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Discussione: Mazziniani in LIGURIA

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    Mazziniani in LIGURIA

    [mid]http://xoomer.virgilio.it/francesco.rinaldi29/KAR_ITALIANE/Battisti/Battisti_-_Io_vivro'_(senza_te).mid[/mid]

    Staglieno

    della commemmorazione tenuta il 10 marzo dall'avv. Renzo Brunetti, Vice presidente dell'AMI, diamo resoconto in un'altra sezione della rivista, pubblicando il testo integrale dell'intervento.



    ------------------------------------
    Per il testo integrale dell'intervento visita il sito web:
    http://www.domusmazziniana.it/ami/
    Il Pensiero Mazziniano


    .................................................. ................................

    Mazziniani in SARDEGNA
    http://www.politicaonline.net/forum/...threadid=73060
    Associazione Mazziniana Italiana
    http://www.politicaonline.net/forum/...&threadid=2011
    Bicentenario nascita Giuseppe Mazzini (1805-1872)
    http://www.politicaonline.net/forum/...hreadid=133506
    Mazziniani in PIEMONTE
    http://www.politicaonline.net/forum/...threadid=15575
    Mazziniani nel VENETO
    http://www.politicaonline.net/forum/...&threadid=4105
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    Mazziniani in EMILIA e ROMAGNA
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    Discussione su Mazzini e il Repubblicanesimo - consensi - immagine - visibilita'
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  2. #2
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    LA "MANO INVISIBILE" DI GENOVA

