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    Predefinito Edith Stein: dalla fenomenologia all'incontro con san Tommaso d'Aquino

    1. Introduzione


    Edith Stein, allieva e assistente del fondatore della fenomenologia, Edmund Husserl, aveva voluto applicare il metodo fenomenologico alle "emozioni" dell'uomo, e nella sua tesi di laurea sul Problema dell'empatia si era concentrata sul "soggetto". Con il termine empatia si traduce il tedesco Einfulung, che viene spiegato dalla stessa Stein come una "esperienza sui generis", l’esperienza dello stato di coscienza altrui in generale, l’esperienza che un io in generale ha di un altro io a questo simile. "Empatia" è un sentire dentro, un patire dentro, è il sentimento che nasce e cresce all’interno di una comunità, un sentire insieme (con-sentire), un provare con gli altri lo stesso sentimento (E.Stein, Il problema dell'empatia, Roma 1985).

    Ciò che colpisce accostando la figura di Edith Stein è l’onestà intellettuale, la sete instancabile di verità ("La sete della verità - diceva - era la mia sola preghiera"), sete che la conduce dapprima a seguire le lezioni di Husserl all’università di Gottinga e poi a rimanergli vicina come assistente all’università di Friburgo. Tutto l’orientamento del pensiero del maestro l’attira, come tanti altri discepoli, in particolare l’affermazione capitale: "Ogni coscienza è coscienza di qualcosa", e la parola d’ordine: "ritornare alle cose".

    Alla scuola di Husserl la Stein impara a contemplare qualsiasi cosa senza preconcetti e questa apertura la farà gradualmente avvicinare alla fede e alla filosofia cattolica, anche attraverso i contatti con Scheler e con i coniugi Conrad-Martius.

    Dopo la conversione al cattolicesimo, avvenuta nel 1921, Edith Stein si dedica allo studio della filosofia di Tommaso d’Aquino; scoprirà a poco a poco che anche per Tommaso il vero fondamento della conoscenza è l’incontro con la realtà creata, con il mondo delle cose. Ella non abbandonerà mai la sua "mentalità" fenomenologica, ed in virtù di questo atteggiamento è colpita dallo stile di ricerca di Tommaso, dalla sua capacità di ordinare, vagliare e paragonare, che da un lato rende libero chi ricerca di accettare i suggerimenti provenienti dalle fonti più diverse, e dall’altro non lo chiude nell’adesione ad un sistema.

    L’opera di Tommaso le si prospetta non come un sistema, ma come una ricerca della verità, attraverso l’analisi rigorosa e la chiarificazione dei problemi che di volta in volta vengono posti in esame. Edith Stein comprende l’importanza dell’incontro di questi due mondi, quello della filosofia fenomenologica e quello della filosofia medievale e cerca una proposta di sintesi.

    2. La fenomenologia di Husserl e la filosofia di Tommaso d’Aquino: tentativo di confronto


    Nel 1929 - cioè dopo alcuni anni dalla sua conversione - Edith Stein pubblica il saggio "La fenomenologia di Husserl e la filosofia di Tommaso d’Aquino, tentativo di confronto", testo che qui prenderemo in considerazione nei suoi tratti più significativi.

    Il primo "punto di incontro" è per la Stein l’instaurazione di una filosofia come scienza rigorosa, espressione usata da Husserl e che viene così spiegata dalla stessa Stein: "La definizione indica soltanto che la filosofia non riguarda il sentimento e la fantasia; non si tratta di un sogno ambizioso oppure di una veduta personale, di un fatto di gusto, per così dire; al contrario essa è un fatto della ragione che cerca seriamente ed appassionatamente".

