Pagina 1 di 5 12 ... UltimaUltima
Risultati da 1 a 10 di 50

Discussione: Un Paese normale

  1. #1
    Me, Myself, I
    Data Registrazione
    05 Mar 2002
    Messaggi
    145,977
     Likes dati
    8,846
     Like avuti
    12,818
    Mentioned
    303 Post(s)
    Tagged
    3 Thread(s)

    Predefinito Un Paese normale

    Premessa:
    Il FATTO, come la notizia dell'uscita del seguente libro, è stata SOTTACIUTA da tutta l'informazione "prona o supina" di questo nostro Paese.
    Un Paese normale?

    Così hanno Licenziato De Bortoli
    Esce “Regime” di Marco Travaglio e Peter Gomez
    Giuseppe Vittori

    Che cosa si nascondeva dietro i «motivi personali» che il 29 maggio 2003 portarono Ferruccio De Bortoli a dimettersi da direttore del Corriere della Sera?
    La stanchezza, la voglia di cambiare mestiere, magari di darsi alla politica, come minimizzarono i soliti pompieri «terzisti» che popolano il mondo della politica, della stampa e dell’intellighenzia italiana? O qualcos’altro, di più serio e inquietante? Un libro in uscita in questi giorni risponde a questa e ad altre mille domande sui principali casi di censura degli ultimi tre anni.
    S’intitola, semplicemente, Regime.
    L’hanno scritto Marco Travaglio e Peter Gomez.
    Il volume sarà presentato dagli autori alla Camera del Lavoro di Milano il 18 ottobre e all’Ambra Jovinelli di Roma il 21. Un libro di ricostruzione e documenti che, come recita il sottotitolo, fa luce su «Biagi, Santoro, Massimo Fini, Freccero, Luttazzi, Sabina Guzzanti, Paolo Rossi, tg, gr e giornali: storie di censure e bugie nell'Italia di Berlusconi».

