza ferma, carità fervente e umiltà profonda, le virtù che schiacciano ed annientano questo mostro; contro di esse egli non osa fare niente e scappa, perché sono strumenti estremamente efficaci contro la sua arroganza e protervia.

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