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Discussione: Anni di piombo show

  1. #1
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    Predefinito Anni di piombo show

    In questi giorni è un turbinare di trasmissioni televisive e di dibattiti sugli anni di piombo.

    Reduci dell'una e dell'altra parte sono convocati da giornalisti ed opinionisti a dire la loro su queli anni e possibilmente a svolgereil loro pubblico atto di contrizione.

    L'operazione "revival" è partita subito dopo le dichiarazioni di Lollo dal Brsaile sull'efferato assasinio dei fratelli Mattei compiuto nel 1973 da alcuni aderenti a Pot Op ed ora si è trasferita a tutto quel periodo con morti dimenticati da tutti, di destra e di sinistra che vengono per qualche giorno riesumati .

    A quale scopo?

    Intanto va detto che tutti i protagonisti di questi dibattiti televisivi hanno oggi una vicinanza o la tessera di partiti che sono l'esatto opposto di quello che predicavano in gioventu'..per cui un Lanfranco Pace teorico dell'autonomia è oggi organico a Forza Italia mentre trovi ex -Tippini che oggi sono comodamente assisi nella Destra sociale di AN e gia' questo dovrebbe far riflettere con quali "lenti" guardino agli eventi passati.

    Secondo punto, tacendo le responsabilita' dei partiti di Governo ed oppsozione di quell'epoca e notamente il ruolo svolto dalla DC e dai servizi atlantici, dal PCI e dall'MSI nel fomentare l'odio tra i giovani si perde completamente ilbandolo della matassa , facendo un generico richiamo alla "follia collettiva" che non spiega nulla di quegli anni edc è anche offensiva per le centinaia di migliaia di giovani che in quel periodo si impegnavano per una societa' migliore.

    Terzo:va considerato che rinfacciarsi i morti dell'una e dell'atra parte oggi, non è come qualcuno afferma ..fare giutsizia e pacificare le ferite di quell'epoca , ma provoca esattamente l'opposto e cioe' il solito strumentale richiamo identitario alla propria tribu'..che tra l'altro non è neppure quella di 30 anni fa..a destra c'è AN ed a sinistra ci sono i DS ...

    Poiche' non fa comodo a nessuno alzare il velo sulle reali responsabilita' di chi mando' al macello una generazione..penso all'assalto di Almirante E Caradonna all'Universita' occuapta congiuntamente da giovani di destra e di snistra che inizio' la fase dell'"antifascismo militante" sono sicuro che l'attuale dibattito sia solo strumentale a dipingere l'antagonismo degli anni settanta solo come un patetico tentativo di una generazione di pazzi e folli votati alla cieca violenza ..mentre fu molto di piu' fu un assalto al cielo..ingenuo, velleitario ma dettato dall'esigenza di una generazione di un mondo meno schifoso.

    Vorrei aprire un dibattito qui sul forum su queste brevi considerazioni ripromettendomi di tornarci su dopo il contributo dei forumisti di ogni parte politica .saluti

  2. #2
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    ripropongo qui quello che scrissi su DR, sul dibattito apertosi per Primavalle dopo le dichiarazioni di Lollo:


    E' sicuramente vero che a destra non ci siano state solo "verginelle immacolate". Episodi ambigui, strane frequentazioni, avvenimenti sui quali non è stata fatta ancora piena luce si sono verificati... e difficile, è credere che siano solo frutto di "infiltrazioni" da parte degli apparati del sistema.
    E' altrettanto vero tuttavia che nelle organizzazioni neofasciste non sia mai stata teorizzata l'eliminazione fisica del compagno. Cosa che invece a sinistra avveniva sistematicamente....
    In quegli anni il clima era di una vera e propria "caccia al fascista". Non erano solo i presidi antifascisti volti ad impedire qualsiasi agibilità politica, ma anche a negare la sopravvivenza umana. Ai ragazzi di destra risultava impossibile frequentare scuole pubbliche, dare esami all'università, poter condurre in definitiva una esistenza "normale" comune agli altri coetani.
    Lotta Continua pubblicava le foto, gli indirizzi, i numeri di targa delle auto di chi militava a destra.
    E' chiaro che spesso e volentieri dall'altra parte l'unica possibilità di reazione, di far presente il proprio "esserci" era di reagire con la stessa moneta.
    Ma breviari come quello di Avanguardia Operaia, in cui si teorizzava la pianificazione delle aggressioni ai fascisti, con modalità operative: composizione delle squadre, responsabili, studio del territorio e delle condizioni ambientali; ed esecutorie: preliminare sottrazione dei documenti e poi inizio del pestaggio con l'amara conclusione (sic!) che se tra loro (i fascisti ndr) ci scappa il morto, non è così grave come se il morto fosse un poliziotto ; nelle organizzazioni neofasciste non sono mai circolati.
    Questo non per voler fare del vittimismo, ma se si vuole affrontare una serena discussione sull'argomento, non si può non tenerne conto.

  3. #3
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    Ok, ma sei al corrente che il MSI di Almirante teorizzava l'anticomunismo militante...e la connivenza con i golpisti greci, con l'OAS algerino e che negli anni sessanta compito dei picchiatori del MSi era quello di attaccare le organizzazioni di sinistra?Insomma l'antifascismo militante non fu in qualche modo ispirato dalla collocazione atlantsita ed anticomunista del Msi stesso?
    mi riferisco in particolare all'aggressione all'Universita' di Roma ed al discorso del 1972 di Almirante che chiedeva ai giovani di scontrarsi con i "rossi"...

    ciao

  4. #4
    Volksgemeinschaft
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    (riferito al mio msg precedente... ndr)

    detto questo, che è solo una costatazione, sarebbe opportuno capire il perchè si arrivò a tali livelli.

    Un passo importante accennato da Pietro è quello delle "responsabilità dei partiti di Governo e di opposizione" dell'epoca. Mi è capitato di sentire nel proliferare di dibattiti che conquistano le prime serate dei talk show delle tesi che stravolgono completamente il significato di quegli anni. E cioè che fondamentalmente i violenti, da una parte e dall'altra, non erano che una esigua minoranza, non possiamo non dimenticare, e a loro deve andare il nostro plauso, la stragande maggioranza dei giovani che anche in quei contesti violenti non venne meno alle proprie prerogative moderate e democratice.

