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Discussione: Teilhard de Chardin

  1. #1
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    Predefinito Teilhard de Chardin

    TEILHARD DE CHARDIN

    A cura di Diego Fusaro


    Chiedersi se l'universo si sviluppa ancora significa decidere se lo spirito umano è, o non è, tuttora in corso di evoluzione. Ora, a questa domanda io rispondo senza alcuna esitazione: sì.



    Pierre Teilhard de Chardin nasce a Sarcenat (Alvernia) nel 1881. Muore a New York nel 1955.
    Scienziato (paleontologo e geologo) , filosofo e teologo francese. Entrò nella Compagnia di Gesù nel 1899. Partecipò a spedizioni scientifiche importanti tra le quali quella in Cina del 1926 che portò alla scoperta del discusso sinantropo, l'ominide fossile vissuto nel Pleistocene medio (200-300.000 anni fa). Ampliò il campo della sua ricerca scientifica al dibattito cosmologico e teologico e ciò lo rese inviso agli ambienti ufficiali della chiesa cattolica. Tra le sue opere (tutte postume), meritano di essere menzionate: " Il fenomeno umano " (1955), " La comparsa dell'uomo " (1956), " La visione del passato " (1957), " L'ambiente divino " (1957), " L'avvenire dell'uomo " (1959). A cavallo tra Ottocento e Novecento un cattolico, Teilhard de Chardin, interpreta la prospettiva evoluzionistica avanzata da Darwin come processo non già privo di finalità specifiche, bensì governato da Dio, dando vita ad una specie di "evoluzionismo finalistico" che però non fu accettato dalla Chiesa (che anzi lo condannò severamente). Sarà invece Bergson ad accettare (con il concetto di "evoluzione creatrice") l'evoluzionismo e a depurarlo dagli elementi di meccanicismo e anche da quelli finalistici. Il pensiero di Teilhard de Chardin matura in un periodo di grande fermento scientifico in cui gli studiosi umanisti da un lato s'interrogano sul futuro della civiltà occidentale (Toynbee, Fourastier, Jaspers ecc) , il positivismo va in crisi e i fisici teorici fanno saltare le classiche sicurezze nei confronti della "realtà" aprendo il varco allo sgomento umano verso un universo che appare sempre più paradossale. Dopo aver citato le opere di Eddington, di Sir J. Huxley e di Ch. Galton-Darwin, Teilhard si meraviglia nel notare la debolezza delle basi su cui vengono fatte poggiare le loro anticipazioni del futuro. Egli cerca serie "estrapolazioni", primo passo verso una vera "scienza dell'avvenire". Alla concezione materialistica del darwinismo e del positivismo, egli oppose una cosmologia che assumeva sì il principio dell'evoluzione, anzi lo estendeva alla realtà spirituale, ma non sottoposta al puro determinismo e al puro materialismo. L'universo (verso l'uno) è la storia di un movimento globale del cosmo: il cosmo si è mosso, una volta, tutto intero, non soltanto "localiter" ma "entitative". E si muove ancora. La natura è "divenire", è "farsi". Il suo movimento passato è l'evoluzione fin qua, è la sua storia che si lascia ordinare in una progressione di forme sempre più complesse e perfezionate. Anche lo psichismo più elevato che conosciamo, l'anima umana, non sfugge a questa legge comune a tutte le cose. Ma, si chiede Teilhard, quale può essere il motore profondo dell'intera ascesa delle forme di vita? Teilhard rileva che la trasformazione morfologica degli esseri pare essersi rallentata proprio quando sulla Terra il pensiero faceva la sua comparsa. Considerando questa coincidenza insieme al fatto che l'unica direzione costante seguita dall'evoluzione biologica è stata quella del più grande cervello, ovvero della maggior coscienza, egli risponde alla sua stessa domanda ipotizzando che forse il motore dell'evoluzione è stato il "bisogno" di pensare, di conoscere. L'evoluzione pare dunque essersi "fermata" quanto a nuovi esseri e nuove forme. Ciò significa che avendo prodotto l'organo del pensiero (per l'appunto la coscienza) l'evoluzione procederà solo se la coscienza medesima, nell'uomo, svilupperà se stessa giungendo a percepirsi come ente universale responsabile di un movimento che non sarà più, come per il passato, tutt'uno con la trasformazione delle forme materiali, ma tutt'uno con il movimento autocosciente del pensiero. E poichè è l'uomo il veicolo ed il portatore di questa conquista universale che è costato al cosmo miliardi di anni di lavoro, è solo se l'uomo dirà sì al suo compito e alla sua responsabilità universale che l'evoluzione potrà proseguire. Perchè ciò accada è necessario che l'uomo si renda conto del valore biologico (morfogenetico) dell'azione morale e che ammetta la natura organica dei legami interindividuali. Teilhard legge anche la storia della coscienza e ancora una volta proprio nel movimento della coscienza fino ad oggi trova motivo di fede nell'avvenire dell'uomo e dell'universo: l'uomo d'oggi porta in sè, tra gli altri, Platone e Agostino ma mentre loro credevano in coscienza d'impegnare, attraverso l'esercizio del proprio pensiero e della propria libertà, una piccolissima parte di mondo quanto a spazio e durata, oggi un uomo che agisca alla massima coscienza possibile sa che la sua scelta ha una ripercussione su miriadi di secoli e di esseri viventi. Sente in se stesso le responsabilità e la forza di un Universo intero. Vi è un'azione umana che matura a poco a poco sotto la moltitudine degli atti individuali. La monade umana è da tempo costituita. Quella che si sviluppa è l'animazione (l'assimilazione) dell'universo da parte della monade, la realizzazione cioè di un pensiero umano consumato. Il secondo punto da rilevare è che rispetto agli avi, l'uomo di oggi può agevolmente farsi cosciente dei legami con i suoi simili e con la natura, e la sua coscientizzazione allarga la sua stessa personalità e il suo corpo reale: " i nostri padri si consideravano come interamente contenuti nei limiti dei loro anni terrestri e del loro corpo. Noi abbiamo fatto esplodere queste dimensioni ristrette e queste pretese. Umiliati e ingranditi dalle nostre scoperte, noi ci accorgiamo, a poco a poco, di essere avvolti in prolungamenti immensi; e, come risvegliati da un sogno, ci rendiamo conto che la nostra regalità sta nel servire, quali atomi intelligenti, l'opera in corso nell'universo ". La materia, secondo Teilhard, porta fin dalla sua origine la "coscienza" come principio organizzativo sicchè l'evoluzione non è processo deterministico, ma anche teleologico. L'evoluzione dalla pre-vita (mondo inorganico) alla vita ("biosfera") tende alla produzione del mondo dell'uomo e del pensiero ("noosfera") , come al suo culmine. L'uomo non è però il punto finale: l'universo e l'uomo tendono a un punto Omega: il Cristo cosmico, punto di aggregazione di tutta l'umanità. " Sarà l'opzione finale: un mondo che si ribella o un mondo che adora. Allora, su un atto che compendierà il lavoro dei secoli, su un atto (finalmente e per la prima volta totalmente umano), la giustizia passerà e tutte le cose saranno rinnovate ".


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  2. #2
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    L’UOMO?

    HA IL COMPITO DI COMPLETARE L’EVOLUZIONE.




    Introduzione a Teilhard de Chardin.



    Vi è una superba lettura "cristiana" dell'evoluzione elaborata non da un teologo, ma da un paleontologo oltre che geologo: si tratta della concezione del gesuita Teilhard de Chardin, una personalità di spicco della cultura francese del '900 (l'opera principale "Il fenomeno umano" è stata pensata e scritta dal 1938 al 1940). La legge fondamentale dell'evoluzione - un'evoluzione che anche per lui abbraccia non solo il mondo della vita, ma anche l'intero cosmo - è quella di "complessità-coscienza”. Per Theilhard de Chardin l'evoluzione consiste in un crescendo di "complessità": gli enti sono evoluti (o più evoluti di altri) in quanto sono "complessi" (o più complessi di altri). E la "coscienza"? E' l'effetto specifico della complessità: più un ente è complesso, più è cosciente.

    E qual è il supporto organico della coscienza? Il cervello: la perfetta organizzazione dei neuroni cerebrali. Con l'apparizione dell'uomo si ha una vera e propria "esplosione della coscienza" in quanto l'uomo arriva alla "riflessione": "la vita si è ipercentrata su se stessa, al punto di divenire capace di previsione e di invenzione. E' divenuta cosciente 'al secondo grado'" (vedi Agostino Cantoni, Il problema Teilhard de Chardin, Marzorati, pag. 52). Cosa ne dici?

    L'estensione della legge della complessità-coscienza mi pare una forzatura bella e buona, o - come si dice in gergo - un'estrapolazione indebita dall'ambito specificamente umano: come è possibile sostenere che la coscienza - anche se al livello inferiore - sia presente nelle piante o nei sassi?

