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Discussione: Sul Rosmini

  1. #1
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    Conoscete il commento di Rosmini?
    Lo sto leggendo, è un pò filosofeggiante, ma è bello.
    So che però Rosmini non era apprezzatissimo...
    Saluti

  2. #2
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    Rosmini fu sicuramente un grande uomo e un grande pensatore, ingiustamente perseguitato.
    La stima per lui, personalmente, non mi porta sulla sua linea: l'ontologismo rosminiano non mi sembra proponibile.


  3. #3
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    La filosofia rosminiana, pur apprezzabile sotto certi aspetti (quando si sofferma in special modo sulla politica e sul diritto), non è in genere consigliabile. Il suo "ontologismo" appare a volte equivoco se non erroneo. Ad es., tempo fa mi capitò di soffermarmi sul pensiero di Rosmini nei riguardi di Maria. E devo dire che, nel leggerlo, rimasi stupito di alcune sue affermazioni. Dice, ad es., che la preservazione di Maria dalla colpa originale si è verificata perchè Dio conservò una linea generazionale immune dal peccato adamico. La conseguenza è che anche S. Anna sarebbe stata immune da quella colpa e su su risalendo indietro sino ai nostri progenitori. Non spiegava però come i nostri progenitori avessero potuto generare dei figli senza colpa e figli con la colpa originale. Ma soprattutto - oltre a cadere in un evidente errore di fede (smentito dalle Scritture) - pretermetteva il valore di Grazia particolare - e dunque di dono del tutto particolare ed eccezionale - dato a Maria, affinchè diventasse la Madre di Dio, di Gesù. Anzi, quella sua impostazione mi pareva smentisse pure il valore salvifico del sacrificio di Gesù, sminuendolo. Tutti gli (altri) uomini sono redenti da questo, mentre Maria - in via eccezionale - è stata redenta prima che il peccato la toccasse, ed in vista proprio del sacrificio di Cristo.
    Ed ho pensato che la "persecuzione" (ammesso che possa chiamarsi così) non fosse stata poi così ingiusta. Per lo meno se si guardava questo profilo del suo pensiero.

  4. #4
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    Grazie per le risposte. Francamente non conoscevo direttamente Rosmini prima di leggere il suo commento all'introduzione del Vangelo secondo S.Giovanni, quindi non so bene che si intenda per ontologismo rosminiano.
    Certo il resoconto di Augustinus dà l'idea di alcune posizioni quantomeno problematiche.
    Saluti

  5. #5
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    Rosmini, voce del Risorgimento e profeta del terzo millennio

    Fondamentale il suo contributo all'unità d'Italia, secondo Giuseppe De Rita


    ROMA, venerdì, 9 novembre 2007 (ZENIT.org).- Antonio Rosmini ha contributo a formare lo spirito nazionale italiano ed è stato un riformatore incompreso, un profeta nel sottolineare l'importanza degli assetti nazionali nell'edificazione di una Europa stabile, ha detto il professor Giuseppe De Rita, sociologo e fondatore del Censis.

    E' questo quanto è emerso dall'intervento pronunciato dal docente questo giovedì a Roma, presso la “Radio Vaticana”, nel corso della conferenza stampa di presentazione della beatificazione di Rosmini (1797-1855), che avrà luogo a Novara il 18 novembre prossimo.

    Il professor Giuseppe De Rita, Vicepresidente del Comitato per le celebrazioni civili di Rosmini, presieduto dal Senatore a vita Francesco Cossiga, ha messo in luce il ruolo che questo pensatore ha ricoperto nel dibattito politico dell'Ottocento e nella costituzione dell'unità d'Italia.

    Il noto sociologo ha posto l'accento su tre aspetti in particolare del pensiero politico del futuro beato, tuttora attuali: il “concetto di nazione”, l'inclinazione per una “cultura dell’articolazione policentrica del potere in una struttura confederale”, e la “democrazia intesa come giustizia sociale”.