    Uno dei capitoli più inquietanti è proprio quello delle dimissioni di De Bortoli al termine di una lunga guerra dei nervi con Palazzo Chigi, fatta di avvertimenti, pressioni, attacchi volgari, lettere insinuanti al limite del ricattatorio e telefonate minacciose da parte degli avvocati di Berlusconi.
    Gomez e Travaglio hanno messo le mani su questa documentazione esplosiva e inedita, che è depositata al Tribunale di Milano nel fascicolo della causa civile intentata contro De Bortoli dagli onorevoli avvocati Gaetano Pecorella e Niccolò Ghedini, che si erano sentiti chiamati in causa da un famoso editoriale sulla legge Cirami, in cui il direttore criticava certi «onorevoli avvocaticchi preoccupati più per i loro onorari che per le sorti del Paese». Gli autori raccontano giorno per giorno l'«assedio» a De Bortoli, colpevole di pubblicare commenti sgraditi al premier e a Previti, come quelli di Giovanni Sartori, Vittorio Grevi, Giovanni Bianconi, Gian Antonio Stella e persino uno di Angelo Panebianco, ma soprattutto le cronache puntuali e inattaccabili dei cronisti dal palazzo di giustizia di Milano, Luigi Ferrarella e Paolo Biondani.
    Il 22 luglio 2002, nel pieno della maratona della maggioranza per approvare la Cirami in tempo per bloccare il processo Sme contro Berlusconi, Ghedini prende carta e penna e scrive a De Bortoli una lettera «personale e riservata» per protestare contro un articolo di Ferrarella e preannunciare una denuncia nei confronti del solo giornalista, e non del giornale e del suo direttore. L'onorevole avvocato usa il bastone e la carota: blandisce De Bortoli, ma poi l'accusa di aver trascinato il Corriere su una «linea precisa e incontrovertibile» contro Berlusconi, con commenti e cronache viziati da «una prospettazione degli avvenimenti squisitamente di parte e fortemente critica».
    «Il messaggio - osservano Travaglio e Gomez - è fin troppo chiaro: il problema non è (ancora) il Corriere. Sono alcune mele marce, eliminate le quali fra Palazzo Chigi e via Solferino può tornare il sereno. Veda un po' de Bortoli che cosa vuol fare. Cordiali saluti». Intanto arriva una lettera dello stesso tono di Previti, che però ne chiede la pubblicazione. De Bortoli l'accontenta, ricordando i «diversi interventi dell'onorevole che il Corriere ha volentieri ospitato e che avrebbe pubblicato anche senza i cortesi solleciti di Palazzo Chigi». Un chiaro riferimento alle continue telefonate di pressione del portavoce berlusconiano Paolo Bonaiuti.
    Sordo ad ogni avvertimento, De Bortoli non si piega e continua a far scrivere Bianconi, Ferrarella e Biondani. E risponde privatamente a Ghedini: dice di aver letto la sua missiva «con intima sofferenza... acuita dalla constatazione amara che la professione di giornalista (ma anche quella di avvocato, credo) sia semplicemente impossibile». Ricorda di non aver mai lesinato critiche alla Procura di Milano, quando le meritava, e di aver sempre dato spazio alle tesi della difesa. Ma ormai «in Italia di giustizia non si può più parlare. O si è con voi o si è contro di voi».
    Il 31 luglio, mentre la Cirami passa al Senato col voto dei pianisti, De Bortoli firma il fatidico editoriale sugli «onorevole avvocaticchi», in cui fra l'altro se la prende anche con i girotondi. Ghedini e Pecorella gli fanno causa. Nuova lettera di Previti. E seconda «riservata personale» di Ghedini: otto durissime pagine dattiloscritte per confermare che ormai la questione "Corriere" è sull'agenda di Berlusconi: è stato lui stesso, vista la «fraterna amicizia» che lo lega al premier, a esternargli tutta la sua «insoddisfazione per la linea del Corriere». Ghedini accusa de Bortoli di contribuire a «creare un clima di violenza» che lo costringe a vivere sotto scorta. «E qui - scrivono gli autori - l'avvocato perde definitivamente la calma, cominciando a formulare una serie di ipotesi inquietanti. Come si sentirebbe De Bortoli se lui lo chiamasse “giornalista da strapazzo, prezzolato e venduto all'editore”? Se insinuasse che la linea del Corriere sulla giustizia è dettata dalla paura per i molti processi in corso al tribunale di Milano contro la Rcs, il direttore e diversi giornalisti? Se sostenesse che il (presunto) antiberlusconismo del Corriere mira ad “accrescere il valore delle azioni a favore della proprietà”, che poi potrebbe cederle ad altri “per consentire un cambio di rotta” filogovernativo? Ghedini precisa subito, ci mancherebbe, che lui non crede a nessuna di queste basse insinuazioni (”indecenti maldicenze che stento persino a riferire”). Lui si è limitato a protestare contro “una linea che non condivido”...». Ma l'ennesimo avvertimento è lanciato. L'ultimo.
    De Bortoli, l'8 agosto, replica rivelando che il suo editoriale, oltre alla querela, gli è costato «altre cose spiacevolissime che mi sono arrivate dal governo e dalla maggioranza». Aggiunge: «Non credo che, come lei (purtroppo) scrive, il Corriere contribuisca a creare quel clima di violenza verbale e fisica che la costringe, e me ne dolgo, a vivere sotto scorta. E mi rammarica che lei vi faccia cenno: ho qualche responsabilità morale in proposito?».
    E poi ancora: «La ringrazio inoltre di avermi fatto alcuni esempi di quello che avrebbe potuto affermare sul mio conto e sul Corriere: davvero interessanti. Tralascio quello che avrei potuto dire sul conto dei legali del premier, se solo avessi dato retta ad un dossier arrivato sul mio tavolo, a qualche pettegolezzo parlamentare, ma soprattutto a un'interessata “rivelazione” che un ex sottosegretario ed avvocato era pronto a fornirci nel solo squallido intento di preservare la sua poltrona». L'unico avvocato ex sottosegretario del governo Berlusconi - ricordano gli autori - è Carlo Taormina. De Bortoli dice di aver ricevuto «molta pattumiera, del tipo di quella che lei efficacemente esemplifica», che però «è rimasta fuori dalle nostre redazioni, dalle nostre pagine e, se mi consente la battuta finale, anche dalle nostre teste. Teste che assieme alle coscienze non sono state vendute a nessuno».
    Il più pesante atto di guerra, oltre a una volgare battuta di Berlusconi (che, incontrando Cesare Romiti, gli raccomanda: «Mi saluti il direttore del manifesto...»), è una telefonata al calor bianco di Pecorella a Paolo Biondani, «reo» di aver raccontato l'11 settembre 2002 una notizia vera: e cioè che il presidente della commissione Giustizia nonchè difensore del premier è indagato a Brescia per la presunta ritrattazione prezzolata di un pentito sulle stragi di piazza Fontana e piazza della Loggia. «Quella sera», scrivono Gomez e Travaglio, «Pecorella chiama Biondani. Il suo tono è gelido e minaccioso. Al punto che il giornalista, sconvolto, riferisce immediatamente l'accaduto via e-mail a De Bortoli. Pecorella - racconta Biondani - l'ha accusato di aver scritto “un articolo chiaramente in malafede”, sia pur redatto “in modo da non darmi la possibilità di querelarti, perché non ci sono gli estremi della diffamazione”. Ma l'ha avvertito che “d'ora in poi leggerà con la lente d'ingrandimento ogni riga” dei suoi pezzi, per poterlo querelare alla prima occasione. Poi ha aggiunto: “Ho visto che hai scritto anche su MicroMega e non abbiamo fatto niente. Ma adesso basta, non ti perdono più nulla. Hai capito?”. Pecorella ha concluso dicendosi convinto che Biondani sia solo l'esecutore materiale di una campagna orchestrata da De Bortoli: “È evidente che vi hanno scatenati contro di me per vendicare il vostro direttore”. Biondani trascorre una notte agitata.
    L'indomani De Bortoli lo riceve nel suo ufficio. Lo invita a continuare a lavorare tranquillo. E gli mostra il testo della lettera che sta per inviare a Pecorella, in cui difende il suo cronista e protesta vibratamente per la telefonata della sera prima». Sfiancato dai continui attacchi forzisti (e, sostengono gli autori, «non abbastanza protetto da una proprietà sempre più debole»), si dimette il 29 maggio 2003 per «motivi personali». Ora sappiamo quali.
    Di storie come queste, "Regime" è pieno. Gomez e Travaglio raccontano tutti i casi, noti e ignoti, grandi e piccoli, di censura e di epurazione che hanno costellato il primo triennio del secondo governo Berlusconi. Ma anche le viltà e le complicità di troppi commentatori «indipendenti» ed esponenti dell'opposizione, che hanno collaborato a censurare, o a censurare le censure. Ci sono i casi di Luttazzi e Freccero, attaccati e abbandonati da destra e da sinistra. Ci sono i retroscena, raccontati per la prima volta, della famosa intervista di Marco Travaglio a "Satyricon". C'è la bobina (inedita) con la conversazione fra Massimo Fini e il direttore di Rai2 Antonio Marano, che gli annuncia un «veto politico» e «antropologico» contro il suo "Cyrano", salvo poi smentire tutto in commissione di Vigilanza. C'è il giorno per giorno del mobbing che ha perseguitato per due anni Enzo Biagi e Michele Santoro. Ci sono i segreti della chiusura di "RaiOt" di Sabina Guzzanti e del siluramento di Oliviero Beha, colpevole di aver denunciato le marchette di Rai Sport. C'è l'episodio grottesco del divieto a Paolo Rossi di leggere a Domenica In un discorso di Pericle sulla democrazia.
    E poi l'agghiacciante rassegna delle notizie occultate, manipolate, falsificate al Tg1 di Clemente J. Mimun e nei Gr di Radio Rai. E i ritratti dei nuovi modelli di giornalismo del servizio pubblico: Bruno Vespa e Anna La Rosa. Per concludere con l'emblematica «cronaca di una tv mai nata», La7, uccisa nella culla da Marco Tronchetti Provera, legato in mille affari a Berlusconi.
    In coda, un'impressionante cronologia di questi tre anni di regime: si stenta a credere che tante vergogne siano successe in così poco tempo e con reazioni così blande.
    Beppe Grillo, nella postfazione, invita i lettori a «perforare il regime con le notizie che nessuno dà», ma soprattutto ad avvertire la necessità dell'informazione, «che oggi ci manca, ma non lo sappiamo». Poi annuncia: «Nel mio prossimo spettacolo, ho deciso di fare politica. Senza candidarmi. Di nascosto. Nei teatri e su internet. Lancio un movimento politico che punta a smuovere un milione di persone. A tirar fuori il furore che c'è in loro. Lo chiameremo “A furor di popolo”...».

