Tommaso d'Aquino
La massima aspirazione di Tommaso è quella di assimilare entro il quadro della visione cristiana del mondo il pensiero di Aristotele, concepito come somma espressione della razionalità dell'uomo. Egli dice che il pensiero di Aristotele, correttamente interpretato, si mostrerà in accordo o quantomeno non in disaccordo con il dettato della fede.
Ragione e fede
Per Tommaso la teologia può essere considerata una scienza, per affermare ciò egli ha dovuto tuttavia superare due obiezioni:
1- Una teologia che voglia essere scienza razionale del contenuto della Rivelazione è superflua, poiché c'è già una scienza razionale su Dio, la teologia di Aristotele;
2- E' superbia volere indagare razionalmente ciò che supera la ragione, e cioè il mistero che solo per fede possiamo conoscere.
Tommaso supera questi ostacoli approdando alla nozione di scienza subalterna. La teologia è scienza subalterna rispetto alle verità della fede, ossia la teologia per essere compresa si fonda sulla fede, essa è vera perché crede le verità rivelate da Dio, prima verità. Credere in questo senso significa supporre la verità del contenuto della Rivelazione divina.
Gli articoli di fede sono allora evidenti per supposizione (solo in questa terra, quando moriremo nella beatificazione dei cieli ci saranno chiari), ma non evidenti alla ragione. Proprio per questo essi suscitano la ragione a cercare una qualche evidenza con i procedimenti argomentativi. In questo senso gli articoli di fede presuppongono la ragione. La fede suppone allora l'evidenza del creduto (solo in paradiso) e presuppone la ragione. Se gli articoli di fede sono dimostrabili, ci sarà in questi casi provata concordia tra fede e ragione; se invece non sono dimostrabili divengono necessariamente non confutabili, in questi casi si dovrà dimostrare che gli argomenti razionali usati per contraddire l'argomento di fede non sono probanti ma obiezioni solubili. Si vengono a creare così due ambiti: quello del creduto che è anche dimostrabile, e quello del mistero che supera la ragione ma non è in contrasto con essa.
La metafisica di Tommaso: atto d'essere e essenza
Tommaso comincia a stilare i suoi pensieri dalla riflessione che Aristotele conduce intorno alla scienza dell'ente in quanto ente. Essa studia gli enti in quanto esistono e non si cura delle loro caratteristiche. Ente diviene così espressione linguistica di estensione massima, poiché comprende ogni cosa che esiste. Nasce qui la questione del termine ente che non può essere univoco, altrimenti si riunirebbe tutto il creato in un unico concetto, ma neanche equivoco, non si può avere scienza riguardo qualcosa di indeterminato. Aristotele risolve questo problema dicendo che "ente" non è nessuno dei due aggettivi: i suoi pur diversi significati hanno una loro unità che deriva dal fatto che tutti i significati di ente hanno nella sostanza il loro riferimento unitario.
Tommaso esclude uno dei tradizionali significati di ente: l'"è" come segno della verità di una proposizione. Infatti quando ente significa privazioni o negazioni, non significa ma esclude la realtà di qualcosa: ha dunque un significato puramente logico: non rinvia a qualcosa di esistente. In seguito Tommaso studia gli altri significati di ente riferiti a qualcosa di reale e giunge così a fare una serie di riflessioni sulla sostanza: essa significa qualcosa che esiste e che, insieme, è questa o quest'altra cosa determinata (cane, gatto). Per Aristotele ciò da cui dipende l'esistere e la particolare natura di una sostanza (l'esistere come cane o gatto) è l'essenza. Per Tommaso invece ciò che fa di una sostanza qualcosa di esistente non è l'essenza: ciò per cui un ente è qualcosa di esistente è l'atto d'essere. Nella sostanza l'essenza è dunque divisa dall'atto d'essere: la prima designa la particolare natura della sostanza, il secondo è il principio per cui quella sostanza esiste. Di conseguenza l'essenza esiste in vigore dell'atto d'essere: come può una sostanza avere caratteristiche proprie se neanche esiste? L'essenza può allora essere concepita come potenza dell'atto d'essere.