    di C. C. Triulzi

    Le doti di tenacità e insofferenza d'ogni servitù, proprie al-la ligure stirpe cui egli apparteneva, e l'ambiente genovese in cui crebbe, dove tutto parlava di repubblica, contribuirono senza dubbio potentemente a formare il carattere di Giuseppe
    Mazzini
    , a temprarne l'energia e ad indirizzarne il pensiero e l'azione.
    La missione, da lui stesso assegnata alla propria vita, è tutta compendiata nella «Giovine Italia» e nella «Giovine Europa», divenuta anzi negli ultimi suoi anni «Alleanza Universale Repubblicana»: patria e umanità. Si sentiva italiano, si sentiva cittadino del mondo: ma ciò nondimeno, poiche anzi tutti questi affetti progressivi si integrano vicendevolmente nella
    più perfetta armonia, la naturale predilezione per il luogo natale non gli usci’ mai dal cuore.
    Quando nel 1849 partì da Marsiglia per recarsi a Livorno, ritardò di due giorni il viaggio perche il piroscafo, su cui dapprima aveva deciso di imbarcarsi si doveva fermare un'intiera giornata nel porto di Genova; e l' essere lì, e non per poche ore, senza poter scendere a terra -come dice egli stesso -era cosa troppo superiore alle sue forze.
    Il sasso di Balilla e l'insurrezione di Portoria -glorie essenzialmente liguri -sono da Mazzini rammentate sempre con particolare compiacenza, e ad esse volentieri si richiama per incorare i timidi e far decidere i risoluti.
    E, mentre in vita desidera: «bisogna che Genova, la mia Genova, se mai non riesce ad essere la prima città, sia almeno la seconda che dia il segnale all'Italia della vera libertà», in punto di morte al medico, che lo riteneva inglese, rispose scat-
    tando: «sono nato in Liguria».
    I genovesi dal canto loro andavano, logicamente, superbi del loro grande concittadino; ed anche quelli, che non condividevano tutti i principi mazziniani e che, per la prudenza imposta dai tempi, non osavano palesare per essi la più lontana simpatia, erano tuttavia, intimamente e quasi inconsciamente, mazziniani nell'animo per l'innata aspirazione all'indipendenza e l' avversione al dominio sabaudo.
    La propaganda mazziniana, quindi, trovò sempre in Genova le condizioni più favorevoli per svolgersi in ampiezza e profondità: e basta scorrere l'indice del vastissimo epistolario del Maestro, per vedere quanto copiosa ed intensa sia stata ognora la corrispondenza dell'Esule con amici genovesi
    e liguri.
    La «Giovine Italia», appena fondata, si estese rapidamente in Genova: i fratelli Ruffini, instancabili, raccoglievano moltissimi proseliti; convegni segreti avevano luogo nello scagno
    Caggini e Banchi e nella sala d' armi del maestro di scherma Antonio Gavotti; la nobiltà aderiva coi Rovereto, i Cambiaso, gli Spinola, i Pareto: il marchese Imperiale ed il ricchissimo Federico Rosazza, rispettivamente il «principe» e il mite «Alfredo» del «Lorenzo Benoni» , giuravano tra i primi lo statuto.
    I borghesi, i commercianti, gli artigiani, i popolani si associavano numerosi: e, se l'avv. Federico Campanella, l'avv; Michel Giuseppe Canale, il dott. Angelo Orsini e l'avv. Elia Renza erano i più attivi, l'ultimo non esitò a recarsi fino a Napoli per portarvi il verbo mazziniano. Le librerie Gravier, Grondona e Doria accoglievano clandestinamente gli stampati rivoluzionari, e davano ospitalità agli affiliati alla nuova associazione:
    Genova, come ben fu osservato, era allora il maggior focolare interno della nazione.
    Ne i processi, le condanne, gli esili, le morti (più impressionante, fra tutte, il sacrifico di Iacopo Ruffini) fecero spegnere questo focolare ardente, poiche l'anno successivo Genova era nuovamente già pronta ad insorgere, qualora la spedizione di Savoia avesse conseguito meno infelice esito. L'insurre-
    zione prevista non pote aver luogo: ma, mentre l'erbivendola Natalina Pozzo, sottraendolo all'arresto, serbava Garibaldi alle fortune d'Italia, molti compromessi, fra i marinai e gli im-
    piegati ed anche fra i professionisti ed i nobili, vennero incarcerati.
    Quello, che non riuscì nel 1834, riuscì nel 1849: e le dieci gloriose giornate genovesi dell'aprile di quell'anno, sono schiettamente antidinastiche e mazziniane. Erano, infatti, mazziniani i caduti valorosamente e barbaramente trucidati,
    dal sarto Luigi Rattazzi, padre di sette figli, allo studente Alessandro De Stefanis; mazziniani gli ideatori, i promotori, gli esecutori del movimento. I nomi dei capi del moto, condannati
    a morte dopo che la rivoluzione fu domata col saccheggio e soffocata col sangue, sono, da soli, eloquenti a questo riguardo. Accanto a Giuseppe Avezzana, generale della Guardia Civica, ecco, tutti liguri, Federico Campanella, la cui costanza
    nella fede mazziniana ha trovato degna ricompensa nelle nobili parole di meritato riconoscimento da parte dello stesso Mazzini, ecco, fra gli altri, il deputato Costantino Reta, ecco gli avvocati David Marchio, Ottavio Lazotti e Didaco Pellegrini, i
    principii e l'avvincente eloquenza del quale risorgeranno per li rami, ecco il marchese Giambattista Cambiaso, che, non rimpiangendo di aver dovuto abbandonare, esulando, gli agi e le dovizie avite, incontrerà poi la morte durante i torbidi parigini successivi al due dicembre.
    La monarchia sabauda non avrebbe mai potuto vantare dei diritti su Genova in virtù di prescrizione.
