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  1. #1
    Makeru ga, katta
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    Before you all die ghastly, horrible deaths, let me take the hour to describe my latest plan for world domination! Uhauhauha!
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    Predefinito Corso di lingua giapponese

    A seguito dell'idea lanciata da Danny78 sull'Ateneo di Pol, ho deciso di cominciare un corso di lingua giapponese.

    Il corso verterà principalmente sulla grammatica, e sarà traslitterato in caratteri latini.

    Mi auguro di trovare un numero sufficente di forumisti interessati a questa splendida lingua.

    Ganbatte kudasai.



    ps. prego tutti i forumisti di NON postare domande su questo thread, in modo da non appesantirlo. Per ogni domanda e dubbi, siete liberi di postare in questo thread:

    http://www.politicaonline.net/forum/...hreadid=150259

    aperto da Shelburn e che si trova qui su Hdemia.
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  2. #2
    Makeru ga, katta
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    Predefinito Traslitterazione Roma-ji e pronuncia.

    Non potendo utilizzare gli ideogrammi giapponesi (poiché non tutti possiedono un windows giapponese, e quindi in grado di visualizzarli), dovremo giocoforza utilizzare la traslitterazione in caratteri latini, od alfabeto Roma-ji (letteralmente “carattere di Roma”).

    Si tratta di un alfabeto sillabico, in quanto ogni suono della lingua giapponese è riconducibile ad una sillaba. Come si può vedere dalla tabella i primi 5 suoni corrispondono alle nostre vocali:

    a i u e o
    ka ki ku ke ko
    sa shi su se so
    ta chi tsu te to
    na ni nu ne no
    ha hi hu he ho
    ma mi mu me mo
    ya yu yo
    ra ri ru re ro
    wa
    n

    (Shi ha una pronuncia dolce come “sci”, mentre chi come “ci”)

    ga gi gu ge go
    za ji zu ze zo
    da de do
    ba bi bu be bo
    pa pi pu pe po

    (Gi ha una pronuncia dura, come l’italiano “ghi”, e lo stesso dicasi per ge. Ji invece va pronunciato con suono dolce)

    kya kyu kyo
    sha shi shu she sho
    cha chi chu che cho
    nya nyu nyo
    hya nyu nyo
    mya myu myo
    rya ryu ryo
    gya gyu gyo
    ja ji ju je jo
    bya byu byo
    pya pyu pyo

    Le sillabe she, che, je (che d’ora innanzi chiamerò “particelle”) sono usate quasi esclusivamente per parole derivate da altre lingue. La stessa cosa dicasi per ti, tu, di, du, fa, fi, fe, fo, va, vi, ve, vo (in giapponese sono scritte solo con l’alfabeto Katakana, che è usato per tradurre parole non giapponesi).

    La n cambia pronuncia a seconda della particella che la segue. Con ba, pa, ma, la si pronuncia come la nostra m.

    La pronuncia giapponese è solitamente piatta, tuttavia molte parole hanno pronunce e toni differenti, ed in quel caso cambiano di significato. Ad esempio, la parola Hashi con ha in tono maggiore e shi in tono minore, è il termine giapponese per le bacchette usate a tavola nel mangiare. Se però si inverte l’ordine di tonalità (partendo da un tono minore fino ad uno alto) allora la traduzione è “ponte”.

    Infine, molto spesso la pronuncia di alcune vocali è allungata. Nel roma-ji ciò è reso facilmente scrivendo due volte la vocale corrispondente. Tuttavia quando si deve allungare il tono della o, si scrive aggiungendovi una u. Ciò è derivato dall’alfabeto hiragana. La pronuncia comunque è sempre quella della O (vi sono delle parole eccezioni dove si scrive comunque due O).

    Molte parole cambiano spesso significato allungando una vocale. Esempi:

    Obasan (zia) Obaasan (nonna)
    Ojisan (zio) Ojiisan (nonno)
    Yuki (neve) Yuuki (coraggio)
    E (disegno) Ee (si)
    Koko (qui) KooKoo (scuola superiore)
    Heya (stanza) Heiya (pianura)
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  3. #3
    Makeru ga, katta
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    Predefinito Puntualizzazioni grammaticali

    La lingua giapponese, dal punto di vista grammaticale, è molto più semplice e schematica di quelle latine. Non ha genere (maschile o femminile), non ha plurale o singolare, non ha articoli né determinativi né indeterminativi ed i verbi hanno una sola coniugazione per modo, oltre ad un numero molto minore di modi e tempi. Tuttavia i verbi hanno un modo negativo ed uno cortese, oltre ad una serie di particelle da inserire dopo ogni parola. Queste particelle hanno vari usi. Il più semplice è il wa che indica il soggetto della frase, e no, che indica il possessivo. Nella prima vera lezione studieremo l’uso di queste due particelle. Per i verbi invece vedremo più avanti.