    Una voce:

    Il regime come anestesia
    di Antonio Padellaro

    Il fatto cheil direttore di un grande quotidiano venga pesantemente e ripetutamente minacciato dagli avvocati del presidente del Consiglio; il fatto che i cronisti di quel grande quotidiano vengano definiti dai suddetti legali «mele marce» perché scrivono sulle vicende del plurinquisito presidente del Consiglio; il fatto che pochi mesi dopo quello stesso direttore venga accompagnato al portone del grande quotidiano, salutato dalla manifesta soddisfazione del plurinquisito premier.
    Tutti questi fatti messi insieme avrebbero sicuramente suscitato una qualche apprezzabile reazione in un qualsiasi paese appena normale: a cominciare, per esempio, dal quel Botswana che ci precede, con altre 43 o 44 nazioni nella classifica che misura il grado di civilità e progresso sul pianeta.
    Forse, però, una spiegazione del perché l’Italia sia così tristemente scivolata alla casella 45 sta proprio nel fatto che in Italia, invece, non è successo assolutamente nulla; e che, anzi, la notizia della defenestrazione di quel direttore è stata giudicata una non notizia dalla quasi totalità degli altri organi di informazione, e dunque rapidamente trasferita in archivio. Ricordate «Alice nel paese delle Meraviglie»?
    «Se ognuno s’impicciasse dei fatti suoi», disse la Duchessa quasi ringhiando «il mondo girerebbe molto più svelto!».

    Per fortuna c’è sempre qualcuno che s’impiccia, e le tristi circostanze che hanno accompagnato le dimissioni di Ferruccio de Bortoli dalla direzione del “Corriere della sera”, il 29 maggio del 2003, vengono ora riproposte nel libro «Regime» di Peter Gomez e Marco Travaglio.
    Regime è parola a cui siamo particolarmente affezionati perché è stata coniata su queste stesse pagine quando l’Italia di Silvio Berlusconi ha cominciato a prendere forma e contenuti.
    Abbiamo scritto regime quando Enzo Biagi è stato espulso dalla Rai, per aver permesso a Roberto Benigni di ridere sul futuro presidente del Consiglio. Lo scandaloso episodio avveniva nel programma “Il fatto”, giudicato il migliore del secolo da una giuria Rai e cancellato anch’esso con un tratto di penna.
    Abbiamo scritto regime quando con il diktat ducesco dettato dalla Bulgaria, Berlusconi accusava di «uso criminoso della televisione pubblica» Biagi, Santoro e Luttazzi; o quando la censura ha tagliato dal video lo spettacolo di Sabina Guzzanti e il teatro di Paolo Rossi.
    Abbiamo scritto regime quando a Massimo Fini scippano un programma perché, come gli spiega il direttore di RaiDue, Marano «c’è una persona che ha fatto lo stronzo in modo vergognoso»: uno stronzo a cui, però, bisogna ubbidire per forza.
    Abbiamo scritto regime quando le dimissioni di de Bortoli ci sono apparse brutte, strane, preoccupanti, e non certo per mancanza di rispetto nei confronti del nuovo direttore Stefano Folli.
    Abbiamo scritto regime quando Lucia Annunziata, strattonata per mesi da un Cda supino alla linea del presidente-padrone, è stata costretta a lasciare la presidenza della Rai non potendo più esercitare il ruolo di garanzia assegnatole dai presidenti delle Camere.


    In questi tre anni abbiamo gridato regime, regime e ancora regime esattamente come lo gridano oggi Gomez e Travaglio raccontandoci perché colpendo Enzo Biagi e tutti gli altri il regime berlusconiano abbia desertificato la tv e intimidito la libera informazione.
    Ci è stato risposto (non da Berlusconi che non ha mai nascosto la mano) che se parlavamo di regime eravamo un po’ irresponsabili e un po’ squilibrati, significando la parola regime fine della democrazia e di ogni libertà.
    Mentre in Italia, fino a prova contraria, i cittadini votano, il Parlamento legifera, le edicole sono colme di testate di diverso orientamento, infinita è la scelta dei canali televisivi.
    Ci è stato detto, anche a sinistra: se dite che c’è il regime allora perché non ve ne andate in montagna a fare la resistenza?
    (obiezione stravagante perché sarebbe come chiedere a Pera, Ferrara, Feltri, e ai fervidi sostenitori della guerra di civiltà di andare, per coerenza, a combattere in Iraq con le truppe americane).
    A costoro aveva comunque già risposto Indro Montanelli spiegando che
    «oggi, per instaurare un regime, non c’è più bisogno di una marcia su Roma né di un incendio del Reichstag, né di un golpe sul palazzo d’inverno. Bastano i cosiddetti mezzi di comunicazione di massa: e fra essi, sovrana e irresistibile, la televisione».