    Invero, ancora dodici anni dopo, un altro moto è preparato, in collegamento alla spedizione di Pisacane, mentre lo stesso Mazzini è in città per impartire ordini, vivendo occultamente in casa di affezionati discepoli e mutando spesso alloggio per far perdere le sue tracce. Fallita l'impresa napoletana e represso il moto genovese, egli sfugge quasi per miracolo all'arresto merce’ la ferma presenza di spirito dei marchesi Ernesto e Costanza Pareto; e così, nonostante la condanna a morte che viene pronunciata anche per altri cinque patrioti liguri
    (Mosto, Mangini Casareto, Lastrico e Pittaluga) e che -riuscita vana l'appassionata difesa dell'avv. Giuseppe Carcassi -è la seconda per lui, l'albero dell'Acquasola,al quale il Cavour a-
    veva già pensato di farlo appiccare «come capo di assassini», non dovette assolvere il compito per cui era stato adocchiato.
    Ed altresì, infine, nel 1870, mentre ferveva il lavorìo per l' A.U.R, il fremito suscitato dagli arresti di Stallo, di Canzio, di Federico Gattorno, nomi che non hanno bisogno di illustrazione, eccitò il popolo ad innalzare delle barricate in Portoria.
    Mazzini, che era a Genova in quei giorni, aveva steso il proclama: «L'ora è suonata..., su, Genovesi. Le campane della città di Balilla rimandino il rintocco della libertà alle altre città d'Italia... Su, Genovesi: in nome della libertà che vi fece grandi un tempo, levatevi onnipotenti d'umanità e siate grandi nuo-
    vamente...». Sarà ancora, purtroppo, un tentativo infruttuoso: invano Carlo Canessa, un pastaio, avrà cooperato alla costruzione delle barricate con la sua atletica forza; invano gli insorti si comporteranno valorosamente; invano il muratore Gerolamo Anselmi, trentenne e padre di tre figli, vi lascerà la vita, colpito da una palla in fronte: ma, se le barricate saranno senza eccessiva difficoltà espugnate dalla truppa, resteranno vivi fermenti negli animi, forieri di nuove iniziative.
    Fino che visse, Maria Mazzini fu in Genova il centro di attrazione degli uomini devoti al suo grande figlio: e frequentemente i rapporti fra l'Esule ed i suoi fidi (ricordiamo specialmente Napoleone Ferraci e Filippo Bettini) avvenivano per tramite suo. Ne merita di essere dimenticato il gruppo delle amiche di lei, divenute amiche del figlio lontano: la «signora
    Nina» e cioè la marchesa Isabella Cambiaso, sorella di Nicolò e del Giambattista già menzionato, che ne raccolse l'ultimo respiro; la bellissima Carolina Celesia, che romanticamente aveva assunto un nome di guerra « Valentina Giusti» e che tanto poi si prodigherà per la tomba della madre santa; la marchesa Fanny Falbi Piovera nata Di Negro, sorella della «Lilla» del «Lorenzo Benoni», ed infine le donne, di condizione sociale più modeste ma nobili altrettanto per alti sensi e fede saldissima, come Carlotta Benettini, che ospitò spesso il Maestro nel-
    la propria casa, consacrando la propria esistenza alla patria in nome di Mazzini. Questo gruppo femminile venne successivamente ingrossandosi: e attorno alla Benettini, coadiuvata dalla figlia Cristina Profumo e dalla nuora Angiolina Quaraglia, si raccolsero borghesi e popolane, costituendo comitati
    femminili di azione mazziniana, da Caterina Gasperini a Marietta Serafini, da Eleonora Burelli alla Battifora e a Lavina Dentone.
    Mazzini, esule per tutta la vita, non rivide la sua città natale, neppure in rade e brevi furtive soste (pur avendo vagheggiato di venirvi almeno a morire se l'ultima malattia non l'avesse sorpreso a Pisa) se non dopo più di un venticinquennio dal giorno in cui l'aveva lasciata. Ma egli vi era tuttavia sempre presente attraverso i suoi scritti, che di nascosto vi pervenivano, di nascosto vi erano distribuiti e suscitavano incendi in tutti i cuori; e per un quinquennio, dal 1844 al 1849, si potrebbe dire che parve vi fosse realmente tornato, perche era sua la voce che saliva sul labbro di Goffredo Mameli, il quale non solo pensava e agiva mazzinianamente ma nei suoi versi parlava addirittura linguaggio mazziniano.
    Nel 1853 sorse la «Consociazione Generale degli Operai»,
    divenuta poi «Confederazione Operaia Genovese» dopo uno
    scioglimento intimatole dalla polizia: e da allora è in essa che
    si concentrò tutto il movimento mazziniano in Genova. Il for-
    te organismo, che per primo raccolse il popolo lavoratore par-
    landogli dei suoi doveri ma anche dei suoi diritti
    , educandolo
    ed istruendolo con l'istituzione di scuole serali gratuite, e col-
    lego’ fra loro le società di mutuo soccorso di tutta la Liguria
    (prima la fiorentissima «Universale» di Sampierdarena), di-
    venne in breve una vera potenza in Genova. Chi ne facesse la
    storia farebbe la storia di più di un settantennio di vita cittadi-
    na e nazionale.
    Dire «Confederazione Operaia» vuoI dire Francesco Barto-
    lomeo Savi
    , valente letterato, filosofo austero, giornalista fie-
    rissimo, garibaldino valoroso, mazziniano costante, organiz-
    zatore infaticabile; vuoI dire Andrea Erede, che, milite corag-
    gioso alla difesa di Roma, amò qualificarsi per tuta la sua vita,
    nel proprio biglietto da visita, «capitano della repubblica in a-
    spettativa»; vuoI dire Gerolamo Astengo, un vero autodidatta
    che al mazzinianesimo consacrò tutta la sua attività; e così pu-
