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  1. #1
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    Predefinito La geografia elettorale americana

    " Coast to Coast. La geografia elettorale americana
    di Rodolfo Bastianelli

    Il sistema elettorale adottato dai "Padri Fondatori" per la Casa Bianca è estremamente complesso e del tutto particolare. Simile più a 50 diverse votazioni per ognuno degli Stati dell'Unione che ad un'unica consultazione a livello nazionale, l'elezione presidenziale americana è determinata non solo dal quadro globale che presenta il Paese nel suo insieme ma anche dalle situazioni politiche locali. Per comprendere quindi quale potrà essere l'atteggiamento delle diverse realtà americane e tentare di prevedere l'esito finale del voto di novembre è necessario effettuare un breve viaggio nella geografia elettorale degli Stati Uniti, una geografia notevolmente cambiata in questi ultimi anni.
    ....
    continua a questo indirizzo:

    http://www.ideazione.com/quotidiano/...astianelli.htm



    Con senescenza

  2. #2
    SENATORE di POL
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    Un altro genere di "geografia" elettorale, se vogliamo di tipo più "sociologico", riguardo alle prossime elezioni presidenziali negli Stati Uniti d'America è affrontato, con una serie di dati molto interessanti, da Glauco Maggi in un dettagliatissimo articolo, pubblicato sul quotidiano LIBERO, sviluppato in grandissima parte sulla base dei dati forniti del sondaggista americano John Zogby.
    Si prevede che la corsa alla Casa Bianca si concluda anche questa volta, come già fu nel 2000, al fotofinish....

    dal quotidiano LIBERO di oggi 30 ottobre 2004

    " Dio, gli ebrei, le armi I tre alleati per vincere

    di GLAUCO MAGGI

    NEW YORK - Pari sul piano nazionale, con entrambi i contendenti a quota 47. Ma mentre Bush va fortissimo nel Paese rurale, tra i nati cristiani e tra chi si definisce investitore, Kerry è preferito nelle metropoli, dai single dei due sessi e dai sindacalizzati . Secondo il guru dei sondaggi John Zogby, che ha fatto il punto del suo lavoro con i giornalisti esteri di Washington e New York in videoconferenza, le propensioni di voto espresse dalle rilevazioni quotidiane confermano un testa testa da fotofinish . « Impressionante » , ha detto Zogby, « è l’assoluto parallelismo con il 2000: oggi è lo specchio di allora, nessuno sa rompere l’equilibrio ed anche quando sembra che si stia rafforzando una tendenza non dura più di 48 ore. Il terzo giorno il trend si inverte, e i due rientrano nei ranghi dei loro fedelissimi » . Kerry e Bush sono pari tra gli elettori registrati come Indipendenti, e pari tra i cattolici, che il senatore cattolico e a favore dell’aborto cerca di sedurre ricordando che è stato chierichetto. La religione è il tallone d’Achille del Democratico: tra gli elettori ebrei, che 4 anni fa erano all’ 80% per Al Gore e il suo vice Liebermann, ebreo, la ferma posizione di Bush a fianco di Sharon e contro l’estremismo palestinese sta mettendo in crisi i membri di tante congregazioni, che fanno fatica a digerire Kerry quando ciancia contro il muro eretto dagli israeliani a difesa delle infiltrazioni dei suicidi bombaroli. La sua arma per convincerli è il fratello Cameron, avvocato convertitosi all’ebraismo che ha organizzato raccolte di fondi tra gli ebrei californiani senza sollevare tanto entusiasmo. Del resto è difficile avere il largo supporto che Kerry ha tra gli islamici americani, il 69% contro il 7% di Bush, e tra gli arabi- americani, il 54% contro il 28% ( la rilevazione è in 4 Statichiave), e non perdere simpatie tra gli ebrei. Ma queste sono tutto sommato briciole di elettorato religioso. A contare davvero è il maxitrend che è rilevabile considerando i due grandi campi, gli Stati cosiddetti Rossi ( nei quali ha vinto nel 2000 il partito Repubblicano) e quelli Blu ( appannaggio dei Democratici). Secondo Zogby, nei Rossi il 54% degli elettori va in chiesa almeno una volta alla settimana, mentre nei Blu è solo il 32%. In entrambe la frazioni, la maggioranza vuole un presidente che identifichi se stesso come vicino a Dio: nei Rossi è addirittura il 75%, nei Blu è il 51%. Ma nei Rossi Dio è visto come trionfante, come punitivo del Male, paladino del Giusto verso lo Sbagliato. Nei Blu è un Dio più relativista, più sfumato, più tollerante. Altra caratteristica distintiva delle due culture che dominano nei maxicampi è relativa alle armi: negli Stati Rossi- Repubblicani il 58% tiene in casa un fucile o una pistola, in quelli Blu- Democratici la percentuale scende al 33%, che è pur sempre una fetta rilevantissima. Quella che ha costretto Kerry a vestire la tuta mimetica da Grande Cacciatore per farsi fotografare con un’oca- preda in una mano e una carabina nell’altra mentre batteva la campagna dell’Ohio. Zogby, che alcuni mesi fa aveva predetto la sicura vittoria di Kerry ed oggi, con mille se e forse, continua a pendere per quella soluzione, basa la previsione su considerazioni storico- statistiche. In 7 volte su 10, il presidente in carica è stato rieletto quando ha potuto vantare, nell’imminenza del voto, di una maggioranza assoluta dei consensi, cioè quando le dic hiarazioni di voto per lui sono oltre il 50%. Adesso sono al 47%, il che spiegherebbe la strategia Repubblicana volta a screditare Kerry più che a conquistare nuovi elettori: Bush è conosciuto per quello che è, a questo punto, e lo scrutinio finale, almeno secondo il parere di Zogby, è diventato un referendum su di lui. « Se la percentuale di votanti sarà elevata, da poco più del 50% passato al 55% almeno, con l’affluenza di molti giovani, Kerry ne uscirebbe avvantaggiato » . A decidere saranno in ultima analisi gli indecisi, visto che se Bush porta a casa comunque un parere favorevole dal 53% degli elettori ed uno sfavorevole del 43%, il suo avversario è allineato alle sue identiche percentuali. Nei focus group, alle domande di Zogby gli incerti avrebbero detto « che gli piace Bush come persona, lo ammirano come leader per la sua decisione, ne apprezzano la moralità e l’attaccamento alla famiglia » . Kerry, d’altra parte, viene valutato come « brillante e abbastanza competente » , ma c’è poca fiducia nella sua coerenza. E riconoscono « che cambia opinione per avere voti su questioni importanti » . Di questo 5%, il 20% è orientato alla riconferma, il 30% pensa « sia tempo per un cambiamento » e il 50% « non è sicuro » su che fare. Nelle loro mani ci sono le sorti della Casa Bianca. Chiunque vincerà, per Zogby, avrà comunque contro l’altra metà del Paese. « Non c’è mai stata tanta polarizzazione, e una così scarsa disponibilità nei due partiti, se sconfitti, a dare legittimità all’altro » .
    "