    Questo è molto pericoloso, perchè se c'era qualcuno che aveva interesse a fomentare la logica degli opposti estremismi, perchè da essa ne traeva profitto, erano proprio i "partiti moderati istituzionali" e le loro responsabilità non possono essere taciute.

    Capisco anche che è difficile per chi proviene da una matrice di sinistra relazionarsi tranquillamente con uno della mia parte, stante il perdurare della macchia infame dello "stragismo", che vede elementi dell'estrema destra agenti diretti o comunque conniventi con tali tragici atti. Purtroppo finchè non verrà fatta completa chiarezza su quegli eventi risulterà difficile riuscire a spiegarsi l'evolversi dei fatti successivi.

    Mi è piaciuta e personalmente sono daccordo, la proposta che è stata lanciata dal Corriere della Sera: verità in cambio di impunità , cioè prevedere un provvedimento di amnistia così da poter spingere chi sa a parlare; accompagnato, ovviamente, dalla revoca del segreto di stato, che copre i fatti più tragici di quella stagione.

  5. #5
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    I carnefici di ieri oggi invitano all’oblio. Troppo comodo. Circolano ancora troppi sputasentenze e si odono troppo pochi mea culpa perché si possa “guardare avanti”. Senza assunzione di responsabilità e ricerca della verità non ci sarà mai né giustizia né pace.

    “Lui disse: è colpa di chi muore / comunque

    è meglio che io vada”



    (Fabrizio De Andrè, La cattiva strada)



    Ecco il vero mito della meglio gioventù: le molotov scagliate sul lato destro del corteo funebre da un paio di moto sfreccianti quando la funzione è già iniziata e le bare di Stefano e Virgilio Mattei sono in chiesa accanto alla madre Anna, appena di-messa dall’ospedale (Mario, il padre, non c’è perché ancora ricoverato). Quattro giorni prima, il rogo in casa Mattei a Primavalle. Quattro giorni dopo, questo agguato di un’escrescenza rossa oscena non rassegna-ta all’idea che un fascista almeno da morto trovi la sua pace. Anche se nelle bare ci sono in realtà un ragazzino e un fanciullo figli di un netturbino dell’Msi. Vegliati dai cinque-seimila camerati che dalla sede della federazione missina di via Alessandria stanno finendo di accorrere in piazza Salerno, quartiere Nomentano, chiesa dei Sette Santi Fondatori.



    ***



    Quante volte puoi uccidere un essere umano senza neanche sospettare d’aver lordato il tuo candore? Se il morto è fascista, almeno due volte. Con la benzina e con la spietata autoindulgenza che nasce dalla buona o cattiva fede e alimenta una me-moria che non sarà mai condivisa. Perché la memoria storica, come quella biologica, è selettiva e obbedisce alle ragioni dei vincitori. I fascisti sono i vinti fin dal 1945. Anzi fin dalla nascita della Repubblica di Salò: settembre 1943. I vincitori hanno riscritto in piena legittimità le regole morali

    del gioco, una di queste decretò appunto che uccidere un fascista non è reato. La Volante rossa che in Emilia e in Lombardia nell’immediato dopoguerra continuò a giustiziare i fascisti che capitavano a tiro – sì, giustiziare secondo il criterio di giustizia inaugurato dalla fresca vittoria – rappresentò la prima espressione di questa nuova forza delle cose.



    ***



    Piaccia o no a Lanfranco Pace, Franco Piperno o Valerio Morucci, questo slogan – ripetiamolo: uccidere un fascista non è reato – questa sentenza che statuisce l’inappellabile inferiorità antropologica dei fascisti è risuonata eccome nel sottofondo che precedette accompagnò e seguì la strage di Primavalle. E almeno in parte risuona oggi nel pubblico regolamento di conti in atto tra assassini e dirigenti e fiancheggiatori di Potere operaio. Si riaffaccia in forma spuria, quasi automatica, anche nel brusio di alcuni commentatori autorevoli, quelli in odore di redenzione come quelli già redenti. Pace scrive (sul Foglio di giovedì scorso) che “accadimenti così strazianti come il rogo di Primavalle non possono avere mandanti. E nemmeno esecutori consapevoli”. Pace sbaglia tremendamente e con lui i molti che non si discostano dalla sua tremenda verità. Perché non serviva un timbro su foglio protocollo a righe per autorizzare tre o sei o non importa quanti piccoli e medio borghesi assassini ad arrostire una famiglia di fascisti – per giunta proletari, perché l’astuzia della ragione a volte è più implacabile dei suoi nocchieri, su cui peserà anche il simbolo indelebile di una guerra di classe che hanno improvvisamente capovolto. Ne hanno fatti brillare un paio. Ma non volevano, non volevamo ammazzarli: doveva essere solo una lezione, una fiammata sulla porta di casa! – replicano loro. Ci attardiamo su questa risposta senza ascoltare i balbettii disperati di Achille Lollo e di quanti insinuano che i Mattei siano bruciati per una faida tra neri oppure si siano autocombusti per un eccesso incontrollato di aspirante vittimismo. Ci attardiamo ma non arriva nulla di afferrabile alle nostre orecchie. Le parole sono sovrastate dai fatti, dall’escalation di violenza geometricamente pianificata e sfrenatamente inflitta da Potop ai fascisti di Primavalle già nell’anno che precedeva l’ingresso nel “cuore di tenebra” del 16 aprile 1973. (Su questi e altri crimini esiste una letteratura giudiziaria e saggistica che se non è alta come il cielo è pur sempre vasta e si fonda su prove documentali. Come per esempio il libro di Adalberto Baldoni e Sandro Provvisionato, “A che punto è la notte”, in cui si può leggere il volantino ritrovato in casa di Lollo dopo la strage: “Compagni, qui a Primavalle dobbiamo abbandonare le etichette. Bisogna impedire ai fascisti qualsiasi movimento. Ci vuole dell’altro, ossia dobbiamo realizzare non una, ma dieci, cento piazzale Loreto”).