    Husserl era pervenuto all’impostazione rigorosa della ricerca filosofica grazie ai contatti con Brentano, suo maestro di filosofia a Vienna, il cui procedimento speculativo prendeva le mosse da un lato dalla scuola rigorosa della filosofia cattolica tradizionale, dall’altro dal suo profondo carattere matematico. Traccia di questa influenza sono le prime opere pubblicate, cioè la Filosofia dell’aritmetica (1891) e le Ricerche logiche (1901), opera nella quale Husserl afferma che esistono verità universali e necessarie, comuni a tutte le scienze, e che le argomentazioni usate dalle varie discipline, per essere valide, devono venire condotte secondo principi logici, devono cioè partire da premesse vere e giungere a conclusioni certe per mezzo di una deduzione rigorosa e corretta.

    In Tommaso "la ragione che cerca seriamente ed appassionatamente" si coglie dal suo continuo intento di condurre una ricerca seria della verità, procedendo attraverso una condotta che tenga conto degli strumenti razionali di cui l’uomo dispone e delle fonti della verità che si presentano con cogenza all’intelletto umano.

    Edith Stein vede in questo atteggiamento comune ai due filosofi "lo spirito dell’autentico filosofare che vive in ogni vero filosofo, cioè in colui che una interna necessità spinge irresistibilmente a rintracciare il logos o la ratio di questo mondo".

    "Husserl e Tommaso sono profondamente convinti che un ‘logos’ agisce in tutto ciò che esiste, e che la nostra conoscenza è in grado di scoprire progressivamente una parte e ancora una parte di questo ‘logos’, se essa procede secondo la regola di una rigorosa onestà intellettuale".

    E’ tuttavia a proposito di questa ratio che le due vie divergono, come la Stein pone in evidenza nei paragrafi successivi: secondo Husserl non esiste se non la ragione naturale che nel campo della ricerca non ha confini, cioè una ragione che avanza progressivamente verso la verità, ma senza mai raggiungerla appieno; per Tommaso invece, la verità nella sua totalità esiste: essa è la conoscenza divina che viene comunicata ad altri esseri secondo la loro capacità di comprensione e in modi diversi.

    La conoscenza naturale è solo un modo. Tommaso perciò distingue la ragione naturale e la ragione soprannaturale, la quale costituirebbe per la prima un ampliamento di conoscenza, perché rende accessibili verità che non sono raggiungibili per altra via, ed è il fondamento di una certezza superiore. Tuttavia in Tommaso la ragione umana conserva la propria autonomia di ricerca, come si evince anche dal suo metodo critico rigoroso. Per questo, come dice la Stein, egli "ordinò, paragonò, vagliò. Per questo esame usò tutti i mezzi che fossero idonei allo scopo: i principi formali, logici, l’evidenza intellettuale di ciò che è concreto, oggettivo, il paragone con le verità di fede".

    Il paragrafo sesto del saggio è dedicato alla Questione dell’intuizione, paragrafo dei più interessanti dal punto di vista teoretico, in cui il metodo fenomenologico e il metodo scolastico sono posti rigorosamente a confronto nell’analisi della teoria della conoscenza. Qui vorrei fermare l’attenzione e considerare dettagliatamente i tre punti in cui la Stein scopre una piena convergenza tra i due metodi.

    3. Ogni conoscenza comincia dai sensi


    Questo, afferma Edith Stein, è il principio fondamentale che Tommaso ha stabilito per la conoscenza umana ed esso è il più noto di tutta la filosofia scolastica, principio espresso dalla nota formula: "nihil est in intellectu quod non sit prius in sensu." Ad esso sembra opporsi la concezione fenomenologica di Husserl, secondo la quale conoscere significa "intuire le essenze", per cui la conoscenza delle essenze non dipenderebbe dalla percezione sensibile.

    In realtà questa affermazione, specifica la Stein, "non deve essere intesa nel senso che il fenomenologo possa fare a meno di tutto il materiale sensibile". Ciò significa che anche per Husserl il principio tomistico rimane valido. Nella seconda Ricerca logica, nel primo capitolo delle Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica, Husserl dedica il primo paragrafo, Fatto ed essenza, all’analisi della genesi della conoscenza umana e afferma che ogni conoscenza comincia con l’esperienza, con un dato di fatto.