    Con senescenza

  3. #3
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    da www.giornale.it

    " Testa a testa per la Casa Bianca

    Quando mancano meno di 48 ore al voto George Bush e John Kerruy sono praticamente alla pari nei sondaggi per la corsa alla Casa Bianca.
    Secondo l’ultima rilevazione Reuters/Zogby Kerry e Bush sono risultati entrambi al 48% negli ultimi tre giorni di rilevazioni, che hanno visto anche la diffusione del video di Osama bin Laden.
    Solo il 2% degli elettori resta incerto, mentre Bush e Kerry passano al setaccio gli ultimi 10 stati chiave per assicurarsi i 270 voti elettorali necessari per vincere martedì.
    "Ognuno di loro ha consolidato la sua base", ha detto il sondaggista John Zogby. "Bush ha buoni margini negli stati rossi, tra gli investitori, i repubblicani, i cristiani, gli uomini e le persone sposate", ha detto. "Kerry ha un solido vantaggio tra gli stati blu e supera Bush tra i giovani, gli afroamericani, gli ispanici, i democratici, le donne, i sindacalisti e i single".
    Il senatore del Massachusetts ha un margine di 51-41% tra i nuovi elettori registrati, un gruppo imprevedibile che potrebbe rivelarsi decisivo martedì, a seconda di quanti andranno a votare.
    Il sondaggio su 1.207 probabili elettori è stato realizzato tra giovedì e sabato e ha un margine di errore di più o meno 2,9 punti percentuali.
    Il sondaggio indica all'1,2% il candidato indipendente Ralph Nader, accusato dai democratici di aver portato via a Gore i voti che gli sarebbero stati necessari per essere eletto nel 2000.
    Bush risuilta invece in vantaggio rispetto al candidato democratico nell'ultimo sondaggio realizzato dal quotidiano "The Wall Street Journal". Il nuovo sondaggio, a 24 ore dalle presidenziali, effettuato su un campione di oltre un migliaio di probabili votanti, indica Bush al 48% e Kerry al 47%. In una precedente indagine, a metà ottobre, i due candidati erano dati in perfetta parità.
    E il 'sondaggio dei sondaggi' della Cnn, media ponderata di una dozzina di rilevamenti nazionali, da' Bush al 48% e Kerry al 46%: la forchetta s'e' stretta d'un punto. Il politologo Bill Schneider attribuisce 227 Grandi Elettori sicuri a Bush e 190 a Kerry, lasciandone da assegnare 121: la maggioranza necessaria e' 270.
    Tutti gli esperti statunitensi concordano comunque sul fatto che non c’è stato alcun effetto bin Laden sull’elettorato americano. L’ultimo messaggio video del capo di al Qaeda non avrebbe spostato flussi elettorali.
    "