    re Michele Tassara, sellaio, fratello del chiarissimo scultore dei
    Mille; e Francesco Ottone, lo schietto e probo popolano detto
    «il Ballin»; e Valentino Armirotti, sampierdarenese, primo de-
    putato operaio alla Camera
    ; e Antonio Galletto, pesciaiuolo, e
    il caravana del porto Casareto; e Domenico Abbondanza; e
    Federico Chiesa, libraio: e l' elenco potrebbe continuare ancora
    parecchio, riportando nomi che vivono nel cuore dei generosi.
    La «Confederazione», la cui forza ed il cui peso non pote-
    vano ormai essere misconosciuti neppure dalla autorità, in-
    quantoche riuniva in se migliaia e migliaia di soci, aveva il
    proprio .portavoce nella «Italia del Popolo» , che si trasformava
    in «Italia e Popolo» quando era sequestrata e soppressa, batta-
    gliero giornale diretto dal Savi; come l' ebbe poi nel «Dovere»
    e nella «Unità Italiana» ed infine nel «Popolo», diretti dal
    Quadrio e dal Campanella; periodici tutti ai quali l'intemerata
    onestà dei dirigenti dava la massima autorevolezza.
    Poco tempo prima del 1872 si costituì in Genova il Circolo
    «Pensiero e Azione», che si intitolò al nome del Maestro dopo
    la sua morte: e da allora esso e la «Confederazione Operaia»
    procedettero di conserva nell'affermazione e nella divulgazio-
    ne del pensiero mazziniano. E tanto vivo e profondo era nei
    cuori genovesi il culto per Mazzini che, all'epoca del doloroso
    dissidio mazziniano-garibaldino, persino molti antichi e fedeli
    militi di Garibaldi qui non esitarono a schierarsi dalla parte
    mazziniana. Così fece Antonio Mosto; e così fecero il sampier-
    darenese Stefano Lagorara commerciante e poeta, ed Egisto
    Sivelli e Domenico Abbondanza e Giambattista Vernazza
    , per
    dire solo dei più noti.
    Del «Circolo Mazzini» furono colonne Vittorio Gaetano
    Grasso
    , l'architetto insigne che al Maestro eresse la tomba
    maestosa che si ammira a Staglieno; Felice Dagnino, l'intimo
    affezionato amico di Mazzini, da lui, negli ultimi anni di vita,
    confortato e ospitato nella propria villa, denominata «Giu-
    seppina» in suo onore; il già nominato Giambattista Vernaz-
    za, materassaio; l'avv. Domenico Busticca; il dott. Domenico
    Dinegro
    ; e, se fosse materialmente possibile, sarebbe oppor-
    tuno e doveroso menzionare ancora altri nomi di cittadini e-
    gregi, e benemeriti degli ideali cui avevano dedicato la vita.
    Ma del «Circolo Mazzini» fu l'anima per non pochi anni,
    Giacomo Dall'Orso, l'infaticabile «caporaletto della democra-
    zia» come egli stesso si era definito, che con un'attività straor-
    dinaria manteneva stretti rapporti coi sodalizi delle altre re-
    gioni, preparava circolari, istruzioni, ordini del giorno, e or-
    ganizzava frequenti e imponenti dimostrazioni e manifesta-
    zioni pubbliche.
    In tempi meno lontani diedero il massino lustro al «Circo-
    lo Mazzini» Antonio Pellegrini, che per l' oratoria avvincente e
    per la felice insuperabile ironia polemica, unite ad una
    profonda cultura, era l'idolo delle folle; Giuseppe Macaggi, di
    cui ognuno ammirava l'erudizione straordinaria, la valentia
    professionale, la specchiata onestà e la bontà infinita; Claudio
    Carcassi
    , che figlio del sopra rammentato difensore di Mazzi-
    ni, dimostrava, con le rare doti dell'animo e dell'intelletto, la
    verità del detto che buon sangue non può mentire. E sui loro
    nomi, amati ed intemerati, Genova combatte’ vittoriosamente,
    parecchie battaglie.
    Frattanto Carlo Malinverni, che dalla dottrina mazziniana
    aveva tratto norma alla sua vita e ispirazione alla sua poesia,
    nobile nella sostanza e inpeccabile nella forma, portava il sor-
    riso della sua musa in ogni celebrazione; Ludovico Bretti, di-
    ventato ormai cittadino genovese, non si stancava, con prosa
    rovente, di illustrare tutte le «benemerenze» dinastiche; Fran-
    cesco Ernesto Morando
    rievocava con somma potenza e-
    spressiva, sulla scorta di personali memorie, gloriosi episodi
    dei tempi andati e interessanti figure di integri patrioti scom-
    parsi; e Goffredo Palazzi, che, nato nel 1849 mentre Genova e-
    ra colpita dalle bombe regie, aveva avuto il battesimo della re-
    pubblica e ne aveva attinto una fede non mai attenuata, detta-
    va, con uno stile conciso efficacissimo, i manifesti che il «Cir-
    colo» (poi «Associazione» ) pubblicava in tutte le ricorrenze,
    liete o tristi, e in tante circostanze occasionali, e così negli av-
    venimenti nuovi come nelle solennità periodiche trovava mo-
    do di commentare i fatti presenti al lume della concezione
    mazziniana.
    Ormai tutti gli uomini, di cui si è fatto cenno, hanno rag-
    giunto nel sepolcro il Maestro, e la maggior parte di essi ripo-
    sa accanto a lui sulla sacra collinetta di Staglieno. Ma la fiam-
    ma, che in loro ferveva, è oggi piu’ viva che mai: ed è quindi
    dalle loro tombe, suscitatrici di magnanimi propositi, e dal lo-
    ro ricordo, che possiamo e dobbiamo trarre gli auspici e attin-
    gere conforto e lena per il cammino, che ancora resta da per-
    correre, per raggiungere il trionfo, definitivo e completo, delle
    idealità di Giuseppe Mazzini.
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    I Pendola a Rapallo