    Infatti, ha spiegato il docente, “se l'Italia oggi ha un po' di spirito di nazione, e se è riuscita faticosamente a diventare una nazione, ciò è anche merito di Rosmini”, che ha parlato del “valore forte che la dimensione della nazionalità deve avere nel mondo moderno”.

    Rosmini partecipò con entusiasmo e ottimismo alla primavera del 1848, auspicando che il papato si mettesse alla guida di quel movimento di nazionalità anche per temperarne gli eccessi e incanalarlo in un ideale di solidarietà.

    Questo intellettuale dell'Ottocento parlava della necessità di puntare sulla nazione, senza scadere in particolarismi nocivi al benessere del mondo civile, e paventava i pericoli di una Europa senza assetti nazionali al suo interno destinata ad avviarsi rapidamente verso il declino, ha spiegato De Rita.

    Il docente ha affermato poi che in Rosmini si può riconoscere l'autentico “antesignano di una certa governance, di una forma di governo che noi diciamo democratica e che nella prima metà dell'Ottocento sembrava molto strana”.

    In campo politico, guardava con un certo interesse alle sorgenti democrazie liberali, individuando in esse la presenza di un nucleo evangelico di libertà e di dignità della persona umana, che andava incoraggiato.

    Quando esisteva ancora lo Stato della Chiesa e il cattolicesimo era “religione di Stato”, Rosmini fu l’unico a reagire duramente e a scrivere: “La religione cattolica non ha bisogno di protezioni dinastiche, ma di libertà. Ha bisogno che sia protetta la sua libertà, e non altro”.

    L’alfiere italiano del cattolicesimo liberale e del cattolicesimo democratico invitava il papato a liberarsi dal suo potere temporale. In una lettera al Cardinale Castracane del 1848 (vent'anni in anticipo sull'unificazione d'Italia) scriveva: “Quando avesse luogo l’unità federativa d’Italia, il sommo pontefice rimarrebbe un principe del tutto pacifico e manderebbe dei nunzi per gli affari spirituali; e li manderebbe, in più, non ai principi ma alle Chiese del mondo”.

    Egli cercò “di scardinare l'amministrazione dello Stato della Chiesa” e di introdurre la democrazia in una Chiesa, “orfana del Sacro Romano Impero”, ha detto il professor De Rita.

    Purtroppo, questo tentativo suscitò una certa apprensione e infatti nel 1849 i suoi due libri Le cinque piaghe della santa Chiesa e La Costituzione secondo la giustizia sociale furono messi all’Indice dei libri proibiti.

    Pur intrattenendo ottimi rapporti con i membri della famiglia Savoia, “non gli interessava una logica di stampo unitario fatto in forma piramidale” - ha detto il sociologo - e affermava che la confederazione fra i diversi Stati italiani era “l'unica tavola di salvezza”.

    “E' rilevante - ha sottolineato - che un Abate dell'Ottocento abbia pensato a una forma di governo confederale, di tipo policentrico”, rispetto a quanto veniva espresso nel panorama intellettuale di allora.

    In una lettera a Cavour – ha continuato il docente – emerge in modo netto questa sua voglia di uscire dal potere di vertice per suscitare una cultura della partecipazione ai problemi comuni, non solo attraverso il diritto di voto, e per rendere i cittadini i veri attori della giustizia sociale.

    Rosmini affermava che “la costruzione della società è un complesso di atti e una pluralità di persone”, dove si avverte l’inizio della tematica del pluralismo culturale e politico e di quello “sviluppo di popolo” che ha caratterizzato la democrazia italiana degli ultimi decenni.

    Fonte: Zenit, 9.11.2007

  6. #6
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    Beh .... con questo intervento De Rita, inconsapevolmente, stigmatizza il Rosmini dal punto di vista cattolico ..... .

  7. #7
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    Quale deve essere lo stato in tesi, per principio, secondo la dottrina cattolica, quali le sue leggi, come si dovrebbe comportare con i non cattolici e con i non cristiani?
    Mi riferisco ad uno stato ideale, in tesi, stato del tutto in linea con gli insegnamenti della Chiesa.

