Questa Santa straordinaria visse in pieno '600. In effetti, in quel periodo, tra il ‘600 ed il ‘700, la Chiesa cattolica si trovò a vivere – sotto l’aspetto dottrinario – uno dei periodi più travagliati della sua storia, per la diffusione dell’eresia giansenista.
Il giansenismo era una corrente ereticale che si ispirava all’opera del vescovo di Ypres, Cornelis Jansen (1585-1638), “Augustinus, seu doctrina sancti Augustini de humanae naturae sanitate, aegretudine, medicina adversus Pelagianos et Massilienses”, che si occupava dell’annoso tema della grazia, dato alle stampe postumo nel 1640, a Lovanio, nelle Fiandre (all’epoca ancora spagnole). Sulla base di questo libro, nacque appunto il “giansenismo”, fortemente avverso alla religiosità popolare fatta di pie devozioni, pellegrinaggi, processioni, venerazione di immagini, reliquie, ecc., in una parola alla “quotidianità” della fede delle persone semplici. I sostenitori di detta concezione, non del tutto sopita anche ai nostri giorni, conoscevano solo la giustizia di un Dio inaccessibile e reclamavano una fede pura e rigorosa, solo per un’élite di dotti, dalla coerenza adamantina e ferma tra dottrina e fede, che vivevano nel freddo timore della Divina Maestà.
Questa gelida concezione portava, per conseguenza, ad un intiepidimento della fede sino ad un allontanamento da Dio ed all’accettazione di una fede deistica, come durante la Rivoluzione francese e la tormenta dell’Illuminismo, ed alla legittimazione dell’intervento di stampo giurisdizionalistico dei principi “illuminati” in materia ecclesiastica (in special modo con la soppressione d’autorità di alcune devozioni e di taluni ordini religiosi come quello dei Gesuiti).
La Chiesa, invero, non mancò di condannare il “libro sacro” del movimento e lo stesso giansenismo. Così, Urbano VIII, con la bolla “In eminenti ecclesiae” (emanata il 6 marzo 1642, ma resa pubblica solo il 19 giugno 1643) condannò l’opera di Jansen; Innocenzo X, con la Costituzione apostolica “Cum occasione” del 31 maggio 1653 condannò cinque proposizioni ricavate dal libro; Alessandro VII, con la Costituzione apostolica “Ad sanctam beati Petri sedem” del 16 ottobre 1656, precisò il senso della condanna di Innocenzo X. Clemente XI, infine, con la Costituzione apostolica “Unigenitus Dei Filius” dell’8 settembre 1713, pervenne ad una condanna definitiva del movimento e delle sue dottrine.
Dinanzi al dilagare del movimento la Chiesa oppose principalmente, per la salvaguardia della fede ed il suo ravvivamento, oltre alla condanna del giansenismo, l’introduzione e l’incremento della devozione al Sacro Cuore di Gesù. Essa era fortemente avversato dalle determinazioni assunte dai vescovi del Granducato di Toscana riuniti nell’empio Sinodo di Pistoia dal 18 al 28 settembre 1786, appostato fino all’evidenza su posizioni gianseniste, convocato dal vescovo di Prato e Pistoia, Scipione de’ Ricci (1741-1810), su sollecitazione del Granduca illuminista Leopoldo I, allo scopo di assecondare le riforme politico-ecclesiastiche varate nel Granducato, che daranno luogo a quel sistema di stampo giurisdizionalistico noto come “leopoldismo”. Tale Sinodo fu condannato da papa Pio VI con la Costituzione apostolica “Auctorem fidei” del 28 agosto 1794.
In verità, il culto al sacro Cuore non fu “inventato” dall’autorità ecclesiastica, bensì traeva origine dalle appassionate predicazioni dell’araldo del Cuore di Gesù, S. Giovanni Eudes, e, soprattutto, dalle apparizioni del Redentore all’umile nostra suora Visitandina francese, S. Margherita Maria Alacoque, a Paray–le–Monial, tra il 1673 ed il 1675.
Margherita ebbe, infatti, il grande merito di far conoscere al mondo le ricchezze del Cuore di Gesù, traendo da questo doni di grazia e carismi soprannaturali.