    Noi cogliamo un suono, un colore, un profumo, un oggetto, un sentimento. E’ un qualcosa che appare alla nostra percezione, per cui qualsiasi nostra coscienza è sempre coscienza di qualcosa: quando vedo, penso o ricordo, questa attività, seppur immanente, è protesa verso un oggetto distinto da me che io colgo nel suo apparire alla mia coscienza. Principio della nostra conoscenza è sempre un quid ben determinato, e anche quando Husserl afferma che nel dato di fatto si coglie sempre un’essenza, essa non potrebbe sussistere senza riferimento ad un contenuto materiale. La "conoscenza delle essenze" è sì una intuizione, ma suppone l’oggetto o l’insieme di oggetti di cui noi percepiamo (non astraiamo) intuitivamente l’essenza.

    Come non scorgere nell’atteggiamento di apertura radicale all’oggetto la vicinanza al pensiero di Tommaso? La coscienza intenzionale di Husserl riprende il significato scolastico di intentio. Secondo Tommaso ciò che conosciamo lo abbiamo dentro di noi, ma in modo tale che lo conosciamo come qualcosa d’altro, "in sua alietate".

    Ciò che ci è dato immediatamente dall’esperienza sono, per esempio, realtà colorate ed estese, sentimenti di gioia e di dolore, ecc… Riflettendo su questi dati dell’esperienza immediata, percepisco che vi è tra essi una differenza profonda: alcuni si identificano con me, sono miei in modo da poter dire: io sono adirato, io sono lieto; sono miei modi di essere; altri, al contrario, pur essendo miei, non si identificano con me, io non sono la cosa colorata che vedo. Il vedere è mio, ma la cosa colorata è altro da me.

    La conoscenza è l’unità che si instaura tra me ed il ‘colorato’ che vedo, è la presenza in noi dell’altro come altro. La conoscenza è, da parte della cosa, il suo essere presente a me e, da parte mia, da parte del soggetto, il puro lasciar essere presente a me una realtà che è altra da me. E poiché il conoscere non modifica nulla dell’oggetto, si può affermare che la conoscenza è l’assimilazione del conoscente al conosciuto.

    L’atteggiamento di apertura all’oggetto, che richiama la concezione scolastica della conoscenza, è derivato probabilmente dal contatto che Husserl ebbe con il maestro Brentano; Edith Stein lo afferma chiaramente: "Nel legame con Brentano si può, forse, scoprire una certa correlazione tra i due (Husserl e Tommaso)".

    Certamente il legame non riguarda solo la concezione della filosofia come scienza rigorosa, ma anche il porsi del filosofo nei confronti della realtà. Il merito di Brentano è stato quello di fornire un criterio valido per distinguere i fenomeni fisici dai fenomeni psichici, criterio che è appunto l’intenzionalità. Secondo Brentano i fenomeni psichici non solo appaiono e si manifestano al pari dei fenomeni fisici, ma essi contengono un rimando all’oggetto, non sono chiusi in se stessi, ma rinviano ad un qualcosa di esterno a me, sono fatti intenzionali.

    Si tratta dunque di osservare e descrivere i fenomeni psichici così come appaiono, senza alcuna manipolazione. Non si parla della realtà, ma di come essa appare e si manifesta a noi. Questo "mettere tra parentesi" la realtà è chiamato da Husserl epochè, cioè sospensione del giudizio sull’esistenza della realtà: la filosofia non deve decidere cosa esiste ma descrivere le cose come appaiono, come si mostrano, vedere cioè - liberi da ogni pregiudizio - le essenze, le forme delle cose.

    Se il rimando all’oggetto, proprio della fenomenologia, è comune alla tradizione scolastica, molto diversa è la concezione del rapporto conoscenza-realtà. Per Tommaso, infatti, il contenuto dell’atto conoscitivo dipende dalla cosa che si trova realmente esistente al nostro esterno ed ha, al suo riguardo, una relazione di dipendenza; non si conoscono le cose come appaiono (oggettività immanente) ma come sono.