    Se la presenza dell’uomo nel Tigullio risale all’epoca preromana, le recenti scoperte della necropoli neolitica di Chiavari ne sono la conferma, per risalire alle radici dei nomi delle nostre famiglie è necessario avvicinarci nel tempo. Fino all’arrivo dei Longobardi di Rotari in Riviera nel secolo VII d.C. Narra lo storico rapallese Arturo Ferretto (Il distretto di Chiavari, Genova, 1928) che i Longobardi, che erano già in Italia da un centinaio di anni, quando arrivarono in Liguria misero le città a ferro e fuoco. Gli abitanti di Rapallo si rifugiarono nel castello che sorgeva dove molti secoli dopo sarebbe sorta villa Porticciolo, e i pochi abitanti del vicus (villaggio) di Sant’Andrea di Foggia, probabilmente discendenti dai profughi milanesi che, un secolo prima abbandonarono Milano all’arrivo delle orde longobarde, scesero precipitosamente a valle abbandonando le proprie case.
    Nel secolo seguente un gruppo di Longobardi arrivò in Val Graveglia e vi si insediò: ancora oggi in alcune parole del genovese della Graveglia si trova l’eco delle lontane invasioni (erbeggia – piselli – deriva direttamente dal tedesco erbse).
    Due glottologhe genovesi (Pedracco Siccardi, Caprini, Toponomastica storica delle Liguria, Sagep, Genova, 1981) hanno scritto di recente che nelle nostre terre è molto frequente incontrare nomi di località di origine longobarda, paesi, villaggi e fiumi che hanno la loro origine nella lingua tedesca parlata dagli invasori. Ad esempio Bardi, a Zoagli abbiamo la Marina di Bardi, ma è anche un cognome presente a Rapallo almeno dal 1300, deriva da una parola longobarda, e significa fortezza di confine.
    In genere – scrivono le due studiose - i piccoli paesi derivano da un nome di cosa, mentre i paesi più grandi derivano dal nome proprio di una persona.
    Anche il torrente Bendola, nella Riviera Ligure di ponente, è un diminutivo della parola alto- tedesca binda (che significa striscia di terra).
    Questa – se consideriamo che sia la P che la B sono labiali, quindi interscambiabili - potrebbe essere il significato della località Pendola, che si trova in Fontanabuona, all’altezza di Pianezza, sulla riva destra del torrente Lavagna.
    C’è anche un’altra possibilità. In Germania è abbastanza frequente il cognome Pendl, se ne trovano anche in Austria (in Stiria). Il Dr. Peter-Arnold Mumm dell’Università di Monaco ci segnala che Pendl deriva da bendel, che significa nastro. Da bendel abbiamo Pendler/Bendler, poi Pendl, che è (secondo l’etimologia della parola) la persona “che adorna la sua veste con un nastro”, oppure “chi commercia o fabbrica nastri”. Anche questa è una possibile origine per la località Pendola: un Pendl (o Pendler) si è stabilito in tempi remoti lungo il Lavagna, e la località ne ha preso il nome. Personalmente, tuttavia, io preferisco la prima possibilità, e cioè che Pendola deriva il suo nome dalla stretta striscia di terra lungo il fiume dove è situata.
    Dalla località al nome della famiglia il passo è breve: è noto che molti cognomi devono la loro origine alla località abitata da chi ne ha preso il nome. In Liguria questi casi sono frequenti: abbiamo i Roccatagliata, i Garbarino, per non citarne che qualcuno.
    Anche Arturo Ferretto scriveva che il cognome Pendola è un toponimo, deriva cioè dalla località
    (e dal Rio che la fiancheggia).
    Quello che è certo, e che la presenza dei Pendola in Val Fontanabuona è veramente remota. Se ne ha traccia già nel 1167, quando un certo Marchesini di Lorsica donava alcune terre al Comune di Genova. Tra i testimoni, un Pendola.
    Arturo Ferretto sul Mare del 22 maggio 1909 scriveva: “I Pendola, gli Zerega, i Macchiavello, a partire dall’inizio del 1200 lasciarono la Fontanabuona e scesero a Rapallo.” E – sempre sul Mare - il 13 marzo 1920 scriveva: “i Pendola che ci furono dati dalla località di Noziglia, che ci diede anche i Noziglia…”. Noziglia è il primo gruppo di case che si incontra lungo la strada della Crocetta scendendo dal passo verso Coreglia.
    Non sappiamo cosa fece emigrare queste famiglie dalla Fontanabuona verso Rapallo: una carestia, un’alluvione; quel che è certo è che il movimento durò nel tempo. I Pendola però, a differenza dalle altre famiglie che scesero a Rapallo, si fermarono in alto, a San Maurizio di Monti.
    All’epoca lungo la strada romana che da Rapallo portava in Fontanabuona attraverso il passo della Crocetta, esisteva già una chiesa: nel 1190 Giulia, vedova Guilienzone, di San Quirico di Assereto, lasciava nel suo testamento una somma alla chiesa di San Maurizio. E cent’anni prima, nel 1031, Landolfo, vescovo di Genova, vi aveva affittato una sua terra a un conte Fieschi.
    Alle famiglie arrivate dalla Fontanabuona la collina piacque, e vi si stabilirono. Le colline, d’altra parte, erano più sicure delle cittadine lungo la costa, infestate com’erano dai pirati saraceni. Qualcuno veramente arrivò fino a Rapallo, come quel Bartolomeo Pendola che nel 1453 troviamo tra i finanziatori della costruzione della Torre Civica. Ma è un’eccezione. Infatti tra gli elenchi di rapallesi che i pirati saraceni e turchi (tra cui il noto Dragut) presero prigionieri nei secoli seguenti, non abbiamo mai trovato un Pendola. Né tantomeno troviamo Pendola tra i rapallesi che ricoprirono cariche amministrative.
    A San Maurizio i Pendola restarono: qualcuno fece fortuna. Come quell’Andrea Pendola che nel 1593, sentendosi vicino alla fine della sua vita, fece testamento lasciando tutti i suoi beni ad un fidecommisso (oggi la chiameremmo fondazione) destinato a dare una dote alle figlie dei Pendola che andavano a nozze. Non di tutti i Pendola di Rapallo, ma solo dei Pendola di San Maurizio (uno escluso). E li nomina. Abbiamo così un dato storico molto interessante: a San Maurizio c’erano 26 famiglie Pendola. Se consideriamo che nel censimento del 1500 Monte aveva 90 fuochi (famiglie) la proporzione dei Pendola sugli abitanti è fatta, quasi un terzo degli abitanti. E’ una proporzione che è restata immutata per alcuni secoli, basta scorrere i registri parrocchiali dell’Ottocento per rendersene conto.
    In questi stessi anni, 1500-1600, qualcuno è partito dalle nostre colline per arrivare fino in Sicilia. La storia dei rapporti tra Genova e l’isola è lunga e affascinante: nasce nel medioevo, quando alcune famiglie feudali liguri (i Ventimiglia tra gli altri) dispongono di terreni nell’isola che coltivano a grano. Via via la Sicilia è vista dai genovesi come una terra di emigrazione, come una base per commerciare, specialmente grano. Nel cinquecento la comunità genovese di Palermo è talmente numerosa che dispone di una propria chiesa (San Giorgio dei Genovesi). Ma i liguri sono anche a Sciacca, nei cui dintorni una località porta ancora oggi il nome genovese di San Giorgio, e a Siracusa. Da Palermo arriveranno poi nella valle del Belice, a Menfi, a Sambuca. Tra i liguri a Palermo i rapallesi sono numerosi. Nel 1600 i Pescia verranno nominati Baroni dal vicerè spagnolo, e nel 1680 un Arata sarebbe diventato vescovo di Lipari. Questo Arata, benchè nativo di Palermo, si considerava rapallese perché il padre vi era nato. Non abbiamo tracce di Pendola nell’emigrazione ligure in Sicilia, particolarmente numerosa nel 1500 e nel 1600. Evidentemente non assunsero posizioni di rilievo. Ma c’erano, perché nei registri parrocchiali di Menfi già nella prima metà del settecento troviamo qualche Pendola. La strada da San Maurizio di Monti era stata lunga! Da Menfi si sono spostati a Sambuca, e lungo la costa del canale di Sicilia, dove alcuni portano ancora oggi quel nome nato in Fontanabuona.
    Qualche Pendola emigrò a Genova: ma si è trattato di una presenza sporadica. Agostino della Cella, scrivendo alla fine del 1700 la storia delle famiglie genovesi, a proposito dei Pendola scrive: ”Onesti cittadini genovesi che non credo antichi, venuti come penso da Rapallo, dove nella villa di San Maurizio di Monti sono in gran numero quelli di tal cognome, quasi tutti lavoratori della terra”. Cita poi un Giuseppe Pendola, che nel 1746 partecipò all’insurrezione contro gli austriaci.
    Ma nel complesso i Pendola nati a Genova sono relativamente pochi, perlopiù concentrati nella parrocchia di Portoria, negli ultimi decenni del settecento.
    E’ probabile che Giovanni Pendola, nato a Genova nel 1837, garibaldino dei Mille, sia stato un discendente di queste famiglie. Giovanni Pendola scelse di trascorrere gli ultimi anni della sua vita sulle nostre colline (oggi lo ricorda una lapide di fronte alla Chiesa di San Maurizio).
    Siamo arrivati alla fine del settecento: in Francia è scoppiata la Rivoluzione, alla fine del periodo Napoleonico (1815) inizierà l’emigrazione che porterà i liguri in Europa dapprima e poi nelle Americhe. Se nel 1780 un Pendola nato a Lerici poteva sembrare un caso anomalo, a partire dal 1850 ne troviamo sempre di più nelle navi che portavano i rapallesi alla ricerca dell’oro nelle valli della California, in Cile, in Perù.
    Non solo in America: alla fine dell’ottocento, la corrente migratoria dalla Sicilia verso la Tunisia, portò i Pendola del Belice sull’altra riva del Mediterraneo, da dove sarebbero tornati, verso la Francia o l’Italia, in un’altalena dettata dai sommovimenti della storia, sessant’anni dopo. Quando oggi troviamo un Pendola in Francia, a Lione ad esempio ce ne sono alcuni, non dobbiamo pensare ad un’emigrazione ottocentesca verso la Provenza, che pure c’è stata ed ha portato molti liguri a Marsiglia e a Séte, ma ad viaggio molto più lungo e tortuoso.

