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    Predefinito Le accuse a Pio XII: quanto c'è di vero?

    Le reazione di "Avvenire" alla recente (ma vecchissima) "questione Pio XII".

    Fondo di ieri, mercoledì 5 gennaio:

    IL "CORRIERE" E PIO XII
    OPERAZIONE DAI TRATTI OSCURI

    Andrea Riccardi

    Sono giorni che si discute su Pio XII e gli ebrei sulle pagine di un importante quotidiano italiano. Ieri è stata la volta di un lungo intervento di Daniel Goldhagen, che evocava un "Pio XII alla testa di una Chiesa che diffuse un feroce antisemitismo proprio quando gli ebrei venivano sterminati". È un'affermazione priva anche del più lontano sapore della storiografia. Come pensare, e dunque affermare, che l'asilo fornito agli ebrei durante la persecuzione nazista potesse avvenire contro la volontà di Pio XII? Trent'anni fa, chi scrive cominciò a studiare questo tragico periodo in particolare per quanto significò a Roma. Incontrai molti protagonisti di quelle vicende. E attraverso la documentazione disponibile mi resi conto che, senza l'appoggio del Papa, non sarebbe stato possibile portare avanti una operazione di tale rischio in aiuto agli ebrei. Come un monastero di clausura avrebbe potuto ospitare clandestinamente le famiglie ebraiche senza il permesso dei superiori? Ed è stato anche ricostruito che non tutti in Vaticano concordavano con questa ospitalità. Ma Pio XII la favorì, perché, nel turbine della guerra, voleva che la sua Chiesa fosse uno spazio d'asilo. Enzo Forcella, studioso laico purtroppo scomparso, ha ripercorso il complesso lavorio della Santa Sede per preservare i suoi edifici come "zona franca" di asilo. Ma ormai non si usa più far leva sulla storiografia con le sue acquisizioni. Ciò che conta è insistere ritualmente sulle responsabilità di Eugenio Pacelli.
    Per quel che riguarda la Francia del 1939-45, è noto l'orientamento filopetenista della maggioranza del clero e dei vescovi locali. Pio XII era scontento di questa posizione (e con lui il battagliero cardinale Tisserant). Ma non per questo si può minimizzare il ruolo della Chiesa francese sul fronte degli aiuti agli ebre i durante l'occupazione tedesca in Francia. I severi studi di Serge Klarsfeld mostrano che la Francia è stato il paese che meglio ha protetto i suoi ebrei e dove molto ha fatto proprio la Chiesa cattolica. Temi, questi, che evidentemente non si possono dibattere nello spazio di poche righe. Occorreranno anche nuovi studi, se - come insegnava Marc Bloch - gli storici vogliono continuare a "comprendere". Invece si assiste a esplosioni polemiche, come la storia segreta di Pio XII di John Cornwell di qualche anno fa, su cui l'autore è recentemente ritornato dicendo candidamente di aver esagerato.
    D'altra parte, le diverse interpretazioni e gli studi sugli anni della guerra si sono nel frattempo così consolidati, da non poter essere facilmente scossi da un documento o una dichiarazione. Nel caso saremmo già molto fuori dal dibattito storiografico, che non fa giustamente l'unanimità, ma ha un suo stile. Forse bisognerebbe interrogarsi sui tratti di un'ossessione antipacelliana che rischia di confondere i contorni della storia e di criminalizzare questo Papa, mentre sfumano le vere responsabilità del dramma della Shoah. C'è un uso di Pio XII infatti che va al di là della storia. O questi è diventato la figura simbolica di un ancien règime da abbattere ritualmente o lo si è reso un capro espiatorio dietro al quale nascondere il grado di insensibilità che ci fu nei confronti degli ebrei anche da parte di istituzioni e governi schierati contro i nazifascisti. In un caso come nell'altro è inevitabile chiedersi che cosa ci sia sotto un simile atteggiamento. Non certo un avanzamento delle conoscenze storiche, non una comprensione maggiore del dramma di tanti e delle meccaniche degli eventi. Si scorge piuttosto un rischio, e cioè che una metodica simile produca infine disaffezione verso la storia contemporanea, avvertita come str umento polemico e non come un terreno di seria comprensione della realtà passata. Può darsi tuttavia - come rivela l'articolo di Goldhagen - che le impellenze siano d'altro tipo ancora, ma sicuramente non si iscrivono nell'ambito della storiografia. Qui allora siamo in un altro campo d'indagine, che chiama in causa non a caso il giornalismo d'oggi. Ma perché?