    D'accordo per il rispetto del diritto naturale, come l'indissolubilità del Matrimonio, la difesa della vita dal concepimento alla nascita e la difesa del riposo festivo.
    Tuttavia come si dovrebbe comportare uno stato nei confronti di eretici, scismatici, apostati, ecc... verso coloro che si macchiano di delitti di natura esclusivamente religiosa, come eresia, scisma, apostasia, ecc..?
    Come si dovrebbe comportare molto concretamente nei confronti di coloro che abbandonano la Chiesa, verso coloro che nascono in religioni non cattoliche, verso i culti diversi dal cattolicesimo?
    Queste sono domande importanti che sono connesse con la questione dibattuta dal De Rita.

    Chiaramente sto parlando di tesi, di ideale, di principi. Un conto è la tesi ed un conto e l'ipotesi:

    http://www.unavox.it/051b.htm

    Un'altra domanda può essere questa: che tipo di pene ci devono essere in questo stato cattolico ideale per chi commette reati, e per chi commette delitti di natura esclusivamente religiosa?
    Per quanto riguarda i meccanismi di indagine sa usare per ottenere le confessioni nei tribunali dello stato e tribunali religiosi?

    Alla fine bisogna essere onestamente chiari quando si parla.
    Non si può dire solo: noi non vigliamo questa cosa. Bisogna specificare se non lo vogliamo in tesi o in ipotesi, se non lo vogliamo perché nelle condizioni sociali attuali non è purtroppo possibile oppure perché non lo vogliamo perché è contro i nostri pricipi morali.
    Ad esempio:
    Noi non vogliamo l'aborto perché è contro i nostri principi morali, quindi non vogliamo che lo stato lo legalizzi e lo permetta.
    La repressione violenta di altri culti non è voluta perché va contro i nostri principi morali oppure perché purtroppo allo stato attuale delle cose non è possibile chiedere allo stato una cosa simile?

    Augustinus, non mi sto riferendo a te quando parlo di scarsa chiarezza.
    Grazie a Dio sei sempre stato molto chiaro e netto nelle tue risposte.
    Però devo confessare che ho come l'impressione che non si usi altrettanta chiarezza all'interno di espressione all'interno del mondo ecclesiale.

    CIAO

  8. #8
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    Antonio Rosmini, dall' “Indice dei libri proibiti" alla beatificazione

    ROMA, martedì, 13 novembre 2007 (ZENIT.org).- Si concluderà domenica prossima, 18 novembre, il lungo iter che ha portato alla beatificazione di Antonio Rosmini. La celebrazione verrà ospitata dalla città di Novara, nella cui diocesi – precisamente a Stresa – Rosmini, nato a Rovereto (Trento) nel 1797, morì nel 1855.

    La causa per la beatificazione di Antonio Rosmini è stata avviata il 1° luglio 1997, dopo una lunga preparazione iniziata l’anno stesso della morte del futuro beato.

    Nel 1882 ebbe inizio la raccolta di testimonianze utili per la causa, ma il processo non venne aperto. In quel periodo, infatti, il Sant’Uffizio stava compiendo un’analisi delle opere di Rosmini, culminata nel 1887 con la condanna Post obitum (pubblicata soltanto il 7 luglio 1888) di 40 proposizioni rosminiane ritenute erronee.

    In particolare fu il volume Delle cinque piaghe della Santa Chiesa a finire nell'Indice dei libri proibiti nel 1849 (insieme a La costituzione civile secondo la giustizia sociale), per poi essere prosciolata nel 1854 dalla stessa Congregazione dell'Indice con il decreto Dimittantur.

    Nell'opera Rosmini faceva una lucida disamina dei mali che affliggevano la Chiesa cattolica già nella prima metà del XIX secolo: “la divisione del popolo dal clero nel pubblico culto”; “la insufficiente educazione del clero”; “la disunione dei vescovi”; “la nomina dei vescovi abbandonata al potere del clero”; e “la servitù dei beni ecclesiastici”.

