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    Predefinito 6 luglio (22 giugno) - S. Tommaso Moro, martire

    Thomas More è davvero un insigne martire della fede cattolica dinanzi alle prevaricazioni di un sovrano iniquo, interessato ai suoi meri interessi di letto. Egli unì in sè le doti politiche e giuridiche e non solo quelle.
    Va ricordato, infatti, che, durante la sua vita, Thomas More intrecciò insieme alla presenza politica una intensa attività letteraria. Compositore di versi latini (Epigrammi, 1518-20), traduttore di alcuni dialoghi di Luciano in collaborazione con Erasmo (1515 circa), scrittore di una Storia di re Riccardo III (1513-15), durante il periodo della Riforma intervenne nel dibattito teologico religioso con vari scritti: Risposta contro Lutero, 1523; Dialogo sulle eresie, (1529). Nel periodo più tragico della sua vita si occupò di etica e di ascetismo (Trattato sulla passione, 1534; Dialogo del conforto, 1534).
    In suo onore apro questo thread.

    Augustinus



    *****
    dal sito SANTI E BEATI con qualche mia correzione ed aggiunta:

    San Tommaso Moro Martire

    22 giugno - Memoria Facoltativa

    Londra, 7 febbraio 1478 - 6 luglio 1535

    Tommaso Moro è il nome italiano con cui è ricordato Thomas More (7 febbraio 1478 - 6 luglio 1535), avvocato, scrittore e uomo politico inglese. More ha coniato il termine «utopia», indicando un'immaginaria isola dotata di una società ideale, di cui descrisse il sistema politico nella sua opera più famosa, «L'Utopia», del 1516. È ricordato soprattutto per il suo rifiuto alla rivendicazione di Enrico VIII di farsi capo supremo della Chiesa d'Inghilterra, una decisione che mise fine alla sua carriera politica conducendolo alla pena capitale con l'accusa di tradimento. Nel 1935, è proclamato santo da Papa Pio XI; dal 1980 è commemorato anche nel calendario dei santi della chiesa anglicana (il 6 luglio), assieme all'amico John Fisher, vescovo di Rochester, decapitato quindici giorni prima di Moro. Nel 2000 San Tommaso Moro venne dichiarato patrono degli statisti e dei politici da Papa Giovanni Paolo II. (Avvenire)

    Patronato: Avvocati, politici, statisti

    Etimologia: Tommaso = gemello, dall'ebraico

    Emblema: Palma

    Martirologio Romano; Santi Giovanni Fisher, vescovo, e Tommaso More, martiri, che, essendosi opposti al re Enrico VIII nella controversia sul suo divorzio e sul primato del Romano Pontefice, furono rinchiusi nella Torre di Londra in Inghilterra. Giovanni Fisher, vescovo di Rochester, uomo insigne per cultura e dignità di vita, in questo giorno fu decapitato per ordine del re stesso davanti al carcere; Tommaso More, padre di famiglia di vita integerrima e gran cancelliere, per la sua fedeltà alla Chiesa cattolica il 6 luglio si unì nel martirio al venerabile presule.
    (6 luglio: A Londra in Inghilterra, passione di san Tommaso More, la cui memoria si celebra il 22 giugno insieme a quella di san Giovanni Fisher).

    Martirologio tradizionale (6 luglio): A Londra, in Inghilterra, san Tommaso Moro, Cancelliere del Regno, il quale, per la fede cattolica e per il primato del beato Pietro, per ordine del Re Enrico ottavo, fu decapitato.