    Montanelli aveva colto il punto: chi controlla l’informazione televisiva, controlla la democrazia; ma una democrazia sotto controllo (televisivo) non è un regime?
    Un regime pieno di facce da operetta, battute da caserma, capelli tinti o trapiantati, sospeso tra Caligola e la Freedonia dei fratelli Marx.
    Tragico se festeggia sbracato sulle macerie della Costituzione. Feroce quando decide cosa i cittadini devono o non devono sapere o vedere.
    Un regime ormai generalmente subìto e accettato in un misto di anestesia condivisa e rassegnazione ragionata.
    C’è una risposta per tutto.
    Biagi aveva stufato.
    Luttazzi ha esagerato.
    Santoro era un fazioso.
    Con la satira la Guzzanti ha fatto i soldi.
    E poi: la Rai è sempre stata lottizzata e, ai suoi tempi, l’Ulivo ha fatto anche peggio.

    Come dice la Duchessa, sarebbe meglio se ciascuno s’impicciasse dei fatti suoi.

    (Per la cronaca: mentre de Bortoli non è più direttore del “Corriere”, l’avvocato Previti che lo minacciava per lettera è sempre al suo posto: esercita il potere con efficenza e discrezione, ed è tra i principali artefici del condono vergogna sulle aree protette).

  2. #2
    Me, Myself, I
    Data Registrazione
    05 Mar 2002
    Messaggi
    145,977
     Likes dati
    8,846
     Like avuti
    12,818
    Mentioned
    303 Post(s)
    Tagged
    3 Thread(s)

    Predefinito CVD

    E, come dicevo, questa ignavia è una vergogna per il Paese; NON per i soli bananas.
    Perchè se NON sei informato puoi sempre accampare la "scusa" dell'ignoranza; ma se DOPO esserne stato informato giri la testa, ti metti alla stregua dei ciechi e biechi sostenitori del regime.

    E vale per TUTTI...

  3. #3
    Forumista senior
    Data Registrazione
    03 Sep 2003
    Messaggi
    3,056
     Likes dati
    0
     Like avuti
    0
    Mentioned
    0 Post(s)
    Tagged
    0 Thread(s)

    Predefinito

    resistere,resistere,resistere.

  4. #4
    Me, Myself, I
    Data Registrazione
    05 Mar 2002
    Messaggi
    145,977
     Likes dati
    8,846
     Like avuti
    12,818
    Mentioned
    303 Post(s)
    Tagged
    3 Thread(s)

    Predefinito

    In Origine Postato da myisbetter
    resistere,resistere,resistere.
    Quasi tutti...

  5. #5
    Democrazia Diretta!
    Data Registrazione
    06 Jun 2004
    Località
    Pianeta Terra ,Italia
    Messaggi
    3,167
     Likes dati
    0
     Like avuti
    0
    Mentioned
    1 Post(s)
    Tagged
    0 Thread(s)

    Predefinito

    siccome non è ancora possibile vietare l'uscita di un libro
    faranno come ai tempi de "l'odore dei soldi"
    che esauriva nelle librerie, merito di misteriosi personaggi che compravano tutte le copie

    Uno dei capitoli più inquietanti è proprio quello delle dimissioni di De Bortoli al termine di una lunga guerra dei nervi con Palazzo Chigi, fatta di avvertimenti, pressioni, attacchi volgari, lettere insinuanti al limite del ricattatorio e telefonate minacciose da parte degli avvocati di Berlusconi.
    si sapeva che c'era qualcosa sotto, ma dove sono finiti quelli di destra, perche non replicano?
    niente argomentazioni eh?

  6. #6
    Ospite

    Predefinito Re: Un Paese normale

    In Origine Postato da MrBojangles
    Premessa:
    Il FATTO, come la notizia dell'uscita del seguente libro, è stata SOTTACIUTA da tutta l'informazione "prona o supina" di questo nostro Paese.
    Un Paese normale?

    Così hanno Licenziato De Bortoli
    Esce “Regime” di Marco Travaglio e Peter Gomez
    Giuseppe Vittori

    Che cosa si nascondeva dietro i «motivi personali» che il 29 maggio 2003 portarono Ferruccio De Bortoli a dimettersi da direttore del Corriere della Sera?
    La stanchezza, la voglia di cambiare mestiere, magari di darsi alla politica, come minimizzarono i soliti pompieri «terzisti» che popolano il mondo della politica, della stampa e dell’intellighenzia italiana? O qualcos’altro, di più serio e inquietante? Un libro in uscita in questi giorni risponde a questa e ad altre mille domande sui principali casi di censura degli ultimi tre anni.
    S’intitola, semplicemente, Regime.
    L’hanno scritto Marco Travaglio e Peter Gomez.
    Il volume sarà presentato dagli autori alla Camera del Lavoro di Milano il 18 ottobre e all’Ambra Jovinelli di Roma il 21. Un libro di ricostruzione e documenti che, come recita il sottotitolo, fa luce su «Biagi, Santoro, Massimo Fini, Freccero, Luttazzi, Sabina Guzzanti, Paolo Rossi, tg, gr e giornali: storie di censure e bugie nell'Italia di Berlusconi».

