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    Bicentenario nascita Giuseppe Mazzini (1805-1872)




    Michele Finelli, Il monumento di carta. L’Edizione Nazionale degli Scritti di Giuseppe Mazzini, Pazzini, Rimini, 2004, pp.142, 15 euro.

    L’ultimo saggio di Michele Finelli, rappresenta il primo contributo storiografico di rilievo al bicentenario, ormai imminente, della nascita di Mazzini. In questa sede offriamo una sintesi del dibattito svoltosi a Massa, nello scorso aprile, in occasione della prima presentazione del volume. L’evento, organizzato dalla Fondazione della Cassa di Risparmio di Carrara, in collaborazione con la locale Associazione Mazziniana e l’amministrazione provinciale di Massa-Carrara ed i comuni di Massa e Carrara, ha richiamato un folto pubblico. Dopo gli interventi di Osvaldo Angeli, presidente della Provincia di Massa-Carrara, di Fabrizio Neri, sindaco di Massa, e dell’avvocato Alberto Pincione, in rappresentanza della “Fondazione Cassa di Risparmio di Carrara”, hanno preso la parola il professor Roberto Balzani, presidente nazionale dell’Ami, ed il professor Alessandro Volpi, docente di Geografia politica ed economica e Storia economica alla Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Pisa. Roberto Balzani, nel suo intervento, ha evocato l’invisibile presenza di Giuseppe Mazzini, cogliendo nel libro di Finelli (che è stato un suo allievo fiorentino laureatosi con una tesi discussa nel 1997 alla facoltà di Scienze Politiche ‘Cesare Alfieri’ divenuta anch’essa uno studio e poi il saggio Il Prezioso Elemento, Giuseppe Mazzini e gli emigranti italiani nell’esperienza della scuola italiana di Londra, pubblicato nel 1999) l’occasione, attraverso un contribuito serio e rigoroso al dibattito contemporaneo sul patriota genovese alla vigilia del bicentenario del prossimo anno. Balzani ha usato l’aggettivo innovativo perché non siamo in presenza di un lavoro biografico, ma di uno studio che affronta due problemi fondamentali per cercare di comprendere la penetrazione di Mazzini nella cultura italiana: il primo è quello legato alla diffusione dell’immagine di Mazzini; il secondo è invece connesso alla memoria mazziniana, vale a dire alla sopravvivenza della sua immagine nel panorama politico e culturale italiano dopo la sua morte. Chi era Mazzini? Per gli italiani fino agli anni ’50 del XIX secolo, quando cominciarono a diffondersi i suoi dagherrotipi, che lo stesso esule introdusse in Italia – secondo Balzani - Mazzini non aveva un volto. Il patriota genovese visse infatti il periodo elvetico del suo esilio, dal 1833 al 1837, in condizioni di sostanziale isolamento, mentre una volta giunto a Londra, all’inizio del 1837, era ben lontano dal continente. Eppure, come accade spesso in queste situazioni, era – ha evidenziato il presidente nazionale dell’Ami - l’uomo più ricercato d’Europa, e le sue segnalazioni alle polizie di mezza Europa in questa o quella città si sprecavano. Su cosa si basava questa incredibile popolarità? Sul fatto che Mazzini fosse in grado di diffondere e supportare le sue idee politiche attraverso una valida rete di propaganda, che lui stesso costruì passando sostanzialmente tutto il tempo che aveva a disposizione a scrivere. Lettere ai familiari ed ai fratelli di lotta, opuscoli politici, articoli letterari: non c’era momento della giornata che Mazzini non dedicasse alla scrittura.
    È lo stesso Mazzini, infatti, che attraverso la pubblicazione dell’Edizione Daelliana, preceduta dalle Note Autobiografiche, biografia politica della sua vita – ha proseguito Balzani – a cominciare a costruire il suo ‘mito’, tracciando la strada per i suoi eredi politici, che dopo la sua morte piuttosto che spendere energie per l’innalzamento di un monumento in marmo, continuarono a pubblicare i suoi scritti. Questa scelta, giusta o sbagliata che fosse, ebbe l’effetto di far scomparire Mazzini dalle piazze italiane, in un momento in cui, anche il più piccolo villaggio di provincia era affetto dalla sindrome che Cavallotti definì della ‘monumentomania’. Da parte sua il professor Alessandro Volpi sul libro di Finelli ha rilevato che l’opera