    Una reazione legittima: tu ti rifiuti di pensare che la coscienza sia in qualche modo presente prima dell'uomo e, forse, non hai torto. Se però parliamo di una qualche forma di coscienza (certo meno lucida di quella umana), forse si potrebbe estenderla ad altri esseri viventi. In una concezione evoluzionistica è logico pensare che la coscienza umana sia il risultato di un lento processo evoluzionistico.

    Teilhard de Chardin non pensa, naturalmente, che le piante abbiano il grado di "coscienza" dell'uomo. Per lui la "coscienza" (o come lo chiama anche "psichismo") delle piante non è altro, in fondo, che equivalente a "spontaneità", "attività immanente" (cfr. la nozione di forma e di natura nel tomismo, nota mia) Teilhard de Chardin vuole sottolineare non solo la differenza (evolutiva), ma anche la continuità. Approfondiamo. Per Teilhard de Chardin la legge della complessità-coscienza viene estesa sia al passato della vita che al futuro dell'uomo: si tratta di una vera e propria legge "cosmica". Cosa ne dici?

    Ciò che è complesso - ha insegnato Aristotele - non può essere riducibile agli elementi di cui tale complesso è formato. In questa ottica mi pare poco scientifico far derivare il mondo della vita dalla materia inanimata: il mondo della vita sarà pure costituito, in ultima analisi, da elettroni, protoni... , ma non può essere un derivato da tali elettroni...!

    Il tuo riferimento ad Aristotele è corretto. Tu ritieni che la vita non sia riducibile alle particelle primarie di cui la vita è costituita. Si tratta di un punto di vista che è presente anche in Teilhard de Chardin: questi dice solo che vi è un crescendo evolutivo di complessità e di coscienza, ma questo non significa che la complessità della vita sia riducibile agli elettroni... di cui la vita è costituita.

    Teilhard parla di un "esterno" (le qualità e i legami fisici e misurabili della materia) e di un "interno" (equivalente di psichismo, spontaneità, autonomia): da un universo con un "interno" estremamente povero si è arrivati ad un universo con un interno ricchissimo. E' in questo contesto che Teilhard de Chardin parla di "spirito" come sinonimo di "interno", di "psichismo", di "spontaneità", di "coscienza". In questo senso "materia" e "spirito" sono due facce dello stesso universo. Cosa ne dici?

    Mi pare che Teilhard de Chardin ritorni al parallelismo spinoziano, una concezione incoerente con la legge della complessità-coscienza: come potrebbe lo spirito essere il risultato di un'evoluzione se è una faccia parallela dell'universo?

    Si può parlare qui di parallelismo alla Spinoza? Per il paleontologo, geologo e filosofo francese la presenza di un "interno", di uno "psichismo” nella materia inanimata (vedi anima come forma razionale del corpo, nota mia) è proprio ciò che gli consente di spiegare l'evoluzione della vita dalla materia inanimata - come l'evoluzione della coscienza umana dalla vita degli animali -.

    L'uomo - secondo Teilhard de Chardin - non è il centro statico dell'universo, ma la freccia dell'evoluzione: nell'uomo lo psichismo diventa "riflessione". In questo l'uomo, pur essendo il prodotto dell'evoluzione animale, si distingue da tutti gli animali: egli non solamente sa, ma sa di sapere. Siamo di fronte ad un evento assolutamente nuovo nella storia dell'universo, ad una "discontinuità": per la prima volta sulla faccia della Terra la coscienza si riflette su se stessa. Non si tratta, tuttavia, di una rottura col passato: vi è una "discontinuità" nella "continuità".

    L'evoluzione non si ferma con l'uomo, ma va avanti proprio grazie all'uomo. L'evoluzione procede con la "socializzazione": "un fenomeno di convergenza dell'umanità su se stessa in forza del quale viene superato l'individualismo per attuare una solidarietà di pensare, di volere, di agire, di produrre" (A. Cantoni, ib. pag. 80). Cosa ne dici?

    Mi pare una prospettiva inquietante: una solidarietà nel pensare e nel volere non costituisce una sorta di regime totalitario che distrugge la personalità dei singoli?

    E' un'impressione legittima. Teilhard de Chardin, comunque, si sforza di spiegare come la socializzazione non depersonalizzerà gli individui, ma al contrario li super-personalizzerà: la forza dell'amore - secondo lui - renderà gli associati capaci di realizzare imprese che sono impossibili ai singoli uomini.

    Si tratta di un processo di socializzazione irresistibile, ma anche di un processo che senza la volontà dell'uomo non potrà realizzarsi. L'uomo, quindi, non è solo il centro dinamico dell'evoluzione dell'universo, ma ha anche il compito di completare la stessa evoluzione. Teilhard de Chardin arriva a parlare di una convergenza ultima in un punto Omega, in altre parole con Dio, col Dio cristiano (il Dio dell'amore). Cosa ne dici?

    A questo punto mi pare che Teilhard de Chardin tradisca la sua ricerca "scientifica" per cadere nel mistero della fede, mistero che non ha nulla a che fare con un approccio scientifico.

    E' una reazione legittima: di sicuro qui Teilhard de Chardin trascende completamente l'ottica scientifica. Si potrebbe, forse, dire che un po' tutto l'impianto di Teilhard de Chardin, non è "scientifico": è scientifico estrapolare una legge - quand'anche fosse una legge quella della "complessità-coscienza” - dall'ambito biologico per estenderla alla materia inanimata ed all'avvenire dell'uomo?




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  3. #3
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    Predefinito Brevebiografia

    Pierre Teilhard de Chardin nacque il 1° maggio del 1881 ad Orcines, Francia, in seno ad una famiglia numerosa (undici figli) e profondamente cristiana. Sua madre gli trasmise la pietà, e suo padre l'inclinazione verso le scienze naturali.

    Dopo gli studi filosofici nella Compagnia di Gesù, insegnò fisica e chimica nel collegio gesuita del Cairo. La sua inclinazione verso la paleontologia ricevette approvazione ufficiale quando i Superiori lo spinsero ad ottenere il dottorato di ricerca (1914) a Parigi. Durante la Prima Guerra Mondiale fu mobilizzato in qualità di capo-barelliere. Tra una battaglia e l'altra compose Scritti in tempo di guerra, una riflessione profonda sul dolore fisico e spirituale delle persone e dell'umanità, che suscitò in lui una compassione cosmica. Nel 1923 iniziò le sue esplorazioni geologiche in Cina e nel resto dell'Asia, esplorazioni che configurarono il pensiero a cui Teilhard dette espressione in uno dei suoi libri più famosi: L'ambiente divino. Trovandosi in Cina durante la Seconda Guerra Mondiale (1939-1945) scrisse Il Fenomeno Umano che non poté pubblicare perché le autorità ecclesiastiche pensavano che contraddicesse l'interpretazione ortodossa del peccato originale e la gratuità della vita soprannaturale. In mezzo a queste difficoltà, i Superiori gli chiesero di abbandonare Parigi dove ricopriva alte cariche accademiche, una decisione che Teilhard accettò con profondo spirito di obbedienza. Stabilitosi a New York, dove visse il resto della sua vita, estese la sua indagine in Africa dove studiò il fossile Austrolopithecus.

    Riconosciuto uomo di scienza (geologia e paleontologia), pensatore originale sintetizzò l'evoluzione (cosmica ed umana) e gesuita di profonda spiritualità (attiva e mistica nello stesso tempo), Teilhard de Chardin fu oggetto di viva controversia. Nel 1958 il Padre Generale Janssens dovette comunicare alla Compagnia di Gesù che un decreto del Sant'Uffizio imponeva alle congregazioni religiose di ritirare le opere di Theilard dalle biblioteche. Rivalutato dopo la sua morte, le sue opere sono state tradotte in moltissime lingue, ed il suo pensiero ha aiutato molti ad incontrare la fede cristiana.



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  4. #4
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    Tutta l'opera di Teilhard de Chardin è invece intrisa dalla aspettativa messianica di uno scopo evolutivo, suffragato non solo dalla fede ma anche -e soprattutto- dalla scienza.
    Il gesuita nota infatti che la trasformazione morfologica degli esseri pare essersi rallentata proprio in concomitanza con lo sviluppo della facoltà umana del pensare.

    Sono individuabili quindi tre momenti dell'evoluzione:
    dal mondo organico, alla vita ("biosfera"), al pensiero ("noosfera") con l'evoluzione finale verso il "Punto Omega" che -come abbiamo già detto- il de Chardin chiama "Cristo Cosmico".

    Nella sua opera "L'Ambiente Divino" così si esprime:

    "...l'uomo scopre, per usare una forte espressione di Julian Huxley, di non essere altra cosa se non l'evoluzione divenuta cosciente di sé stessa".

