Risultati da 1 a 6 di 6
  1. #1
    Dal 2004 con amore
    Data Registrazione
    15 Jun 2004
    Località
    Attorno a Milano
    Messaggi
    19,247
     Likes dati
    0
     Like avuti
    2
    Mentioned
    0 Post(s)
    Tagged
    0 Thread(s)

    Predefinito Breve introduzione alla filosofia di San Tommaso

    Tommaso d'Aquino


    La massima aspirazione di Tommaso è quella di assimilare entro il quadro della visione cristiana del mondo il pensiero di Aristotele, concepito come somma espressione della razionalità dell'uomo. Egli dice che il pensiero di Aristotele, correttamente interpretato, si mostrerà in accordo o quantomeno non in disaccordo con il dettato della fede.

    Ragione e fede

    Per Tommaso la teologia può essere considerata una scienza, per affermare ciò egli ha dovuto tuttavia superare due obiezioni:
    1- Una teologia che voglia essere scienza razionale del contenuto della Rivelazione è superflua, poiché c'è già una scienza razionale su Dio, la teologia di Aristotele;
    2- E' superbia volere indagare razionalmente ciò che supera la ragione, e cioè il mistero che solo per fede possiamo conoscere.
    Tommaso supera questi ostacoli approdando alla nozione di scienza subalterna. La teologia è scienza subalterna rispetto alle verità della fede, ossia la teologia per essere compresa si fonda sulla fede, essa è vera perché crede le verità rivelate da Dio, prima verità. Credere in questo senso significa supporre la verità del contenuto della Rivelazione divina.
    Gli articoli di fede sono allora evidenti per supposizione (solo in questa terra, quando moriremo nella beatificazione dei cieli ci saranno chiari), ma non evidenti alla ragione. Proprio per questo essi suscitano la ragione a cercare una qualche evidenza con i procedimenti argomentativi. In questo senso gli articoli di fede presuppongono la ragione. La fede suppone allora l'evidenza del creduto (solo in paradiso) e presuppone la ragione. Se gli articoli di fede sono dimostrabili, ci sarà in questi casi provata concordia tra fede e ragione; se invece non sono dimostrabili divengono necessariamente non confutabili, in questi casi si dovrà dimostrare che gli argomenti razionali usati per contraddire l'argomento di fede non sono probanti ma obiezioni solubili. Si vengono a creare così due ambiti: quello del creduto che è anche dimostrabile, e quello del mistero che supera la ragione ma non è in contrasto con essa.