    Saluti senescenti

  4. #4
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  5. #5
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    Ed ecco il commento alle elezioni presidenziali americane da parte del sito del quotidiano IL FOGLIO:

    " Il giorno dopo di Bush
    Fredda cronaca: vittoria totale del presidente più votato di tutti i tempi
    Senato, Camera, strategia referendaria. La nuova rivoluzione di Rove the genius? Il vecchio porta a porta (su idee forti)
    --------------------------------------------------------------------------------
    Perché l’America non è divisa
    New York. Come annunciato ieri dal Foglio, George W. Bush ha stravinto le elezioni americane con più di tre milioni e mezzo di voti di vantaggio rispetto allo sfidante John F. Kerry. Non c’è stata alcuna contestazione, al contrario di quanto erano già propensi a scrivere i giornali italiani, pronti dunque a sbagliare analisi per il secondo giorno consecutivo. Li ha salvati in extremis John Kerry, il candidato sconfitto. Ieri mattina il senatore del Massachusetts ha chiamato il presidente e gli ha concesso la vittoria.
    Bush oggi è il presidente americano più votato di tutti i tempi, con oltre 58 milioni di preferenze e ha superato il record di Ronald Reagan del 1984. Il riconfermato Bush ha mantenuto tutti gli Stati che aveva vinto nel 2000, con l’eccezione del piccolo New Hampshire, ma ha conquistato due Stati che quattro anni fa andarono ad Al Gore, cioè New Mexico e Iowa. Il numero dei Grandi elettori conquistati è 286 (come previsto due giorni fa dal Foglio), 16 in più della maggioranza necessaria, 15 più di quattro anni fa.
    Negli Stati dove la corsa avrebbe dovuto essere decisa all’ultima scheda, per Bush è stata una vittoria a valanga: in Florida ha distanziato Kerry di quasi 400 mila voti (52,2 per cento a 47 per cento); in Ohio ha vinto con oltre 130 mila voti di scarto. In generale gli Stati repubblicani sono diventati più repubblicani, mentre in quelli democratici la differenza si è assottigliata con l’eccezione della Pennsylvania, dove Kerry è andato molto bene, nonostante l’impegno di Bush.
    La vittoria politica del presidente è totale. Al Senato i repubblicani hanno guadagnato quattro seggi e ora lo controllano agevolmente con 54 senatori contro 45 (1 è indipendente). Ora per Bush sarà molto più facile ottenere il lasciapassare sulle nomine dei giudici, compresi quelli della Corte suprema. Anche alla Camera la maggioranza repubblicana s’è consolidata, con tre nuovi seggi. I referendum contro le nozze gay, e in un paio di casi anche contro le unioni civili omo ed eterosessuali, sono stati approvati ovunque con un margine altissimo, confermando come le teorie sulle “due Americhe” siano campate in aria: su famiglia, aborto, porto d’armi, riduzione delle tasse e sicurezza nazionale gli americani non sono affatto divisi a metà, anzi condividono con percentuali superiori al 60 per cento le idee del presidente. Un referendum favorevole alla ricerca scientifica sugli embrioni è stato approvato in California, ed era sostenuto dal governatore repubblicano Arnold Schwarzenegger.
    La vittoria di Bush ha confermato il genio di Karl Rove, capo della strategia elettorale della Casa Bianca. Da tre anni Rove insiste su un punto: per vincere bisogna galvanizzare la base, conquistare i voti dei cristiani e mobilitare sul territorio una rete di militanti. Nell’ultimo anno Bush ha vietato l’aborto tardivo, limitato l’uso dei fondi federali per la ricerca sugli embrioni e proposto l’emendamento costituzionale contro il matrimonio gay. Mentre i democratici mettevano insieme rockstar, attori molto chic e immaginavano frotte di giovani pronti a cacciare Bush, i repubblicani hanno costruito una formidabile rete di porta a porta ben radicata negli Stati in bilico. Ecco perché Bush ha guadagnato voti in quasi tutte le contee di Florida e Ohio.