  2. #2
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    Avvenire, mercoledì 5 gennaio, inserto culturale Agorà:

    IL CASO
    La Chiesa francese non ha notizie del «documento» su cui poggiano le accuse a Pio XII. Ma nella vicenda le stranezze abbondano
    Dagli archivi nulla di nuovo

    Da Roma - Salvatore Mazza

    Ora viene fuori che «il documento inedito» circa le disposizione di Pio XII sul «non restituire i bambini ebrei», è in realtà un testo da verificare. Dalla Francia, ossia da dove la polemica ha avuto inizio, fanno sapere che il documento sarebbe per la verità «incompleto». E chi «Il Corriere della Sera» cita quale depositario del documento in questione - gli «Archivi della Chiesa di Francia» - assicura: «Mai visto».
    Insomma, che storia è questa? Sicuramente una storia con la "s" minuscola, se non altro perché la «rivelazione» circa l'ennesima "prova" del presunto antisemitismo di Papa Pacelli, manca proprio di quello che la Storia (con la "S" maiuscola, stavolta) fonda: ossia il fatto. In questo caso, il documento originale che a firma del Sant'Uffizio, secondo la versione pubblicata, avrebbe dettato la politica ecclesiastica verso i bambini ebrei orfani sfuggiti all'Olocausto e accolti da istituzioni cattoliche
    Di quel documento, infatti, non c'è traccia. Nessuno ha frugato tra i "tesori" dell'Archivio segreto vaticano, né peraltro potrebbe averlo potuto, considerato che i dati accessibili arrivano fino al 1939 e, per i prossimi, bisognerà aspettare il 2006. Ulteriori verifiche sarebbero in corso presso altri uffici vaticani. Ma si tratta - va precisato - di controlli eseguiti per scrupolo, essendo già chiaro il quadro. Controlli doverosi, si dirà (e comunque di quel che dovesse essere trovato non v'è dubbio che verrebbe dato conto). Lo scetticismo tuttavia non manca, dal momento che, ad esempio, sapere "che cosa" cercare potrebbe essere d'aiuto. Al presente infatti troppi elementi non corrispondono. Si tratterebbe di una lettera indirizzata al nunzio Angelo Roncalli? Difficile. Anzi, molto probabilmente da escludere, visto tra l'altro che non si capisce perché un documento ufficiale indirizzato a un nunzio italiano avrebbe dovuto essere scritto in francese e non in italiano o, al limite, in latino. Un testo allora, forse un'"istruzione" di più ampio re spiro, redatto per i vescovi francesi? In teoria possibile, ma anche questa ipotesi ha bisogno di dati. E poi, uscito da dove? Non dagli archivi della Chiesa francese, che come detto ha escluso questa eventualità. Forse da qualche archivio diocesano? Plausibile, se non fosse per un'altra stranezza. Visto che di solito, chi pratica per davvero la Storia, la prima cosa che fa è di dichiarare le carte per sottrarsi alle critiche. E di riferire, ad esempio, dove si trova il documento che sta citando e con quale numero di protocollo, chi l'ha redatto e chi ne fosse il destinatario. E già con questi dati a disposizione, la Storia impone, per regola, prudenza. Quando poi mancano, come nel caso in oggetto, la stessa prudenza andrebbe quantomeno moltiplicata. Invece, niente di tutto questo. Solo il già riferito accenno agli «Archivi della Chiesa francese», che appunto hanno però smentito. Resterebbero, allora, solo quelle poche note sul diario del nunzio Roncalli. Un po' poco, per accendere la miccia, considerata anche l'incompletezza degli appunti stessi.
    Siamo allora dinanzi a un errore metodologico? Oppure errore metodico? Nel senso di intenzionale, sulla scia di una "leggenda nera" che, a partire dal dramma Il Vicario scritto nel 1963 da Rolf Hochhuth, s'è costantemente autoalimenta a prescindere dai fatti? La sensazione che la seconda ipotesi non sia poi tanto campata in aria è forte. Soprattutto considerando la censura che finisce sempre col circondare la più che ampia, ed esauriente, storiografia esistente su Pio XII e la sua costante, angosciata preoccupazione per la sorte degli ebrei sotto il regime nazista.