    La metafisica di Tommaso: atto d'essere e essenza

    Tommaso comincia a stilare i suoi pensieri dalla riflessione che Aristotele conduce intorno alla scienza dell'ente in quanto ente. Essa studia gli enti in quanto esistono e non si cura delle loro caratteristiche. Ente diviene così espressione linguistica di estensione massima, poiché comprende ogni cosa che esiste. Nasce qui la questione del termine ente che non può essere univoco, altrimenti si riunirebbe tutto il creato in un unico concetto, ma neanche equivoco, non si può avere scienza riguardo qualcosa di indeterminato. Aristotele risolve questo problema dicendo che "ente" non è nessuno dei due aggettivi: i suoi pur diversi significati hanno una loro unità che deriva dal fatto che tutti i significati di ente hanno nella sostanza il loro riferimento unitario.
    Tommaso esclude uno dei tradizionali significati di ente: l'"è" come segno della verità di una proposizione. Infatti quando ente significa privazioni o negazioni, non significa ma esclude la realtà di qualcosa: ha dunque un significato puramente logico: non rinvia a qualcosa di esistente. In seguito Tommaso studia gli altri significati di ente riferiti a qualcosa di reale e giunge così a fare una serie di riflessioni sulla sostanza: essa significa qualcosa che esiste e che, insieme, è questa o quest'altra cosa determinata (cane, gatto). Per Aristotele ciò da cui dipende l'esistere e la particolare natura di una sostanza (l'esistere come cane o gatto) è l'essenza. Per Tommaso invece ciò che fa di una sostanza qualcosa di esistente non è l'essenza: ciò per cui un ente è qualcosa di esistente è l'atto d'essere. Nella sostanza l'essenza è dunque divisa dall'atto d'essere: la prima designa la particolare natura della sostanza, il secondo è il principio per cui quella sostanza esiste. Di conseguenza l'essenza esiste in vigore dell'atto d'essere: come può una sostanza avere caratteristiche proprie se neanche esiste? L'essenza può allora essere concepita come potenza dell'atto d'essere.
    Poiché l'atto d'essere non è limitato se non dalla potenza (essenza), l'atto d'essere è di per sé illimitato: è l'essenza che lo limita: cioè, lo ha fatto del genere o della specie tale o talaltra. L'atto d'essere è dunque di per sé illimitato. Inoltre, mentre l'essenza esiste mediante l'atto d'essere, l'atto d'essere per esistere non ha bisogno dell'essenza che anzi lo limita. L'atto d'essere ha dunque in sé la ragione del proprio esistere, non è atto di alcuna essenza ed è privo di limiti. E' Dio. E si distingue da tutti gli enti poiché è Atto Puro. Quindi per Tommaso la prima divisione dell'ente sarà quella tra atto e potenza, ossia tra atto d'essere ed essenza, distinzione che riguarda sia la sostanza che gli accidenti. Tutti gli enti sono atto d'essere: atto d'essere che mentre sussiste in sé stesso , in quanto Dio e Atto Puro, negli enti è limitato dall'essenza. Gli enti hanno allora in comune l'atto d'essere, ciascuno secondo la misura della propria essenza. Si viene così a creare una gerarchia degli enti scandita dalla misura della presenza in essi dell'atto d'essere. E' questa la dottrina che Tommaso denomina di Analogia dell'ente e che coincide con la teoria della partecipazione proporzionale di tutti gli enti all'atto d'essere.
    La metafisica è allora la scienza dell'ente in quanto ente. Vi sono dei predicati nella teoria di Tommaso detti trascendentali, poiché trascendono le divisioni per genere, specie e differenza; e hanno dunque la stessa estensione della nozione di ente, cioè si dicono di tutti gli enti. Ciascun trascendentale ha tuttavia un suo significato proprio distinto da quello di ente. Sono trascendentali i seguenti predicati:
    - Uno: ogni ente è uno, cioè è indiviso in se stesso e diviso da ogni altro ente,
    - Vero: ogni ente è vero ontologicamente, ossia esiste;
    - Buono: ogni ente è buono in quanto appetisce il proprio essere, che è il suo fine e perfezione.

    Teologia o dottrina di Dio

    La teologia di Tommaso comprende tre questioni:
    - se Dio esiste o meno;
    - Che cosa è Dio;
    - Come è possibile un discorso che dica e affermi ciò che Dio è.
    Le tre questioni sono disposte in modo logico, infatti...
    Riguardo alla prima questione dobbiamo specificare che l'esistenza di Dio non è immediatamente evidente all'uomo, infatti il nostro intelletto ha come oggetto proporzionato alle proprie capacità conoscitive gli enti sensibili, ma nel campo dell'esperienza sensibile non ritroviamo Dio. Di conseguenza il limite della teologia è quello di non poter conoscere veramente Dio. Il teologo crede che Dio esista, suppone vera per fede l'esistenza di Dio, ma di essa non ha razionalmente alcuna prova. Si tratta allora di una verità che si attinge solo tramite la fede, per dono gratuito di Dio.
    Il quesito intorno all'esistenza di Dio diviene allora se l'esistenza di Dio sia conoscibile per evidenza mediata o dimostrazione. Tommaso ci propone due tipi di dimostrazione: una propria, che procede dalla conoscenza dell'essenza di una cosa per ricavarne le proprietà, e una impropria, che parte dalla conoscenza di effetti che quindi devono avere una causa: quest'ultima sarà conoscibile nella misura in cui gli effetti la rendono conoscibile. Questo secondo tipo di dimostrazione è applicabile al problema dell'esistenza di Dio. Se gli enti sensibili della nostra esperienza hanno i tratti dell'effetto, ci deve essere per forza una causa, la quale è appunto Dio (conoscibile quindi a posteriori). Riguardo alla seconda questione, possiamo rispondere in generale che Dio è la prima causa incausata universale degli enti sensibili. Tuttavia questa definizione non esprime l'essenza propria di Dio, in questo modo conosciamo Dio solo come causa prima. Se dunque l'essenza di Dio ci rimane ignota, ciò significa che la nostra ragione conosce Dio non nel suo proprio essere ma solo in quanto causa degli enti sensibili. La teologia sarà allora teologia negativa: diremo di Dio ciò che non é. Sapendo di non conoscere l'essenza di Dio, sappiamo ciò che Egli non è, piuttosto che ciò che Egli è. Infine Tommaso è arrivato alla seguente conclusione: se sappiamo che Dio esiste attraverso dimostrazione, vi è tra fede e ragione concordia, ma quella dimostrazione impropria ha un limite: sappiamo di non sapere l'essenza propria di Dio.