    Wonkette e Zogby hanno fatto danni (in Italia)
    E allora perché martedì notte, in Italia, s’è diffusa la notizia della vittoria di Kerry? E’ successo questo: nel primo pomeriggio di New York un sito Internet molto liberal, Wonkette.com, ha ricevuto dai democratici e prontamente pubblicato due exit poll che davano un ampio margine di vantaggio a Kerry. In tv nessuno ne ha parlato, un po’ per non influenzare le operazioni di voto appena iniziate, un po’ perché i dati non potevano essere affidabili, trattandosi di un’indagine limitata alle prime ore della mattina e con campioni non equilibrati. Sui siti di destra s’è comunque diffuso il panico, nonostante i più avveduti invitassero alla calma. Gli “early exit poll” sono stati ripresi dalle agenzie di stampa italiane e giudicati attendibili dai giornali. Poi è arrivato un sondaggio, non un exit poll, di John Zogby (uno che l’anno scorso aveva infranto le regole augurandosi la vittoria di Kerry). Mentre in Italia si festeggiava e già si stilavano gli organigrammi della nuova Amministrazione Kerry, in America si continuava a votare. A votare Bush.


    (04/11/2004) "

    Saluti liberali

  6. #6
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    Per comprendere il voto americano che ha confermato George W. Bush alla presidenza degli Stati Uniti d'America può essere utile la lettura di questo interessante articolo pubblicato sul quotidiano LIBERO di oggi 4 novembre 2004:

    " Le minoranze etniche tradiscono Kerry

    di FAUSTO CARIOTI ROMA

    Il sillogismo è semplice e in apparenza convincente, tanto che è diventato uno dei luoghi comuni più diffusi: se noi di sinistra stiamo con le minoranze razziali, è scontato che anche loro stiano con noi. Neri, ispanici, asiatici e bianchi ( purché progressisti): un altro mondo è possibile, costruiamolo insieme sulle macerie dei conservatori. Così, mentre s'invoca il melting pot - il crogiolo multietnico, multireligioso e multiculturale - si mobilitano i cittadini di origine straniera contro l’America moderata bianca, anglosassone e cristiana che si raccoglie attorno a Bush. L’afflusso record registrato alle urne americane ( il 60%) è sembrato per lunghe ore confermare la validità del progetto, regalando ai democratici la sensazione inebriante di aver costruito una svolta epocale: mobilitando tutte le sue risorse, da Michael Moore al piccolo attivista di provincia, la sinistra americana era riuscita a portare al voto il popolo degli apatici, di quelli che della politica se ne fregano e che in gran parte sono neri, mexicanos e orientali. Quelli che nel 2000 erano rimasti a casa, ma che quattro anni dopo, davanti a tutto quello che Bush ha combinato, non hanno potuto restare con le mani in mano. Questo sin quando non sono arrivati i dati elettorali, quelli veri. Dai quali si sono apprese due cose importanti. Primo: grande affluenza alle urne non vuol dire vittoria certa per la sinistra, che si era persa per strada, per dire, tutti gli agricoltori del Paese e gli elettori cristiani; tra quelli in fila a votare, stavolta, c’erano anche loro, e gran parte non stava lì per fare un favore a Kerry. Secondo: essere neri, ispanici o gialli non implica necessariamente l’essere di sinistra. Due rivelazioni che, combinate, si sono rivelate letali per i democratici. Tutto lo psicodramma progressista è racchiuso nell'invocazione con cui la giovane inviata di Sky, fiutando la sconfitta di Kerry nell'Ohio, ha provato a esorcizzarla evocando i latinos: « Gli ispanici, prima di tirare le conclusioni aspettiamo gli ispanici, che stanno quasi tutti con Kerry » . Come se i voti degli ispanici non fossero già lì, assieme agli altri già scrutinati, a contribuire a dare a Bush quel vantaggio di 135mila voti nello Stato più importante. Si è scoperto così che il progetto che metteva assieme l'utile e il dilettevole, la trombatura dell’odiato nemico e la chiamata al voto del “ popolo degli ultimi”, poteva avere senso solo nelle intenzioni della sinistra più sprovveduta e in certi titoli di giornale ( da incorniciare quello all’articolo di Vittorio Zucconi su Repubblica di ieri, scritto quando Ezio Mauro si sentiva la vittoria democratica in tasca: « L’America riscopre la politica. Ecco il volto nuovo della nazione e il rinato impegno civile » . Chissà se questa meravigliosa primavera americana resiste ancora adesso che ha vinto Bush). Gli ispanici, dunque. I quali non hanno regalato a Kerry nessun plebiscito. Gli hanno dato la maggioranza, ma molti di loro ( assai più che nel 2000) hanno messo la croce sul nome di George W. Avessero votato inmassa per lo sfidante, ora saremmo qui a raccontare un’altra storia. Invece il 42% di loro, secondo le rilevazioni della Cnn, ha scelto Bush ( nel 2000 erano stati il 35%): record di tutti i tempi per un candidato non democratico. I valori su cui si fonda il partito repubblicano, del resto, sono gli stessi in cui si riconoscono tanti latinos: affermazione individuale, difesa della famiglia, fede in Dio, etica del lavoro e opposizione all’aborto. Niente di strano, quindi, se tra qualche anno ci accorgeremo che il cuore della maggioranza di loro batte a destra. Già oggi, spiegano gli studi condotti sulla società americana, gli elettori di origine ispanica si spostano verso destra man mano che la loro permanenza negli States si allunga; tra quelli che sono almeno di seconda e terza generazione, i più integrati, si contano già numerosi amministratori e leader locali rep u bbl i c a n i . Discorso solo in parte diverso per gli asiatici, la cui popolazione di votanti si è divisa per il 41% con Bush e per il 59% con Kerry: iden - tiche percentuali registrate quattro anni fa nel duello tra lo stesso Bush ed Al Gore. Mentre la popolazione di origine afro- americana, tradizionale riserva di caccia esclusiva dei democratici, non si è smentita: solo all’ 11% si è schierata con il presidente uscente, ma quattro anni fa, va ricordato, a Bush era andato appena il 9% dei consensi dei neri. Voti, questi delle minoranze, risultati indispensabili a Bush per conquistare numerosi Stati. La Florida, innanzitutto, che Bush ha vinto con uno scarto di cinque punti. Bene: a Miami, Orlando e dintorni i latinos rappresentano il 18% della popolazione, in gran parte d’origine cubana. I quali sono tradizionalmente fedeli elettori repubblicani, se non altro perché il Grand Old Party garantisce meglio il pugno di ferro contro il nemico numero uno, Fidel Castro. I democratici contavano sul fatto che il nuovo giro di vite all’embargo deciso da Bush, con cui sono stati limitati i permessi di viaggio verso Cuba e l’invio di soldi ai parenti rimasti nell’isola, non è piaciuto a molti di questi nuovi americani. Mentre gli spindoctor repubblicani confidavano che, al momento decisivo, la gran parte di costoro non avrebbe tradito. I fatti hanno dato ragione ai secondi. Così come sono stati tanti i bushisti tra gli elettori di origine latino- americana del New Mexico, dove rappresentano il 43% della popolazione: è anche grazie a loro se questo Stato, che nel 2000 fu vinto per un soffio da Al Gore, stavolta è finito a Bush con una differenza di 12mila voti. O nel Colorado, dove gli ispanici sono il 18% e hanno contribuito a dare la vittoria a Bush grazie a uno scarto di 120mila preferenze. Mentre in Nevada, dove il 21% degli abitanti ha origini sudamericane, Bush ha vinto per la seconda volta. Vantano una forte presenza latina anche Stati tradizionalmente repubblicani, come l’Arizona ( 26%) e il Texas ( 33%), che pure stavolta non hanno fatto eccezione. Quanto alla domanda sul perché minoranze razziali così importanti si ostinino a flirtare con i repubblicani o comunque a snobbare i democratici, forse la risposta è proprio in ciò che cercano. I repubblicani avranno tanti difetti, ma sono totalmente privi di quella carità pelosa che porta tanti progressisti a considerare qualunque minoranza un gruppo da difendere a colpi di sussidi statali e posti di lavoro garantiti. E questa è uguaglianza.
    "


    Saluti senescenti


    seguono analisi in
    http://www.politicaonline.net/forum/...hreadid=130274

 

 

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