  3. #3
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    Avvenire, mercoledì 5 gennaio, pagine culturali:

    Padre Giovanni Sale replica alle accuse infondate e ingiuriose dello storico americano verso Papa Pio XII

    I fantasmi di Goldhagen

    «Una denuncia pubblica della deportazione avrebbe potuto nuocere alle vittime anziché aiutarle. Inoltre, la situazione non venne sfruttata per imporre il cristianesimo ai bambini ebrei» «Definire Pacelli antisemita, porlo in contrasto con Roncalli e pretendere una commissione sulle presunte non restituzioni dei bimbi israeliti è una provocazione che falsa anche la verità storica»

    Giovanni Sale S. I. (de "La civiltà Cattolica")

    Non pensavamo che un comune dibattito storico, proseguito finora con civile e appassionato confronto tra studiosi di diverso orientamento sulle pagine di alcuni importanti quotidiani italiani, registrasse a un tratto una caduta di tono e di stile così rovinoso e nocivo per il proseguimento del confronto stesso. Facciamo riferimento all'articolo apparso ieri sul «Corriere della Sera» (dove per lo più si è svolta la querelle tra gli storici) a firma di D. J. Goldhagen.
    Con pacatezza vorremmo soltanto ribadire alcuni punti, che per altro la storiografia contemporanea in materia ritiene ormai acquisiti, allontanandosi da interpretazioni unilaterali e radicali messe in circolazione a partire dagli anni Sessanta da una panflettistica anticattolica e antireligiosa. I luoghi comuni di tale letteratura storica nell'articolo di Goldhagen vengono sbrigativamente ripresi alla stregua di veri e propri slogan: così Pio XII ritorna ad essere colui che avrebbe aiutato Hitler nello sterminio degli ebrei, l'antisemita impenitente che riteneva tutti gli ebrei colpevoli della morte di Cristo, e, ultima e inedita trovata, colui che «che avrebbe ordinato ai suoi subordinati di portar via i bambini ai loro genitori», insomma uno dei più grandi rapinatori dei tempi moderni. Le accuse sono così forti e, allo stesso tempo, così inutilmente offensive e infamanti, che ci pare doveroso in questa sede riportare il discorso entro i limiti di un dibattito civile e rispettoso, quale dovrebbe essere ogni confronto storico.
    Procediamo con ordine. Goldhagen afferma che migliaia di bambini ebrei trovarono rifugio negli Istituti religiosi solo grazie all'opera di uomini di cuore come Roncalli e non invece per ordine dell'antisemita Pio XII. Ora non si capisce come mai molti conventi, anche di clausura papale, e case religiose, specialmente a Roma, abbiano aperto le loro porte per accogliere ebrei (o anche perseguitati politici) minacciati di deportazione, senza un ordine esplicito del Papa. P rova di tale intervento personale del Pontefice in favore degli ebrei è un passo del Diario delle consulte di «Civiltà Cattolica», dove si dice, in un appunto del 1° novembre 1943, cioè all'indomani del rastrellamento del ghetto romano e la deportazione di circa 1000 ebrei della Capitale, si dice che il Papa «si è interessato al bene degli ebrei». Un mese dopo Pio XII si lamentava con il p. Martegani (direttore della «Civiltà Cattolica») che ormai «i rifugi ecclesiastici non danno più troppa sicurezza» agli sventurati ospiti, e che nell'interesse di questi sarebbe bene esercitare la carità evitando il più possibile di insospettire l'autorità tedesca.
    Com'è noto, diverse famiglie ebree trovarono ospitalità non soltanto nei palazzi extraterritoriali della Santa Sede, ma perfino all'interno delle mura vaticane e nel palazzo pontificio. Tra i maggiori sostenitori degli ebrei, a Roma, ci fu mons. Ottaviani, futuro cardinale e prefetto del Sant'Uffizio. Egli nel 1943 fu accusato davanti alle autorità tedesche di nascondere ebrei nei palazzi apostolici e di rilasciare certificati falsi di battesimo e di arianità. «Così facilmente e comodamente - scriveva il denunciante - si può diventare cristiani, pur non abiurando alla religione ebraica». Ciò fu fatto non per conquistare alla Chiesa nuove reclute, come ritiene Goldhagen, ma soltanto per aiutare, in un momento così drammatico e delicato, molti ebrei perseguitati. È inutile quindi, come suggerisce Goldhagen, contrapporre l'operato di Roncalli in favore degli ebrei a quello di Pio XII; tutti gli uomini di Chiesa operarono in quella situazione di emergenza umanitaria nella convinzione di interpretare correttamente la mente e il cuore del Papa. Questi agì utilizzando gli strumenti che in quella difficile circostanza gli sembravano più adeguati e idonei a salvare il maggior numero possibile di vite umane. Da uomo della diplomazia qual era, mise in moto tutta la macchina pontificia per raggiungere tale difficile sc opo: i risultati raggiunti furono spesso limitati, ma non inutili. Pio XII era convinto che una denuncia pubblica della deportazione degli ebrei d'Europa sarebbe stata non soltanto inutile ma dannosa nei confronti degli ebrei: probabilmente egli avrebbe salvato la faccia davanti all'opinione del mondo sacrificando però in tal modo un numero probabilmente alto di innocenti.