di costruzione dell’Edizione Nazionale corrisponda al tentativo di consegnare Mazzini alla cultura italiana, in uno dei momenti più particolari della storia post-unitaria, quello giolittiano. Del resto a favorire questo processo contribuirono due fattori, uno di natura politica, l’altro culturale: da un punto di vista politico ci fu l’avvicinamento al parlamentarismo dei repubblicani riformisti, che in questo modo contribuirono al consolidamento della prassi politica giolittiana; da un punto di vista culturale, invece, la recente riforma della scuola elementare ‘favorì’ in qualche modo l’inserimento di Mazzini all’interno dei programmi scolastici, cosa che accadde, come Finelli ci ha spiegato, con l’edizione scolastica Dei Doveri dell’Uomo.
    Quale sia il Mazzini di queste edizioni, è ben evidente: un Mazzini depotenziato, e che non coincideva pienamente alla realtà dei fatti. Allora per quale ragione l’Edizione Nazionale assume così tanta importanza? Perché ha rappresentato – ha chiarito Volpi - il tentativo da parte della classe dirigente italiana, custode della cultura ‘ufficiale’, di assorbire nel modo più indolore possibile un pezzo della propria storia. È in questa doppia dimensione che in fondo risiede il paradosso mazziniano. Mazzini, repubblicano e laico in un paese monarchico ed in cui l’istruzione, almeno fino alla legge Coppino, era stata sostanzialmente affidata al personale ecclesiastico, non poteva rappresentare un punto di riferimento ufficiale. Più rilevante è notare come nonostante tale ostilità, il patriota genovese fosse parte integrante della cultura popolare italiana, rappresentandone, il succo ed il sangue. L’associazionismo mazziniano, con la sua rete capillare di scuole serali e biblioteche circolanti, fu la testimonianza - ha ricordato Volpi - di come l’esule fosse un punto fermo nell’educazione delle classi popolari. Le sue opere venivano lette ed acquistate, diventando best-seller. Mazzini lo sapeva bene, e attraverso la creazione di questa rete si era garantito la sopravvivenza che altrimenti le istituzioni ufficiali gli avrebbero negato. L’Edizione Nazionale rappresenta il tentativo di far incontrare due posizioni culturali che fino a quel momento si ignoravano. Il grande merito dello studio di Finelli è stato dunque quello di aver indicato la distinzione tra queste due culture, che sembrano trovare nell’Edizione Nazionale un punto di incontro, grazie anche all’ascesa politica di Giolitti e alla martellante azione di Ernesto Nathan.
    Ho usato il verbo sembrare, però, perché alla fine non sono convinto l’Edizione Nazionale rappresenti la metabolizzazione di Mazzini all’interno della cultura italiana. Il mio dubbio è infatti legato a chi abbia operato questa integrazione: Giolitti o Gentile? Ed in tal senso mi permetto un’osservazione, marginalmente polemica al lavoro, ma che vuole diventare anche una domanda.
    Sembra che l’autore, probabilmente anche per ragioni di razionalità ed armonia interna del lavoro, una volta arrivato al momento in cui Gentile, nel 1924, divenne Ministro della Pubblica Istruzione e sostanzialmente salvò l’Edizione Nazionale, liquidi troppo velocemente la questione Mazzini-Gentile-fascismo, rimandando il lettore ad un importante studio di Giuseppe Talamo. A mio parere però, è difficile parlare di metabolizzazione di Mazzini anche sotto il fascismo. È vero che Gentile esalta il Mazzini che prediligeva la passione politica e la patria rispetto alle libertà individuali, argomento strettamente funzionale alla dottrina fascista, ma dietro questo aspetto di facciata, si nasconde in realtà una non completa simpatia di Gentile nei confronti di Mazzini, perché alla fine la maggior parte degli aspetti economici, sociali e politici del mazzinianesimo, improntanti ad un umanesimo di natura ottocentesca, erano dal fascismo ha concluso Volpi - mal digeribili, facendo riferimento non solo ai doveri, ma anche ai diritti.

    tratto da
    il PENSIERO MAZZINIANO
    n.2 anno 2004
    [mid]http://utenti.lycos.it/NUVOLA_ROSSA/SERENATARAP.mid[/mid]

    .................................................. ................................

