1. Il ritorno dei mostri
Chi incanta oggi i ragazzi con un sogno neo-"nazista", capace di spingerli all'assalto di ebrei, immigrati, persone di colore, presenta l'epoca hitleriana come il periodo del trionfo della tecnica e dell'ordine, della moneta stabile e di riforme sociali in cui anche i lavoratori "stavano bene", il periodo di un "socialismo" realizzato all'insegna di una nazione forte, efficiente, organizzata, bianca, ariana.
In questo quadro riesce facile aizzare i naziskin contro le persone appartenenti a quegli stessi gruppi che allora si opponevano od erano estranei al grande disegno di un "nuovo ordine": ebrei, comunisti, zingari, omosessuali, neri, testimoni di Jehova, diversi (1).
Fondamentale, per dare credibilità ad un folle progetto neonazista, è negare il più osceno volto del nazionalsocialismo, lo sterminio fisico di qualsiasi oppositore o "diverso".
Questo sterminio ha avuto numerosissimi volti ed episodi: campi di concentramento per "asociali", socialisti, comunisti, sono stati organizzati fin dal 1933; poi altri campi sono stati creati per gli Ebrei tedeschi, poi per gli Ebrei dei territori occupati, per i prigionieri di guerra, eccetera.
Il culmine della violenza fu rappresentata dai campi di sterminio di cui Auschwitz fu l'esemplare più "raffinato" di organizzazione e di tecniche di assassinio. Auschwitz che fu liberato all'inizio del 1945 e fu visitato "a forni ancora caldi", che fu fotografato e filmato più ancora di altri campi, in cui furono ricuperati dei pezzi di archivi e di documentazione sfuggiti alla distruzione da parte delle SS.
Auschwitz, diventato simbolo del nazismo, è stato ed è l'obiettivo principale del revisionismo neonazista: se fosse stato possibile dimostrare che non era vero che i nazisti avevano un raffinato sistema di camere a gas, che l'acido cianidrico serviva soltanto per uccidere i ratti, che i forni crematori servivano soltanto per incenerire i corpi delle persone morte per malattie, sarebbe stato portato un colpo decisivo all'ondata mondiale di indignazione. Ne è nata così una "scuola" di negazionismo, nei paesi anglosassoni e in Francia, con fedeli discepoli in Italia, Olanda e in altri paesi.
Il punto fondamentale era sostenere che "Auschwitz è una bugia"; fatto questo le SS diventavano i custodi di normali prigioni; i milioni di morti sarebbero apparsi vittime di epidemie; gli industriali che usavano mano d'opera schiava sarebbero apparsi normali imprenditori.
L'operazione è cominciata negli anni cinquanta del secolo scorso, è andata crescendo fino agli anni settanta e si è fatta sempre più vivace a partire dal 1980 (2). Purtroppo col passare del tempo le conoscenze sulla vera storia economica e sociale del nazionalsocialismo si sono affievolite; due generazioni si sono susseguite a quella di coloro che erano adulti negli anni trenta e quaranta del Novecento; e anche fra costoro, almeno in Italia, ben pochi si sono sforzati di conoscere e spiegare e insegnare tale terribile storia.
Denunciare e smentire le falsificazioni della storia, come ha fatto opportunamente il libro di Till Bastian (2a), è una questione che riguarda non soltanto gli Ebrei e la loro storia e i loro morti, ma tutta intera l'umanità.
1) Sul "nuovo ordine" nazista si veda, fra l'altro, il capitolo: "Il nuovo ordine", in W.L. Shirer, "Storia del terzo Reich", traduzione italiana, Torino, Einaudi, 2 volumi, p. 1427-1508
2) Per una interessante analisi delle radici del negazionismo si possono vedere i libri di P. Vidal-Naquet, "Assassins of memory. Essays on the denial of the Holocaust", New York, Columbia University Press, 1992 (traduzione italiana, Milano, Feltrinelli, 1993), e, con speciale attenzione per la situazione anglo-americana, di D. Lipstadt, "The growing assault on truth and memory", New York, The Free Press, 1993.
(2a) T. Bastian, "Auschwitz und die 'Auschwitz-Luge'. Massenmord und Geschichtsfalschung", Munchen, C.H.Beck, 1994; traduzione italiana col titolo: "Auschwitz e 'la menzogna di Auschwitz'", Torino, Bollati Boringhieri, 1995