    Tuttavia le prime contestazioni al pensiero rosminiano risalgono già all'epoca del Trattato della coscienza morale, pubblicato nel 1840 e nel quale il sacerdote aveva tentato di esprimere con le categorie della filosofia moderna concetti quali “peccato” o “colpa” suscitando dei sospetti tra alcuni membri della Compagnia di Gesù dell’epoca, che scrissero contro di lui dei libelli diffamatori.

    Nella turbolenta stagione del 1848 erano state poi le riflessioni politico-ecclesiastiche di Rosmini e il suo entusiamo per le nascenti democrazie liberali a catalizzare l'attenzione e a destare timori fra coloro che vedevano nella dottrina di Rosmini il pericolo per uno stravolgimento del dogma cattolico e il tentativo di introdurre la democrazia nella Chiesa.

    Neppure la scomparsa nel 1855 del filosofo di Rovereto pose fine alle polemiche sulla sua opera, tanto che lo scontro tra sostenitori e detrattori tornò a inasprirsi fino a indicare nel pensiero rosminiano un'altrernativa pericolosa rispetto alla neoscolastica tomista e ad additare la Teosofia come un sistema imbevuto di panteismo e confusione dell'ordine naturale col soprannaturale.

    Nel 1928, padre Bernardino Balsari, il Superiore Generale dell’Istituto della Carità, fondato da Rosmini, ritenne opportuno provare a dare inizio alla causa. Ricorreva quell’anno il centenario della fondazione dell’Istituto, si erano verificate guarigioni miracolose ricondotte all’intercessione del futuro beato e non si volevano perdere le testimonianze di chi lo aveva conosciuto.

    Anche questa volta, tuttavia, il processo si arrestò. In alcuni ambienti vaticani, infatti, non si voleva rischiare di riaccendere le antiche polemiche suscitate dal pensiero di Rosmini, motivo che fu alla base del rifiuto a procedere all’inizio di una causa anche nel 1947.

    Nel 1962 Papa Giovanni XXIII incontrò il Superiore Generale dell’Istituto della Carità, padre Giovanni Gaddo, e si disse interessato all’apertura della causa di beatificazione, ma rimandò la questione al termine del Concilio Vaticano II. Come si sa, tuttavia, Papa Roncalli morì prima di vederne la fine, e la causa di Antonio Rosmini venne nuovamente abbandonata.

    Di fronte a una nuova apertura agli inizi degli anni Settanta, nel 1974 venne nominata una Commissione presso la Congregazione per la Dottrina della fede per studiare la questione rosminiana. I lavori durarono fino alla metà del 1976, ma non portarono a un risultato positivo per la decisione del dicastero di non pronunciarsi in modo definitivo a causa della disparità di giudizio dei consultori. Gli studiosi vennero invece invitati ad approfondire meglio Rosmini per trovare un’interpretazione che permettesse di sollevare la censura.

    Nel 1990 il Superiore Generale, padre Giovanni Zantedeschi, inviò alla Congregazione per la Dottrina della Fede la documentazione relativa a nuovi elementi di valutazione per precisare l’esatta posizione di Rosmini circa le “quaranta proposizioni” condannate nel 1887.

    Dopo un esame con esito positivo, nel 1994 è stato permesso di stilare la Declaratio con il permesso a procedere alla causa di beatificazione, del 19 febbraio.

    Il 1° luglio 1997 si è costituito il Tribunale diocesano per il processo informativo sulla fama di santità di Antonio Rosmini, conclusosi nel 1998, quando tutta la documentazione venne inviata alla Congregazione per le Cause dei Santi. Successivamente venne nominato Postulatore padre Claudio Massimiliano Papa.

    A riabilitarne la figura fu anche Giovanni Paolo II, che nella sua Enciclica “Fides et ratio” lo cita tra “i grandi teologi cristiani, che si segnalarono anche come grandi filosofi”.

    Il 1° luglio 2001, nel 146° anniversario della morte di Antonio Rosmini, “L’Osservatore Romano” ha quindi pubblicato una Nota della Congregazione per la Dottrina della Fede in cui si affermava che le quaranta proposizioni condannate nel 1887 erano state riabilitate.