    ***

    Scrive oggi Pace: “Certo i fascisti c’erano e anche noi dovevamo prenderne atto. Ma contro voglia, come si fa con qualcosa che ti occupa la visuale e ti distoglie dal vero obiettivo”. Dunque i fascisti non erano il capitolo numero uno nell’agenda di morte di Potere operaio. Cos’erano allora i fascisti, per Potop? Un ostacolo minuto, un fastidio accidentale doverosamente rimovibile perché rallentava la corsa forsennata di questa avanguardia che si faceva rivoluzione con le armi in pugno. Bene. Domanda: dove si raccoglie il coraggio di dubitare che gli esecutori della rimozione fascista – i Lollo e i Grillo e i Clavo eccetera – avessero voluto fare male purchessìa, colpire senza discrimine, magari abbrustolendo la porta di casa Mattei ma poi sia quel che sia? A parte il fatto che sono gli stessi carnefici dell’epoca – riaffacciati alla vita dall’Ade della latitanza grazie alla prescrizione di una condanna incommentabile – a dire che quanto a sensi di colpa per il rogo, nemmeno un po’. Perché poteva starci. In fondo la strage rientrava davvero nel campo del possibile e le vittime, dettaglio storico nella teoria, nella prassi non erano altro che materia bruta di cui si metteva in conto una biodegradabilità di nessun valore. Che differenza c’è, allora, tra la volontà di bruciare una porta di casa immaginando che la benzina appena sparsa da te possa dilagare all’interno e amen, e la volontà di ammazzarli tutti e otto, i fasci contenuti dai sessanta metri quadri dell’inferno che stai comunque per scatenare?



    ***

    A Primavalle andò così. Poche storie. Lollo e i suoi amici di allora erano il prodotto criminale di un preciso mandato etico-linguistico che attraversò anche Potere operaio. Stabilita infatti quell’inferiorità antropologica dei fascisti risalente al 1945 – i partigiani all’epoca potevano avere cinquant’anni, la guerra era carne viva – la minorità esistenziale di un esemplare sconfitto poteva essere sacrificata come effetto plausibile di una consegna affidata agli ultrà di Primavalle: rimuovere i fascisti che ostacolano la marcia di Potop contro lo Stato (vuoi o non vuoi fascista anch’esso). Scrive ancora Pace sul Foglio: “E chiunque, oggi in un campo come nell’altro, pensasse i propri avversari di allora capaci di tanta efferatezza, abbasserebbe anzitutto se stesso. E seppure inconsciamente lavorerebbe a che il passato ritorni”. Troppo facile, le mani avanti e l’indice a monito perché a pensare male di me poi il passato torna a bussare alla porta di tutti. No. Abbassiamoci invece tutti e senza angelismi interessati. Altro che compagni sfuggiti di mano, Primavalle fu l’epifenomeno di una caccia all’uomo nero unilaterale e asimmetrica condotta sotto l’ombrello chiodato di un aggettivo: “democratico”. E’ l’aggettivo onnipotente che la meglio gioventù del secondo dopoguerra si è ricamata su misura, e attraverso il quale la polizia del pensiero antifascista ha sottratto diritto di cittadinanza al diverso. E il diverso da quel momento ha compreso d’essere sospeso tra la sua Dresda e la sua Norimberga: cancellato a colpi di bombe incendiarie oppure imputato in attesa di condanna. In ogni caso, non più un uomo libero.



    ***

    “E un bastardo giornalista preparava

    già la storia / dalla trama un po’ già vista

    / per sporcarne la memoria / tanto da arrivare

    a dire che era stato un suo fratello…”



    (Marcello de Angelis, Io non scordo)



    C’è poi questa storia opaca della rete di protezione collettiva che si sarebbe messa in moto per garantire la fuga agli assassini. Prima le inchieste interne, poi le coperture e le controinchieste mistificatorie. Una cosa orrenda su cui è stato scritto molto, forse il possibile o forse non tutto ma che certamente andrebbe spiegata ancora. Ai compagni dirigenti di Potop mancò il grande coraggio di denunciare gli assassini ed è perfino comprensibile: quando il meccanismo contorto si è attivato, la reazione interna obbedisce alla logica della tribù. Insomma quando entri nel girone infernale ti difendi così oppure mandi tutto a puttane. Per un principio quasi etologico. E ha ragione Lanfranco quando ammette di non ricordare “tanta comprensione né tanta solidale vicinanza come la volta che di fatto predicammo il falso. Un bagno di folla”. Un carnevale che durò almeno fino a quella festa balneare e molto ben frequentata intorno ai colpevoli assolti nel 1975, su cui oggi i carnefici e i loro sodali dell’epoca si esercitano in compite e tardive autoanalisi. Era nient’altro che la “solidale vicinanza” che s’incontra lungo la cattiva strada percorsa con improntitudine da un coccolatissimo clan autoproclamatosi la meglio gioventù. Un clan acquartierato nei posti giusti, dai fogli rivoluzionari, come Lotta Continua, che vagheggiavano altro sangue – fosse pure una consegna, un hobby o un incidente di percorso, l’istinto della meglio gioventù era di cancellare dall’alfabeto dell’umanità la F di Fascisti – ai quotidiani borghesi che intonavano la musica assolutoria per questi figli scanzonati sempre pronti all’espatrio eppoi finiti ad aprire enoteche nel Chianti o allestire mostre d’arte. Formidabili anni di sprezzatura e manipolazione disinvolta. Di giornalismo militante in redazione la mattina e pistole in tasca nel covo serale e champagne ghiacciato da spruzzarsi di notte con reciproca cortesia tra rivoluzionari chic e borghesi illuminatissimi. In sottofondo spaventosa tranquillità, sostenere che le stragi erano fasciste anche quando erano proprio i fascisti, carne fumante e muta, a crepare. Lo scrivevano tutti, anche l’Unità, organo di un Pci