    Dicono che tutti gli uccelli di Chelsea (all’epoca sobborgo rurale di Londra) scendano a sfamarsi nel suo tranquillo giardino. Un indice della sua fama di uomo sereno e accogliente. Thomas More (questo il nome inglese), figlio di magistrato, è via via avvocato famoso, amministratore di giustizia nella City, membro del Parlamento. Dalla moglie Jane Colt ha avuto tre figlie e un figlio; alla sua morte, si risposa con Alice Middleton.
    Ha imparato a Oxford l’amore per i classici antichi e lo condivide con Erasmo da Rotterdam, spesso ospite in casa sua. Scrive la vita dell’umanista italiano Giovanni Pico della Mirandola; ma sarà più famoso il suo dialogo Utopia, col disegno di una società ideale, governata dalla giustizia e dalla libertà. E’ un umanista che porta il cilicio, che studia i Padri della Chiesa e vive la fede con fermezza e gioia. Quando Lutero inizia la sua lotta contro Roma, il re Enrico VIII d’Inghilterra scrive un trattato in difesa della dottrina cattolica sui sacramenti, ricevendo lodi da papa Leone X e accuse da Lutero. A queste risponde Tommaso Moro, che Enrico stima per la cultura e l’integrità. Spesso lo consulta, gli affida missioni importanti all’estero. E nel 1529 lo nomina Lord Cancelliere, al vertice dell’ordinamento giudiziario. Un posto altissimo, ma pericoloso.
    Siamo infatti alla famosa crisi: Enrico ripudia Caterina d’Aragona (moglie e poi vedova di suo fratello Arturo), sposa Anna Bolena, e giunge poi a staccare da Roma la Chiesa inglese, di cui si proclama unico capo. Per Tommaso Moro, la fedeltà esige la sincerità assoluta col re: anche a costo di irritarlo, pur di non mentirgli. E così si comporta. La fede gli vieta di accettare quel divorzio e la supremazia del re nelle cose di fede. Lo pensa, lo dice, perde il posto e si lascia condannare a morte senza piegarsi.
    Incoraggia i familiari che lo visitano nella prigione della Torre di Londra e scrive cose bellissime in latino a un amico italiano che vive a Londra, il mercante lucchese Antonio Bonvisi: "Amico mio, più di ogni altro fedelissimo e dilettissimo... Cristo conservi sana la tua famiglia". Bonvisi gli manda in prigione cibi, vini e un abito nuovo per il giorno dell’esecuzione (ma non glielo lasceranno indossare). Davanti al patibolo, è cordiale anche col boia che dovrà decapitarlo: "Su, amico, fatti animo; ma guarda che ho il collo piuttosto corto", e gli regala una moneta d’oro. Poi, venuto il momento, dice alcune parole. "Poche", gli hanno raccomandato: e poche sono. Tommaso Moro invita a pregare per Enrico VIII, "e dichiarò che moriva da suddito fedele al re, ma innanzitutto a Dio".
    Quindici giorni prima, per le stesse ragioni, è stato decapitato il suo amico John Fisher, vescovo di Rochester, che sarà canonizzato insieme a lui da Pio XI nel 1931. Ora la Chiesa li ricorda entrambi nello stesso giorno.

    Autore: Domenico Agasso

    Hans Holbein il Giovane, Thomas More, 1527, Frick Collection, New York

    Schizzo cinquecentesca del Cancelliere Thomas More di Hans Holbein il Giovane

    Hans Holbein il Giovane, Famiglia di Thomas More, 1565-67, National Trust Photographic Library

    Lucy Madox Brown, Margherita Roper (figlia di Thomas More) recupera la testa mozzata del padre, 1873, Collezione privata

  2. #2
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    Arrow Letture del giorno