    Il documento era firmato dall’allora Prefetto della Congregazione, il Cardinale Joseph Ratzinger, che, una volta diventato Papa, ha autorizzato la Congregazione delle Cause dei Santi a promulgare – il 26 giugno 2006 – il decreto di esercizio eroico delle virtù testimoniate da Antonio Rosmini, e il 1° giugno 2007 il decreto sul miracolo avvenuto per intercessione del venerabile.

    Il lungo iter della beatificazione di Antonio Rosmini si concluderà domenica prossima, quando la diocesi di Novara potrà festeggiare l’iscrizione nell’albo dei beati di questa grande figura che ha donato alla Chiesa due Congregazioni, l’Istituto della Carità – ramo maschile – e le Suore della Provvidenza, oggi presenti nei cinque continenti.

    Fonte: Zenit, 13.11.2007

    Ritratto giovanile di Rosmini

    F. Hayez, Ritratto di Rosmini, 1853

    Monumento funebre di Rosmini

  9. #9
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    Nessuno mette in dubbio che Rosmini sia stato un pio ed esemplare sacerdote. Tuttavia, non si può fare a meno di evidenziare come le sue dottrine tradiscano una certo liberalismo, liberalismo e democratismo in ambito ecclesiastico, tanto che lo stesso prof. De Rita confessa che il futuro beato tentò “di scardinare l'amministrazione dello Stato della Chiesa” e di introdurre la democrazia in una Chiesa. Significativo è l'ultimo articolo di Zenit, secondo cui

    Nel 1962 Papa Giovanni XXIII incontrò il Superiore Generale dell’Istituto della Carità, padre Giovanni Gaddo, e si disse interessato all’apertura della causa di beatificazione, ma rimandò la questione al termine del Concilio Vaticano II.
    Evidentemente Giovanni XXIII riteneva non ancora maturi i tempi, non essendo stata mutata la dottrina a quel tempo. Ma, dopo il Concilio, le cose sarebbero state diverse .... . Già Giovanni XXIII fiutava le "novità" conciliari e pensava bene che il Rosmini sarebbe stato il nuovo alfiere, una sorta di anticipatore di queste novità. L'affermazione sopra riportata mi lascia, dunque, alquanto perplesso, facendomi sorgere dei dubbi sulla continuità della dottrina pre e post-conciliare.

  10. #10
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    Predefinito Documento ambiguo

    CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE

    NOTA sul valore dei Decreti dottrinali
    concernenti il pensiero e le opere del
    REV.DO SAC. ANTONIO ROSMINI SERBATI


    1. Il Magistero della Chiesa, che ha il dovere di promuovere e custodire la dottrina della fede e preservarla dalle ricorrenti insidie provenienti da talune correnti di pensiero e da determinate prassi, a più riprese si è interessato nel secolo XIX ai risultati del lavoro intellettuale del Rev.do Sacerdote Antonio Rosmini Serbati (1797-1855), ponendo all’Indice due sue opere nel 1849, dimettendo poi dall’esame, con Decreto dottrinale della Sacra Congregazione dell’Indice, l’opera omnia nel 1854, e, successivamente, condannando nel 1887 quaranta proposizioni, tratte da opere prevalentemente postume e da altre opere edite in vita, col Decreto dottrinale, denominato Post obitum, della Sacra Congregazione del Sant’Uffizio (Denz. 3201-3241).

    2. Una lettura approssimativa e superficiale di questi diversi interventi potrebbe far pensare ad una intrinseca e oggettiva contraddizione da parte del Magistero nell’interpretare i contenuti del pensiero rosminiano e nel valutarli di fronte al popolo di Dio. Tuttavia una lettura attenta non soltanto dei testi, bensì anche del contesto e della situazione in cui sono stati promulgati, aiuta a cogliere, pur nel necessario sviluppo, una considerazione insieme vigile e coerente, mirata sempre e comunque alla custodia della fede cattolica e determinata a non consentire sue interpretazioni fuorvianti o riduttive. In questa stessa linea si colloca la presente Nota sul valore dottrinale dei suddetti Decreti.