    Agostino Pendola

    ------------------------------------------------------------------------------------
    tratto da:
    Tigullio Repubblicano
    Il sito dei repubblicani e dei
    laici di Rapallo e del Tigullio

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    ****************************************
    VITA IDEALE E VITA REALE
    *****************************************
    di Aldo Spallicci

    E nasce appunto in Liguria ove è fama che gli uomini sia-
    no ben aderenti alla terra e più propensi a vedere le cose del
    mondo che non a contemplare i cieli. E fra questa gente one-
    sta e tenace è il padre, medico che suggerisce idee pratiche al
    figlio ma che ha tale vivo senso del dovere da non muoversi
    da Gènova mentre infierisce il colera, ed è la madre che ama
    di uguale amore la sua creatura e il suo ideale di giustizia e di
    rettitudine.
    La vita ideale e la vita reale si fondono in lui e la meta o
    missione si disegna a caratteri di fuoco nell'avvenire. Tutto
    sarà subordinato al trionfo di quell'idea, affetti, agi, predile-
    zioni estetiche. Tutto si plasma come una massa incandescen-
    te sul calco.
    Persino l'arte, poesia, musica, arti figurative, hanno da
    servire al grande monumento.
    Poesia leopardiana, musica di Rossini, novelle di Boc-
    caccio?
    Bisogna destare un popolo di anime morte, bisogna trarlo
    dal piccolo mondo degli egoismi alla religione dell'umanità.
    Chi non sente in cuore questo fremito non ha cuore d'artista.
    Il pensiero non deve uccidere come tarlo roditore, ma deve
    balzare come una strofe sugli uomini fervidi di passione.
    Guai se il pensiero non si alimenterà di impeti che conferi-
    scano alla mente lo stato di grazia. Così dopo un insuccesso
    dirà agli amici prostrati: incominciate da capo.
    A qualcuno non resse l'animo di seguirlo tra patiboli e
    sconfitte ma egli vinse più compiutamente cadendo che se
    non fosse stato glorificato sugli altari del successo.
    L'Italia si identifica nella poesia con Dante e nella visione
    politica e sociale con Mazzini. L'uno proscritto dal suo bel S.
    Giovanni, l' altro morto esule nella Patria da lui creata e da al-
    tri goduta.
    AlI' estremo della vita dà quel poco che gli resta di spiri-
    to per la causa che lo ha consumato. Esce dal carcere di
    Gaeta, si sottrae alle dimostrazioni degli ammiratori entu-
    siasti, fugge inorridito da applausi e da abbracci per rifu-
    giarsi sulla tomba di sua madre.
    Perchè lo conserva a capo del letto il contadino e il brac-
    ciante romagnolo in luogo dei santi protettori? «Speculum per-
    fecti suis». Per avere a fianco un uomo che ogni giorno disse
    una parola di fede di giustizia e la confermò nella vita e nella
    morte.
    ************************************************** ********************

    Lamberti: Sai, tu, a chi dobbiamo, noi tutti questo fuoco,
    questa fede, questo fervore, questo spirito di sacrificio? -A lui,
    ad un uomo, ad un grande, che abbiamo intravveduto appe-
    na, col quale abbiamo scambiato appena qualche parola, ma
    che sentiamo essere vicino a noi; con noi, vigile, austero, forte
    come il destino!!
    Giacomino sottovoce: -Mazzini.?…..Mazzini.?
    Lamberti: -Votato alla causa degli oppressi, i nemici d'Italia
    lo odiano, i potenti lo avversano e lo temono, ma tutti i cuori
    generosi battono col suo, si esaltano alla sua parola ardente, e
    le donne lo amano e la giovine Italia lo idolatra!
    Giacomino: -Mazzini! Mazzini! E' Giuseppe Mazzini!
    Lamberti: -Egli è cospiratore ed artista: formidabile, infles-
    sibile, gentile e mite insieme. Adora i fanciulli, i fiori e defini-
    sce la musica «il tramite più puro fra l'uomo e la divinità». -
    Egli è per noi la stessa Provvidenza, nella quale fermamente
    crede, e noi siamo con lui, per lui! La sua invocazione -Dio e
    il Popolo, -è la nostra; e il suo motto «pensiero ed azione» -è
    ormai, per noi tutti, il dovere, la gioia, il perche’ della vita...
    Giacomino: -E il coraggio di saper morire!
    °°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°
    di Girolamo Rovetta (dal dramma: «Romanticismo»)

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    Armirotti deputato operaio mazziniano

    Emilio Costa, Valentino Armirotti Deputato operaio mazziniano (1844-1896), con Prefazione di Leo Morabito, Genova Sampierdarena, 2001, pp. 214, s.i.p.