    Il fatto che la conoscenza non possa mai prescindere dal contenuto sensibile (sia se viene colto come appare, sia se viene colto com’è in se stesso) è un principio ineliminabile, valido anche se, come sostiene Husserl, non è necessaria per ogni conoscenza la presenza attuale dell’oggetto materiale. Su quest’ultimo aspetto vi è pieno accordo con Tommaso, il quale "è ben lungi dal richiedere un determinato tipo di visione, per esempio esperienza esterna attuale, come base per ogni conoscenza."

    Si pensi, ad esempio, al processo conoscitivo interno dato dalla immaginazione. Già Aristotele l’aveva definita come un mutamento che avviene sulla base della percezione dei sensi esterni: l’uomo (e l’animale) ha la capacità di richiamare immagini di cose (in assenza delle cose stesse), può anche conservarle e creare delle nuove combinazioni con briciole di sensazioni precedenti; non si tratta di ritenere solo immagini, ma anche suoni, odori, ecc. Oppure si pensi alla facoltà della memoria, la quale non percepisce con i sensi, ma permette di conoscere realmente in quanto tesoriera di dati intenzionali. Infine potremmo pensare alla conoscenza dell’intelletto quando forma concetti universali, mentre le cose sono concrete e individuali.

    4. ogni conoscenza nuova e’ ottenuta attraverso l’elaborazione intellettuale del materiale sensibile


    Edith Stein spiega, in questo secondo punto, che l’elaborazione intellettuale nella concezione fenomenologica non si configura come un processo induttivo; non c’è bisogno di una pluralità di dati materiali per ricavare l’essenza, ma anche solo di una singola intuizione esemplare: questo tipo di astrazione è diverso da quello usato nell’induzione, ma permette di cogliere l’essenza della cosa materiale: "L’essenza, di cui si parla ora, consiste nel ‘prescindere’ da ciò che spetta alla cosa in modo puramente ‘casuale’, cioè da ciò che può essere anche diverso, senza che la cosa cessi di essere una cosa materiale".

    Dal punto di vista positivo significa cogliere la ratio (o essenza) della cosa stessa, secondo la terminologia tomista. Secondo la Stein "non è mai accaduto che l’Aquinate abbia negato la possibilità di un tale procedimento, ed egli stesso lo ha usato ovunque fosse valido, per scoprire le rationes. Esso è, secondo l’espressione da lui usata, lavoro dell’intellectus dividens et componens; dividere è analizzare, e l’analisi consiste nella separazione astrattiva del momento essenziale e di quello casuale".

    Per comprendere queste affermazioni è utile richiamare alla mente il concetto di astrazione nel pensiero di Tommaso. L’operazione astrattiva consiste nel semplice prescindere dalle caratteristiche individuali, dal modo di essere singolare dell’essenza. Questo prescindere non è un separare realmente ma un separare mentalmente; ad esempio in "Socrate", che io colgo con la conoscenza sensitiva diretta, quando astraggo non separo realmente "Socrate" da "uomo", ma semplicemente colgo l’aspetto di uomo, lasciando da parte i caratteri individuali.

    Dire che "astrarre" è un semplice prescindere significa che siamo ancora al di qua del giudicare (abstrahentium non est mendacium). Se io astraggo "Socrate" da "uomo", non sono in errore, semplicemente non considero la sua individualità.

    Da questo punto di vista ‘astrarre’ non è qualcosa di ‘voluto’, l’astrazione è un’operazione naturale dell’intelletto. Come l’occhio è fatto per vedere, così l’intelletto è strutturato per conoscere le cose mediante l’astrazione. Si può parlare quindi di intuizione astrattiva, termine non usato da Tommaso, ma che esprime bene la sua concezione, cioè il rapporto immediato dell’intelletto con l’oggetto percepito: vedo un albero e penso all’albero, prescindendo dalle caratteristiche individuali.