    3. Il Decreto del 1854, con cui vennero dimesse le opere del Rosmini, attesta il riconoscimento dell’ortodossia del suo pensiero e delle sue intenzioni dichiarate, allorché rispondendo alla messa all’indice delle sue due opere nel 1849, egli scrisse al Beato Pio IX: «Io voglio appoggiarmi in tutto sull’autorità della Chiesa, e voglio che tutto il mondo sappia che a questa sola autorità io aderisco».[1] Il Decreto stesso tuttavia non ha inteso significare l’adozione da parte del Magistero del sistema di pensiero rosminiano come strumento filosofico-teologico di mediazione della dottrina cristiana e nemmeno intende esprimere alcun parere circa la plausibilità speculativa e teoretica delle posizioni dell’Autore.

    4. Le vicende successive alla morte del Roveretano richiesero una presa di distanza dal suo sistema di pensiero, e in particolare da alcuni enunciati di esso. È necessario illuminare anzitutto i principali fattori di ordine storico-culturale che influirono su tale presa di distanza culminata con la condanna delle “Quaranta Proposizioni” del Decreto Post obitum del 1887.

    Un primo fattore si riferisce al progetto di rinnovamento degli studi ecclesiastici promosso dall’Enciclica Aeterni Patris (1879) di Leone XIII, nella linea della fedeltà al pensiero di S. Tommaso d’Aquino. La necessità ravvisata dal Magistero pontificio di fornire uno strumento filosofico e teoretico, individuato nel tomismo, atto a garantire l’unità degli studi ecclesiastici soprattutto nella formazione dei sacerdoti nei Seminari e nelle Facoltà teologiche, contro il rischio dell’eclettismo filosofico, pose le premesse per un giudizio negativo nei confronti di una posizione filosofica e speculativa, quale quella rosminiana, che risultava diversa per linguaggio e per apparato concettuale dalla elaborazione filosofica e teologica di S. Tommaso d’Aquino.

    Un secondo fattore da tenere presente è che le proposizioni condannate sono estratte in massima parte da opere postume dell’Autore, la cui pubblicazione risulta priva di qualsiasi apparato critico atto a spiegare il senso preciso delle espressioni e dei concetti adoperati in esse. Ciò favorì un’interpretazione in senso eterodosso del pensiero rosminiano, anche a motivo della difficoltà oggettiva di interpretarne le categorie, soprattutto se lette nella prospettiva neotomista.

    5. Oltre a questi fattori determinati dalla contingenza storico-culturale ed ecclesiale del tempo, si deve comunque riconoscere che nel sistema rosminiano si trovano concetti ed espressioni a volte ambigui ed equivoci, che esigono un’interpretazione attenta e che si possono chiarire soltanto alla luce del contesto più generale dell’opera dell’Autore. L’ambiguità, l’equivocità e la difficile comprensione di alcune espressioni e categorie, presenti nelle proposizioni condannate, spiegano tra l’altro le interpretazioni in chiave idealistica, ontologistica e soggettivistica, che furono date da pensatori non cattolici, dalle quali il Decreto Post obitum oggettivamente mette in guardia. Il rispetto della verità storica esige inoltre che venga sottolineato e confermato il ruolo importante svolto dal Decreto di condanna delle “Quaranta Proposizioni”, in quanto non solo esso ha espresso le reali preoccupazioni del Magistero contro errate e devianti interpretazioni del pensiero rosminiano, in contrasto con la fede cattolica, ma anche ha previsto quanto di fatto si è verificato nella recezione del rosminianesimo nei settori intellettuali della cultura filosofica laicista, segnata sia dall’idealismo trascendentale sia dall’idealismo logico e ontologico. La coerenza profonda del giudizio del Magistero nei suoi diversi interventi in materia è verificata dal fatto che lo stesso Decreto dottrinale Post obitum non si riferisce al giudizio sulla negazione formale di verità di fede da parte dell’Autore, ma piuttosto al fatto che il sistema filosofico-teologico del Rosmini era ritenuto insufficiente e inadeguato a custodire ed esporre alcune verità della dottrina cattolica, pur riconosciute e confessate dall’Autore stesso.