    Goldhagen accusa inoltre Pio XII e la Chiesa cattolica di antisemitismo. Ora tale definizione semplifica oltremodo la complicata realtà storica, e non aiuta certo a comprendere l'essenza vera dell'antisemitismo moderno, quello professato da Hitler e dai fascismi del XX secolo. Questo infatti non si basava su teorie religiose (come l'antigiudaismo cristiano), ma su princìpi eugenetico-biologici, che consideravano la razza ariana quella superiore e dominante. Chi conosce la teologia cristiana sa che la Chiesa cattolica non approvò mai tali teorie, che furono all'origine dell'Olocausto, anzi in diversi e solenni documenti pontifici esse furono apertamente condannate, nonostante le minacce di Hitler contro la Chiesa in Germania. Alla Chiesa può forse essere imputato di aver propagato nei secoli un sentimento di ostilità religiosa nei confronti degli ebrei, che in alcune circostanze diede luogo a pogrom ed eccidi di ebrei innocenti: di questo la Chiesa cattolica è oggi pienamente consapevole e ripetutamente, attraverso la voce di Giovanni Paolo II, non ha esitato a chiedere perdono per le tante violenze compiute da cristiani lungo i secoli nei confronti del popolo dell'Alleanza. Non ci sembra giusto però, come fa Goldhagen, addossare alla Chiesa responsabilità di fatti (come l'antisemitismo razziale) che non ha commesso e che anzi i Pontefici moderni (Pio XI e Pio XII in particolare) hanno combattuto e condannato.
    Venendo poi all'ultima accusa, quella che ritiene Papa Pacelli "rapinatore" di bambini ebrei, ci sembra doveroso non alzare i toni della polemica e cercare innanzitutto di comp rendere la vicenda nella sua oggettività storica. Come per ogni altra fonte storica, la (pretesa) comunicazione del Sant'Uffizio dell'ottobre del 1946, qualora fosse confermata andrebbe analizzata all'interno del contesto storico-politico di quegli anni, ma anche alla luce della dottrina teologica professata dalla Chiesa cattolica prima della grande svolta conciliare. In effetti nel contestato documento si ripete in linea di massima ciò che la Chiesa da secoli aveva insegnato sul battesimo. Non si rileva cioè alcuna intenzione di "aggravare" o rendere più stretta o coercitiva la disciplina ecclesiastica vigente allora in tale materia. Va pure osservato che nel documento si fa una sottile distinzione, significativa per chi lo legge dall'interno e tenendo presente la specificità del linguaggio canonico-ecclesiastico: quando a richiedere il bambino ebreo battezzato fosse una delle "istituzioni giudaiche", la Chiesa ritiene "conveniente" non concederli, salvo che queste non si impegnino ad assicurarne l'educazione cristiana; quando invece a reclamare il bimbo sono i genitori il documento afferma che questo va restituito se i genitori non avevano chiesto per lui il battesimo; in caso contrario la Chiesa avanza il diritto di far crescere nella fede cristiana colui che ha ricevuto il battesimo per volontà dei genitori. Ma proprio su tale punto il testo in questione è alquanto generico e non dice affatto che il bambino doveva essere strappato ai genitori.
    Passando al piano storico, va sottolineato che la Chiesa, passata la persecuzione, non sfruttò la situazione a lei favorevole per imporre il cristianesimo a bambini ebrei ospitati in istituti gestiti da cattolici. A parte qualche sporadico caso - come, per esempio, quello Finaly, che ebbe risonanza mondiale, e che alla fine si concluse, anche per la mediazione di alcuni uomini di Chiesa, secondo il dispositivo di una sentenza emanata da un tribunale statale - non ci sono state in quegli anni rivendicazioni in questo sen so da parte delle autorità o delle comunità ebraiche. Al contrario furono migliaia invece i ringraziamenti e gli attestati di stima inviati a Pio XII da esponenti del mondo ebraico internazionale per l'opera da lui prestata in favore degli ebrei perseguitati.
    In ogni caso, perché le accuse mosse da Goldhagen nei confronti di Pio XII e della Chiesa cattolica siano fondate, è necessario che parlino i fatti concreti e non le semplici polemiche giornalistiche.