    La dottrina della conoscenza sensitiva e intellettiva

    Per Tommaso ogni conoscenza è specificata dall'atto conoscitivo e quest'ultimo è specificato dal suo oggetto. L'oggetto quindi definisce l'ambito circa il quale una capacità attiva può e riesce a operare. La distinzione tra conoscenza sensitiva e intellettiva è stabilita con lo stesso criterio: l'intelletto non è il senso perché l'oggetto che specifica la conoscenza intellettiva anziché sensibile è intelligibile. L'intelletto ha quindi un oggetto che trascende il sensibile, esso tuttavia dipende da quest'ultimo: senza conoscenza del sensibile l'intelletto non avrebbe nulla da rendere intelligibile in atto, cioè da conoscere intellettivamente. Un'altra caratteristica dell'intelletto è essere sostanza spirituale: infatti l'illimitata capacità conoscitiva che gli è propria esclude che l'intelletto possa appartenere alle sostanze materiali.

    Antropologia e dottrina dell'immortalità dell'anima

    Aristotele dice che l'uomo è animale razionale: è quindi composta di forma razionale e di materia. La forma conferisce alla materia le caratteristiche morfologiche e funzionali proprie del corpo umano. Tommaso nota tuttavia che questa teoria implica che l'unica forma del corpo umano venga a coincidere con l'anima razionale. Ma, si chiede Tommaso, come può l'anima razionale, dotata di intelletto immateriale, essere forma di un corpo materiale? Tommaso risolve la difficoltà nel seguente modo: egli dimostra che l'intelletto trascende il sensibile, è immateriale ed è facoltà dell'anima; ora, sapendo che una facoltà consegue sempre dalla natura della sostanza che tale capacità esplica, possiamo dire che l'anima esplicando le sue capacità nell'intelletto che è immateriale, è anch'essa immateriale. Quindi l'anima intellettiva e immateriale è l'unica forma del corpo umano. Tommaso specifica che l'anima non proviene dal corpo né dipende dal corpo: l'anima ha un proprio essere. Ciò tuttavia non impedisce che l'anima intellettiva comunichi il proprio essere al corpo, e quindi ne sia forma. Naturalmente l'anima può comunicare al corpo non la sua natura intellettiva ma la sua natura sensibile. In conclusione l'intelletto è facoltà dell'anima, che perciò è intellettiva; esso è però separato dagli organi corporei di senso poiché è principio di conoscenza e no potenza di alcun organo. Di conseguenza Tommaso arriva alla conclusione che l'anima deve essere immortale: ciò non significa che l'anima dopo la morte esista necessariamente, infatti può essere o non essere annichilita in base alla volontà di Dio.
    Oltre all'intelletto l'uomo possiede un'altra facoltà: la volontà, essa è la capacità operativa di agire in vista di quel fine o bene giudicato tale dall'intelletto. La volontà è libera. Ogni essere umano è naturalmente sociale, ossia ciascuno ha bisogno degli altri per soddisfare i molti bisogni. Una società naturale di liberi sviluppa una società politica, è infatti politica quella forma di vita che conviene ai liberi e non agli schiavi. Essa esige l'autorità, il bene comune è sostanzialmente la giustizia. Una società politica può essere buona o cattiva e il criterio di distinzione è quello etico, e non il numero di persone che detengono il potere. Quindi sono buoni regimi quelli che portano al bene di tutta la comunità.