    Opere (tutte postume):

    "Il fenomeno umano" Edizioni Queriniana ,1995
    "L'apparizione dell'uomo" (1979) Il Saggiatore, 1979
    "La visione del passato" (1973) Il Saggiatore, 1973
    "L'ambiente divino" (1994) Edizioni Queriniana, 1994
    "Il futuro dell'uomo" (1972) Il Saggiatore, 1972
    "L'energia umana" (1997) Edizioni Pratiche, 1997
    "Il posto dell'uomo nella natura" (1970) Il Saggiatore, 1970
    "La scienza di fronte a Cristo. Credere nel mondo e credere in Dio" (2002) Edizioni. Il Segno dei Gabrielli, 2002
    "La mia fede" (1973) Edizioni Queriniana, 1973
    "Le direzioni del futuro" (1996) Edizioni SEI, 1996
    "La vita cosmica" (1970- 1982) Il Saggiatore, 1970 e 1982
    "Il cuore della materia" (1993) Edizioni Queriniana, 1993
    "Realizzare l' uomo" (lettere 1926/52) (1974) Il Saggiatore, 1974

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    Teilhard de Chardin: l'unità di spirito e natura come comprensione del senso della storia

    1. La provata inutilità del paradigma dualistico

    Scienziato, gesuita, mistico e filosofo, Pierre Teilhard de Chardin è l'interprete di un naturalismo che non è solo osservazione di ciò che è il dato visibile della realtà naturale, ma è anche la percezione di un sensibile che nasconde e nello stesso tempo rivela la divinità.

    Teilhard de Chardin è lo scrittore, il pensatore, l'instancabile divulgatore di un ideale che da secoli attira le riflessioni di filosofi, teologi e scienziati: il possibile incontro tra fede e scienza, due mondi da sempre lontani, apparentemente irraggiungibili l'uno per l'altro, ma che a ben vedere risultano intrinsecamente uniti. Il centro della loro unione, il Punto Omega, come lo chiama il padre gesuita francese, sta nell'assoluto, che permea di sé ogni cosa, materiale e spirituale, la cui ricerca ha impegnato l'intera vita di Teilhard, sin dalla sua fanciullezza, come egli stesso ama ricordare: «Se, sin dall'infanzia, e da allora con una pienezza e una convinzione crescenti, ho sempre amato e scrutato la Natura, posso dire che l'ho fatto non da scienziato ma da «devoto». In me, forse, ogni tensione, anche se mirante a un oggetto naturale, è stata da sempre una tensione religiosa e sostanzialmente unica. Ho coscienza di avere, sempre e in tutte le cose, cercato di raggiungere un qualche Assoluto. Credo che, per un'altra meta, non avrei avuto il coraggio di agire. Scienza (cioè tutte le forme dell'attività umana) e Religione sono state sempre ai miei occhi una medesima cosa, l'una e l'altra essendo per me la ricerca di uno stesso Oggetto».1

    Due sono le opere più importanti di Teilhard: l'Ambiente Divino (1926-27), frutto di una meditazione mistico-ascetica, e il Fenomeno Umano (1938), scritto dal carattere pienamente filosofico, in cui espone la sua teoria dell'evoluzione.

    Già, l'evoluzione (o deriva, come spesso preferisce chiamarla). Essa si scopre come il principio ermeneutico della sua filosofia, che aveva scoperto quando aveva poco più di vent'anni, grazie alla lettura dell'Evoluzione creatrice di Henri Bergson, il filosofo nel quale aveva colto un valido sostegno per la negazione della staticità della natura e, soprattutto, per il superamento del dualismo cartesiano. Sono sue parole:

    «È [...] facile indovinare la mia impressione interiore di liberazione e di espansione quando, sin dai primi passi ancora esitanti in un Universo «evolutivo», mi resi conto che il dualismo in cui mi avevano intrattenuto sino allora si scioglieva come la nebbia al sol levante. Materia e Spirito: non già due cose, -- ma due stati, due facce di una stessa Stoffa cosmica, secondo che la si guarda o che la si prolunga, nel senso in cui (avrebbe detto Bergson) essa si fa, oppure nel senso contrario in cui si disfa».2

    L'esigenza di ricondurre ad unità ciò che Cartesio aveva separato fa di questo autore non tanto un filosofo nel vero senso della parola, qualità questa che non è difficile attribuirgli dopo la lettura del Fenomeno umano, quanto un profondo innovatore, anticipatore di questioni che riguardano da vicino i nostri tempi.

    Da più parti, in filosofia come nelle scienze, soprattutto in biologia, si avverte il bisogno di riaprire la questione che Cartesio riteneva di aver definitivamente chiuso con la sua distinzione tra res cogitans ed res extensa. Tornano di attualità problemi quali la natura della mente, la distinzione tra fatti di natura mentale e fatti di tipo fisco, il rapporto tra spirito e corpo, che risalgono all'epoca di Cartesio, ma anche di Leibniz e Spinoza, anche se oggigiorno vengono rivestiti di significati espressi secondo una terminologia nuova, alla luce delle riletture filosofiche e soprattutto degli innumerevoli risultati scientifici, che richiedono un linguaggio avanzato, più specialistico.

    In filosofia della mente, ad esempio, la volontà di superare il problema del rapporto mente-corpo e della possibile interazione di questi due mondi, si evidenzia con una intensità tale da far evolvere, anche in spazi di tempo molto brevi, argomentazioni e posizioni interpretative dalle inspirazioni e dagli obiettivi abbastanza variegati, che nella gran parte dei casi, nonostante la comune base di partenza, rappresentata dal volersi liberare della netta distinzione cartesiana, raggiunge come risultato ultimo l'affermazione di un «monismo filosofico» che si regge sul presupposto fondamentale dell'unicità sostanziale del mondo: il reale si caratterizza per la presenza non di due tipi diversi di fenomeni, la mente da una parte e il corpo dall'altra, ma di una sola sostanza. Si potrebbero citare a questo proposito John Eccles, neurobiologo e premio Nobel, che propone l'esistenza di un'anima che Dio attribuisce al feto già dalla terza settimana dal concepimento, ma anche G. Ryle e C.G. Hempel, appartenenti alla corrente materialista del comportamentismo, i quali riducono gli stati della mente a degli schemi di comportamento.

    La soluzione del problema che Cartesio riteneva di aver trovato viene oggi da più parti ritenuta inattuale, se non altro perché non vi è più la necessità di trovare un ambito specifico, indipendente ed autonomo per la scienza della natura, che all'epoca del filosofo francese rappresentava invece il principio, il primo passo da cui partire per costruire qualsiasi sistema filosofico e per giungere alle scoperte scientifiche.

    Ma per Cartesio tutto ciò era un problema irrimandabile, ed a lui va il merito di aver aperto la strada alla scienza. Oggi però ci si chiede: è ancora utile la soluzione dualistica? È ancora conveniente? A chi ed a cosa giova?

    Secondo Hans Jonas, ebreo, allievo di Heidegger e autore di diverse pubblicazioni nell'ambito dell'antropologia filosofica, con la rivoluzione scientifica e l'impostazione del dualismo cartesiano, il pensiero occidentale si è sin qui caratterizzato per la separazione tra uomo e natura, una separazione che spiega lo scarso interesse che si avverte per il mondo circostante e la mancanza di un impegno etico e sociale. Il rapporto tra l'uomo e la natura va ripensato e recuperato studiando biologicamente gli organismi, comprendendo sino in fondo, come mai è stato fatto, il principio della vita, che si manifesta a partire dal mondo organico, che prefigura lo spirito sin dalle sue forme più elementari, per arrivare alle sue manifestazioni più alte, all'uomo. 3

    Gregory Bateson, sociologo, antropologo, psichiatra, autore del celebre libro Verso un'ecologia della mente, tradotto in tutte le lingue, si oppone strenuamente a quella vasta schiera di scienziati che tentano di «ridurre» ogni cosa alla pura realtà matematicamente osservabile, e introduce il concetto di mente all'interno delle stesse equazioni scientifiche, perché essa è la parte costituente della materia e di conseguenza non ha alcun senso cercare di scindere la mente dalla realtà: «Se noi continueremo -- scrive Bateson -- ad agire in termini del dualismo cartesiano mente-materia, continueremo probabilmente anche a vedere il mondo in termini di contrapposizioni come: Dio-uomo, aristocrazia-popolo, razze elette-altre razze, nazione-nazione; e uomo-ambiente. È dubbio che una specie che possiede sia una tecnica avanzata sia questo strano modo di vedere il proprio mondo possa durare a lungo».4

    Jonas e Bateson scrivono tra la fine degli anni '60 e l'inizio degli anni '70 del '900. Il Cuore della Materia, una delle opere teologiche di Teilhard de Chardin, a cui appartiene il passo più sopra riportato, è invece del 1950, anche se c'è da dire che l'immagine di un dualismo che si scioglie «come la nebbia al sol levante» iniziava a farsi viva nella mente di Teilhard già nel periodo della letture evoluzionistiche, quindi agli inizi del secolo. Ciò testimonia il notevole anticipo con cui egli è giunto alle medesime conclusioni degli altri autori appena citati. E l'originalità di Teilhard si fa ancora più evidente se si osserva che egli parte da una posizione teologica, quindi percorre una strada molto più impervia, dove ad accompagnarlo vi è il suo «pensare da religioso», in un ambiente tradizionalista ed «ortodosso» qual è quello ecclesiastico.