    Ottima e degnissima idea quella di celebrare il 150° anniversario della fondazione (1851-2001) della Società Operaia Universale “Giuseppe Mazzini" di Sampierdarena, con la ricostruzione di un compiuto profilo biografico di colui che ne fu il più illustre socio e promotore, fino a rappresentarla, unitamente alla causa dell’emancipazione di tutti gli operai italiani, alla Camera dei Deputati del neonato Regno d’Italia: l’operaio autodidatta genovese Valentino Armirotti.
    Era tempo che ciò avvenisse, sottolinea Morabito, nella prefazione; che uscisse cioè delineata appieno la figura del mazziniano fervente e del repubblicano attivo Armirotti, che, se non fu il primo deputato operaio italiano (il primo fu il milanese Antonio Maffi), fu senz’altro il più illustre candidato e quindi rappresentante in Parlamento della democrazia e del movimento operaio genovesi.
    Emilio Costa, già autore di importanti studi sul movimento repubblicano e mazziniano della Superba, si è assunto l’onere e l’onore di ricordare il 150° anniversario della nascita della benemerita istituzione, una delle pochissime ancora esistenti e attive, deliberando la vita, l’opera, l’ambiente dell’esponente più famoso di una associazione costituita per l’impegno, la fatica, il sacrificio di alcuni umili popolani, che avevano fatto tesoro, nel loro cuore, dell’apostolato suscitatore del loro grande concittadino e maestro, Giuseppe Mazzini, in armi ormai lontani, quando l’Italia, da quel Grande profeticamente sognata, non era ancora.
    Erano anni eroici quelli in cui l’Armirotti, nato a Sampierdarena nel 1844, aveva cominciato a muovere i primi passi, come operaio fonditore, come accanito lettore nel tempo libero (che non era certo ampio), come patriota mazziniano e apostolo dell’associazione e del mutuo soccorso tra gli operai, come volontario combattente nelle battaglie per la patria indipendenza: garibaldino a Sarnico, in Trentino, nel 1866, a Mentana, nel 1867.
    Gli erano attorno altri devoti discepoli del Genovese, i cui ritratti fotografici il volume del Costa non manca di riportare, in una ideale galleria, aperta dal Maestro e dall’Armirotti: Carlo Rota e Pietro Botto, fra i primi.
    Con la Breccia di Porta Pia, nel 1870, Armirotti, sicuro anche in questo di seguire le direttive mazziniane, aveva abbandonato ogni idea di cospirazione, senza per questo rinunciare all’ideale repubblicano e alla fedeltà alle dottrine del Maestro; ne fa fede, tra le altre, la difesa di Mazzini, dall’Armirotti fatta, senza esitazioni, né reticenze, in una sua lettera, del 1876, a Garibaldi, ai cui ordini egli aveva combattuto, riportata in appendice del libro del Costa; in essa, Armirotti, scriveva, tra l’altro, in risposta ad un'ennesima polemica garibaldina: “Perocché noi sappiamo che Mazzini ed il partito mazziniano non meritano le accuse che voi gli lanciate... Ma noi parliamo del partito mazziniano e vi chiediamo non erano mazziniani i giovani che vi seguirono sui campi? Non aiutò, non incoraggiò Mazzini il lavoro del ‘60, del ‘66, del ‘67? Nessuno dirà di no; ma a chi lo diresse noi risponderemo che i nostri soci che lavorarono a prepararci le armi per più imprese e vi seguirono poi sul campo erano mazziniani; consigliati da Mazzini non disertarono nel ‘60, né dal Tirolo, né a Mentana”.
    Convinto che il riscatto del lavoro coincidesse con il futuro avvento della Repubblica in Italia, Armirotti si impiegò a Sampierdarena nella Banca operaia, portandovi il suo onestissimo contributo, tanto che la fiducia degli operai gli affidò poi l’ufficio di segretario della Società Cooperativa di consumo, incarico che svolse con encomiabile precisione e scrupolo, soprattutto nella contabilità, senza tralasciare mai, neppure per un momento, la sua instancabile propaganda per la cooperazione operaia, da lui sempre intesa come dovere.
    Portato candidato antigovernativo di Sampierdarena nel 1883 e nel 1884, venne eletto deputato nel 1886 e riconfermato nel 1890, come rappresentante del I Collegio elettorale di Genova.
    Alla Camera dei Deputati portò la competenza nelle questioni e nei problemi del lavoro, che l’esperienza diretta della fatica manuale aveva reso pressoché rara, se non unica e che tutti, anche gli avversari politici, sempre gli riconobbero.
    In lui gli operai genovesi e liguri e quelli dell’Italia tutta ebbero un portavoce esperto e un difensore solerte e attento.
    Ricandidato nel 1892, fu sconfitto dal ricco armatore Bartolomeo Mazzino, che, alla potenza del denaro, univa l’influenza della parte clerico - moderata che rappresentava e l’appoggio del governo.
    Nel 1896, Armirotti moriva prematuramente, chiudendo la sua nobile vita, votata all’Italia, alla Repubblica, all’emancipazione degli uomini del lavoro, nel solco dei principi mazziniani.
    Silvio Pozzani

  6. #6
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    Predefinito tratto da LA NAZIONE 11 agosto 2002

    Oggi sarà a Ortonovo Maurizio Viroli

    Presidente della Associazione Mazziniana Italiana, consulente culturale del Presidente della Repubblica Ciampi, nonché autore di numerose pubblicazioni, fra le quali, insieme a Norberto Boccio, il libro "Dialogo sulla Repubblica" pubblicato recentemente dall'editore Laterza. Viroli visterà l'area archeologica di Luni Antica, incontrando anche persone del posto.
    Chi volesse parlare con lui può farlo, è sufficiente che si «prenoti» telefonando al numero telefonico 0187- 66714 oppure al cellulare 339 6899234.