    Uno dei capitoli più inquietanti è proprio quello delle dimissioni di De Bortoli al termine di una lunga guerra dei nervi con Palazzo Chigi, fatta di avvertimenti, pressioni, attacchi volgari, lettere insinuanti al limite del ricattatorio e telefonate minacciose da parte degli avvocati di Berlusconi.
    Gomez e Travaglio hanno messo le mani su questa documentazione esplosiva e inedita, che è depositata al Tribunale di Milano nel fascicolo della causa civile intentata contro De Bortoli dagli onorevoli avvocati Gaetano Pecorella e Niccolò Ghedini, che si erano sentiti chiamati in causa da un famoso editoriale sulla legge Cirami, in cui il direttore criticava certi «onorevoli avvocaticchi preoccupati più per i loro onorari che per le sorti del Paese». Gli autori raccontano giorno per giorno l'«assedio» a De Bortoli, colpevole di pubblicare commenti sgraditi al premier e a Previti, come quelli di Giovanni Sartori, Vittorio Grevi, Giovanni Bianconi, Gian Antonio Stella e persino uno di Angelo Panebianco, ma soprattutto le cronache puntuali e inattaccabili dei cronisti dal palazzo di giustizia di Milano, Luigi Ferrarella e Paolo Biondani.
    Il 22 luglio 2002, nel pieno della maratona della maggioranza per approvare la Cirami in tempo per bloccare il processo Sme contro Berlusconi, Ghedini prende carta e penna e scrive a De Bortoli una lettera «personale e riservata» per protestare contro un articolo di Ferrarella e preannunciare una denuncia nei confronti del solo giornalista, e non del giornale e del suo direttore. L'onorevole avvocato usa il bastone e la carota: blandisce De Bortoli, ma poi l'accusa di aver trascinato il Corriere su una «linea precisa e incontrovertibile» contro Berlusconi, con commenti e cronache viziati da «una prospettazione degli avvenimenti squisitamente di parte e fortemente critica».
    «Il messaggio - osservano Travaglio e Gomez - è fin troppo chiaro: il problema non è (ancora) il Corriere. Sono alcune mele marce, eliminate le quali fra Palazzo Chigi e via Solferino può tornare il sereno. Veda un po' de Bortoli che cosa vuol fare. Cordiali saluti». Intanto arriva una lettera dello stesso tono di Previti, che però ne chiede la pubblicazione. De Bortoli l'accontenta, ricordando i «diversi interventi dell'onorevole che il Corriere ha volentieri ospitato e che avrebbe pubblicato anche senza i cortesi solleciti di Palazzo Chigi». Un chiaro riferimento alle continue telefonate di pressione del portavoce berlusconiano Paolo Bonaiuti.
    Sordo ad ogni avvertimento, De Bortoli non si piega e continua a far scrivere Bianconi, Ferrarella e Biondani. E risponde privatamente a Ghedini: dice di aver letto la sua missiva «con intima sofferenza... acuita dalla constatazione amara che la professione di giornalista (ma anche quella di avvocato, credo) sia semplicemente impossibile». Ricorda di non aver mai lesinato critiche alla Procura di Milano, quando le meritava, e di aver sempre dato spazio alle tesi della difesa. Ma ormai «in Italia di giustizia non si può più parlare. O si è con voi o si è contro di voi».
    Il 31 luglio, mentre la Cirami passa al Senato col voto dei pianisti, De Bortoli firma il fatidico editoriale sugli «onorevole avvocaticchi», in cui fra l'altro se la prende anche con i girotondi. Ghedini e Pecorella gli fanno causa. Nuova lettera di Previti. E seconda «riservata personale» di Ghedini: otto durissime pagine dattiloscritte per confermare che ormai la questione "Corriere" è sull'agenda di Berlusconi: è stato lui stesso, vista la «fraterna amicizia» che lo lega al premier, a esternargli tutta la sua «insoddisfazione per la linea del Corriere». Ghedini accusa de Bortoli di contribuire a «creare un clima di violenza» che lo costringe a vivere sotto scorta. «E qui - scrivono gli autori - l'avvocato perde definitivamente la calma, cominciando a formulare una serie di ipotesi inquietanti. Come si sentirebbe De Bortoli se lui lo chiamasse “giornalista da strapazzo, prezzolato e venduto all'editore”? Se insinuasse che la linea del Corriere sulla giustizia è dettata dalla paura per i molti processi in corso al tribunale di Milano contro la Rcs, il direttore e diversi giornalisti? Se sostenesse che il (presunto) antiberlusconismo del Corriere mira ad “accrescere il valore delle azioni a favore della proprietà”, che poi potrebbe cederle ad altri “per consentire un cambio di rotta” filogovernativo? Ghedini precisa subito, ci mancherebbe, che lui non crede a nessuna di queste basse insinuazioni (”indecenti maldicenze che stento persino a riferire”). Lui si è limitato a protestare contro “una linea che non condivido”...». Ma l'ennesimo avvertimento è lanciato. L'ultimo.
    De Bortoli, l'8 agosto, replica rivelando che il suo editoriale, oltre alla querela, gli è costato «altre cose spiacevolissime che mi sono arrivate dal governo e dalla maggioranza». Aggiunge: «Non credo che, come lei (purtroppo) scrive, il Corriere contribuisca a creare quel clima di violenza verbale e fisica che la costringe, e me ne dolgo, a vivere sotto scorta. E mi rammarica che lei vi faccia cenno: ho qualche responsabilità morale in proposito?».