    che si immaginò nel ruolo di presidio democratico quando alla sua sinistra si maramaldeggiava forte contro lo Stato. Ma non sempre fu così, se è vero che anche l’Unità (con Panorama, l’Espresso, il Mondo, Paese Sera, il Giorno, la Stampa, il Corriere della Sera eccetera) era allineatissima sulla linea di fuoco che nei Settanta considerava sedicenti fantomatiche e fascistoidi le Brigate Rosse. Sebbene il primo biglietto di morte delle Brigate Rosse fosse stato recapitato a due militanti missini di Padova, Giuseppe Mazzola e Graziano Giralucci, sorpresi legati e uccisi con un colpo alla nuca nella sezione della fiamma il 17 giugno del 1974. Persino noioso ricordarlo, tanto è noto il precedente, ma è un precedente che si annoda bene ai fatti di Primavalle. E tornerà di moda il 29 aprile del 1975 quando, dopo 47 giorni di agonia, muore Sergio Ramelli, diciannovenne militante missino milanese, sprangato sulla testa da un commando di Avanguardia Operaia. Come riporta Michele Brambilla nel suo “L’eskimo in redazione”, l’aggressione a Ramelli si guadagnò un nient’affatto eclatante articoletto nelle pagine di cronaca milanese del Corriere della Sera. La sua morte fu ripagata con questo epicedio del segretario provinciale social-democratico Luigi Vertemati: “La logica della violenza individuale è una logica fa-scista”, mentre per il segretario provinciale del Pci, Riccardo Terzi, “il fatto luttuoso” aveva “le sue radici profonde nelle manovre eversive e antidemocratiche della destra reazionaria”. Nessuno infine dovrebbe dimenticare che quando al consiglio comunale di Milano giunse comunicazione della morte del giovane missino, alcuni consiglieri si esibirono in un applauso spettrale. Quanto basta per volare a Milano e interpellare oggi una a una le sagome plaudenti di allora. Giusto per darsi un perché e imprimerlo da qualche parte.



    ***

    Prima di discettare sulla strage di Primavalle, forse bisogna pesarsi l’anima. Pace scrive che “il primo giorno del processo a Lollo ci furono scontri con i fascisti e uno di loro, il giovane greco Mikis Mantakas, rimase ucciso”. Un errore e una mezza verità (o mezza bugia). Mantakas, 21 anni, morì nel quinto giorno dall’inizio del processo, venerdì 28 febbraio 1975. Non morì esattamente durante uno scontro con i Collettivi autonomi operai che sin dal lunedì 24 presidiavano il tribunale romano di piazzale Clodio. Mantakas in verità, assieme a un pugno di camerati che con lui tentava di assistere al processo, fu braccato da una quarantina di militanti dei Collettivi e costretto a rifugiarsi nella sezione missina di via Ottaviano, un seminterrato all’angolo con piazza Risorgimento. Quando il “giovane greco” tentò di capeggiare una sortita per rompere l’assedio, la cintura dei pantaloni come unica arma, rimediò una pallottola in testa dagli assedianti e allora sì, morì. Prima di discettare sulla strage di Primavalle bisognerebbe davvero pesarsi l’anima. In un saggio articolo indirizzato “agli aspiranti combattenti” di oggi alla luce del rogo di Primavalle, Adriano Sofri (su Repubblica di lunedì scorso) cita un altro suo articolo pubblicato sul quotidiano il Tirreno nel dicembre scorso: “Gli autori di quel rogo non immaginavano certo di compiere un’orribile strage di bambini e del padre”. Poi, in corsivo tra parentesi: “La memoria mi ha tradito: nel rogo morirono due fratelli Mattei, uno ancora bambino”. A dimostrazione che nella conta dei morti altrui la memoria, se non seleziona, tradisce. Le certezze sull’incendio colposo rimangono tuttavia vividissime.



    ***

    “Io non so dimenticare la mia rabbia la

    vergogna / nel vedere un ragazzino che

    era già messo alla gogna / per aver voluto

    dire: io non so dimenticare un passato dignitoso

    per il quale provo onore / e veniva

    trascinato per i corridoi di scuola col cartello

    appeso al collo, con su scritta una

    parola / che per noi voleva dire: uno con

    un ideale ma per tutto quanto il mondo /

    era il simbolo del male ma noi siamo ancora

    qui / per ricordare e noi siamo ancora

    qui / per chi vuol dimenticare”



    (Marcello de Angelis, Io non scordo)



    Ma poi chi erano questi fascisti? I morti su mandato linguistico quasi tutti missini, giovani di un partito inserito in Parlamento senza voler restaurare né rinnegare. Un partito che chiese la doppia pena di morte per i reati di terrorismo e mise una taglia su due suoi militanti milanesi che nell’aprile del 1973 avevano ucciso un agente di polizia (ecco spiegato perché i vari Storace, Alemanno e La Russa reagiscono così epidermicamente alla riesumazione di questo lutto di Primavalle mai elaborato). A chi avesse dimenticato, Luciano Lanna (sul Secolo d’Italia di mercoledì scorso) ricorda: “Nel 1972 il Msi aveva riscosso un notevole successo elettorale – il 16 per cento dei voti a Roma – e la Dc cominciò a preoccuparsene, sentendosi minacciata da un potenziale concorrente politico sulla destra. E’ in quel preciso contesto che Ciriaco De Mita conia la formula dell’arco costituzionale. Sono gli anni in cui i giornalisti si rifiutano di fare domande ad Almirante nel corso delle tribune politiche. Il 28 gennaio del ’72 la Procura della Repubblica di Milano chiede l’autorizzazione a procedere contro Giorgio Almirante per ricostituzione del partito fascista, in seguito a una lunga e martellante campagna giornalistica iniziata nel 1971. E la Camera dei deputati, con 484 voti a favore e solo 40 contrari dà il via libera. Era questo il clima”. Un assaggio di compromesso storico. Mentre si leva il vento degli opposti estremismi megafonato dai democristiani, improvvisamente in allarme per una stabilità nazionale non ancora minacciata da alcuno. Sia come sia, la moria della minoranza etnica fascista, che si era interrotta con la fine della guerra, ricomincia proprio quando l’Msi intercetta in modo inatteso i voti delle borgate (il 6 per cento a Primavalle nel 1973) e svetta più d’un poco a livello nazionale.