  7. #7
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    GENOVA

    - Il 17 ottobre 2001 il prof. Emilio Costa ha inaugurato il ciclo ricordando la figura e l’opera di Valentino Armirotti ( 1844 – 1896 ), deputato operaio mazziniano. Armirotti ricoprì per alcuni anni la carica di Presidente della Società Operaia Universale di Sampierdarena e, in tale veste, ebbe il merito di aver creato con l’attività instancabile, con la tenacia e con lo studio costante una delle più efficienti ed utili organizzazioni operaie. Riuscì inoltre a fare convergere nella cooperazione tutte le forze vive ed operose della sua industriosa cittadina e di aver fatto sorgere, con Carlo Rota e con altri intelligenti lavoratori, quelle istituzioni che ebbero l’ammirazione degli economisti e dei cooperatori stranieri.Come deputato Valentino Armirotti si adoperò, tra l’altro, a rafforzare la nascente industria italiana, facendo opera di persuasione sul governo ad affidare importanti commesse a stabilimenti italiani anziché esteri. Presso la Società Universale di Mutuo Soccorso è conservato il suo archivio personale del quale sono già stati pubblicati alcuni importanti documenti.
    ------------------------------------------------------------------------------------

    tratto da il Pensiero Mazziniano

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    GENOVA

    - Il 7 novembre il prof. Luigi Cattanei ha svolto una relazione dal titolo "Nino Bixio nel 180° anniversario della nascita".La figura di Nino Bixio è generalmente letta secondo l’immagine trasmessaci da Giuseppe Cesare Abba e degli altri memorialisti garibaldini, che ne colgono impeti e furie certamente rilevanti. Ma la vita intera di Bixio annovera pure attività militari, commerciali, diplomatiche, politiche ed amatoriali nelle quali la serietà dell’impegno, la cura preparatoria di imprese ed interventi, si contrappongono incredibilmente allo stereotipo del guerriero, del politico, del militante. Per questo l’epistolario bigiano offre documenti di una personalità ricca e articolata, che avverte la pena di alcuni decisivi interventi e si lega ad affetti domestici, a costruttivi momenti di "regolatori" della vita italiana.
    ------------------------------------------------------------------------------------

    tratto da il Pensiero Mazziniano

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    GENOVA

    - Il 21 novembre il prof. Giovanni Persico, Presidente della sezione AMI genovese, ha parlato su un tema di grande attualità: "La tutela dell’uomo: i nuovi diritti". L’oratore ha evidenziato che di fronte a un sistema maggioritario occorre rafforzare le garanzie e, in particolare, i diritti delle persone partendo dai diritti umani che sono condizione necessaria per la legittimità di un regime e per l’accettabilità del suo ordinamento giuridico.
    Accanto a questi diritti fondamentali, abbiamo altri diritti meritevoli di tutela che sono quelli sociali o di seconda generazione ( al lavoro, all’istruzione, alla salute) e i nuovi diritti o diritti della terza generazione ( tra i quali i diritti di solidarietà, ad un ambiente protetto e non inquinato, alla qualità della vita, alla libera comunicazione ).
    Vi sono poi i diritti più nuovi o di quarta generazione relativi ad esempio alla ricerca biologica, al patrimonio genetico delle persone o ad una morte dignitosa.
    Su quest’ultimo importante problema il prof. Persico si è particolarmente soffermato esaminandone gli aspetti morali, sociali e giuridici. È seguito un interessante dibattito.
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    tratto da il Pensiero Mazziniano

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    GENOVA

    - Il 13 febbraio la dott.ssa Lara Piccardo, ricercatrice presso l’Università di Genova, ha affrontato un argomento di grande interesse ed attualità: "Mazzini e l’idea di Europa". Gli aspetti europeistici di Mazzini e più in generale, di tutto il Risorgimento, sono abbastanza conosciuti, ma ancora poco studiati. Si tratta di una lacuna rilevante, soprattutto in un momento in cui quest’ambito del pensiero mazziniano risulta di particolare attualità: si è ormai diffusa una moneta unica, si parla di un allargamento dell’Unione europea e di un’imminente svolta istituzionale, il cui segno non è ancora molto chiaro e ancora più scuro ne è l’obiettivo.
    L’intervento ha cercato di ripercorrere le fasi dell’europeismo mazziniano, che, pur modificandosi durante un lungo percorso personale e politico del suo ideatore, rimane una componente costante. Si comincia con il saggio giovanile D’una letteratura europea , in cui Mazzini raccoglie le sue prime idee europeiste; si passa poi alla "Giovine Europa", all’insegna della "fogliuzza di ellera" e del motto “ Libertà, Eguaglianza, Umanità “; e si arriva ad uno degli ultimi scritti Politica internazionale del 1871, in cui Mazzini si avventura in alcune ipotesi sull’espansione coloniale nel Mediterraneo dei paesi europei, interpretate da taluni come fasi di un possibile sviluppo nazionalistico e colonialistico.
    Tutto dimostra come l’attualità di Mazzini risieda nella visione della stretta interdipendenza tra unificazione politica e integrazione economica, cioè nella necessità che il riassetto dell’Europa debba fondarsi contemporaneamente su economia e politica: Egli auspica una federazione di Stati democratici e repubblicani costituiti su basi economiche uniformi, con l’abolizione di ogni dogana tra Stato e Stato.
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    tratto da il Pensiero Mazziniano

 

 
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