    Mazziniani in SARDEGNA
    http://www.politicaonline.net/forum/...threadid=73060
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    Predefinito tratto da www.pri.it



    Giuseppe Mazzini

    "Io era già inconsciamente educato al culto dell'uguaglianza dalle abitudini democratiche dei due miei parenti e dai modi identici ch'essi usavano col patrizio e col popolano; nell'individuo essi non cercavano evidentemente se non l'uomo e l'onesto. E le aspirazioni alla libertà, ingenti nell'animo mio, s'erano alimentate dei ricordi di un periodo recente, quello delle guerre repubblicane francesi, che suonavano spesso sulle labbra di mio padre". Così ebbe a scrivere Giuseppe Mazzini dei suoi primi anni. L'apostolo dell'unità italiana nacque a Genova il 22 giugno 1805, figlio di un noto medico.
    Nel 1827 si iscrive alla Carboneria; nella "vendita" genovese fu uno dei più validi propagandisti. Nel 1830 accetta un incarico importante: compie un viaggio in Toscana alla ricerca di affialiati. Tornato, per la denuncia di Raimondo Doria, che aveva rivelato i nomi degli affiliati genovesi e lombardi, fu arrestato fino al gennaio 1831. Dopo, è costretto all'esilio: parte per Ginevra.
    Fu però a Marsiglia che Mazzini dettò le Istruzioni generali per gli affratellati nella Giovane Italia, che riuscì a distribuire in Liguria e in Piemonte. Allo stesso modo fondò e distribuì il periodico omonimo. Successive delazioni portarono alla scoperta di vari "fratelli": Iacopo Ruffini fu arrestato e si suicidò in carcere.
    Nel 1834 lo troviamo a Berna: qui, nel 1834, detta il patto della Giovine Europa. Nel giugno del '35, fra incredibili difficoltà riesce a fondare il periodico La Jeune Suisse che, secondo alcuni storici, contiene alcuni dei migliori articoli da lui scritti, dove esprime i concetti fondamentali del suo apostolato repubblicano europeo.
    Nel 1836 gli viene intimato l'esilio perpetuo dalla Svizzera; solo nel gennaio 1837 si reca a Londra. In mezzo alla miseria e alla "tempesta del dubbio", collabora a numerosi periodici inglesi. Poi, mosso da "proposito incrollabile, quasi feroce", decide di riprendere il lavoro della Giovine Italia, diramando nuove istruzioni generali.
    Mazzini mostrò diffidenza per l'elezione al Pontificato di Pio IX, nonché verso le parziali riforme concesse da alcuni governi italiani: gli apparivano atti che spostavano il fulcro dell'azione rivoluzionaria così come egli la concepiva. Passato da Londra a Parigi, ebbe notizia dell'insurrezione di Milano; giunge nella città lombarda il 7 aprile del 1848; al ritorno degli austriaci lascia la città, il 3 agosto, arruolandosi come soldato semplice in una colonna di volontari. Fu di nuovo in Svizzera, poi a Marsiglia, poi a Livorno. Il 5 marzo 1849 è a Roma; il 29 marzo è eletto triumviro con Saffi e Armellini. Forma un comitato di guerra. Caduta la città, ripara a Losanna. Nel maggio del '50 è a Parigi, nel luglio successivo a Londra, dove fonda il Comitato democratico europeo. Un nuovo tentativo insurrezionale lombardo da lui progettato fallisce, insieme ad altri episodi dall'esito infelice. Intanto ha fondato il Partito d'Azione, nome che sarà ripreso da una nota formazione coordinata da Ugo La Malfa durante la Resistenza.
    Nel 1857 accetta la proposta giuntagli da un comitato napoletano e prepara una spedizione costiera, affidandone il comando a Pisacane. Il tentativo di Sapri fallisce, insieme ad un altro moto insurrezionale genovese. Mazzini è condannato a morte in contumacia.
    E' del 1858 la pubblicazione del periodico londinese Pensiero e azione; in seguito, in Svizzera, stampa l'opuscolo Ai giovani d'Italia. I suoi più stretti amici avevano cominciato ad allontanarsi da lui sin dal 1853. Nel '57 aveva scritto: "Son più debole, tetro che mai; e ciò spiega come la mia mente sia sempre incline a credere che io sia una fonte perenne di male". Visse gli ultimi anni di vita fra Londra e Lugano, con furtivi soggiorni a Genova e Milano. Nel 1870 fu arrestato e condotto nel forte di Gaeta. Qui, apprese l'avvenuta unione di Roma al regno d'Italia, ma deplorò che si fosse realizzata sotto la monarchia. Nel febbraio del 1872 pensò di trasferirsi a Genova, ma poi accettò l'ospitalità di Giannetta Nathan Rosselli: a Pisa si spense il 10 marzo 1872, dopo esservi vissuto col nome Brown. La salma fu trasportata a Genova e tumulata a Staglieno, presso la tomba della madre.