    ***

    “Il braccio che si stende calando giù la

    spranga / lo schianto delle ossa, lo stridere

    dei denti / lo sguardo inorridito di mille

    benpensanti / ci vuole così poco per essere

    contenti”



    (Motivo in voga negli anni caldi delle fogne nere)



    Certo che c’era pure la violenza di destra. A destra transitò di tutto. Golpisti anticomunisti, bombaroli, spie, fan di colonnelli greci o generali spagnoli e sudamericani, nazimaoisti, terzaforzisti. Non sempre casi isolati. Ma lo spontaneismo armato attecchì davvero soltanto dopo un’altra strage, 7 gennaio 1978, nella sezione missina di Acca Larentia a Roma (tre militanti morti in pochi minuti, Francesco Ciavatta e Franco Bigonzetti uccisi dai Nuclei armati per il contropotere territoriale, Stefano Recchioni freddato da un agente). Da quel momento, per molti, non si trattò più di sublimare la gogna quotidiana in orgoglio violento e tirare avanti. A quel punto la peggio gioventù nera scivolò negli anni di piombo. Un po’ tirata per i capelli, un po’ per vocazione nichilista e propensione alla follia. Fu guerra civile? Sì e no, comunque non da subito, non negli anni in cui ardevano i corpi di Primavalle. Certo anche che la teoria degli opposti estremismi trovò ascoltatori

    e complici dappertutto, a sinistra e a destra. In entrambi i fronti maturarono però, per riprendere l’espressione usata da Lanfranco Pace, lotte più vaste contro il sistema. Anche se a sinistra resta diffusa la percezione dell’extraparlamentarismo nero come potenziale segmento deviato al soldo del partito-Stato (ente non astratto abitato dai pompieri che spegnevano incendi nelle case assaltate ma anche da cecchini e agenti inclini al depistaggio). Sarebbe semmai corretto stabilire quali e quanti furono i protagonisti della guerra civile. Senza dimenticare l’innocenza sostanziale dei numerosi nemmeno ventenni ammazzati nei Settanta dall’antifascismo militante distratto dallo Zeitgeist, dallo spirito del tempo che correva forte trascinandosi nel baratro assassini e cadaveri.



    ***

    “Voglio solo ricordare, senza scomodare

    i morti / ma che almeno i nostri figli

    non conoscano quei torti”



    (Marcello de Angelis, Io non scordo)



    Adesso cosa si fa? Adesso che i demoni riprendono a marciare attraversando due memorie irriducibili da sempre educate al ricordo dei rispettivi caduti. Adesso che ognuno può essere tentato di metterle nuovamente in fila, le proprie bare. Chi per legittima esigenza di giustizia chi per legittima difesa. Ognuno avvinto ai suoi lari nella stupefacente certezza di rappresentare la metà giusta o per lo meno quella meno truce. Ognuno consapevole, del resto, che qualche porta di casa bruciava ancora fino a dieci anni fa, quando i nostri fratelli maggiori, apparentemente disarmati, tenevano per mano i poco più che trentenni di oggi. Che fare? Giustizia al dettaglio o soluzione politica all’ingrosso? Intanto è bene ricordare che l’indulgenza è figlia della conoscenza dei fatti e della responsabilità assunta dagli uomini e dalle donne che di quei fatti furono protagonisti a vario titolo: non si condona ciò che non si è decifrato appieno. Se poi veramente si riconosce nella strage di Primavalle non una casualità di guerra ma un miserabile segno dei tempi, allora occorre ritornare con la mente a Salò. Ammettere che la resa dei conti postbellica è durata troppo a lungo, che molti eredi dei vincitori hanno dilapidato la dote di superiorità ma ancora si concedono il lusso di guardarsi dentro come se niente fosse. Prima c’è questa verità, la verità che rende liberi di giudicare. Poi, forse, la pace. Il perdono è un affare privato.


    Alessandro Giuli

  6. #6
    Per la metapolitica
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    In origine postato da pietro
    Ok, ma sei al corrente che il MSI di Almirante teorizzava l'anticomunismo militante...e la connivenza con i golpisti greci, con l'OAS algerino e che negli anni sessanta compito dei picchiatori del MSi era quello di attaccare le organizzazioni di sinistra?Insomma l'antifascismo militante non fu in qualche modo ispirato dalla collocazione atlantsita ed anticomunista del Msi stesso?
    mi riferisco in particolare all'aggressione all'Universita' di Roma ed al discorso del 1972 di Almirante che chiedeva ai giovani di scontrarsi con i "rossi"...

    ciao
    Vere le cose che dici, ma "voi" avete sempre ignorato, d'altronde, l'anticapitalismo e il rivoluzionarismo della base giovanile (e non) di certo MSI e tante formazioni extra-parlamentari, sedimentandovi su "ammazzare un fascista non è reato" e "se vedi un punto nero spara a vista".

    Cani da guardia del sistema...lo sono stati certi elementi del MSI, ma non di meno i mazzieri autonomi, pcisti ecc. che fomentavano gli opposti estremismi.