    Questo tipo di astrazione viene denominata dagli scolastici abstractio totalis, in quanto ciò che è astratto (per es. uomo) è un tutto che contiene in potenza gli inferiori (Socrate, Callia, ecc.).

    In un determinato oggetto, l’"albero" - colto tramite l’astrazione - io posso operare ulteriori astrazioni; per esempio, posso lasciare da parte l’aspetto di "albero rugoso", per considerare solo l’aspetto di "vivente di vita vegetativa". Questa ulteriore astrazione ci permette di cogliere la realtà in modo più preciso e raffinato e viene chiamata abstractio formalis in quanto ciò che è astratto è l’elemento intelligibile della realtà, la sua forma (o essenza).

    Ed è in questa ultima precisazione che giova molto il processo induttivo; mentre infatti nel caso di un "triangolo" la semplice intuizione astrattiva mi permette di cogliere la natura di triangolo e le sue proprietà, l’intuizione astrattiva di "fuoco" non mi permette di scoprire la legge della combustione né di raggiungere la natura specifica del fuoco, la quale esiste, certamente, ma io la colgo come dal di fuori, attraverso il suo modo di agire, cioè attraverso l’esperienza, quindi per induzione:

    "Così l’intelletto umano non acquista subito, alla prima apprensione, una conoscenza perfetta dell’oggetto; ma da principio ne percepisce un aspetto, ad esempio la quiddità, che è l’oggetto primario e proprio dell’intelligenza ed in seguito conosce le proprietà, gli accidenti e le relazioni che circondano la quiddità. Per cui si trova costretto a comporre e dividere [l’intellectus componens et dividens a cui la Stein fa riferimento] e a passare da una composizione o divisione ad un’altra, il che è ragionare". (S.Tommaso, Summa Teologica, I 85, 5)

    Tommaso in questo è debitore ad Aristotele il quale affermava che nel processo induttivo l’essenza delle cose è colta sulla base dell’esperienza. E tuttavia Aristotele parla di "intuizione intellettuale"; l’induzione cioè non si fonda sulla enumerazione, ma si serve di questa come base di un processo di astrazione e di intuizione intellettuale dell’essenza delle cose.

    In concreto: l’osservazione di un numero anche limitato di casi basta all’intelligenza, secondo Aristotele, per distinguere nelle cose osservate i caratteri essenziali da quelli accidentali (astrazione), e per cogliere quindi, con una specie di salto intuitivo dai particolari all’universale, l’essenza delle cose stesse. Questo metodo è ancor più valido quando si tratti di conoscere i principi primi di ogni scienza (assiomi).

    Si tratta dunque di due generi diversi di astrazione: l’una non è che un "prescindere" dalle caratteristiche individuali di un oggetto, separando l’essenza da ciò che è casuale, l’altra avviene attraverso l’induzione, cioè esaminando e paragonando un certo numero di cose materiali e pervenendo all’individuazione di tratti comuni che costituiscono l’essenza dell’oggetto.

    Così, ad esempio, sulla base di successive sensazioni di calore prodotte dal contatto col fuoco e conservate dalla memoria, è possibile giungere con un atto di intuizione intellettuale (nous) a cogliere nel "calore" un aspetto costitutivo dell’essenza del "fuoco". Secondo la concezione fenomenologica, invece, come abbiamo visto, è sufficiente una singola intuizione esemplare per compiere l’astrazione.

    Nel procedimento descritto, Aristotele esclude che l’essenza di qualsiasi ente possa essere colta con un processo induttivo; d’altra parte "è necessario che noi giungiamo a conoscere gli elementi primi con l’induzione"; sembra dunque che l’esperienza fondata sull’osservazione abbia la funzione di guidare (epagoghè) verso l’intuizione intellettuale, cioè verso l’intuizione dell’essenza universale. L’intuizione intellettuale non è la conclusione logica di ripetute esperienze, cioè del processo induttivo; questo può creare le condizioni favorevoli all’intuizione, ma essa si realizza quando il nous penetra l’essenza di qualcosa.