    L'etica tomistica e il fine dell'uomo

    L'etica di Tommaso dipende dalla sua metafisica: ogni ente ha infatti una determinata natura, ciò vuol dire che ha un determinato fine e capacità attive di conseguirlo. Il fine naturale è dunque iscritto nella natura specifica dell'ente. Per fine si intende quindi il bene proprio di quella natura e la perfezione propria che è possibile a quella natura. Il fine ultimo dell'uomo è il conseguimento della beatitudine. La visione beatifica di Dio non è uno dei tanti modi possibili di comportarsi da uomini, raggiungendo la perfezione del proprio essere; essa è l'unico fine. Di conseguenza la libertà dell'uomo non è , rispetto all'ultimo fine, questo o un altro; ma solo quella di raggiungerlo o perderlo. La bontà di un azione dipende infine dalla sua conformità al fine ultimo.


    clerus.org

  2. #2
    Dal 2004 con amore
    Data Registrazione
    15 Jun 2004
    Località
    Attorno a Milano
    Messaggi
    19,247
     Likes dati
    0
     Like avuti
    2
    Mentioned
    0 Post(s)
    Tagged
    0 Thread(s)

    Predefinito


  3. #3
    .
    Data Registrazione
    09 Apr 2009
    Messaggi
    55,056
     Likes dati
    3,675
     Like avuti
    2,853
    Mentioned
    25 Post(s)
    Tagged
    0 Thread(s)

    Predefinito

    Up.


  4. #4
    Dal 2004 con amore
    Data Registrazione
    15 Jun 2004
    Località
    Attorno a Milano
    Messaggi
    19,247
     Likes dati
    0
     Like avuti
    2
    Mentioned
    0 Post(s)
    Tagged
    0 Thread(s)

    Predefinito


  5. #5
    Dal 2004 con amore
    Data Registrazione
    15 Jun 2004
    Località
    Attorno a Milano
    Messaggi
    19,247
     Likes dati
    0
     Like avuti
    2
    Mentioned
    0 Post(s)
    Tagged
    0 Thread(s)

    Predefinito

    Originally posted by Flora
    Up.


  6. #6
    INNAMORARSI DELLA CHIESA
    Data Registrazione
    25 Apr 2005
    Località
    Varese
    Messaggi
    6,420
     Likes dati
    0
     Like avuti
    1
    Mentioned
    0 Post(s)
    Tagged
    0 Thread(s)

    Predefinito ^__^

    Caro Thomas....immagino dunque che entrambi condividiamo una grande passione per l'Aquinate.......^__^

    Non so se devo aprire un altro forum per il testo che segue e che vorrei condividervi, se non andasse bene qui i gestori potranno copiarlo in altro luogo...........

    Per capire Tommaso d'Aquino occorre tentare di entrare dentro il suo tempo in cui la Chiesa viveva già le forti contraddizioni, purtroppo....anche di una inquietudine che come sappiamo condurrà alla nscita del Protestantesimo....... Ma nella infinita misericordia di Dio, Egli stesso per mezzo degli Ordini Mendicanti....aveva posto come una sorta di CUSCINETTI alla vera teologia del momento che ben presto sarebbe stata invasa dall'eresia protestante...... Abbiamo cì san Bonaventura (Francescano) e san Tommaso d'Aquino (Domenicano) due pilastri in quel periodo di grandi rivulzioni in tutti i sensi.........

    Tommaso d'Aquino però ha un ASSO NELLA MANICA........
    L'EUCARESTIA......... l'amore profondo e tipicamente Domenicano dell'adorazione (suoi sono gli Inni più cantati davanti al Santissimo^__^ come il Tantum Ergo)..... Tommaso sposa il motto domenicano che poi conia: CONTEMPLATA ALIIS TRADERE......ossia contemplare prima di passare all'azione.......
    Pensate che questo "motto" verrà citato anche da Paolo VI sull'esortazione CONCILIARE per risvegliare I LAICI e spingerli verso una consapevolezza della propria fede......

    Vi lascio ora con questa meditazione che ritengo importante per capire che cosa smuovesse IL BUE (così amava chiamarsi Tommaso.... come lo chiamavano gli amici a causa della sua mole^__^) verso quella PASSIONE che abita in Tabernacolo.......

    Fraternamente Caterina LD

    Recensione a Bruno Forte, vescovo, Il silenzio di Tommaso d'Aquino
    Edizioni Piemme, Casale Monferrato (AL), 1998.