Poiché l'atto d'essere non è limitato se non dalla potenza (essenza), l'atto d'essere è di per sé illimitato: è l'essenza che lo limita: cioè, lo ha fatto del genere o della specie tale o talaltra. L'atto d'essere è dunque di per sé illimitato. Inoltre, mentre l'essenza esiste mediante l'atto d'essere, l'atto d'essere per esistere non ha bisogno dell'essenza che anzi lo limita. L'atto d'essere ha dunque in sé la ragione del proprio esistere, non è atto di alcuna essenza ed è privo di limiti. E' Dio. E si distingue da tutti gli enti poiché è Atto Puro. Quindi per Tommaso la prima divisione dell'ente sarà quella tra atto e potenza, ossia tra atto d'essere ed essenza, distinzione che riguarda sia la sostanza che gli accidenti. Tutti gli enti sono atto d'essere: atto d'essere che mentre sussiste in sé stesso , in quanto Dio e Atto Puro, negli enti è limitato dall'essenza. Gli enti hanno allora in comune l'atto d'essere, ciascuno secondo la misura della propria essenza. Si viene così a creare una gerarchia degli enti scandita dalla misura della presenza in essi dell'atto d'essere. E' questa la dottrina che Tommaso denomina di Analogia dell'ente e che coincide con la teoria della partecipazione proporzionale di tutti gli enti all'atto d'essere.
La metafisica è allora la scienza dell'ente in quanto ente. Vi sono dei predicati nella teoria di Tommaso detti trascendentali, poiché trascendono le divisioni per genere, specie e differenza; e hanno dunque la stessa estensione della nozione di ente, cioè si dicono di tutti gli enti. Ciascun trascendentale ha tuttavia un suo significato proprio distinto da quello di ente. Sono trascendentali i seguenti predicati:
- Uno: ogni ente è uno, cioè è indiviso in se stesso e diviso da ogni altro ente,
- Vero: ogni ente è vero ontologicamente, ossia esiste;
- Buono: ogni ente è buono in quanto appetisce il proprio essere, che è il suo fine e perfezione.
Teologia o dottrina di Dio
La teologia di Tommaso comprende tre questioni:
- se Dio esiste o meno;
- Che cosa è Dio;
- Come è possibile un discorso che dica e affermi ciò che Dio è.
Le tre questioni sono disposte in modo logico, infatti...
Riguardo alla prima questione dobbiamo specificare che l'esistenza di Dio non è immediatamente evidente all'uomo, infatti il nostro intelletto ha come oggetto proporzionato alle proprie capacità conoscitive gli enti sensibili, ma nel campo dell'esperienza sensibile non ritroviamo Dio. Di conseguenza il limite della teologia è quello di non poter conoscere veramente Dio. Il teologo crede che Dio esista, suppone vera per fede l'esistenza di Dio, ma di essa non ha razionalmente alcuna prova. Si tratta allora di una verità che si attinge solo tramite la fede, per dono gratuito di Dio.
Il quesito intorno all'esistenza di Dio diviene allora se l'esistenza di Dio sia conoscibile per evidenza mediata o dimostrazione. Tommaso ci propone due tipi di dimostrazione: una propria, che procede dalla conoscenza dell'essenza di una cosa per ricavarne le proprietà, e una impropria, che parte dalla conoscenza di effetti che quindi devono avere una causa: quest'ultima sarà conoscibile nella misura in cui gli effetti la rendono conoscibile. Questo secondo tipo di dimostrazione è applicabile al problema dell'esistenza di Dio. Se gli enti sensibili della nostra esperienza hanno i tratti dell'effetto, ci deve essere per forza una causa, la quale è appunto Dio (conoscibile quindi a posteriori). Riguardo alla seconda questione, possiamo rispondere in generale che Dio è la prima causa incausata universale degli enti sensibili. Tuttavia questa definizione non esprime l'essenza propria di Dio, in questo modo conosciamo Dio solo come causa prima. Se dunque l'essenza di Dio ci rimane ignota, ciò significa che la nostra ragione conosce Dio non nel suo proprio essere ma solo in quanto causa degli enti sensibili. La teologia sarà allora teologia negativa: diremo di Dio ciò che non é. Sapendo di non conoscere l'essenza di Dio, sappiamo ciò che Egli non è, piuttosto che ciò che Egli è. Infine Tommaso è arrivato alla seguente conclusione: se sappiamo che Dio esiste attraverso dimostrazione, vi è tra fede e ragione concordia, ma quella dimostrazione impropria ha un limite: sappiamo di non sapere l'essenza propria di Dio.