    In altre parole io posso dire che "tutti gli uomini sono mortali" non perché abbia esperienza della morte di molti o tutti gli uomini, ma perché il nous ha intuito che la mortalità appartiene necessariamente alla struttura essenziale dell’uomo. Questo spiega l’affermazione di Aristotele: "Non sussiste alcun genere di conoscenza superiore alla scienza all’infuori dell’intuizione"; l’intelletto intuitivo è il vertice del conoscere e da esso dipende la scienza e la ragione discorsiva.

    Possiamo perciò concludere che ogni conoscenza nuova, anche quando si tratta di conoscenza intuitiva, è ottenuta attraverso una elaborazione intellettuale, sia nella semplice astrazione che esclude le note individuanti, sia nell’astrazione che troviamo al termine del processo induttivo.

    Husserl, accentuando il carattere intuitivo della conoscenza, vuole indicare la discontinuità tra il procedimento logico-induttivo e l’atto del conoscere le essenze: "Si tratta - scrive la Stein - non di una deduzione di proposizioni le une dalle altre, ma di una penetrazione negli oggetti e nelle connessioni di oggetti che possono essere sostrati di proposizioni".

    Questo non significa tuttavia che l’intuizione dell’essenza prescinda dal materiale sensibile e da qualsiasi produzione del pensiero. D’altro lato Edith Stein riconosce in Tommaso la presenza del momento intuitivo nell’elaborazione dei concetti universali, come appare dall’uso che l’Aquinate fa del termine "intellectus", un leggere all’interno delle cose (intus-legere).

    5. Il carattere attivo o passivo dell’intuizione e la sua immediatezza


    Riguardo al carattere attivo dell'intuizione, Edith Stein sostiene che Tommaso attribuisce all’intellectus agens il ruolo attivo nella conoscenza, e all’intus legere il ruolo di ricevente. Come è noto l’elaborazione della dottrina dell’astrazione da parte dell’intellectus agens è stata introdotta da S.Tommaso - servendosi di categorie aristoteliche - per spiegare l’origine dei concetti nella conoscenza umana.

    Tre testi di Aristotele sono importanti a riguardo: 1 - An. post. II 9. Si parla di una percezione interna che viene elaborata in "esperienza" (empeiria); questa esperienza è riferibile solo a diversi casi particolari, è come l’universale che è presente nell’anima come un tutto. 2 - De anima III 4, 430a 10-26. Aristotele parla di un intelletto che "produce" gli intelligibili e di un intelletto che "diviene" gli intelligibili. 3 - De anima, III, 4. Aristotele afferma che l’intelletto può diventare tutte le cose, perché può conoscere tutte le cose. Ora conoscere è possedere e "diventare" gli oggetti conosciuti, così che l’intelletto in un certo senso è in potenza tutte le cose (anima est quadammodo omnia).

    L’uomo, infatti, all’inizio non possiede alcuna conoscenza, è come una "tabula rasa", l’intelletto umano è in potenza riguardo alla conoscenza; per passare all’atto è necessaria una causa che sia sullo stesso piano dell’intelletto, una causa non materiale che faccia da ponte tra il sensibile e lo spirituale: il collegamento tra l’intelletto e la conoscenza sensitiva è l’intellectus agens, una specie di "luce", secondo l’immagine aristotelica, che illumina le immagini sensitive e ne ricava le "similitudini" (species), con cui influisce causalmente sull’intelletto, rendendolo attualmente conoscente.

    L’attività dell’intelletto agente consiste nel fatto che, come la luce illumina i colori, così esso illumina le immagini e ne estrae il contenuto intelligibile. L’intelletto che assume in sé le forme intelligibili viene chiamato intellectus possibilis.

    Per la Stein quest’ultimo è semplicemente l’intellectus che vede le essenze. Il carattere ricettivo-passivo dell’intelletto, a suo parere, è stato particolarmente rilevato dalla fenomenologia (forse in contrasto con la visione di un intelletto che "costruisce" la realtà, visione propria di Kant e dell’idealismo), per la quale, così come per la scolastica, "quel vedere, che è un ricevere passivo, è l’operazione più propria dell’intelletto, nei confronti della quale ogni suo atto è solo preparatorio".