    E poi ancora: «La ringrazio inoltre di avermi fatto alcuni esempi di quello che avrebbe potuto affermare sul mio conto e sul Corriere: davvero interessanti. Tralascio quello che avrei potuto dire sul conto dei legali del premier, se solo avessi dato retta ad un dossier arrivato sul mio tavolo, a qualche pettegolezzo parlamentare, ma soprattutto a un'interessata “rivelazione” che un ex sottosegretario ed avvocato era pronto a fornirci nel solo squallido intento di preservare la sua poltrona». L'unico avvocato ex sottosegretario del governo Berlusconi - ricordano gli autori - è Carlo Taormina. De Bortoli dice di aver ricevuto «molta pattumiera, del tipo di quella che lei efficacemente esemplifica», che però «è rimasta fuori dalle nostre redazioni, dalle nostre pagine e, se mi consente la battuta finale, anche dalle nostre teste. Teste che assieme alle coscienze non sono state vendute a nessuno».
    Il più pesante atto di guerra, oltre a una volgare battuta di Berlusconi (che, incontrando Cesare Romiti, gli raccomanda: «Mi saluti il direttore del manifesto...»), è una telefonata al calor bianco di Pecorella a Paolo Biondani, «reo» di aver raccontato l'11 settembre 2002 una notizia vera: e cioè che il presidente della commissione Giustizia nonchè difensore del premier è indagato a Brescia per la presunta ritrattazione prezzolata di un pentito sulle stragi di piazza Fontana e piazza della Loggia. «Quella sera», scrivono Gomez e Travaglio, «Pecorella chiama Biondani. Il suo tono è gelido e minaccioso. Al punto che il giornalista, sconvolto, riferisce immediatamente l'accaduto via e-mail a De Bortoli. Pecorella - racconta Biondani - l'ha accusato di aver scritto “un articolo chiaramente in malafede”, sia pur redatto “in modo da non darmi la possibilità di querelarti, perché non ci sono gli estremi della diffamazione”. Ma l'ha avvertito che “d'ora in poi leggerà con la lente d'ingrandimento ogni riga” dei suoi pezzi, per poterlo querelare alla prima occasione. Poi ha aggiunto: “Ho visto che hai scritto anche su MicroMega e non abbiamo fatto niente. Ma adesso basta, non ti perdono più nulla. Hai capito?”. Pecorella ha concluso dicendosi convinto che Biondani sia solo l'esecutore materiale di una campagna orchestrata da De Bortoli: “È evidente che vi hanno scatenati contro di me per vendicare il vostro direttore”. Biondani trascorre una notte agitata.
    L'indomani De Bortoli lo riceve nel suo ufficio. Lo invita a continuare a lavorare tranquillo. E gli mostra il testo della lettera che sta per inviare a Pecorella, in cui difende il suo cronista e protesta vibratamente per la telefonata della sera prima». Sfiancato dai continui attacchi forzisti (e, sostengono gli autori, «non abbastanza protetto da una proprietà sempre più debole»), si dimette il 29 maggio 2003 per «motivi personali». Ora sappiamo quali.
    Di storie come queste, "Regime" è pieno. Gomez e Travaglio raccontano tutti i casi, noti e ignoti, grandi e piccoli, di censura e di epurazione che hanno costellato il primo triennio del secondo governo Berlusconi. Ma anche le viltà e le complicità di troppi commentatori «indipendenti» ed esponenti dell'opposizione, che hanno collaborato a censurare, o a censurare le censure. Ci sono i casi di Luttazzi e Freccero, attaccati e abbandonati da destra e da sinistra. Ci sono i retroscena, raccontati per la prima volta, della famosa intervista di Marco Travaglio a "Satyricon". C'è la bobina (inedita) con la conversazione fra Massimo Fini e il direttore di Rai2 Antonio Marano, che gli annuncia un «veto politico» e «antropologico» contro il suo "Cyrano", salvo poi smentire tutto in commissione di Vigilanza. C'è il giorno per giorno del mobbing che ha perseguitato per due anni Enzo Biagi e Michele Santoro. Ci sono i segreti della chiusura di "RaiOt" di Sabina Guzzanti e del siluramento di Oliviero Beha, colpevole di aver denunciato le marchette di Rai Sport. C'è l'episodio grottesco del divieto a Paolo Rossi di leggere a Domenica In un discorso di Pericle sulla democrazia.
    E poi l'agghiacciante rassegna delle notizie occultate, manipolate, falsificate al Tg1 di Clemente J. Mimun e nei Gr di Radio Rai. E i ritratti dei nuovi modelli di giornalismo del servizio pubblico: Bruno Vespa e Anna La Rosa. Per concludere con l'emblematica «cronaca di una tv mai nata», La7, uccisa nella culla da Marco Tronchetti Provera, legato in mille affari a Berlusconi.
    In coda, un'impressionante cronologia di questi tre anni di regime: si stenta a credere che tante vergogne siano successe in così poco tempo e con reazioni così blande.
    Beppe Grillo, nella postfazione, invita i lettori a «perforare il regime con le notizie che nessuno dà», ma soprattutto ad avvertire la necessità dell'informazione, «che oggi ci manca, ma non lo sappiamo». Poi annuncia: «Nel mio prossimo spettacolo, ho deciso di fare politica. Senza candidarmi. Di nascosto. Nei teatri e su internet. Lancio un movimento politico che punta a smuovere un milione di persone. A tirar fuori il furore che c'è in loro. Lo chiameremo “A furor di popolo”...».