    Un libro sul silenzio. Non un silenzio qualunque, né il silenzio in generale, bensì il fare silenzio, il tacere proprio della ragione che indaga la verità e che fa silenzio di fronte alla rivelazione della Verità stessa, del divino. Non è pertanto un caso che l'attore di questo silenzio (di questo fare silenzio) sia il Dottore Angelico, ossia colui che meglio di chiunque altro incarna la ragione umana indagatrice del Mistero. Ebbene, questa ragione s'inchina di fronte alla pienezza abbacinante del Mistero e, anziché parlare, fa silenzio, si pone in ascolto della parola della trascendenza, o del silenzio della trascendenza. Proprio l'enigma del silenzio di Tommaso fornisce a Bruno Forte (sacerdote e teologo cattolico) il materiale per un'escursione nel campo della poesia.

    Brevemente, i fatti. Il 6 dicembre 1273 durante la celebrazione della messa nella cappella di S. Nicola del convento di S. Domenico Maggiore a Napoli, Tommaso cade in estasi: «fuit mira mutatione commotus» (Processus, n. 79, 376), «quasi raptus et in devotione absorptus multis perfundi lacrymis» (Guglielmo Tocco, Hystoria beati Thomoe Aquinatis, cap. 29, 103). A questo rapimento segue il rifiuto di scrivere: «Raynalde, non possum... non possum quia omnia quae scripsi videntur mihi palae respectu eorum quae vidi et revelata sunt mihi» (Processus, n. 79, 376). E Tommaso smette di dettare, come faceva, contemporaneamente a più segretari quella che era la terza parte della sua Summa: il trattato sulla Penitenza. Morirà il 7 marzo 1274 senza aver ripreso a scrivere, ma senza aver smesso di partecipare lucidamente agli uffici della sua condizione di monaco e sacerdote.

    Questo l'antefatto: Tommaso prega, Tommaso scrive; la preghiera a un certo punto vince sulla scrittura; e il filosofo tace. Niente di più semplice. Ma è un enigma. Non è un enigma per Tommaso, per cui è tutto chiaro (anche troppo!). L'enigma è per noi che abbiamo bisogno di problemi e che nella ricerca del senso ci troviamo a sottoporre all'indagine della razionalità l'intero ambito dell'umano, dall'esperienza personale all'esperienza religiosa.

    Di fronte all'enigma la ragione può tentare di uscirne in diversi modi, ovvero può decidere di rimanerne all'interno, ancora, in diversi modi. Può, quindi, cercare di scioglierlo razionalmente, con il rischio di semplificarlo, o decidere di riproporlo sotto altra veste, ossia di approfondirlo, complicarlo, o anche aggirarlo. Questa è la poesia.

    Ebbene, la parola poetica non dà risposte, non scioglie problemi, ma è la riproposizione dell'enigma a un livello diverso. Quello che nella vita è un fatto, seppur enigmatico (Tommaso tace), nell'espressione poetica diventa enigma alla doppia potenza: da un lato il dire un'esperienza personale unica in termini universalmente validi e dall'altro il dire il silenzio, il tacere, il disdire. Ciò che Tommaso non fa, lo fa il poeta a un livello di doppia distanza. L'opera del poeta istituisce infatti un mondo nel quale far abitare il lettore, laddove l'immediatezza del mondo originario è doppiamente lontana. Dire il silenzio, quindi, è più di un interpretare la tonalità emotiva dell'atto di Tommaso; è sostituire all'esperienza mistica il gioco di una lingua che, libera da vincoli logico-conoscitivi, non dice né Tommaso, né Dio ma il silenzio o, appunto, il fare silenzio.

    Qui si concentra l'attenzione del filosofo: un dire che si disdica, un dire l'indicibile, è l'ambizione di ogni pensiero che non voglia limitarsi alla semplice descrizione del reale. Ma proprio il supporto della parola doppia poetica fa sì che nelle pieghe della parola possano trovare alloggio pensieri inattesi. È il caso dell'interpretazione che Sergio Givone (ordinario di Estetica all'Università di Firenze) fornisce nella sua Postfazione.