  3. #3
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    Predefinito tratto da L'AVVENIRE 9 dicembre 2004

    Genova celebra Mazzini 200 anni dopo

    Il 10 dicembre 1847 fu una giornata da ricordare per Genova e l' Italia risorgimentale: 35 mila persone (su una popolazione totale di circa 100 mila) sfilarono tra l'Acquasola e il santuario di Oregina per celebrare i 101 anni dalla cacciata degli austriaci: è anche per celebrare questa occasione, ma soprattutto in vista del bicentenario della nascita nel capoluogo ligure di Giuseppe Mazzini, che Genova gli dedica in questi giorni manifestazioni e iniziative. Fra tutte, il LXII congresso di storia del Risorgimento che si è aperto ieri pomeriggio a Palazzo Tursi e che proseguirà fino a domenica anche a Palazzo Rosso, dedicato alla figura di Mazzini nel movimento internazionale. Il convegno intende aprire con lieve anticipo l'anno mazziniano ed è dedicato ad un'approfondita valutazione della centralità della sua figura nell'Ottocento.

  4. #4
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    Predefinito Frase attribuita a Mazzini

    Sull'agenda letteraria del 2005 viene attribuita la seguente frase a Mazzini:
    Nei secoli bui i ladri e i farabutti venivano messi sulla croce, nel nostro tempo felice, ai ladri e ai farabutti viene messa una croce al collo.
    Tex Willer

  5. #5
    Garibaldi
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    A me non sembra per nulla il modo di scrivere di Mazzini.
    Questa frase e' costruita in modo strano, ma non certo nella maniera di come costruiva le frasi il Mazzini.
    Tra l'altro quali sarebbero i secoli bui ? Per Mazzini il secolo buio era quello che viveva e non era certo "il suo tempo felice".
    Tra l'altro mi sembra una frase anche alquanto qualunquista e Mazzini invece, nei suoi scritti, era sempre propositivo e idealista oltre le umane comprensioni del momento.
    Mazzini inoltre, da grande uomo di cultura quale era, non avrebbe mai ripetuto due volte, in sole due righe, due parole come ladri e farabutti, ma avrebbe usato dei sinonimi, da profondo conoscitore, quale era, della lingua italiana da lui tanto amata.
    Questo riportato mi sembra piu' uno stile da giornalista di cronaca nera che non da grande uomo capace di infiammare le coscenze di tutta Europa.