    Vale la pena, per rimarcare questa importante intuizione teilhardiana, riportare un altro passo cruciale de Il Cuore della Materia, che è una sorta di confessione:

    «Sino a quel momento, per educazione e per religione, avevo sempre docilmente ammesso -- per altro senza riflettervi a lungo -- una fondamentale eterogeneità tra Materia e Spirito. -- Corpo ed Anima, Inconscio e Cosciente: due «sostanze» di natura diversa, due «specie» di Essere, incomprensibilmente associate nel composto vivente. E bisognava ad ogni costo -- così mi assicuravano -- tener fermo il principio che la prima (la mia divina Materia) era solo l'umile serva (per non dire l'avversaria) della seconda. Quest'ultima (vale a dire lo Spirito) si trovava pertanto ridotta, ipso facto, ai miei occhi, ad essere solo più un'ombra che si doveva certo venerare per principio ma per la quale (emotivamente d intellettualmente parlando) non provavo in realtà nessun interesse vivo».

    Questo innaturale, come può essere ogni cosa ricevuta solo per educazione, disagio nel «sentire» il corpo come servo dell'anima viene a cessare nella fervida mente di Teilhard nel momento in cui egli scopre il valore esaltante ed onnicomprensivo dell'evoluzione.

    2. L'unità universale come futuro del mondo

    A questo straordinario fenomeno è assoggettato l'intero universo. Un unico, inarrestabile movimento di crescita coinvolge tutto, sin dalle più remote tracce di vita sulla terra e fino al graduale perfezionamento degli esseri viventi, della loro struttura corporea e cerebrale. L'universo è dinamicamente proteso verso il futuro; la sua è una continua novità, un inarrestabile progredire che investe il mondo vivente ma anche quello non vivente, nella sua totalità. Con competenza scientifica e rigore logico Teilhard scrive:

    «Da qualche tempo gli astronomi fanno questione di un Universo in via di espansione dell'Immenso. In maniera altrettanto scientifica, e con un sovrappiù di verità, perché non parlare di un Universo in corso di avvolgimento nel Complesso? I due modi di vedere (perfettamente conciliabili fra di loro) sono, sia l'uno che l'altro, precisamente oggettivi e puri rispetto a qualsiasi finalismo indebito. Ma il secondo, così sembra, si spinge molto più lungi e più in profondità del primo. Se infatti l'espansione esplosiva della Materia nello Spazio ci può istruire sulla distribuzione delle galassie e delle stelle, di contro un processo di complessificazione e di centrazione del Tessuto cosmico su se stesso ci consente di seguire e di registrare, per mezzo della crescente granulazione di questo tessuto, la correlativa ascesa della interiorizzazione, vale a dire dello psichismo, nel Mondo. Ora, questo spostamento simultaneo nell'Organico e nel Conscio ha buone possibilità di essere il movimento essenziale e specifico dell'Universo».5

    Due sono dunque le direzioni in cui evolve l'universo: lo spazio e la complessità biologica. L'evoluzione, però, non rimane una realtà di tipo biologico e zoologico perché è di una portata immensa, è un'invasione del «tutto».

    A nulla valgono, sostiene Teilhard, e qui sta la sua vera e convinta adesione al programma della scienza, i tentativi dei «conservatori» che continuano a considerare i naturalisti responsabili di una «teoria perversa» come quella riguardante l'evoluzione. La fisica nucleare, la fisica siderale, la chimica «sono adesso e sempre maggiormente evolutive, a loro modo s'intende. E almeno altrettanto lo è l'intera storia della civiltà e delle idee».6

    Le diverse tappe che la storia biologica dell'universo ha attraversato sono descritte nel Fenomeno umano, il capolavoro di Teilhard de Chardin. La prima di queste tappe è la Previta (o Cosmogenesi), comprendente un periodo lunghissimo che dall'origine dell'universo si è protratto fino alla comparsa della vita, in cui si ebbe la formazione degli atomi che, raccogliendosi in enormi quantità, diedero origine alle stelle e, attraverso queste, grazie all'energia prodotta dalle reazioni di fusione atomica, alle molecole che diedero vita ai pianeti vita, molecole che da semplici divennero sempre più complesse fino a formare quelle organiche, da cui derivarono per condensazione le prime forme viventi.

    La Vita (o Biogenesi) rappresenta la seconda tappa e comprende il periodo che dalla comparsa della vita va a quella dell'uomo.

    Il tema dell'apparizione della vita affascina molto Teilhard, al punto da spingerlo verso una elaborazione di concetti e interpretazioni veramente attuali. Teilhard sosteneva ciò che noi oggi sappiamo con certezza, e cioè che ogni sostanza di cui una cellula è composta avrebbe una sua autonoma esistenza anche a prescindere dall'esistenza della cellula. Ogni sostanza, infatti, esisteva nella Previta e può essere riprodotta per via artificiale anche in laboratorio. Ciò che fa nascere la vita è l'organizzazione delle sostanze in modo da assumere la capacità di autoesistere nello scambio con l'esterno.

    Quella del vivente, al contrario di quella del non vivente, è un'esistenza aperta, nel senso che l'essere vivente è in un continuo rapporto con l'esterno. La caratteristica primaria del vivente sta nella «straordinaria complessità» degli elementi su cui è strutturato e nella capacità di mantenerli costanti anche al variare dell'ambiente esterno. Nella cellula, dunque, nella sua complessità, risiede il segreto della vita. In essa «a un tempo così una, così uniforme e così complicata, è in definitiva la Stoffa dell'Universo che riappare con tutte le sue caratteristiche».7

    Proseguendo nell'analisi della storia biologica del mondo, Teilhard individua una terza tappa, quella del Pensiero (o Noogenesi, indicando col termine «noosfera» l'insieme di tutti gli esseri intelligenti che popolano il pianeta Terra). Qui Teilhard si diverte ad arricchire il discorso con valutazioni ed elementi di giudizio che gli provengono dalla sua formazione paleontologica. Si sofferma, infatti, sulla misura della grandezza del cervello dell'uomo, che è andata via via crescendo dall'Australopithecus, che aveva una capacità cerebrale di 500 centimetri cubi, fino all'Homo sapiens, che può contare su ben 1500 centimetri cubi di cervello. È proprio questa capacità cerebrale dell'uomo attuale che permette la nascita del pensiero, la cui caratteristica fondamentale non è la conoscenza che, anche se in forme diverse, è presente negli altri animali, ma la capacità all'autocoscienza, alla riflessione, al «sapere di sapere».

    Il pensiero autocosciente dà vita alle diverse culture umane, da cui scaturisce un'ulteriore processo evolutivo che conduce alla quarta ed ultima tappa, la Supervita. Essa rappresenta lo stadio finale raggiunto dall'unione dei cervelli, consisterà in un mondo sempre più integrato e, come le cellule che unendosi e raggiungendo un certo grado di complessità diedero vita al cervello, così le persone, organizzate ed integrate, daranno origine ad un mondo sempre più unito ed omogeneo, al punto di trasformarsi nella pienezza dell'amore di Dio.

    Sta in questa unità tra gli uomini, dunque, il futuro del mondo. All'uomo non resta che favorire questa unità, attraverso il dialogo, l'abbraccio con la natura. Una scelta contro natura dell'uomo non può avere alcun senso, perché va contro il divenire della storia, che trova il suo compimento definitivo nell'amore unanimemente condiviso, il Punto Omega. Dio è dunque l'esito finale dell'evoluzione, un Dio che non è un'entità impersonale o distinta dal mondo, ma una «superpersona», un «superamore» mescolato con esso, che «sintetizza la folla degli altri amori della Terra».