    L'intento esplicito di Forte è rappresentare «questo meditante stare sull'ultima soglia» (p. 7) e ciò facendo, cantare «l'estremo abbandono del pensiero indagante» (p. 35), il fare silenzio, appunto, della filosofia. Dalla lettura del testo è possibile evincere quanto segue. Il silenzio pollachòs légetai, si dice in molti modi: il silenzio della finitezza e della morte; il silenzio del pianto e della preghiera; il silenzio della contemplazione e di Dio. All'intersezione di questi tre silenzi si pone il poeta che con la parola doppia, ambigua, dice l'elogio del silenzio (nel senso dell'elogio dell'uomo che di fronte a Dio tace), ma anche l'elogio del silenzio di Dio (nel senso che il dire di Dio supera incommensurabilmente il dire dell'uomo, per cui solo il silenzio è l'adeguata rappresentazione della parola rivelatrice di Dio) e infine l'elogio della capacità del poeta di dire, nonostante tutto, il silenzio (grazie all'ambiguità del linguaggio evocativo e simbolico). Ma c'è di più. Con uno scarto, nemmeno così impercettibile, nella Postfazione viene proposta un'ulteriore interpretazione che è riposta negli interstizi del linguaggio ambiguo della poesia di Forte: l'elogio del Silenzio, del dio Silenzio, come vero Ultimo, Trascendenza ultima, oltre anche Dio, senso-non-senso di Dio stesso -- per cui il silenzio da modalità del rapporto alla trascendenza diviene esso stesso divinità che squassa ogni procedere umano e che solo l'ambiguità della parola doppia poetica può, in qualche modo, richiamare. Siamo sull'abisso del nulla: forse anche Dio tace!

    La poesia, si legge nella Postfazione, è quel discorso doppio che permette all'autore di «trattenere il suo dire sull'estremo limite del silenzio» (p. 59). E allora «perché non osare la più difficile poesia?» (p. 60), si chiede Givone, quella che dice appunto il silenzio. Ebbene «l'indicibile è detto a partire dal suo "non", dalla sua negazione, dal suo infinito punto di fuga» (p. 61): tutto è paglia, e bisogna che tutto si faccia paglia, e che bruci, perché siamo di fronte all'evento straordinario dell'epifania del divino, al cospetto del quale l'incessante domandare della ragione si arresta e «Ultimo è il silenzio» (p. 62). Ecco dunque che la parola tace di fronte al «tacere da parte di Qualcuno che [...] è situato al di là dello spegnersi della parola, di ogni parola. Non nel nulla dell'insignificanza, ma nel nulla divino, nell'insondabile abisso...». Laddove la parola di Forte vuole raccontare il riverente abbandono della filosofia e si disdice in un supremo atto di adorazione, «A Te lode / il silenzio. / Il silenzio / di me...» (p. 55), Givone, interpretando, invoca: «Tu sia lodato, Silenzio» (p. 63).
    Fraternamente Caterina
    Laica Domenicana

 

 

Discussioni Simili

  1. Breve Introduzione alla Genetica Ondulatoria
    Di taxydriver nel forum Salute e Medicina
    Risposte: 0
    Ultimo Messaggio: 24-11-12, 17:46
  2. Heidegger, L'introduzione del nazismo nella filosofia
    Di Malaparte nel forum Destra Radicale
    Risposte: 4
    Ultimo Messaggio: 05-05-12, 21:33
  3. Risposte: 12
    Ultimo Messaggio: 21-03-06, 22:57
  4. Risposte: 0
    Ultimo Messaggio: 11-06-03, 15:41
  5. Risposte: 3
    Ultimo Messaggio: 17-05-03, 16:43

Permessi di Scrittura

  • Tu non puoi inviare nuove discussioni
  • Tu non puoi inviare risposte
  • Tu non puoi inviare allegati
  • Tu non puoi modificare i tuoi messaggi
  •  
[Rilevato AdBlock]

Per accedere ai contenuti di questo Forum con AdBlock attivato
devi registrarti gratuitamente ed eseguire il login al Forum.

Per registrarti, disattiva temporaneamente l'AdBlock e dopo aver
fatto il login potrai riattivarlo senza problemi.

Se non ti interessa registrarti, puoi sempre accedere ai contenuti disattivando AdBlock per questo sito