    In ogni caso credo che rinfacciarsi le cose serva a poco, ma volevo solo puntualizzare.
    Io supporto:

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  7. #7
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    In origine postato da pietro
    Ok, ma sei al corrente che il MSI di Almirante teorizzava l'anticomunismo militante...e la connivenza con i golpisti greci, con l'OAS algerino e che negli anni sessanta compito dei picchiatori del MSi era quello di attaccare le organizzazioni di sinistra?Insomma l'antifascismo militante non fu in qualche modo ispirato dalla collocazione atlantsita ed anticomunista del Msi stesso?
    mi riferisco in particolare all'aggressione all'Universita' di Roma ed al discorso del 1972 di Almirante che chiedeva ai giovani di scontrarsi con i "rossi"...

    ciao
    certo,
    l'ambiente della Destra radicale non è mai stato però un blocco monolitico anzi credo che si possa anche intravedere un certo spartiacque temporale. E' verissimo quello che affermi, e non solo da parte del MSI di Almirante, anche organizzazioni extraparlamentari come Ordine Nuovo e Avanguarda Nazionale, alla resa dei fatti facevano dell'"anticomunismo militante" la loro prerogativa principale.
    E' vero anche che dopo i fatti che citavi te (Almirante e Caradonna alla Sapienza...) il mondo dell'estrema destra affrontò una crisi di coscienza profondissima che portò molti attivisti all'abbandono o alla nascita di formazioni che si ponevano su basi diverse (ricordi a.e. Lotta di Popolo i cd "nazimaosti" dai loro slogan "Hitler e Mao uniti nella lotta"...)
    Certo è che l'estabilishment del MSI, i partiti istituzionali DC e PCI e soprattutto la nascita dello stragismo, riportarono inevitabilmente alla contrapposizione frontale violenta, impedendo la percorribilità di altre strade.
    Stessa cosa che si verifica alcuni anni più tardi sul finire degli anni '70, quando anche a destra si discute sull'uscire dal tunnel del neofascismo , nascono i Campi Hobbit in seno alla componente rautiana, nasce Terza Posizione e altri movimenti extraparlamentari... Puoi guarda caso scoppia la bomba alla stazione e l'ambiente della destra radicale viene spazzato letteralmente via.....

  8. #8
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    Quel "voi" non mi riguarda di certo..cmq certo antifascismo è stato certamente un tragico errore come l'anticomunismo del resto, ma a me interessa un altro aspetto..insomma capire perche' è andata a finire in quel modo..dove sono annidate le responsabilita'...perche' giovani che all'inizio si ignoravano oppure addirittura come a Valle giulia lottavano insieme poi sono caduti nel trappolone e penso che le responsabilita' si possano ripartire equamente...

    In origine postato da Vis Animae
    Vere le cose che dici, ma "voi" avete sempre ignorato, d'altronde, l'anticapitalismo e il rivoluzionarismo della base giovanile (e non) di certo MSI e tante formazioni extra-parlamentari, sedimentandovi su "ammazzare un fascista non è reato" e "se vedi un punto nero spara a vista".

    Cani da guardia del sistema...lo sono stati certi elementi del MSI, ma non di meno i mazzieri autonomi, pcisti ecc. che fomentavano gli opposti estremismi.

    In ogni caso credo che rinfacciarsi le cose serva a poco, ma volevo solo puntualizzare.

  9. #9
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    Riconosco all'esperienza di Terza Posizione una rottura con l'ambiente golpista e reazionario dell'estrema destra di allora ...è indubbio ...ma quel patrimonio è stato dilapidato e dopo la sua scomparsa l'estrema destra ha ricominciato a diffondere dei contenuti piu' in linea con il MSI degli anni cinquanta come se TP non fosse mai esistita..in realta' TP continua a rimanere un'anomalia dell'ambiente "nazionalrivoluzionario"..Chissa' perche'?Forse perche' non era controllabile dai soliti noti capetti neofascisti che dal dopoguerra imperversano cambiando formazioni ogni dieci anni?

    In origine postato da Wandervogel
    certo,
    l'ambiente della Destra radicale non è mai stato però un blocco monolitico anzi credo che si possa anche intravedere un certo spartiacque temporale. E' verissimo quello che affermi, e non solo da parte del MSI di Almirante, anche organizzazioni extraparlamentari come Ordine Nuovo e Avanguarda Nazionale, alla resa dei fatti facevano dell'"anticomunismo militante" la loro prerogativa principale.
    E' vero anche che dopo i fatti che citavi te (Almirante e Caradonna alla Sapienza...) il mondo dell'estrema destra affrontò una crisi di coscienza profondissima che portò molti attivisti all'abbandono o alla nascita di formazioni che si ponevano su basi diverse (ricordi a.e. Lotta di Popolo i cd "nazimaosti" dai loro slogan "Hitler e Mao uniti nella lotta"...)
    Certo è che l'estabilishment del MSI, i partiti istituzionali DC e PCI e soprattutto la nascita dello stragismo, riportarono inevitabilmente alla contrapposizione frontale violenta, impedendo la percorribilità di altre strade.
    Stessa cosa che si verifica alcuni anni più tardi sul finire degli anni '70, quando anche a destra si discute sull'uscire dal tunnel del neofascismo , nascono i Campi Hobbit in seno alla componente rautiana, nasce Terza Posizione e altri movimenti extraparlamentari... Puoi guarda caso scoppia la bomba alla stazione e l'ambiente della destra radicale viene spazzato letteralmente via.....

  10. #10
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    Riporto un articolo di noreporter.org sull'argomento:
    ------------------------------------------------------------------

    Molotov & Champagne
    Ritratto impietoso, per metà ironico e per metà tragico, dell’ambiente radical chic della sinistra anni ’70, divisa tra i salotti buoni e la lotta armata.

    Le confessioni di Achille Lollo non hanno riportato alla memoria solo l’orrendo, e dimenticato, rogo di Primavalle dove morirono due giovani figli di un netturbino colpevole di essere il segretario della locale sezione dell’Msi, in seguito a un attentato incendiario, opera di alcuni militanti di Potere Operaio, ma anche l’intero clima di quegli anni in cui lo stesso Potere Operaio può essere considerato un emblema significativo.

    Potere Operaio, Potop per gli amici, era un minuscolo gruppuscolo della sinistra extraparlamentare, il più estremista di tutti se si eccettuano le Brigate Rosse che però allora erano ancora agli inizi, formato dai figli dell’aristocrazia e dell’altissima borghesia, prevalentemente romana (oltre a Diana Perrone, figlia dell’allora proprietario del Messaggero e del Secolo XIX, c’era, fra gli altri, Paolo Mieli, attuale direttore del Corriere della Sera) e da qualche sottoproletario raccattato nelle borgate e usato come manovalanza. Per la sua composizione equivoca era stato soprannominato, con un certo disprezzo, dai militanti degli altri gruppi extraparlamentari: “Molotov & Champagne". Ma si può dire che l’intero Sessantotto, e dintorni, fu “Molotov & Champagne".