    Teilhard, come si può notare, pone Dio non tanto all'inizio quanto alla fine della storia dell'universo, come apice di attrazione di tutta la realtà, ed è cosciente di farlo da un punto di vista cristiano, anche se riconosce, e qui vi è una grande apertura intellettuale del teologo di Clermont-Ferrand, che l'idea di «un vero ego al vertice del mondo», volto a «consumare, senza confonderli, tutti gli ego elementari della Terra», è condivisa dalla cultura laica («compie pure altrove il suo cammino»), come afferma in L'avvenire dell'uomo:

    «Non è forse Camus che ha scritto in Sisyphe che «se l'uomo riconoscesse che l'Universo è capace di amare, egli sarebbe riconciliato»? E non è forse Wells che fa esprimere al suo interprete, il biologo umanitario Steele (Anatomy of Frustration), la nostalgia di trovare, al di sopra e al di là dell'uomo, qualche "Universal Lover"?».8

    L'aspetto forse più importante che la visione teilhardiana della storia fa emergere è questa «spiritualizzazione progressiva della Materia», che si spiega con la prefigurazione di un Punto Omega come compimento e sintesi di tutti gli enti del mondo, il quale progressivamente si unisce con Dio, che diventa il «Dio tutto in tutti», come è scritto nell'Ambiente Divino, l'opera che mostra un universo «mosso e compenetrato da Dio nella totalità della sua evoluzione». La spiegazione del divino non in rottura con il mondo fisico, ma in unione con esso, è un dato che ci è possibile registrare abbastanza semplicemente, una realtà che balza dinanzi ai nostri occhi nel momento in cui serenamente riflettiamo sui rapporti «sconcertanti» che intercorrono tra lo spirito e la materia: «Se c'è un fatto ben stabilito dall'esperienza, è quello -- scrive Teilhard -- secondo cui più uno psichismo è elevato, presso tutti i viventi che conosciamo, più esso appare legato a un organismo complesso. Più l'anima è spirituale, più il suo corpo è molteplice e fragile [...]. Mi è parso che, lungi dall'essere una relazione paradossale o accidentale, essa potesse tradire la costituzione segreta delle cose. Invece di considerarla una difficoltà, un'obiezione, l'ho trasformata nel principio stesso di spiegazione delle cose».9

    L'ipotesi della presenza di «Dio tutto in tutti» non poteva non provocargli qualche problema sul piano dell'ortodossia. L'accusa più «naturale» che gli si poteva muovere, e gli fu effettivamente mossa, fu quella di essere panteista.

    Verso questo non trascurabile problema, però, Teilhard dimostra sin dal suo sorgere quella sicurezza tipica di chi riesce a presagire le immediate conseguenze delle proprie teorie e sa quindi prevenire in tempo eventuali «difficoltà d'interpretazione». Nell'ultima pagina del Fenomeno umano, infatti, egli non esita ad affermare che se, a proposito della sua dottrina, di panteismo si deve per forza parlare, è bene che lo si giudichi come un panteismo legittimo: «Se, in fin dei conti, i centri riflessi del mondo non costituiscono effettivamente altro che «uno con Dio», tale stato si ottiene non per identificazione (Dio che diventa tutto), ma per azione differenziante e comunicante dell'amore (Dio tutto in tutti), il che è essenzialmente ortodosso e cristiano».

    Più che una precisazione, per così dire, «forzata», frutto cioè della cautela da parte di un Teilhard che tutto voleva tranne che urtare la suscettibilità ecclesiastica, salda com'era la sua fede cristiana, questo sembra un voler rimarcare la coerenza del suo pensiero anche sul piano della fede. Non a caso egli usa parecchio l'espressione ambiente divino, con cui addirittura intitola una delle sue opere più significative. L'ambiente divino è il mondo, la realtà naturale e materiale (una delle frasi celebri dell'autore è: «la materia è lo sgabello di Dio»10), che è interamente pervaso, penetrato, non solo illuminato (la luce divina «non è la superficiale sfumatura che una sensibilità elementare può cogliere»11) dall'amore di Dio, così da trasfigurarlo in lui. Il mondo, per Teilhard, «traspare» in Dio, e questa trasparenza del mondo in Dio (diafanìa) ha un significato mistico di gran lunga superiore alla presenza di Dio nel mondo (epifanìa).

    3. Il ritorno alla natura e il richiamo alle filosofie rinascimentali

    Il Fenomeno Umano, l'opera a cui Teilhard tiene di più, è quella non solo dell'incontro del «corporeo» con lo «spirituale» e col «divino» ma anche dell'affermazione dell'amore, di cui va considerata la valenza sentimentale, accanto, però, alla sua presenza effettiva nella realtà biologica, e non limitatamente all'uomo.

    L'amore, secondo Teilhard, va visto e sentito «nel suo dinamismo naturale e nel suo significato evolutivo», come «affinità dell'essere per l'essere», che è proprietà generale di ogni vita e «a questo titolo assume la varietà e i gradi di tutte le forme successivamente presentate dalla materia organizzata».12

    Qui affiorano significative analogie con le filosofie naturalistiche rinascimentali, visibili, se si vuole, già negli influssi panteistici che tanto riecheggiano l'impostazione bruniana della vita-materia-infinita. D'altra parte, l'avere individuato nel superamento del dualismo cartesiano la base di partenza per l'apertura di nuove possibilità all'uomo di portare avanti il suo cammino di comprensione di se stesso e della sua storia, ha finito per indurre Teilhard, non si sa se consapevolmente, alla riscoperta di un patrimonio di ideali e valori che hanno preceduto Cartesio e che si richiamano alla corrente filosofica del naturalismo rinascimentale.

    Il tema dell'amore, tanto caro a Teilhard de Chardin, richiama insistentemente l'interpretazione di Tommaso Campanella, anche se non è l'unica argomentazione del padre gesuita che in una qualche misura rinvia ad un aspetto dell'indagine filosofica dell'autore della Città del Sole.

    Non si sa se Teilhard abbia mai letto Campanella. Il suo grande interesse per la natura e l'esigenza da lui fortemente avvertita di superare il dualismo cartesiano, che ha separato l'uomo dal suo ambiente, conducendolo gradualmente verso una posizione di dominio sulla natura, fa pensare a qualche simpatia del pensatore francese verso la scientia naturalis del Rinascimento inaugurata da Bernardino Telesio, se non altro per la riscoperta del valore dell'unità inscindibile dell'uomo con la natura, una natura che, secondo i naturalisti rinascimentali, proprio in virtù dell'unità, era capace di vivere, sentire, creare.

    Del resto, la stessa questione cosmologica, verso cui Teilhard si mostra profondamente sensibile, appare come un forte richiamo alle teorie di Telesio ma anche di Bruno. L'enorme attrazione verso il millenario problema dell'origine dell'universo, della potenza e dell'immensità del creato non può non accomunarlo a questi pensatori, e perché no, anche a filosofi ed ai cosmologi precedenti, quali Cusano, Ficino e Pico della Mirandola. È ovvio, comunque, che l'elaborazione di tematiche come queste è basata su un bagaglio di conoscenze scientifiche imparagonabile a quello che si poteva possedere tra '400 e '500. Ed è inutile precisare che tra Cusano e Teilhard vi sono secoli di conquiste in campo scientifico, logico e matematico tali da rendere vano un eventuale raffronto tra i rispettivi modelli di studio della natura.

    Ad ogni modo, leggendo il Fenomeno umano, ma anche qualche passo delle opere minori, immediatamente vengono in mente immagini che si ha la sensazione di aver già visto descritte da qualche parte, con lo stesso «pathos», la stessa energia intellettiva. Immagini ed emozioni che con Teilhard ritornano prepotentemente, a distanza di trecento anni, per riprendersi lo spazio che forse troppo in fretta e ingiustamente era stato loro sottratto.

    Molti sono gli spunti che permettono di evidenziare un parallelismo tra la riflessione di Teilhard e quella di Campanella, che preparò il terreno al Galilei, nella cui coscienza il calabrese, insieme a Telesio, fu presente «nella sua funzione limitata, ma essenziale, di distruttore delle vecchie impalcature della filosofia tradizionale».13

    Teilhard de Chardin considerava l'amore come «una proprietà generale di ogni vita», ossia di tutto ciò che si presenta come «materia organizzata». Ebbene, per Campanella l'amore rappresentava una delle primalità (le altre due erano la potenza e la sapienza, tutt'e tre imprescindibilmente legate) che permea di sé ogni ente della natura. È dato riscontrare l'amore in ogni cosa di questo mondo.

    Nella Metaphysica, un'opera in diciotto libri del 1638, Campanella scrive che tra tutti gli enti, sia quelli tradizionalmente considerati viventi che quelli privi di vita, vi è come un reciproco sentimento di attrazione e repulsione tale da far pensare che l'amore sia dappertutto: «l'antipatia e la simpatia di tutte le cose dimostrano chiaramente che in esse tutte si trova l'amore».14

    Una tale concezione è figlia di un panvitalismo di fondo che caratterizza il pensiero campanelliano, sostenuto soprattutto nell'opera Del senso delle cose e della magia (1636), che è una sorta di compendio del pensiero del filosofo calabrese. Qui egli afferma che tutto «sente», anche il fuoco, l'acqua, le pietre, tutti «sentono», altrimenti il mondo sarebbe solo caos, «perché il fuoco non andaria in alto, né l'acqua al mare, né le pietre caderieno in giù, ma ogni cosa dove fusse posta si rimarrebbe, non sentendo la sua destruzione tra contrarii, né la conservazione tra simili».15 Anche i pianeti possiedono la capacità di sentire. La luna, ad esempio, sente perché «gonfia li mari e fa varie mutanze con varia luce; e le cose umide sentono più quell'effetto che le secche. Il sole fa le mutanze ordinarie e grandi, ma la luna queste picciole, col calor blando gonfiando e non attenuando, e da queste antipatie e simpatie del mondo senso e consenso esserci si prova».16