    Per quanto riguarda il carattere di "immediatezza" della visione intellettuale, oggetto della seconda questione, la Stein sostiene che Tommaso assegnò tale immediatezza all’ intellectus principiorum, visione cioè delle verità fondamentali, che egli considerò come una naturale dotazione dello spirito umano. Egli infatti afferma:

    "I principi che sono evidenti per se stessi, sono conosciuti immediatamente tramite l’intermediazione dei sensi, di modo che, vedendo un tutto e le sue parti, sappiamo immediatamente, senza alcun bisogno di riflettere, che il tutto è più grande di ciascuna delle parti". (S.Tommaso, In I Sententiarum, 3, 1, 2)

    Vorrei porre l’accento sull’espressione "sappiamo immediatamente" (statim cognoscimus), che indica un’intuizione, una visione, anche se scaturisce dall’esperienza. Infatti l’intelletto forma i concetti di "parte" e di "tutto" per sensum, ma "vede" che il tutto è necessariamente maggiore della parte.

    Questa conoscenza dei principi primi (che rimane in noi come habitus) è una conoscenza che l’uomo ha per natura (naturaliter), in modo immediato (sine inquisitione) e infallibile (sine erroribus). Qui Edith Stein vede un incontro con la fenomenologia del maestro: "Nel caratterizzare ciò che chiama verità essenziali, Husserl assegna ad esse quella visione immediata che Tommaso attribuisce ai principi. Infatti, secondo la concezione della fenomenologia, queste verità debbono essere viste direttamente e non essere derivate da altre; e ad esse viene ascritta un’impossibilità di annullamento, in ogni caso una non eliminazione attraverso l’esperienza e per questa ragione vengono dette a priori".

    Ma per la Stein non è detto che tutto ciò che per la fenomenologia è oggetto di intuizione essenziale abbia il carattere dei "principi"; essa infatti tende ad allargarne il campo, includendovi non solo i principi logici, ma anche quelli di contenuto. Anche per Tommaso esistono verità di contenuto che hanno il carattere della conoscenza immediata della visione (basti pensare alla conoscenza universale e certa delle essenze), ma esse presuppongono il processo dell’astrazione, come abbiamo già cercato di spiegare.

    Secondo la Stein soltanto in un punto Tommaso ha concesso allo spirito umano la ‘stessa’ immediatezza propria dell’intellectus principiorum, cioè nella conoscenza universale del bene, che rappresenta l’a priori della conoscenza pratica. Come infatti esistono principi primi nell’ordine speculativo, così nell’ordine pratico si danno principi per sé noti, che vengono colti immediatamente grazie ad una facoltà particolare, chiamata synderesis. Il primo di questi principi è bonum est faciendum, malum vitandum, come appare da questo testo di Tommaso:

    "Ora come l’ente è la cosa assolutamente prima nella conoscenza, così il bene è la prima nella conoscenza della ragione pratica, che è ordinata all’operazione: poiché ogni agente agisce per un fine, il quale ha sempre ragione di bene. Perciò il primo principio della ragione pratica si fonda sulla nozione di bene, essendo il bene ciò che tutte le cose desiderano. Si ha così il primo precetto della legge: bisogna fare e cercare il bene e bisogna evitare il male". (S.Tommaso, Summa Teologica, I-II 94,2)

    Altra conoscenza immediata è quella della nostra esistenza, che tuttavia non ha il carattere di necessità evidente, propria dei principi. Inoltre ad essa perveniamo non per deduzione ma per una certa riflessione.

    Per la Stein l’immediatezza della conoscenza è data dall’esclusione di quei mezzi che funzionino in modo autonomo dalla conoscenza, e cioè la luce dell’intelletto, le species delle cose, gli oggetti dell’esperienza attraverso i quali conosco altri oggetti. La luce dell’intelletto è necessaria per ogni conoscenza umana, mentre le "specie" vengono utilizzate in modo diverso: attraverso di esse conosciamo gli oggetti esterni; la propria esistenza, invece, la colgo dalle specie, cioè riflettendo sulla loro natura.