    Negli anni Settanta tutta l’"intellighentia” italiana si era spostata all’estrema sinistra. Non c’era intellettuale, scrittore, giornalista (con l’eccezione di Montanelli, Biagi e qualche altro cane sciolto), sociologo da terza pagina del “Corriere", mondana, mignottina da salotto che non si dichiarasse per la rivoluzione. E la borghesia, con i suoi giornali, aveva seguito l’onda. Sia per opportunismo, sia perché in fondo, si trattasse del Movimento studentesco, di Lotta Continua, di Avanguardia operaia o di Potere Operaio, quei rivoluzionari da salotto erano, nella stragrande maggioranza, “figli di famiglia", erano figli suoi e se li coccolava e vezzeggiava. La copertura alle violenze di quegli anni non fu data tanto dal Pci, che anzi mal tollerava di essere scavalcato a sinistra da degli extraparlamentari che predicavano una rivoluzione a cui i comunisti avevano rinunciato da tempo, fin dai primi anni Cinquanta, quando avevano liquidato Pietro Secchia, ma da questo irresponsabile milieu radical chic.

    Questa contiguità fra classe dirigente, ricchi borghesi e pseudorivoluzionari di sinistra era palpabile, visibile, e fisica. Mi
    ricordo che in quegli anni capitai ad una festa in un bellissima casa di via del Corso, a Roma, di proprietà di un certo Jimmy. C’era tutta la “Roma bene", c’era anche l’allora ministro della Sanità, il liberale Altissimo, e c’era Franco Piperno leader di quel Potere Operaio che in quei tempi scendeva in piazza, come gli altri gruppi extraparlamentari, al grido di
    “Fascisti, borghesi ancora pochi mesi". Con Piperno mi fermai a parlare a lungo accovacciati in un angolo del vastissimo salone. Ricordo i suoi occhi gialli, la voce flautata, e un sottofondo di minaccia nelle sue parole. Io
    infatti allora, per gli ambienti della sinistra extraparlamentare ero un “fascista” o, nella migliore delle ipotesi un “democratico borghese conseguente” da mettere comunque al muro quando la Rivoluzione avesse
    trionfato.Nel 1971, sull’"Avanti", avevo denunciato, primo giornalista di un giornale di sinistra a farlo, le violenze squadriste del Movimento studentesco di Milano che nel giro di un paio di settimane aveva pestato a sangue uno studente di origine israeliana accusato di essere un “agente della Cia” e un sindacalista della Uil, un certo Conti. Nell’ottobre del 1973 avevo pubblicato per Linus, diretto da Oreste del Buono, una mappa della sinistra extraparlamentare, che Del Buono aveva chiamato, titolando, “L’extramappa” dove catalogavo i gruppi extraparlamentari di sinistra, dal Movimento Studentesco alle Brigate Rosse, secondo la loro ideologia ma anche secondo la loro propensione alla violenza.

    Alla Statale di Milano fu appeso un tatse-bao dove Del Buono ed io venivamo additati come “servi della Cia". Oreste se la fece subito sotto e rinnegò tutto: l’extramappa e il suo autore. Quanto a me ricevetti due lettere
    minacciose di Giairo Daghini e di Oreste Scalzone, dirigente di Potere Operaio, cui non detti molto peso ma che, rilette col senno di poi, fanno venire i brividi. Non fu tutto.

    Luca Cafiero, uno dei leader del Movimento Studentesco, insieme a Mario Capanna e a Salvatore Toscano, sguinzagliò un manipolo di picchiatori armati di spranghe e di catene, al cui comando c’era Giorgio Livrini, figlio di un
    imprenditore di quello che oggi si chiama “il ricco Nord Est", per darmi una lezione. Per fortuna non mi trovarono, né da “Oreste", lo storico bar di piazza Mirabello, né davanti a casa perché quella notte, per caso, dormii da
    una mia amica. Altrimenti sarei anch’io oggi uno storpio o peggio come quel povero ragazzo di diciassette anni, Sergio Ramelli che, considerato di destra, fu vittima di un agguato sotto casa da parte di militanti di
    Avanguardia Operaia e morì dopo 48 giorni di agonia, notizia nascosta nelle pagine interne dei grandi giornali della borghesia milanese.

    A metà degli anni ‘70 mi trovavo in Calabria per un’inchiesta che l’Europeo mi aveva chiesto di fare sull’università di Arcavacata, una delle tanti cattedrali nel deserto che era stata voluta, a propria maggior gloria, da
    Giacomo Mancini, segretario del Psi. Fui prelevato quasi di forza dagli uomini di Mancini e, dopo un lungo giro per le montagne cosentine, portato alla presenza del boss nella sua splendida villa. Mancini, col pretesto che ero un iscritto al Partito socialista, voleva sapere che cosa avrei scritto su Arcavacata. Nel bel mezzo di questa simpatica conversazione, molto simile a un’intimidazione mafiosa, si affacciò sulla veranda che dominava le rosse e brulle montagne del cosentino, uno scenario quasi da Far West, Franco Piperno, che era suo ospite. La cosa curiosa, per dir così, è che in quel momento Piperno era latitante e ricercato dalla polizia.

    La contiguità col mondo dell’eversione, o della semieversione, era fortissima. Qualche anno dopo Giampiero Mughini, che oggi fa il clown nelle trasmissioni di calcio parlato, si sarebbe vantato pubblicamente, rabbrividendo per il piacere dall’alluce all’ombelico, che un comunicato dei brigatisti Morucci e Faranda era stato scritto a casa sua, nella sua cucina e con la sua “Lettera 32″. Ruggero Guarini, in un’intervista alla Stampa, ha raccontato che per la prima assoluzione di Lollo e degli altri due di Potere Operaio accusati per il rogo di Primavalle si tenne una grande festa in una villa di Fregene, cui parteciparono Alberto Moravia, Dario Bellezza, il pittore Mario Schifano e il fior fiore dell’intellighentia romana. Del resto qualche anno dopo, quando il terrorismo brigatista mieteva una vittima al giorno e altre ne “gambizzava” come si diceva allora con un orrendo neologismo, due guru della cultura italiana, Alberto Moravia e Leonardo Sciascia, si dichiararono “Né con lo Stato né con le Br".