    A parte gli animali, dei quali è più facile comprendere la qualità del sentire, Campanella riconosce l'attitudine ad amare anche nelle piante, che nascendo, nutrendosi, crescendo, facendo figlioletti e semi come gli animali, si può osservare come siano accomunate da profonda amicizia e, come accade per gli esseri dotati di sistema cerebrale, anche da inimicizia. Scrive Campanella, attingendo al patrimonio di conoscenze acquisito da fanciullo dalla cultura contadina calabrese: «Di più ci è amicizia e nemicizia tra loro, perché li cavoli sono nemici delle viti e si struggono stando insieme; e chi non vuole imbriacarsi, con succo di cavoli bevuto vince e attuta il vapor del vino. I lupini sono nemici delle gelse, l'ulive sono amiche delle mortelle, e bene allignano insieme le viti con l'olmi. E si vede con quant'arte fa le mani ogni flessibile pianta per legarsi con la sua amica; e l'edere fan le barbe e si ficcano dentro le scorze delle quercie [...]».17

    Neanche ai metalli e alle pietre è preclusa la possibilità di fare amicizia, poiché «ogni cosa che si nutrisca tira a sé il nutrimento, non d'ogni sostanza e qualità, ma di quella che ad essa è simile, e rifiuta il contrario, anzi vomitano gli escrementi il ferro e il rame, onde più si comprova il loro senso; ma la calamita, che al polo tira, ci fa prova di gran senso, e così il ferro che a quella s'accosta e muove».18

    Un'altra importante analogia tra Teilhard è rappresentata dalla concezione del fuoco come principio dell'universo, origine e fine di ogni cosa.

    Quello di Teilhard è un vero e proprio inno al fuoco. È bene però premettere che in merito a questo argomento traspare limpida l'ispirazione eraclitea, che si manifesta in particolar modo nell'attribuzione al fuoco di una sorta di «razionalità cosmica», che è una caratteristica propria della divinità. Nell'Inno dell'Universo, Teilhard parla di un fuoco che è «al di sopra del Mondo» e «nel Mondo», come principio sovrano e fonte inesauribile di vita. Ecco due dei passi più significativi:

    «Il Fuoco: siamo dominati dall'illusione tenace che questo principio dell'essere sorga dalle profondità della Terra, e che la sua fiamma si accenda via via lungo la brillante scia della vita [...] In principio, non vi era freddo, non vi erano le tenebre. In principio, vi era il Fuoco. Ecco la Verità [...] Il Fuoco ha compenetrato la Terra. Non è caduto fragorosamente sulle cime, come il fulmine nella sua violenza. Ha forse bisogno di sfondare la porta il Maestro che vuole entrare nella propria casa? Senza scossa, senza tuono, la fiamma ha illuminato tutto dall'interno. Dal cuore dell'atomo più infimo all'energia delle leggi più universali, essa ha invaso, uno dopo l'altro e nel loro insieme, ogni elemento, ogni meccanismo, ogni legame del nostro Cosmo in modo così naturale che questo, potremmo credere, si è spontaneamente incendiato».19

    Ancora, con riferimento questa volta alla morte, Teilhard, scrive:

    «Essa ci farà subire la dissociazione attesa. Ci porterà allo stato organico richiesto perché si precipiti su di noi il Fuoco divino. In questo modo, il suo nefasto potere di decomposizione e di dissolvimento verrà captato in vista della più sublime delle operazioni della Vita. Ciò che per natura era vuoto, lacunoso, ritorno alla pluralità, può diventare, in ogni esistenza umana, pienezza e unità di Dio».20

    Così invece Campanella, nella Metafisica, rendendo superflua ogni ulteriore analisi comparativa:

    «Il mondo è stato creato non per caso, ma da Dio; non dall'eternità ma dall'inizio del tempo; non da una materia preesistente o dalle rovine di un altro mondo, ma dal nulla; ed esso si dovrà dissolvere per mezzo del fuoco».21

    Tra i tanti messaggi che l'opera di Pierre Teilhard de Chardin ci ha lasciato, ce n'è uno di cui più degli altri si ode ancora una profonda eco, quello dell'abbraccio rinascimentale tra uomo e natura.

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    Monitum del Sant'Ufficio
    contro Theilard de Chardin



    "Certe opere del P. Pietro Theilard de Chardin, comprese anche alcune postume, vengono pubblicate ed incontrano un favore tutt'altro che piccolo (affatto disdicevole).

    Indipendentemente dal dovuto giudizio in quanto attiene alle scienze positive, in materia di Filosofia e Teologia si vede chiaramente che le opere menzionate racchiudono tali ambiguità ed anche errori tanto gravi, che offendono la dottrina cattolica.

    Di conseguenza, gli Eccellentissimi e Reverendissimi Padri della Suprema Congregazione del Santo Ufficio esortano tutti gli Ordinari e i superiori di Istituti Religiosi, i Rettori di Seminari e i Direttori delle Università, a difendere gli spiriti, particolarmente dei giovani, dai pericoli delle opere di P. Theilard de Chardin e dei suoi discepoli.

    Dato in Roma, nel Palazzo del Santo Ufficio, il 30 giugno 1962.

    Sebastiano Masala, Notaio".


    Pierre Teilhard de Chardin
    e il suo pensiero sul piano filosofico e religioso




    Sono passati sette anni dalla morte di P. Pierre Teilhard de Chardin e la sua fama è sempre più viva.

    I suoi discepoli e ammiratori continuano ad esaltarne la figura sul piano umano e religioso. Molti di loro ne esaltano il non comune valore sul piano scientifico.

    Invece i pareri di altri studiosi sono discordi nel giudicare il suo tentativo di sintesi cristiana del sapere. Le divergenze diventano maggiori alla lettura delle opere postume, pubblicate finora, e di quelle diffuse privatamente tra gli ammiratori del Teilhard (1).

    Ci si può associare a quanti riconoscono la retta intenzione dell'uomo e il contributo da lui dato alle ricerche scientifiche, in particolare a quelle paleontologiche.

    Però, non si può fare a meno di rimanere perplessi prima, dissenzienti poi, quando le opinioni del P. Teilhard de Chardin dal puro campo scientifico si estendono al campo della filosofia e della teologia.

    Un recente libro del P. de Lubac sul pensiero religioso del P. Teilhard de Chardin (2) (di cui parleremo più avanti) contiene certe critiche al metodo usato dal Teilhard de Chardin, per esempio che le analisi concettuali contenute nei suoi saggi sono talvolta difettose, perché quando tratta le grandi questioni che preoccupano ogni uomo, le categorie, le nozioni e i termini da lui usati portano la caratteristica dell'ambiente scientifico che gli era familiare. L'atmosfera che egli respirava era quella delle scienze naturali (3).

    Per noi questo difetto metodologico è grave e fondamentale, perché Teilhard de Chardin fa troppo spesso un'indebita trasposizione sul piano metafisico e teologico dei termini e (lei concetti della sua teoria evoluzionistica; trasposizione che è una delle cause delle ambiguità concettuali e, diciamolo pure, degli errori che si trovano nelle opere di Teilhard, sia in quelle edite che in quelle policopiate o comunque diffuse in altro modo.

    Incominciamo col concetto di creazione.

    Nel saggio inedito (ma conosciuto da parecchi) del 1950 “Le Coeur de la Matière”, si legge: “Dans le monde, objet de la Création, la Métaphysìque classique nous avait accoutumés à voir une sorte de production extrinsèque, issue par bienveillance débordante de la suprème efficience de Dieu. Invinciblement - et tout justement pour pouvoìr à la fois pleinement agir et pleinement aimer - je suis amene à y voir maintenant (conformément à l'esprit de Saint Paul) un mysterieux produit de complétion et d'achèvement pour l'Ettre absolu lui-méme. Non plus l'Etre participé de plérómisation (4) et de convergence. Effet non plus de causalité, mais d'Union, créatrice”.

    Union créatrice è un concetto che ritorna spesso in Teilhard. “L'action créatrice, c'est-à-dire unificatrice de Dieu” si legge in un articolo “L'Esprit nouveau et le còne du temps” su “Psyché” (5). Ora, dal punto di vista metafisico, sotto il quale bisogna delineare il concetto di creazione, deve essere messo in chiaro l'aspetto di causalità efficiente (che dà l'essere). La creazione non si oppone all'unificazione, ma non è formalmente unificazione.

    Un altro concetto, familiare al Teilhard in questo argomento, è il “Néant”, presentato in un modo che ci lascia molto perplessi.

    Questo concetto non è contenuto soltanto nel saggio, ormai vecchio perché del 1917, “L'union créatrice”, ma viene ripetuto e spiegato anche nel saggio (inedito) “Comment je vois” del 1948. Di fronte a Dio “aux antipodes de lui-méme” sta “le Multiple pur” ossia “Néant créable”, il quale è una virtualità passiva. Scrive dunque Teilhard: “... Néant créable”, qui n'est rien - et qui cependant par virtualité passive d'arrangement (c'est-à-dire d'union) est une possibilité, une imploration d'étre, à laquelle... tout se passe comme si Dieu n'avait pas pu résister ”.