    Una voce:

    Il regime come anestesia
    di Antonio Padellaro

    Il fatto cheil direttore di un grande quotidiano venga pesantemente e ripetutamente minacciato dagli avvocati del presidente del Consiglio; il fatto che i cronisti di quel grande quotidiano vengano definiti dai suddetti legali «mele marce» perché scrivono sulle vicende del plurinquisito presidente del Consiglio; il fatto che pochi mesi dopo quello stesso direttore venga accompagnato al portone del grande quotidiano, salutato dalla manifesta soddisfazione del plurinquisito premier.
    Tutti questi fatti messi insieme avrebbero sicuramente suscitato una qualche apprezzabile reazione in un qualsiasi paese appena normale: a cominciare, per esempio, dal quel Botswana che ci precede, con altre 43 o 44 nazioni nella classifica che misura il grado di civilità e progresso sul pianeta.
    Forse, però, una spiegazione del perché l’Italia sia così tristemente scivolata alla casella 45 sta proprio nel fatto che in Italia, invece, non è successo assolutamente nulla; e che, anzi, la notizia della defenestrazione di quel direttore è stata giudicata una non notizia dalla quasi totalità degli altri organi di informazione, e dunque rapidamente trasferita in archivio. Ricordate «Alice nel paese delle Meraviglie»?
    «Se ognuno s’impicciasse dei fatti suoi», disse la Duchessa quasi ringhiando «il mondo girerebbe molto più svelto!».

    Per fortuna c’è sempre qualcuno che s’impiccia, e le tristi circostanze che hanno accompagnato le dimissioni di Ferruccio de Bortoli dalla direzione del “Corriere della sera”, il 29 maggio del 2003, vengono ora riproposte nel libro «Regime» di Peter Gomez e Marco Travaglio.
    Regime è parola a cui siamo particolarmente affezionati perché è stata coniata su queste stesse pagine quando l’Italia di Silvio Berlusconi ha cominciato a prendere forma e contenuti.
    Abbiamo scritto regime quando Enzo Biagi è stato espulso dalla Rai, per aver permesso a Roberto Benigni di ridere sul futuro presidente del Consiglio. Lo scandaloso episodio avveniva nel programma “Il fatto”, giudicato il migliore del secolo da una giuria Rai e cancellato anch’esso con un tratto di penna.
    Abbiamo scritto regime quando con il diktat ducesco dettato dalla Bulgaria, Berlusconi accusava di «uso criminoso della televisione pubblica» Biagi, Santoro e Luttazzi; o quando la censura ha tagliato dal video lo spettacolo di Sabina Guzzanti e il teatro di Paolo Rossi.
    Abbiamo scritto regime quando a Massimo Fini scippano un programma perché, come gli spiega il direttore di RaiDue, Marano «c’è una persona che ha fatto lo stronzo in modo vergognoso»: uno stronzo a cui, però, bisogna ubbidire per forza.
    Abbiamo scritto regime quando le dimissioni di de Bortoli ci sono apparse brutte, strane, preoccupanti, e non certo per mancanza di rispetto nei confronti del nuovo direttore Stefano Folli.
    Abbiamo scritto regime quando Lucia Annunziata, strattonata per mesi da un Cda supino alla linea del presidente-padrone, è stata costretta a lasciare la presidenza della Rai non potendo più esercitare il ruolo di garanzia assegnatole dai presidenti delle Camere.


    In questi tre anni abbiamo gridato regime, regime e ancora regime esattamente come lo gridano oggi Gomez e Travaglio raccontandoci perché colpendo Enzo Biagi e tutti gli altri il regime berlusconiano abbia desertificato la tv e intimidito la libera informazione.
    Ci è stato risposto (non da Berlusconi che non ha mai nascosto la mano) che se parlavamo di regime eravamo un po’ irresponsabili e un po’ squilibrati, significando la parola regime fine della democrazia e di ogni libertà.
    Mentre in Italia, fino a prova contraria, i cittadini votano, il Parlamento legifera, le edicole sono colme di testate di diverso orientamento, infinita è la scelta dei canali televisivi.
    Ci è stato detto, anche a sinistra: se dite che c’è il regime allora perché non ve ne andate in montagna a fare la resistenza?
    (obiezione stravagante perché sarebbe come chiedere a Pera, Ferrara, Feltri, e ai fervidi sostenitori della guerra di civiltà di andare, per coerenza, a combattere in Iraq con le truppe americane).
    A costoro aveva comunque già risposto Indro Montanelli spiegando che
    «oggi, per instaurare un regime, non c’è più bisogno di una marcia su Roma né di un incendio del Reichstag, né di un golpe sul palazzo d’inverno. Bastano i cosiddetti mezzi di comunicazione di massa: e fra essi, sovrana e irresistibile, la televisione».

    Montanelli aveva colto il punto: chi controlla l’informazione televisiva, controlla la democrazia; ma una democrazia sotto controllo (televisivo) non è un regime?
    Un regime pieno di facce da operetta, battute da caserma, capelli tinti o trapiantati, sospeso tra Caligola e la Freedonia dei fratelli Marx.
    Tragico se festeggia sbracato sulle macerie della Costituzione. Feroce quando decide cosa i cittadini devono o non devono sapere o vedere.
    Un regime ormai generalmente subìto e accettato in un misto di anestesia condivisa e rassegnazione ragionata.
    C’è una risposta per tutto.
    Biagi aveva stufato.
    Luttazzi ha esagerato.
    Santoro era un fazioso.
    Con la satira la Guzzanti ha fatto i soldi.
    E poi: la Rai è sempre stata lottizzata e, ai suoi tempi, l’Ulivo ha fatto anche peggio.

    Come dice la Duchessa, sarebbe meglio se ciascuno s’impicciasse dei fatti suoi.