    Non stupisce quindi che, in quel clima, il rogo di Primavalle fosse attribuito dalla stampa di sinistra ma anche dai giornali borghesi, come Panorama, l’Espresso, Il Messaggero, a una “faida interna fascista” e l’inchiesta su Lollo e gli altri bollata come una “montatura di magistratura e polizia", una “provocazione” e, insomma, un complotto di toghe nere in combutta col Potere democristiano. L’editore Giulio Savelli, che allora era trotzkista e poi, negli anni Novanta, dopo una breve parentesi leghista, è diventato deputato di Forza Italia, quindi dell’Udr di Cossiga e oggi si autodefinisce liberale, pubblicò un libro, “Primavalle: incendio a porte chiuse", scritto da alcuni “giornalisti democratici", in cui si sposava la tesi che Primavalle era stata una “faida interna” fra fascisti. Tesi peraltro non nuova, perché era stata già utilizzata un paio di anni prima per il caso Mazzola-Giralucci, due missini assassinati in una sede del partito a Padova (era stata invece una delle prime azioni omicide delle BR, come racconta Sergio Segio, uno che se ne intende, in un libro di prossima pubblicazione).

    La magistratura non poteva indagare nella galassia dell’estremismo extraparlamentare di sinistra senza essere sommersa dall’unanime coro della “montatura", della “provocazione", del “complotto". Le piste dovevano essere sempre e solo “nere". E ciò era tanto più bizzarro perché, nell’orgia del conformismo di sinistra che aveva preso il Paese, i fascisti erano praticamente spariti o non osavano mettere piede fuori casa (nel 1974 facemmo, per L’Europeo, un’inchiesta intitolata: “Ma dove sono finiti i fascisti?"). Persino per l’omicidio Calabresi si preferì imboccare la strada delle “piste nere” e perdere tempo a inseguire un certo Nardi, figlio di armaioli di San Benedetto del Tronto, e altri stracci del genere, nonostante Lotta Continua, sul suo giornale, si fosse attribuita, almeno moralmente, l’assassinio e fosse del tutto improbabile, almeno allora, che della gente di destra ammazzasse un commissario di polizia, oltretutto accusato da tutto l’ambiente di sinistra di aver fatto volare dal quarto piano della Questura di Milano un anarchico, Giuseppe Pinelli. È anche per questo che bisognerà aspettare alcuni lustri e la confessione di Leonardo Marino per arrivare a Bompressi, a Pietrostefani e a Sofri. Del resto tutti sapevano che Lotta Continua, come peraltro Potere Operaio, aveva un “livello illegale” che si occupava quantomeno di far delle rapine, per finanziare, oltre che con gli “espropri proletari", il gruppo. Lo sapevo persino io. Perché una di quelle rapine fu fatta con la mia macchina, una Simca coupé rossa. Me la chiese in prestito un mio amico di Lc, Ilio Frigerio, poi diventato parlamentare leghista, dicendo che gli serviva per uscirci con una ragazza. In seguito mi confessò che l’aveva data ad altri “amici” di Lc per quello scopo. Uno scherzetto da prete che non ho dimenticato.

    Ma al processo Sofri, Pietrostefani e Bompressi negarono anche l’esistenza del “livello illegale", anche l’evidenza, e penso che sia anche per queste menzogne puerili che poi non furono creduti dal Tribunale sulle questioni più importanti. Ma il giornale di Lotta Continua faceva anche dell’altro, pubblicava foto, abitazione, percorsi, abitudini di “fascisti", o presunti tali, una sorta di wanted, di incitazione alla sprangata che ne ha lasciati parecchi sul terreno.

    Questo era il clima dei “formidabili” anni Settanta, dove bastava militare a sinistra per farne di ogni sorte e garantirsi omertà, protezione o, nei casi peggiori, la fuga. E il problema dei ragazzi del milieu riche e radical chic della contestazione, di questi rivoluzionari da burletta che il giorno scendevano in piazza a gridare slogan truculenti, a spaccare vetrine e crani, a ingaggiare battaglie con la polizia a colpi di molotov, e la sera, tornati a casa dai loro babbi e mamme borghesi, tutti orgogliosi di quei loro figlioli così deliziosamente antiborghesi, si precipitavano a telefonare alle loro amiche ("Pronto Leonetta? Pronto Dadi?") per organizzare feste in qualche bella villa, è che non solo non hanno pagato alcun dazio per le loro imprese, ma sono stati premiati e oggi fanno i deputati, i senatori, i direttori di giornale, di reti televisive, gli opinionisti. Sono degli impuniti. E non ci si può quindi meravigliare se non hanno nessun senso delle proprie responsabilità. Loro hanno sempre ragione. Avevano ragione quando facevano i comunisti e hanno ragione adesso che sono diventati liberali. Oggi questi irresponsabili costituiscono una buona parte della classe dirigente, equamente distribuiti fra destra e sinistra. E questo spiega anche perché, a conti fatti, non è cambiata la mentalità in questo Paese.

    Anche oggi, come allora, se la magistratura osa imboccare una strada poco gradita agli attuali “padroni del vapore” si alza un coro quasi unanime che grida alla “montatura", alla “provocazione", al “complotto” e si scrivono libri innocentisti e “garantisti” del tipo di “Primavalle: incendio a porte chiuse". Le toghe non sono più “nere” o democristiane, son diventate “rosse". È cambiato il segno, non la protervia.
    Se un uomo non è disposto a correre qualche rischio per le sue idee, o le sue idee non valgono nulla o non vale niente lui.

 

 
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