  6. #6
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    Predefinito tratto da ADNKRONOS 10 dicembre 2004

    STORIA: GENOVA, SECONDO CENTENARIO DELLA NASCITA DI MAZZINI

    Genova, 9 dic. (Adnkronos Cultura) - E' attualmente in corso a Genova, tra il Salone di Rappresentanza di Palazzo Tursi e l'Auditorium di Palazzo Rosso, il 62° Congresso di storia del Risorgimento, dal titolo "Pensiero e azione - Mazzini nel movimento democratico italiano e internazionale". Con questa iniziativa l'Istituto per la storia del Risorgimento italiano intende aprire con un po' di anticipo le celebrazioni per il bicentenario della nascita del politico ligure, che cade nel 2005, e che è dedicata quindi ad una approfondita valutazione della centralità della sua figura nell'Ottocento. Le dieci relazioni del programma, stanno affrontando i nodi focali legati al ruolo svolto da Mazzini e alla sua "eredità contesa" fino alla sua presenza nel dibattito politico del secondo dopoguerra. I lavori in corso riguardano la riflessione storica internazionale e i nuovi percorsi della storiografia mazziniana nel campo linguistico, in quello storico-artistico e in quello della musica.

  7. #7
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    Predefinito Per Garibaldi

    Evidentemente "nei nostri tempi felici" era in senso ironico e quindi corrisponde in pieno al giudizio di Mazzini dei suoi tempi.
    E credo che possa valere ancor oggi.
    Il curatore della rivista è Gianni Rizzoni e lavora per diverse riviste del gruppo Mondadori.
    Tex

  8. #8
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    Predefinito parole esatte

    Nella pagina dell'agenda letteraria 2005 che viene dedicata a Mazzini (e credo che sia una cosa che faccia piacere ai repubblicani che qualcuno dedichi una pagina a Mazzini in corrispondenza del 10 marzo), le parole esatte sono le seguenti:

    Nei tempi antichi, barbari e feroci,
    i ladri s'appendevano alle croci:
    ma nei presenti tempi più leggiadri
    s'appendono le croci in petto ai ladri.
    (attribuito a Mazzini)

    Nella pagina viene anche mostrata la copertina del manifesto della Giovine Italia, viene mostrato il ritratto dei triumviri della Repubblica Romana

    Viene anche riportato questo passo dai Doveri dell'Uomo:

    La vita vi fu data da Dio perchè ne usiate a beneficio dell'umanità, perchè dirigiate le vostre facoltà individuali allo sviluppo delle facoltà dei vostri fratelli..... Dovete educarvi ed educare, perfezionarvi e perfezionare.

    Bello spunto di riflessione.

    Tex

  9. #9
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    Predefinito

    ... bisogna dare atto a Garibaldi che e' un vero mazzinano e che conosce, a quanto sembra, addirittura il lessico di Mazzini ed il suo modo di scrivere ....
    Cosi' riportata la frase assume tutto un altro sapore ... piu' in sintonia proprio con l'alta idealita' del pensiero mazziniano ... e non permette giudizi fuorviati dall'erroneita' della trasposizione.

    rileggiamo insieme ....
    http://www.politicaonline.net/forum/...61#post1662261

  10. #10
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    Predefinito non ha senso politico l'attribuzione

    della frase a Mazzini, essendo lui stesso uomo esule e fuori della legalità, e dunque considerato dal governo legittimo alla stregua di un brigante, tanto da finire in carcere a Gaeta a liberazione d'Italia in corso. Per cui capirei una polemica di Mazzini istituzionale, tipo: i farabutti oggi sono al governo e una volta stavano nelle carceri, e non repressiva come quella che si echeggia nella battuta. Poi c'è una sapore conservativo, il tempo passato migliore che non è propria di un progressista quale Mazzini. Insomma tale battuta descriverebbe un animo gretto e conservatore di Mazzini, che sinceramente non gli si addice. In ogni caso lo studioso non ha considerazione dello scritto apocrifo, se non per curiosità personale e fa testo nella storia solo ciò che è stato scritto e detto e non ciò che si attribuisce e da chi poi? E quando mai?

 

 
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