    Così pure, il Teilhard ha delle espressioni che lasciano fondatamente credere che egli pensasse ad una certa quale necessità della creazione.

    Nella filosofia e nella teologia classica - secondo lui - la creazione, “ou Participation” (aggiunge il Teilhard), tende a presentarsi “comme un geste presque arbitraire de la Cause première”.

    Invece in quella che egli chiama Metafisica dell'Unione, pur riaffermando la “self-suffisance et la self-détermination de l'Etre absolu” cioè Dio, il Teilhard parla ancora così dell'atto creativo divino: “Fruit, en quelque manière, d'une réflexion de Dieu, non plus en lui, mais en dehors de lui, la Plérómisation... c'est-à-dire la réalisation de l'étre participé par arrangement et totalisation - apparaìt comme une sorte de réplique ou de symétrique à la Trinitisatian. Elle vient combler un vide, en quelque fapon. Elle trouve sa place”.

    Concetto che viene più espressivamente sintetizzato con queste parole: “Pas de Dieu (jusqu'à un certain point), sans Union créatrice...” (sempre in Comment je vois).

    Queste citazioni erano necessarie (e se ne potrebbero fare altre) per mettere in evidenza le ambiguità pericolose e gli errori che si riscontrano in certe espressioni del Teilhard riguardanti il concetto cattolico tradizionale di creazione (riportarsi ai Concili Laterano IV e Vaticano I).

    Quando la “Metafisica classica” afferma che Dio, creando, dà alla creatura tutto l'essere: potenziale, essenziale ed esistenziale nello stesso tempo, cioè “secundum totam suam substantiam” (Vaticano I, Denz. 1805); quando mette in risalto la perfetta ed assoluta libertà dell'atto creativo di Dio, “liberrimo consilio” (Vaticano I, Denz. 1783), essa non fa altro che ripetere e spiegare la dottrina dei due Concili.

    E noi crediamo che il Teilhard non abbia sempre salvato sufficientemente queste due esigenze della dottrina cattolica: dono della totalità dell'essere da parte del Creatore, esclusa anche qualsiasi precedente potenzialità (e la Metafisica classica vuole esprimere proprio questo concetto con le parole “ex nihilo sui et subiecti”); totale assenza di qualsiasi, anche lontana, necessità dell'atto creativo di Dio.

    Nella sua concezione dei rapporti tra il Cosmo e Dio, Teilhard de Chardin ha dei punti deboli che non si possono passare sotto silenzio.

    Egli, è vero, afferma esplicitamente e più volte la necessità e la personalità trascendente di Dio. Tuttavia, nella logica del pensiero teilhardiano la trascendenza divina non viene espressa in un modo sufficiente.

    Dio viene raffigurato come suprema unità che in qualche modo s'incorpora l'universo; così l'unità divina in qualche maniera diviene partecipe della molteplicità cosmica e Dio in un certo senso viene reso più perfetto dall'assimilazione del Cosmo.

    Per esempio, nel saggio già citato “Le Cocur de la Matière” [che il Tresmontant chiama “son autobiographie spirituelle” (6)] il Teilhard afferma: “Par un de ces étranges effects

    d'inhibition... je ne me rendais pas compte que, inévitablement, à mésure que, des profondeurs de la Matière aux cimes de l'Esprit, Dieu "métamorphisait" le Monde - le Monde en retour, devait "endemorphiser" Dieu”.

    Sempre leggendo il medesimo saggio, si rimane perplessi e si ha la precisa impressione che le parole del Teilhard non vogliano esprimere soltanto un punto di vista limitato del nostro conoscere, ma una realtà che toccherebbe anche Dio. E cioè che Dio, in un certo senso, cambi, si perfezioni, incorporando a sé il mondo.

    “Sous l'effet méme de l'opération unitive qui le révèle à nous, Dieu en' quelque sorte se transforme, en nous incorporant. - Done, non plus seulement Le voir, et se laisser envelopper et pénétrer par Lui, - mais pari passu (si non premièrement) le découvrìr (ou méme, en un sens l’ ‘achever’) toujours plus autre... Autour de nous, par rencontre de son attraction et de notre Pensée, Dieu est en train de "changer"... ”.

    In altri passi, Teilhard usa i termini “complexité” o “Unité complexe”, parlando di Dio. Anche nell'ultimo libro edito da qualche settimana “L’Energie humaine” si legge: “Dieu n'est défìnissable que comme un Centre de centres. En cette complexité (il corsivo è nostro) git la perfection de son Unité” (p. 86).

    Egli esplicitamente dà a questi termini un significato coerente col suo pensiero, ma molto diverso da quello della comune accezione e cerca di spiegarli in un senso che potrebbe essere ortodosso.

    Comunque, tutto ciò non concorre alla chiarezza delle posizioni; anzi, a dir poco, si tratta di ambiguità che certamente sono causa di pericolosi equivoci.

    Il concetto di unità, di azione unificatrice, strettamente legato alla sua teoria evoluzionistica, viene dal Teilhard esteso ed applicato più di una volta anche all'ordine soprannaturale.

    S'inizia con un concetto, per lo meno strano, del Cristo.

    Il “Punto Omega” è nello stesso tempo il Cristo risorto: “Le Christ de la Révélatìon n'est pas autre que l'Oméga de la Evolution” (Le Christique, saggio inedito del 1955). E più avanti: “Le Christ sauve. Maìs ne faut-il pas ajouter immédiatement qu'il est aussi sauvé par l'Evolution?” (Ibidem).

    In “Le Coeur de la Matière” si legge inoltre: “Dans un Univers qui se découvrait pour moi en état de convergence, vous avez pris par droit de Résurrection, la position maitresse de centre total où tout se rassemble”.

    Nel volume, edito recentemente (nel 1961) “L'Hymne de l’Universe”, il Teilhard ripete lo stesso concetto, ma con maggiore chiarezza: “Jésus, centre vers qui tout se meut, daignez nous faire, à tous, si possible, une place parmi les monades choisies et saintes qui, dégagées une à une du chaos actuel par votre sollicitude, s'agrègent lentement en Vous dans l'Unìté de la Terre Nouvelle” (p. 80).

    Nel saggio già citato, “Le Christique”, si legge addirittura - e dice “en sens vrai” - di una “troisième nature” di Cristo, non umana, non divina, ma “cosmica”!

    Non vogliamo prendere alla lettera e “en sens vrai” quanto scrive il Teilhard a questo punto, altrimenti si tratterebbe di una vera eresia. Ma queste parole, evidentemente, aumentano la confusione delle idee, che già non è poca.

    Con questo metodo è facile e - diciamo - logico legare necessariamente tra di loro Creazione, Incarnazione e Redenzione.

    Infatti il Teilhard scrive: “Création, Incarnation, Rédemption tout en marquant chacune un degré de plus dans la gratuité de l'opération divine ne sont-elles troix aetes indissolublement Rés dans l'apparition de l'étre participe?” (L'áme du Monde. saggio inedito del 1918).

    In un certo senso, il Teilhard pone sullo stesso piano dell'Evoluzione quei tre misteri: “Pas de Dieu (jusqu'à un certain point), sans Union créatrice. Pas de création sans immersion incarnatrice. Pas d'Incarnation sans compensation rédemptrice. Dans une métaphysique de l'Union, les trois mystères fondamentaux du Christianisme n'apparaissent plus que comme les trois faces d'un méme mystère, celui de la Plérómisation” (Comment je vois, saggio già più volte citato).

    Si potrebbe fare una mietitura di testi teilhardiani su questo argomento. Ma terminiamo con un passo preso da “Le Phénomène humain” (ed. 1955): “Mais, en autre sens aussì, une prodigieuse opération biologique... Par une action pérenne de communion et de sublimation, il (cioè, il Cristo) s'agrège le psychisme total de la Terre” (p. 327).

    Leggendo questa e altre (cfr. per esempio, l'articolo “L'Esprit nouveau et le cóne du Temps” in Psyché, n. 99-1000, p. 59-60) affermazioni del Teilhard, si deve constatare che in Teilhard de Chardin non è chiara la distinzione e differenza tra ordine naturale e ordine soprannaturale, e che non si vede come si possa logicamente salvare la totale gratuità di quest’ultimo ordine, e quindi della grazia.

    Concetti, codesti, che sono patrimonio del comune universale insegnamento cattolico e recentemente sono stati richiamati anche dall'Enciclica Humani Generis (Denz. 2318).

    Altre critiche importanti possono essere fatte al pensiero del P. Teilhard de Chardin.

    Dopo avere letto i passi sopra riportati, non ci si meraviglia nel constatare come il Teilhard non conosce chiaramente nemmeno i profondi confini esistenti tra materia e spirito: confini che non impediscono, è vero, i rapporti tra i due ordini (sostanzialmente uniti nell'uomo), ma che segnano chiaramente le loro essenziali differenze.