    6. D’altra parte, si deve riconoscere che una diffusa, seria e rigorosa letteratura scientifica sul pensiero di Antonio Rosmini, espressa in campo cattolico da teologi e filosofi appartenenti a varie scuole di pensiero, ha mostrato che tali interpretazioni contrarie alla fede e alla dottrina cattolica non corrispondono in realtà all’autentica posizione del Roveretano.

    7. La Congregazione per la Dottrina della Fede, a seguito di un approfondito esame dei due Decreti dottrinali, promulgati nel secolo XIX, e tenendo presenti i risultati emergenti dalla storiografia e dalla ricerca scientifica e teoretica degli ultimi decenni, è pervenuta alla seguente conclusione:

    Si possono attualmente considerare ormai superati i motivi di preoccupazione e di difficoltà dottrinali e prudenziali, che hanno determinato la promulgazione del Decreto Post obitum di condanna delle “Quaranta Proposizioni” tratte dalle opere di Antonio Rosmini. E ciò a motivo del fatto che il senso delle proposizioni, così inteso e condannato dal medesimo Decreto, non appartiene in realtà all’autentica posizione di Rosmini, ma a possibili conclusioni della lettura delle sue opere. Resta tuttavia affidata al dibattito teoretico la questione della plausibilità o meno del sistema rosminiano stesso, della sua consistenza speculativa e delle teorie o ipotesi filosofiche e teologiche in esso espresse.

    Nello stesso tempo rimane la validità oggettiva del Decreto Post obitum in rapporto al dettato delle proposizioni condannate, per chi le legge, al di fuori del contesto di pensiero rosminiano, in un’ottica idealista, ontologista e con un significato contrario alla fede e alla dottrina cattolica.


    8. Del resto la stessa Lettera Enciclica di Giovanni Paolo II Fides et ratio, mentre annovera il Rosmini tra i pensatori più recenti nei quali si realizza un fecondo incontro tra sapere filosofico e Parola di Dio, aggiunge nello stesso tempo che con questa indicazione non si intende «avallare ogni aspetto del loro pensiero, ma solo proporre esempi significativi di un cammino di ricerca filosofica che ha tratto considerevoli vantaggi dal confronto con i dati della fede».[2]

    9. Si deve altresì affermare che l’impresa speculativa e intellettuale di Antonio Rosmini, caratterizzata da grande audacia e coraggio, anche se non priva di una certa rischiosa arditezza, specialmente in alcune formulazioni, nel tentativo di offrire nuove opportunità alla dottrina cattolica in rapporto alle sfide del pensiero moderno, si è svolta in un orizzonte ascetico e spirituale, riconosciuto anche dai suoi più accaniti avversari, e ha trovato espressione nelle opere che hanno accompagnato la fondazione dell’Istituto della Carità e quella delle Suore della Divina Provvidenza.

    Il Sommo Pontefice Giovanni Paolo II, nel corso dell’Udienza dell’8 giugno 2001, concessa al sottoscritto Cardinale Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, ha approvato questa Nota sul valore dei Decreti dottrinali concernenti il pensiero e le opere del Rev.do Sacerdote Antonio Rosmini Serbati, decisa nella Sessione Ordinaria, e ne ha ordinato la pubblicazione.

    Roma, dalla sede della Congregazione per la Dottrina della Fede, il 1° luglio 2001.

    + JOSEPH Card. RATZINGER
    Prefetto

    + TARCISIO BERTONE, S.D.B.
    Arcivescovo emerito di Vercelli
    Segretario
    -----------------------------------------------------------------------
    [1] ANTONIO ROSMINI, Lettera al Papa Pio IX, in: Epistolario completo, Casale Monferrato, tip. Pane 1892, vol. X, 541 (lett. 6341).

    [2] GIOVANNI PAOLO II, Lett. Enc. Fides et ratio, n. 74, in: AAS, XCI, 1999 - I, 62.

 

 
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