  4. #4
    Giu' la maschera!
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    Parecchio purtroppo.
    Mr. Hyde


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    Come sopra:

    «Giovanni XXIII "venerava" il suo predecessore, lo considerava un maestro e un grande uomo di Chiesa»: la testimonianza di Loris Capovilla, che fu segretario del «Papa buono»

    Pacelli e Roncalli, una sola strada

    «Non ebbi mai da lui voce di casi come quelli contestati oggi e neppure accenni al presunto documento vaticano. Quei bambini ebrei furono salvati da morte certa»

    Dal Nostro Inviato A Sotto Il Monte (Bg) Francesco Ognibene

    «Guardi, quando Giovanni XXIII firmò la Pacem in terris l'accoglienza del "Corriere della Sera" fu nient'affatto entusiastica. Dunque, non mi impressiona quanto leggo in questi giorni». Quello di Ca' Maitino, luogo dei ricordi di Papa Roncalli a Sotto il Monte, per monsignor Loris Capovilla è tutt'altro che un eremo appartato dal mondo. Qui legge, si documenta, archivia. E al momento buono tira fuori dal suo studio carte e documenti che consulta intrecciando episodi tra loro apparentemente lontani, l'attualità e la memoria, che conserva vivissima. Segretario di Roncalli per dieci anni, fu chiamato dal futuro Papa non appena nominato patriarca di Venezia. Non ha dunque esperienza diretta dei fatti accaduti a Parigi, durante gli otto anni nei quali Roncalli fu nunzio in Francia, e rievocati nelle polemiche giornalistiche di questi giorni. Ma può dire con certezza che «Papa Giovanni non mi parlò mai del caso dei bambini ebrei né di una nota ricevuta da Roma». Altrettanta sicurezza Capovilla può spenderla nell'affermare però che Angelo Roncalli «era uomo di straordinaria carità, capace di vedere in tutti gli uomini, senza distinzione culturale o religiosa, i semi del Verbo. Nel decennio come nunzio in Turchia, prima di essere destinato in Francia, lasciò una profonda impressione tra coloro che lo conobbero». In qualità di nunzio, a Istanbul come a Parigi, suo dovere era «applicare le istruzioni che gli venivano impartite da Roma e farle conoscere all'episcopato locale». Quello francese «era composto da figure eccezionali, e non ho motivo di dubitare che fu il criterio della carità a ispirare l'orientamento dei vescovi nelle decisioni sui singoli casi». Ancor prima della nota del Sant'Uffizio al centro del dibattito - «sempre che sia vera», chiosa saggiamente Capovilla -, l'atteggiamento della Chiesa francese e dello stesso nunzio Roncalli fu univoco: salvare la vita a bambini inermi, metterli al sicuro presso famiglie cattoliche che li potessero accudire come figli pro pri, riconsegnare i piccoli alle famiglie di origine una volta che queste si fossero fatte avanti. E i battesimi? «Nelle famiglie in cui trovarono rifugio - spiega Capovilla - quei bambini ricevettero l'educazione e i valori che le contraddistinguevano, com'era ovvio. Il battesimo, poi, per la Chiesa non è certo un vincolo alla libertà individuale di chi lo riceve». Non si trattò dunque affatto di «vessazioni»: «Ricordiamoci sempre che quei bambini furono salvati da morte certa - ammonisce severo Capovilla -. Le famiglie gli trasmisero poi quello che per loro era il tesoro più caro, la fede cattolica, ma senza costrizioni. In un'Europa largamente cristiana, si trattava di un atteggiamento del tutto normale», estraneo a diktat peraltro inesistenti. A guerra finita, risultò poi altrettanto naturale «vagliare le situazioni caso per caso» prestando la massima attenzione a chi bussava alla porta per reclamare i bambini: «Quelle famiglie cosa dovevano fare? Consegnare bimbi allevati insieme ai loro figli ai primi che si presentavano? La Chiesa non fece altro che consigliare una regola di prudenza, e vigilare a tutela dei piccoli». Chi poi prendeva la strada della propria comunità di origine non veniva certo inseguito per coartarne la libertà, né a Capovilla risulta che ad alcuno sia stato impedito di conoscere e riabbracciare la propria famiglia naturale. Prova ne è il fatto che il solo episodio emerso - il celebre «caso Finaly» - ebbe in Francia enorme risonanza. Inspiegabile come altri fatti analoghi non siano venuti a galla in quel periodo.
    Capovilla snocciola fatti e deduzioni come se fossero accaduti ieri, con una chiarezza e un'energia che fugano ogni dubbio. Eppure, c'è chi ancora ieri citava quanto accadde in Francia come prova incontrovertibile che tra Roncalli e Pacelli vi fosse un'insanabile contrasto. Monsignor Capovilla, è vero? Lui fruga tra le carte e recupera l'elogio tessuto il 23 dicembre 1958 da Giovanni XXIII sul sepolcro del predecessore: «Mirabile attività, dottrinale e pastorale (la sua) - disse Papa Roncalli -, che assicura il nome di Pio XII alla posterità. Anche al di fuori di ogni dichiarazione ufficiale, che sarebbe prematura, il triplice titolo di doctor optimus, Ecclesiae sanctae lumen, divinae legis amator ben conviene alla memoria benedetta di lui, Pontefice della nostra età fortunosa». Difficile scorgere altro da un atteggiamento che Capovilla definisce di «venerazione». Il rapporto tra Roncalli nunzio e il Pontefice fu sempre filiale, tanto che Pacelli non esitava a chiedergli informazioni che oggi suonano decisive per capire cosa accadde realmente: il 10 ottobre 1941 Roncalli, descrivendo l'udienza appena concessagli da Pio XII in qualità di nunzio in Turchia, dice che il Papa «mi chiese se il suo silenzio circa il contegno del nazismo non è giudicato male». Roncalli, commenta Capovilla, «era ben consapevole dell'angoscia che aveva attanagliato Pio XII nei tragici momenti della persecuzione nazista agli ebrei. È facile oggi immaginare e pretendere un gesto profetico da un Papa che ben sapeva a quali tragiche conseguenze quel gesto potesse esporre l'intera cattolicità nell'Europa soggetta al dominio hitleriano». E comunque, ben venga la chiarezza della storia: «Papa Giovanni lodava la decisione di Leone XIII di aprire gli archivi vaticani. La Chiesa - diceva - non ha nulla da temere dalla verità indagata dagli storici». Basta che da storici, e non da propagandisti, costoro si comportino.