    In altre parole l’intuizione o l’immediatezza della conoscenza umana presuppone sempre la "species", che ricaviamo dal sensibile. Non è mai dunque un’immediatezza assoluta; solo Dio conosce le cose direttamente e intuitivamente. Anche l’intelligenza angelica, che è intuitiva, cioè non apprende per astrazione o ragionando (cioè pervenendo ad un discorso attraverso un altro discorso), per passare dalla potenza all’atto ha bisogno delle species, che le vengono donate da Dio.

    Per Tommaso la conoscenza immediata al più alto livello l’uomo la possiede nella visione beatifica, dove l’essenza di Dio feconda senza intermediari, senza species, l’intelligenza dell’uomo, elevata dal lumen gloriae. Tale visione secondo la Stein "non ha però la stessa immediatezza che caratterizza l’autocontemplazione di Dio. Dio ‘è’ la luce e ‘di’ questa luce rende partecipi i beati, che nella sua luce vedono la luce, ma in misura e grado diversi, corrispondenti al loro livello. Soltanto Dio è quella conoscenza nella quale si trovano pienamente fusi l’atto e l’oggetto".

    6. Conclusione

    Il tentativo di Edith Stein di mettere a confronto due pensatori così lontani nel tempo non è certo scevro da difficoltà: sono toccati punti molto importanti, quali la visione della filosofia come scienza rigorosa, il rapporto ragione naturale e ragione soprannaturale, l’autonomia del discorso filosofico rispetto alla fede, il momento intuitivo nella conoscenza umana, attraverso l’analisi della terminologia di Tommaso e di Husserl.

    Riguardo la questione dell’intuizione, questione sulla quale mi sono maggiormente soffermato, concordo con Angela Ales Bello, che nell’introduzione al volume Edith Stein, la ricerca della verità, da lei curato, afferma che il tema dell’essenza costituisce il legame delle due ricerche: per Husserl essa è colta in modo intuitivo, per Tommaso attraverso il procedimento dell’analisi.

    E’ proprio su questo aspetto tuttavia che le due posizioni si allontanano: ad Husserl interessa pervenire ad una "scienza dei fenomeni" cioè alla descrizione non dei dati di fatto, ma dei modi tipici con cui i fenomeni si presentano alla coscienza, mentre in Tommaso prevale il momento della fattualità, dell’esistenza; l’intelletto conosce le cose come sono in se stesse e non in quanto diventano oggetti di coscienza. Ciò a cui la coscienza si riferisce secondo Husserl, per l’Aquinate esiste davvero, cosicché ogni conoscenza termina in un esistente, ossia in qualche natura che partecipa dell’essere; in tal modo il momento gnoseologico rimanda a quello ontologico, alla considerazione dell’actus essendi come realtà che giustifica non solo il mondo ma anche la sua conoscibilità.

    Molte questioni rimandano ad approfondimenti ulteriori, come ad esempio il rapporto tra il momento attivo e quello passivo nella conoscenza umana, il significato del termine "vedere" nell’atto intuitivo, il legame di causalità tra gli oggetti sensibili, le immagini, e la formulazione dei concetti.

    Penso che Edith Stein abbia preferito cercare più le convergenze tra i due pensatori che le divergenze, essendo legata ad entrambi, seppure per motivi diversi. Rimane apprezzabile lo sforzo di scorgere in profondità quanto poteva essere accolto come vero nel pensiero del suo maestro, senza nascondere, d’altro lato, la necessità di chiarire e di arricchire la dottrina di Tommaso d’Aquino secondo le nuove acquisizioni filosofiche. La ricerca della Stein non poteva certo esaurirsi in un semplice saggio, che difatti ha consapevolmente chiamato "tentativo di confronto."



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