Blitz di Ferragosto, Bèrghem torna Bergamo
BERGAMO - In tempi di federalismo scricchiolante, arriva proprio da Bergamo, «patria» del ministro dele Riforme, Roberto Calderoli, un piccolo ma doloroso sfregio a uno dei simboli della battaglia per le autonomie condotta dalla Lega Nord. I cartelli stradali posti all’ingresso della città con la scritta in dialetto «Bèrghem» da ieri pomeriggio non ci sono più. Li hanno fatti «sparire» gli operai del comune dando esecuzione a un provvedimento firmato dal sindaco Roberto Bruni, eletto il 27 giugno scorso alla guida di una amministrazione di centrosinistra allargata a Rifondazione. Un blitz in piena regola, in una città vuota per il Ferragosto, ma non imprevisto. Bruni in campagna elettorale l’aveva promesso: «La prima cosa che farò sarà togliere i cartelli in dialetto. Non servono a valorizzare le tradizioni locali. Sono una barriera, un segnale di chiusura rispetto all’esterno». Dopo quella uscita, da più parti al sindaco erano arrivate pressioni e consigli perché non portasse a compimento il suo proposito. I più duri a difesa dei cartelli erano stati i leghisti, ma per la toponomastica orobica si erano spesi anche personaggi non legati a partiti politici. Ieri il primo ad insorgere è stato il consigliere comunale della Lega Nord, Daniele Belotti, legato a doppio filo a Calderoli: «Togliere i cartelli è una cosa vergognosa. Erano stati messi per decisione del consiglio comunale, toccava quindi all’assemblea eventualmente fare dietro-front, non al sindaco. E poi farlo a Ferragosto è davvero di pessimo gusto. È un’umiliazione». Il sindaco di Bergamo non arretra di un millimetro: «L’avevo promesso, l’ho fatto. Non c’è nessuna volontà di negare l’importanza del dialetto e delle tradizioni bergamasche. Semplicemente, quei cartelli erano il sigillo del pregiudizio leghista che ci portiamo attaccati addosso. Questo ci fa percepire all’esterno come chiusi in noi stessi, incapaci di valorizzare le tante energie che abbiamo. Paradossalmente, proprio quei cartelli rappresentano una mortificazione perché limitano e rinchiudono una cultura dentro una scritta in dialetto che di per sé non significa molto».
Cesare Zapperi
Politica
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