  6. #6
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    Fondo di oggi, giovedì 6 gennaio:

    FRA STORIOGRAFIA E GIORNALISMO

    LA TENTAZIONE DI FARE I DILETTANTI

    Pietro De Marco

    Uno storico di grande professionalità come Daniele Menozzi ha dichiarato ad un'agenzia: «Su un argomento così serio e delicato [quale il rapporto Chiesa cattolica/ebrei], e soprattutto su cui la sensibilità oggi è così attenta, non è opportuno assecondare atteggiamenti sensazionalistici, superficiali e approssimativi (...). La società dello spettacolo ne ha probabilmente bisogno per autoperpetuarsi, una storiografia che intenda svolgere le sue funzioni critiche assai meno. Proporre, come si è fatto, un documento (...) è indice di un atteggiamento che (...) ha molto a che fare con la volontà di proporre un uso pubblico e politico della storia che è totalmente incompatibile con la funzione civile che la storiografia dovrebbe svolgere».
    Ammettiamo pure, in una prospettiva meno rigoristica, che usi politici e pubblici del lavoro degli storici siano inevitabili, non solo in termini di fragilità intellettuale e morale degli uomini ma di animazione conoscitiva, di intimo finalismo, del progetto storiografico (e qui l'uso politico potrebbe divenire, seppur sempre rischiosamente, virtuoso). Ma l'uso politico ha vitale bisogno di regole, e saranno regole (circa lo stesso progetto storiografico) anzitutto interne, fondate sulla consapevolezza e la misura dello scarto tra quanto sarebbe più obiettivamente posto e quanto l'urgenza «politica» chiede talora allo storico di dire.
    Abbiamo commemorato in questi giorni il maestro laico Eugenio Garin: ebbene, l'autore delle discusse Cronache di filosofia italiana sapeva, e aveva il rigore di ammettere, che quell'opera era nata come grande saggio polemico (restando, aggiungo, un'opera magistrale). La verità dell'enunciato storiografico «politicamente» ordinato (se ha dignità) è verità pratica e ha conseguenti lim iti conoscitivi, radicali; le parti che lo sanno l'accolgono, usano, combattono come tale.
    Perché allora l'ondata feroce prodotta - tramite il più autorevole giornale italiano - dal deprimente dono di Natale di un foglietto dattiloscritto con un testo anonimo del 1946 (anche mal tradotto), ha invece un suo corso disastrosamente incontrollabile nel pubblico e per il pubblico? Perché presso alcuni protagonisti si è verificato un deficit di consapevolezza e di controllo dell'uso pubblico della storia. Lo mostra la titolazione delle pagine del Corriere (il giornalista è infatti il primo e più sintomatico pubblico della notizia che costruisce). «Pio XII al nunzio Roncalli: non restituite i bimbi ebrei» (28.12.2004); «Il Vaticano non può beatificare Pio XII» (29.12.2004); «Battesimi forzati, il male oscuro della chiesa» (31.12.2004); in un sommario del 2.1.2005: «Persecuzioni. I costretti a convertirsi, se tornavano alla loro fede, erano apostati», ove il miscuglio di inesatto e di ovvio produce il sensazionale.
    Così però il meccanismo si fa impietoso, tant'è che per difendere la memoria e la causa di Pacelli il Giornale ritiene a sua volta di gridare: «Il documento "agghiacciante"? Lo scrisse Roncalli», non meno criticamente insensato del «Pio XII chiede a Roncalli di non restituire alle famiglie i piccoli battezzati» (Corriere, 2.1.2005).
    Insomma, l'uso politico della storia (fino all'orrenda falsificazione di Goldhagen) slitta così nella sregolata alterazione del dato e nella corruzione del lettore.

  7. #7
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    Mercoledì 6 gennaio:

    Ventotto righe dattiloscritte su un foglio privo di firma e anche dello stemma della Nunziatura: ecco il testo da cui nascono le polemiche di questi giorni Forse una sintesi di servizio, di sicuro non un atto del Sant’Uffizio Al centro, in ogni caso, l’impegno della Chiesa per i «perseguitati»

    La carta dell'equivoco

    La genesi dell'appunto andrebbe fatta risalire alla richiesta, avanzata dal rabbino di Gerusalemme, di informazioni sugli orfani accolti dagli istituti religiosi

