il quoridiano di destra il riformista a 24 h dalle elezioni appoggia la guerra in iraq e attacca la sinistra europea
EDITORIALE
lunedì 1 novembre 2004
ENDORSEMENT. SPERIAMO CHE L'AMERICA TOLGA ALL'EUROPA L'ALIBI TEXANO
Bush ha ragione, che vinca Kerry
Per noi che stiamo al calduccio all'ombra del Vaticano, o che passeggiamo nei boulevard di Parigi, o che ci annoiamo nella fredda Svezia, che Bin Laden col ditino alzato indica a modello di democrazia che lui lascerà in pace; per noi europei, insomma, è facile: noi votiamo Kerry. Ma per un americano di Oklahoma o di Utica non è così semplice. Il riformista ha un amico negli States, uno che ha fatto il Sessantotto e la New economy, uno che si fa gli spinelli e vive in California, pratica l'amore omosessuale e va pazzo per Shwarzenegger. L'amico dice: «E' normale che tu voti Kerry, ed è normale che io voti Bush. Noi siamo in guerra, voi no. Ce l'ha detto Bin Laden, l'altra sera. Fate i bravi, fate come gli europei, e avrete salva la vita. Ma noi non possiamo fare come gli europei, noi siamo l'America, siamo la superpotenza. Se smettiamo di esserlo, il mondo diventa un casino. La nostra vita diventa un casino. E guarda che lo pensa anche Kerry. Lui ha detto a Boston: l'America è in guerra. Non ha detto c'è un terrorismo un po' più aggressivo di prima, mettiamo un po' di polizia in più nelle strade e vediamo di non provocarli troppo. Ha detto che l'America è in guerra. Certo, lui la farebbe diversamente da Bush. Avrebbe sistemato Bin Laden prima di Saddam, sarebbe andato in Iraq con più soldati e ci resterebbe ora con più soldati, lo sceicco del terrore non gli basta prenderlo, vuole pure ucciderlo. E vorrebbe farlo insieme a voi. Per questo non lo voterò, perché voi non lo farete mai, noi siamo soli, e dobbiamo farcela da soli. Se siamo tutti d'accordo che questa è una guerra, e qui siamo tutti d'accordo, io non cambio il comandante in capo durante il combattimento».
Il nostro amico ha ragione, ed è per questo che anche quei pochi europei che sono d'accordo con lui sperano che vinca Kerry. Perché è l'unica speranza di svegliare l'Europa da quello che Giuliano Amato, su questo giornale, ha definito il suo «doroteismo». Finché ci sarà Bush, gli europei avranno un alibi: nessuno con la testa sulle spalle voterebbe per quell'uomo, quella macchietta ripresa da Michael Moore e Osama Bin Laden mentre finge di leggere favole ai bambini e le torri vanno giù; se vince vuol dire proprio che gli americani sono strani, obesi, ottusi e sciovinisti. Che vivono in un altro mondo. Noi europei continueremo a pensare che Bin Laden in definitiva dice la verità: lasciateci in pace, siate neutrali come la Svezia, e io vi lascio in pace. Continueremo a pensare che il conflitto mediorientale è colpa di quel falco di Sharon, che la seconda Intifada se l'è cercata, e che il terrorismo kamikaze, in fondo in fondo, una ragione ce l'ha.
Ma se cade l'alibi, ecco il momento della verità. Arriva un gran signore, che pensa di più e si consulta di più prima di prendere una decisione, al punto tale che di decisioni ne ha prese ben poche nella sua vita politica; un tipo che parlerà con Chirac in francese e userà la figlia come interprete per parlare in italiano con Berlusconi. Un americano col passaporto, rara avis. E che ti fa questo cripto-europeo? Ci chiede di partecipare alla guerra, pure lui, e ce lo chiede con tutto il rispetto formale che si deve a un alleato, ma chiarendo prima che non concederà mai a nessuno, neanche all'Onu, il potere di veto sulle decisioni che riguardino la sicurezza dell'America. A quel punto che facciamo noi europei? Diciamo di no anche a lui? Sarebbe la fine di una lunga storia, dell'alleanza transatlantica, dell'asse che ha retto il mondo per cinquant'anni sostanzialmente in pace, che ha fatto fuori il comunismo. Sarebbe la fine dell'illusione che la frattura dell'Occidente sia solo una parentesi, dovuta al caso e al pasticcio degli elettori in Florida. Sarebbe l'inizio di un incubo: Europa e America diventano nemiche. I loro interessi divergono. Ognuno si cerchi i suoi alleati, e vinca il migliore.
La vittoria di Kerry obbligherebbe noi europei a una scelta storica: da che parte stiamo? Obbligherebbe la sinistra europea a riscrivere daccapo la sua geografia del mondo. Per questo chi in Europa ha sostenuto la guerra in Iraq si augura oggi che vinca Kerry (vedi l'Economist). Ma gli americani non sono europei, non votano pensando a quello che farà l'Europa, anzi non gliene importa proprio nulla. Quindi è molto probabile che il riformista europeo, votando Kerry, perda anche stavolta.
P.s.: Lasciateci annunciare il nostro gaudium magnum per l'ingloriosa uscita dalla scena europea di Rocco Buttiglione. La consideriamo una piccola vittoria di questo giornale, che per primo paventò gli sfracelli che sarebbero derivati da una scelta sbagliata in radice, perché non basata sulle qualità personali del candidato, ma sulle convenienze politiche del momento. Frattini andrà benissimo. E' stato un ottimo ministro e non è meno cattolico di Buttiglione. Darà lustro all'Italia