La dottrina della conoscenza sensitiva e intellettiva
Per Tommaso ogni conoscenza è specificata dall'atto conoscitivo e quest'ultimo è specificato dal suo oggetto. L'oggetto quindi definisce l'ambito circa il quale una capacità attiva può e riesce a operare. La distinzione tra conoscenza sensitiva e intellettiva è stabilita con lo stesso criterio: l'intelletto non è il senso perché l'oggetto che specifica la conoscenza intellettiva anziché sensibile è intelligibile. L'intelletto ha quindi un oggetto che trascende il sensibile, esso tuttavia dipende da quest'ultimo: senza conoscenza del sensibile l'intelletto non avrebbe nulla da rendere intelligibile in atto, cioè da conoscere intellettivamente. Un'altra caratteristica dell'intelletto è essere sostanza spirituale: infatti l'illimitata capacità conoscitiva che gli è propria esclude che l'intelletto possa appartenere alle sostanze materiali.
Antropologia e dottrina dell'immortalità dell'anima
Aristotele dice che l'uomo è animale razionale: è quindi composta di forma razionale e di materia. La forma conferisce alla materia le caratteristiche morfologiche e funzionali proprie del corpo umano. Tommaso nota tuttavia che questa teoria implica che l'unica forma del corpo umano venga a coincidere con l'anima razionale. Ma, si chiede Tommaso, come può l'anima razionale, dotata di intelletto immateriale, essere forma di un corpo materiale? Tommaso risolve la difficoltà nel seguente modo: egli dimostra che l'intelletto trascende il sensibile, è immateriale ed è facoltà dell'anima; ora, sapendo che una facoltà consegue sempre dalla natura della sostanza che tale capacità esplica, possiamo dire che l'anima esplicando le sue capacità nell'intelletto che è immateriale, è anch'essa immateriale. Quindi l'anima intellettiva e immateriale è l'unica forma del corpo umano. Tommaso specifica che l'anima non proviene dal corpo né dipende dal corpo: l'anima ha un proprio essere. Ciò tuttavia non impedisce che l'anima intellettiva comunichi il proprio essere al corpo, e quindi ne sia forma. Naturalmente l'anima può comunicare al corpo non la sua natura intellettiva ma la sua natura sensibile. In conclusione l'intelletto è facoltà dell'anima, che perciò è intellettiva; esso è però separato dagli organi corporei di senso poiché è principio di conoscenza e no potenza di alcun organo. Di conseguenza Tommaso arriva alla conclusione che l'anima deve essere immortale: ciò non significa che l'anima dopo la morte esista necessariamente, infatti può essere o non essere annichilita in base alla volontà di Dio.
Oltre all'intelletto l'uomo possiede un'altra facoltà: la volontà, essa è la capacità operativa di agire in vista di quel fine o bene giudicato tale dall'intelletto. La volontà è libera. Ogni essere umano è naturalmente sociale, ossia ciascuno ha bisogno degli altri per soddisfare i molti bisogni. Una società naturale di liberi sviluppa una società politica, è infatti politica quella forma di vita che conviene ai liberi e non agli schiavi. Essa esige l'autorità, il bene comune è sostanzialmente la giustizia. Una società politica può essere buona o cattiva e il criterio di distinzione è quello etico, e non il numero di persone che detengono il potere. Quindi sono buoni regimi quelli che portano al bene di tutta la comunità.
L'etica tomistica e il fine dell'uomo
L'etica di Tommaso dipende dalla sua metafisica: ogni ente ha infatti una determinata natura, ciò vuol dire che ha un determinato fine e capacità attive di conseguirlo. Il fine naturale è dunque iscritto nella natura specifica dell'ente. Per fine si intende quindi il bene proprio di quella natura e la perfezione propria che è possibile a quella natura. Il fine ultimo dell'uomo è il conseguimento della beatitudine. La visione beatifica di Dio non è uno dei tanti modi possibili di comportarsi da uomini, raggiungendo la perfezione del proprio essere; essa è l'unico fine. Di conseguenza la libertà dell'uomo non è , rispetto all'ultimo fine, questo o un altro; ma solo quella di raggiungerlo o perderlo. La bontà di un azione dipende infine dalla sua conformità al fine ultimo.
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