    Da Roma - Salvatore Mazza

    Una sola pagina, ventotto righe dattiloscritte, di tre che comporrebbero l'originale; manca quella con la firma. Nessuna intestazione. Oggetto: ...bambini ebrei affidati a organizzazioni cattoliche al momento della persecuzione. Il "documento" che ha riattizzato la polemica sulla "politica ebraica" della Chiesa durante e dopo la seconda guerra mondiale è tutto qui. Incompleto e, nonostante le bordate che adesso, dopo Pio XII, hanno come bersaglio l'allora nunzio Angelo Roncalli, ancora misterioso nella sua origine. Sicuramente non tale - né per la sua natura, né per la sua rilevanza oggettiva - da poter fondare la pesante campagna denigratoria costruita su di esso. Ed è forse significativo, proprio a questo riguardo, che nella prima traduzione del testo offerta dal Corriere della Sera ai suoi lettori manchi l'oggetto di questo pur incompleto "documento". La parte cioè in cui l'autore, chiunque egli sia, circoscrive la valenza del suggerimento ai «bambini ebrei affidati a organizzazioni cattoliche al momento della persecuzione». A sottolineare che si tratta di valutare caso per caso nell'ambito di una tragica e definita situazione, non di una sorta di "politica generale". La data (Paris le 23 octobre 1946) aiuta forse a capire e a inquadrare meglio la vicenda. Appena finita la guerra il rabbino capo di Gerusalemme Herzog aveva infatti scritto a Pio XII per ringraziarlo di quanto aveva fatto durante gli anni del conflitto per salvare gli ebrei, e chiedendo in ultimo di adoperarsi per favorire il ritorno alle loro famiglie dei bambini che erano stati affidati a famiglie o istituzioni cattoliche. Papa Pacelli passò probabilmente con una nota d'urgenza la pratica al Sant'Uffizio. Che a sua volta in pochi giorni, alla luce di quella che era allora la disciplina sui sacramenti, stilò probabilmente una sorta di "comunicazione di servizio" poi trasmessa ai nunzi interessati. Nella quale (come del resto anche il "documento" oggi in questione afferma chiaramente), no n viene minimamente posta in discussione la restituzioni dei bambini alle loro famiglie, ma si invita appunto a valutare caso - per caso - magari anche severamente - quando ad avanzare la richiesta di restituzione fosse un'organizzazione ebraica. E molte di queste erano attive a quel tempo, in vista della nascita dello Stato di Israele. In questo contesto, è plausibile che dalla nunziatura di Francia sia partito un promemoria per i vescovi francesi, nel quale erano condensate quelle indicazioni. Firmato da chi? Dal nunzio? Ma perché nel foglio, come accennato, manca allora lo stemma della Nunziatura? E, poi, in che forma sarebbe stato trasmesso? Assieme agli interrogativi sull'origine, sono anche queste ultime domande che ogni storico dovrebbe porsi prima di arrivare a conclusioni - «Pio XII a Roncalli: non restituite i bimbi ebrei» - che, più ancora che affrettate, sembrano del tutto campate in aria. O, peggio ancora, scientificamente denigratorie. Soprattutto considerando il fatto che, come si evince chiaramente anche nell'incompletezza del testo in questione, non solo non è mai stato in discussione il diritto delle famiglie di riavere i propri bambini ma che le indicazioni riguardavano, alla fine, davvero un numero molto ristretto di casi, da valutare singolarmente di volta in volta.

  8. #8
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    Come mai i (più di uno) thread contro Pacelli sono stati lasciati sul Forum Principale, mentre il primo thread di discolpa viene "spostato"?
    Quale logica c'è dietro questo intervento?

  9. #9
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    In Origine postato da Vahagn
    Come mai i (più di uno) thread contro Pacelli sono stati lasciati sul Forum Principale, mentre il primo thread di discolpa viene "spostato"?
    Quale logica c'è dietro questo intervento?
    Effettivamente me lo sono chiesto anch'io.

    Pier

  10. #10
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    In Origine postato da Pierluigi
    Effettivamente me lo sono chiesto anch'io.

    Pier

    E hai visto come hanno risposto alla nostra richiesta di spiegazioni?
    Con un bel lucchetto ...
    Il che conferma il sostetto che chi dovrebbe moderare neutralmente in alcuni casi parteggi per una parte in causa.

 

 

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