    “- Non pas l'Esprit par évasion hors de la Matière, - ni l'Esprit juxtaposé incompréhensiblement avec la Matière (Thomisme! ... ), mais l'Esprit émergeant (par opération pan-cosmique) de la Matière. - MATERIA MATRIX...”.

    Queste parole si leggono in una lettera del Teilhard in data 13 marzo 1954 e pubblicata sulla rivista Psyché, 1955, n. 99-100, p. 9.

    E su questo concetto, il Teilhard insiste anche nel libro L'Energie Humaine, edito - come si è già accennato - nelle passate settimane.

    “Il n'y a pas, concrètement, de la Matière et de l'Esprit, mais il existe seulement de la Matière devenant Esprit. Il n'y a au Monde, ni Esprit, ni Matière: 1’ ‘Etoffe de l'Univers’ est l'ESPRIT-MATIERE. Aucune autre substance que celle-ci ne saurait donner la molécule humaine” (p. 74).

    A p. 121 del medesimo libro, ancora a proposito di spirito, coerentemente con tutto il suo sistema evoluzionistico, il Teilhard scrive: “Le phénomène spirituel n'est done pas une sorte de bref éclair dans la nuit: il trahit un passage graduel et systématique de l'inconscient au conscient, et due onscient au self-conscient. C'est un changement d'état cosmique” (la sottolineatura è nostra). E già in “Le Coeur de la Matière” aveva scritto: “L'Esprit, état supérieur de la Matière”.

    Si noterà che nella stessa pagina il Teilhard avverte che egli si attiene al punto di vista puramente scientifico e sperimentale.

    Ma, trattandosi qui di un argomento eminentemente metafisico e che tocca direttamente tanti problemi teologici, egli difficilmente poteva fermarsi al solo punto di vista scientifico, senza correre il rischio (come del resto è accaduto) di concludere con alcune affermazioni che non è facile accordare con la dottrina cattolica.

    E' vero che la essenziale distinzione di materia e spirito non è stata esplicitamente definita, ma essa costituisce un punto di dottrina sempre insegnato nella filosofia cristiana, in quella filosofia che Pio XII nella Enciclica Humani Generis chiama “in Ecclesia receptam et agnitam” (Denz. 2323). E la stessa dottrina è esplicitamente o implicitamente presupposta dall'ordinario ed universale insegnamento della Chiesa; perciò giustamente la medesima Enciclica riprova la posizione contraria (Denz. 2318).

    Naturalmente nel suo pensiero scientifico-religioso, Teilhard de Chardin ha un suo originale concetto del male e del peccato. Ne tratta ex professo in un'Appendice de “Le Phénomène Humain” (p. 345 ss.).

    Verso la fine della pag. 347, egli constata un certo “excès” del male nel mondo, inspiegabile per la nostra ragione “si à l'effet normal d'Evolution ne se sur-ajoute pas l'effet extraordinaire de quelque catastrophe ou déviation primordiale...”.

    Però, Teilhard ama considerare il peccato da un punto di vista collettivo più che individuale e, per quanto riguarda il peccato originale, si mostra più di una volta contrario ad una trasmissione ereditaria.

    Quanto afferma nel seguente passo, il Teilhard ripete press'a poco anche in diversi altri:
    “... la nécessité théologique du baptéme s'expliquant par la solidarité génétique de tous les hommes au sein d'une humanité (imprégnée de péché par nécessité statistique) où les liens collectifs se découvrent comme encore plus réels et plus profonds entre individus qu toute liaison strictement et linéairement héréditaire” (Comment je vois).

    Su questo punto il pensiero del Teilhard è molto sconcertante e non si accorda con la dottrina del Concilio di Trento sul peccato di Adamo (Denz. 790), dottrina ripresa dall'Enciclica Humani Generis, che insegna che il peccato originale “procedit ex peccato vere commisso ab uno Adamo, quodque generatione in omnes transfusum, inest unicuique proprium” (Denz. 2328).

    Lo nota anche lo stesso P. de Lubac: “Qu'il (Teilhard) ne fút pas théologien de métier, c'est méme ici peut-étre (a proposito del peccato originale) que l'on s'en aperçoit le mieux” (op. cit. p. 168).

    Per terminare questo esame critico, che per ragioni evidenti non può essere completo, ci sembra di dover notare ancora una volta quel naturalizzare, quasi, il soprannaturale, che è proprio del sistema teilhardiano.

    Noi vogliamo ammettere che il Teilhard, persona privata, ha avuto una vita spirituale intensa. Non intendiamo, evidentemente, muovere appunti alla persona, ma al metodo, al pensiero.

    E, perciò, non possiamo seguirlo né approvarlo, quando nella sua originale ascesi, dopo Dio pone il Mondo in un posto e in un valore troppo alti. Come per molte pagine, anche per la seguente di Teilhard de Chardin, bisogna ridimensionarne il significato, perché la sua penna, presa dall'entusiasmo, lo porta molto più in là del giusto.

    Tuttavia leggiamo con vera pena queste righe: “Si par suite de quelque renversement intérieur, je venais à perdre successivement ma foi au Christ, ma foi en un Dieu personnel, ma foi en l'Esprit, il me semble que je continuerais à croire au Monde. Le Monde (la valeur, l'infaillibilité et la bonté du Monde), telle est, en dernière analyse, la premìère et la seule chose à laquelle je crois. C'est par cette foi que je vis, et c'est à cette foi, je le sens, que, au moment de mourir, par-dessus tous les doutes, je m'abandonnerai... A' la foi confuse en un monde Un et Infaillible je m'abbandone, où qu'elle me conduise” (Comment je crois).

    Sono parole del 1934, ma quanto sarebbe stato meglio che non fossero mai state scritte!

    Qualcuno potrebbe obiettare alle nostre critiche che esse non terrebbero conto che nei molti scritti del Teilhard de Chardin, oltre ai testi da noi citati, ve ne sono tanti altri che spesso potrebbero annullare l'interpretazione negativa da noi presentata. Bisognerebbe perciò tenere presenti tutti i testi, e sono moltissimi, per poter giudicare Teilhard con oggettività.

    Anche noi sappiamo che il Teilhard ha fatto non poche volte affermazioni non del tutto coerenti, se non talvolta contrarie o contraddittorie; e vogliamo concedere che il pensiero del Teilhard sia rimasto in una fase di problematicità.

    Tuttavia, i suoi scritti in molti punti rimangono sempre più o meno contrastanti con la dottrina cattolica.

    Certamente il libro del P. de Lubac, già citato, costituisce il più poderoso studio finora pubblicato sul pensiero religioso del Teilhard de Chardin. Il libro mette in rilievo numerosi difetti del Teilhard, ma nella sostanza ne è una difesa e un elogio.

    Noi, però, con franchezza e lealtà, dobbiamo dichiarare che dissentiamo dal giudizio sostanzialmente favorevole dato dal P. de Lubac.

    I punti di dissenso dal pensiero del P. Teilhard de Chardin sono assai più importanti e fondamentali; per cui non possiamo assolutamente sottoscrivere il seguente giudizio categorico del de Lubac: “... Eglise Catholique, cette mère toujours feconde... peut réconnaítre elle-méme avec joie, qu'en Pierre Teilhard de Chardin elle a enfanté, tel que notre siècle en avait besoin, un authentique témoin de Jésus-Christ” (op. cit. p. 295).

    Veramente il nostro secolo ha un estremo bisogno di autentici testimoni di Cristo; ma noi ci auguriamo che essi non si abbiano ad ispirare al “sistema” scientifico-religioso del Teilhard.

    Abbiamo ritenuto necessario formulare le nostre critiche al pensiero, non alla persona - ripetiamo - per mettere in guardia gli studiosi, e specialmente i giovani, contro gli errori e le ambiguità contenute negli scritti del Teilhard.

    E facendo le nostre riflessioni, riteniamo di avere agito nella mente del Monitum, che viene oggi pubblicato sul nostro giornale.

    Osservatore Romano - 30 giugno 1962

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    Thumbs up Opinione personale.

    Personalmente ritengo il pensiero di De Chardin complessivamente positivo, positiva è la sua tendenza, la sua volontà unificatrice del sapere, che tanto manca in questi tempi.
    Conoscere significa unificare secondo i nostri grandi maestri greci, in De Chardin questa istanza secondo me è, più o meno conspevolmente, molto viva, e da essa deriva tutta una seria di problemi legati alla mancanza di dialogo per secoli tra teologia, filosofia e scienza. Sicuramente fece degli errori, disse cose imprecise a volte, altre volte contraddittorie, ma creare un paradigma esteso come il suo non è affatto facile, probabilmente ha voluto lui stesso lasciare il suo pensiero come problematico, questo stimola lo sviluppo delle nostre riflessioni, sperando che ci siano, e feconde.


 

 

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