    (Per la cronaca: mentre de Bortoli non è più direttore del “Corriere”, l’avvocato Previti che lo minacciava per lettera è sempre al suo posto: esercita il potere con efficenza e discrezione, ed è tra i principali artefici del condono vergogna sulle aree protette).
    Ho visto i leghisti e berlusconi gioire fuori dal parlamento..................

    "La speranza non so chi l'ha inventata,
    cosa certa è
    che si usa come ultima spiaggia.....
    Come se uno leggesse un libro
    convinto che la pagina sucessiva
    sia meglio di quella appena letta.....
    L'Italia vera è la speranza, quella del referendum, quella delle cabine elettorali....."

  7. #7
    Me, Myself, I
    Data Registrazione
    05 Mar 2002
    Messaggi
    145,977
     Likes dati
    8,846
     Like avuti
    12,818
    Mentioned
    303 Post(s)
    Tagged
    3 Thread(s)

    Predefinito

    In Origine Postato da jonny
    siccome non è ancora possibile vietare l'uscita di un libro
    faranno come ai tempi de "l'odore dei soldi"
    che esauriva nelle librerie, merito di misteriosi personaggi che compravano tutte le copie


    si sapeva che c'era qualcosa sotto, ma dove sono finiti quelli di destra, perche non replicano?
    niente argomentazioni eh?
    Son tutti li a cercare qualche fesseria per sfottere il "mortadella".
    Ma, quel che è peggio, è che ANCHE coloro che (in linea di massima) sono d'accordo con questa descrizione dell'italica REALTA' stanno li a sfruculiare sulle mazzate bananas (la piantina di fragole) e perdono di vista il "cancro" dell'Italia di oggi (l'elefante che si nasconde dietro).

    Confermando, in concreto, gli allarmi denunciati sopra...

  8. #8
    Forumista senior
    Data Registrazione
    15 Jan 2013
    Località
    tra la dorica e la dotta.
    Messaggi
    4,632
     Likes dati
    845
     Like avuti
    125
    Mentioned
    1 Post(s)
    Tagged
    0 Thread(s)

    Predefinito

    Bel post Mr Boj. Ora vado a mangiare poi ne riparliamo.

  9. #9
    Democrazia Diretta!
    Data Registrazione
    06 Jun 2004
    Località
    Pianeta Terra ,Italia
    Messaggi
    3,167
     Likes dati
    0
     Like avuti
    0
    Mentioned
    1 Post(s)
    Tagged
    0 Thread(s)

    Predefinito

    Son tutti li a cercare qualche fesseria per sfottere il "mortadella". Ma, quel che è peggio, è che ANCHE coloro che (in linea di massima) sono d'accordo con questa descrizione dell'italica REALTA' stanno li a sfruculiare sulle mazzate bananas (la piantina di fragole) e perdono di vista il "cancro" dell'Italia di oggi (l'elefante che si nasconde dietro). Confermando, in concreto, gli allarmi denunciati sopra...
    eppure non doveva ricandidarsi senza aver rispettato il contratto con gli italiani
    mentre pochi giorni fa ha accettato la sfida di prodi come se la sua candidatura fosse scontata
    mi sa che non si smuove piu'

  10. #10
    Forumista senior
    Data Registrazione
    15 Jan 2013
    Località
    tra la dorica e la dotta.
    Messaggi
    4,632
     Likes dati
    845
     Like avuti
    125
    Mentioned
    1 Post(s)
    Tagged
    0 Thread(s)

    Predefinito

    Comprerò il libro di Travaglio e Gomez. L'anticipazione postata dal mio conterraneo Mr B. fornisce materiale significativo per una buona riflessione e mi fa provar disgusto per il mio voto del 2001. Vorrei capire cosa provano, nel leggere di questi fatti, quelle persone per le quali l'ordine ed il rispetto delle regole vengono prima di tutto. Mi riferisco a quei vecchi missini sostenitori di Almirante, ai liberali estimatori di Malagodi ed ai repubblicani rispettosi di La Malfa, padre naturalmente. Non provano disgusto anche loro?

 

 
Pagina 1 di 5 12 ... UltimaUltima

Discussioni Simili

  1. Un paese normale
    Di Manfr nel forum FantaTermometro
    Risposte: 29
    Ultimo Messaggio: 15-05-12, 20:02
  2. Bye, bye paese normale
    Di tolomeo nel forum Centrodestra Italiano
    Risposte: 6
    Ultimo Messaggio: 09-02-07, 12:51
  3. Ma in un paese normale...
    Di RobyGe82 nel forum Il Termometro Politico
    Risposte: 16
    Ultimo Messaggio: 09-03-06, 13:41
  4. USA - un Paese normale.
    Di Gallo Senone nel forum Politica Nazionale
    Risposte: 1
    Ultimo Messaggio: 09-10-04, 14:30
  5. In un paese normale
    Di Francor nel forum Centrodestra Italiano
    Risposte: 5
    Ultimo Messaggio: 14-06-04, 13:49

Tag per Questa Discussione

Permessi di Scrittura

  • Tu non puoi inviare nuove discussioni
  • Tu non puoi inviare risposte
  • Tu non puoi inviare allegati
  • Tu non puoi modificare i tuoi messaggi
  •  
[Rilevato AdBlock]

Per accedere ai contenuti di questo Forum con AdBlock attivato
devi registrarti gratuitamente ed eseguire il login al Forum.

Per registrarti, disattiva temporaneamente l'AdBlock e dopo aver
fatto il login potrai riattivarlo senza problemi.

Se non ti interessa registrarti, puoi sempre accedere ai contenuti disattivando AdBlock per questo sito