    Prima di cominciare, una cosa importante: i giapponesi danno grande importanza alla forma cordiale della frase. Paragonandola con l’italiano, si potrebbe dire che corrisponda al “Lei” (o “voi) italiano. La realtà è molto più complessa, dato che ogni verbo ha una versione “cordiale”, e quando si ha a che fare con persone molto superiori (o molto inferiori) cambia addirittura il verbo, con divisione in verbi onorifici di rispetto o di umiltà.
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  4. #4
    Makeru ga, katta
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    Predefinito Wa e verbo essere

    (1) wa (2) desu

    La particella wa indica il soggetto della frase, desu è il verbo essere; la u non deve quasi essere pronunciata, e va “strascicata” la s.

    Watashi wa marcello desu (io sono marcello)

    Chiaramente watashi è “io”. Se volete dare un senso più onorifico alla frase, si usa il termine “Watakushi” (la u non deve quasi essere pronunciata).
    La prima cosa che spicca da questa frase è il fatto che il verbo essere sia in fondo alla frase. Una delle peculiarità del giapponese è proprio questa: il verbo è l’ultimo elemento.

    “Watashi wa engineer desu” (io sono un ingegnere). Notare come ingegnere sia un termine inglese. In realtà, trattandosi di una parola straniera, è scritto in alfabeto hiragana.

    Desu in questo caso ha una funzione di predicato. Si usa per affermazioni, ed è la forma cordiale del verbo essere. I verbi non hanno coniugazione per persona, quindi desu vale per tutte le persone:

    Watashi … desu
    Anata … desu
    Kare … desu
    (kanojio) … desu
    watashitachi … desu
    anatatachi … desu
    karetachi … desu

    Anata= tu, kare = lui, kanojo = lei. Naturalmente questa costruzione verbale va presa con le molle, dato che è la latinizzazione di una costruzione verbale latina. Nella conversazione giapponese “anata” è usato solo in senso strettamente confidenziale (così come “anatatachi”), e così anche per kare e kanojo, che sono solitamente usati per indicare i propri partner (come per l’italiano “il mio lui” o “la mia lei”).
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  5. #5
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    Predefinito Il suffisso -san

    Nella conversazione (sia formale che informale) si usa chiamare per nome l’interlocutore o la terza persona, ed aggiungere il suffisso –san. E’ un segno di rispetto della persona di cui si parla. Non va mai usato invece parlando di sé stessi.

    Miller-san America jin desu (il signor Miller è americano)

    Schmit-san, deutch jin desu ka? (signor Schmit, lei è tedesco?)
    Iie, france jin desu (no, sono francese)

    Per persone veramente importanti ed a cui si deve grande rispetto ed onore, si usa invece il suffisso –sama.
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  6. #6
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    Predefinito Forma negativa

    La forma negativa del verbo essere è “dewa arimasen”

    Rossi san wa sensei dewa arimasen (Il signor Rossi non è un insegnante).

    Tutti i verbi hanno una forma negativa. Vedremo più avanti la coniungazione dei verbi.
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  7. #7
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    Predefinito La particella ka

    Questa particella è messa alla fine di ogni frase per indicare una domanda od interrogazione. Si e no si traducono rispettivamente con “Hai” ed “Iie” (Sia per ka che per iie la volace finale va pronunciata con tono alto).

    Miller-san wa America jin desu ka? (Il Signor Miller è americano)
    Hai, america jin desu. (Si, lo è)

    Miller-san sensei desu ka? (Il Signor Miller è un insegnante?)
    Iie, sensei dewa arimasen (No, non lo è)

    Notiamo anche come, per indicare una nazionalità, basti mettere il suffisso “jin” (uomo, persona), dopo la nazione. Italia jin diventa quindi “italiano”.
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  8. #8
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    Predefinito La particella mo

    Mo si traduce, letteralmente, “anche”. Si pone dietro ad un soggetto (e quindi al posto della particella wa).

    Mauro-san gakusei desu (Mauro è uno studente)
    Grigio-san mo gakusei desu (Anche il Grigio lo è).

    La u in gakusei (studente) non si deve quasi pronunciare. Ku va detta come la q italiana.
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  9. #9
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    Predefinito (1) no (2)

    Il no serve per indicare che (2) fa parte dell’insieme (1). Ad esempio:

    Suzuki-san wa IMC no shain desu (Il Signor Suzuki è un’impiegato della IMC)
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  10. #10
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    Predefinito Kore, sore, are

    Kore, sore, are sono aggettivi dimostrativi, e si traducono letteralmente come questo, codesto e quello. Come in italiano, kore si usa per cose vicine a colui che parla, sore per cose vicine a colui che ascolta ed are per cose lontane ad entrambi.

    Sore wa jisho desu ka? (Codesto è un dizionario?)
    Hai, kore wa jisho desu (Si, questo è un dizionario).
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