    Letture del 22 Giugno 2004

    Martedì della XII settimana del Tempo Ordinario

    Colore Liturgico: Verde
    Anno Litugico: C
    Settimana del Salterio: Quarta

    Prima Lettura - 2Re 19,9-11.14-21.31-35.36

    In quei giorni, Sennacherib inviò messaggeri a Ezechia per dirgli: “Direte a Ezechia, re di Giuda: Non ti inganni il Dio in cui confidi, dicendoti: Gerusalemme non sarà consegnata nelle mani del re d’Assiria. Ecco, tu sai ciò che hanno fatto i re di Assiria in tutti i paesi che votarono allo sterminio. Soltanto tu ti salveresti?”. Ezechia prese la lettera dalle mani dei messaggeri e la lesse, poi salì al tempio e, svolgendo lo scritto davanti al Signore, pregò: “Signore Dio di Israele, che siedi sui cherubini, tu solo sei Dio per tutti i regni della terra; tu hai fatto il cielo e la terra. Porgi, Signore, l’orecchio e ascolta; apri, Signore, gli occhi e vedi; ascolta tutte le parole che Sennacherib ha fatto dire per insultare il Dio vivente. È vero, o Signore, che i re d’Assiria hanno devastato tutte le nazioni e i loro territori; hanno gettato i loro dei nel fuoco; quelli però, non erano dei, ma solo opera delle mani d’uomo, legno e pietra; perciò li hanno distrutti. Ora, Signore nostro Dio, liberaci dalla sua mano, perché sappiano tutti i regni della terra che tu sei il Signore, il solo Dio”. Allora Isaia figlio di Amoz mandò a dire a Ezechia: “Dice il Signore, Dio di Israele: Ho udito quanto hai chiesto nella tua preghiera riguardo a Sennacherib re d’Assiria. Questa è la parola che il Signore ha pronunziata contro di lui: Ti disprezza, ti deride la vergine figlia di Sion. Dietro a te scuote il capo la figlia di Gerusalemme. Poiché da Gerusalemme uscirà il resto, dal monte Sion il residuo. Lo zelo del Signore farà ciò. Perciò dice il Signore contro il re d’Assiria: Non entrerà in questa città e non vi lancerà una freccia, non l’affronterà con scudi e non vi costruirà terrapieno. Ritornerà per la strada per cui è venuto; non entrerà in questa città. Oracolo del Signore. Proteggerò questa città per salvarla, per amore di me e di Davide mio servo”. Ora in quella notte l’angelo del Signore scese e percosse nell’accampamento degli Assiri centottantacinquemila uomini. Sennacherib re d’Assiria levò le tende, fece ritorno e rimase a Ninive.

    Salmo Responsoriale- Sal 47

    (Solo l'antifona)
    Forte, Signore, è il tuo amore per noi.

    Vangelo- Mt 7,6.12-14

    In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: “Non date le cose sante ai cani e non gettate le vostre perle davanti ai porci, perché non le calpestino con le loro zampe e poi si voltino per sbranarvi. Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro: questa infatti è la Legge ed i Profeti. Entrate per la porta stretta, perché larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione, e molti sono quelli che entrano per essa; quanto stretta invece è la porta e angusta la via che conduce alla vita, e quanto pochi sono quelli che la trovano!”.

  3. #3
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    RACCONTO ITALIANO DEL PROCESSO E DELL'ESECUZIONE DI THOMAS MORE IN UNA LETTERA DEL CARD. NICCOLO’ SCHOMBERG AL CARD. MARINO CARACCIOLO

    12 agosto 1535


    A Monsignor Marino, Card. Caracciolo di Milano.

    Vostra Signoria Reverendissima mi richiede, che io le scriva minutamente, come sia successa la morte, che questi di s'è intesa, dell'infelice Messer Tomasso Moro, il qual poco tempo fa era Cancellier grande d'Inghilterra, & io, che sono obligato di servir Vostra Signoria Reverendissima in ogni cosa, son contento di servirla anco in questa, quantunque la materia molto mi dispiaccia, havendo a ragionar della ingiusta morte d'un'huomo tanto da bene, innocente, valoroso, & antico amico mio. Saprà dunque Vostra Signoria, per quel che scrivono d'Inghilterra, che il predetto Messer Tomaso Moro fu menato il primo del mese di Luglio prossimo passato dinanzi i giudici deputati dal Re. Et quando le querele, & informationi fatte contra lui, furono publicate in sua presentia, il Signor Cancelliere, & il Duca di Nortfolc si voltarono verso lui, dicendo cosi. Voi vedete Messer Tomaso, che voi havete grandemente errato contra la sacra Maestà del Re, nientedimeno habbiamo tanta speranza nella clementia, e benignità sua, che quando voi vogliate pentirvi di ciò, & rivocare la ostinata opinion vostra, nella quale tanto temerariamente sempre siete stato costante, ottenerete in ogni modo gratia, & perdono. Alle quai parole il detto Moro rispose. Signori, io vi ringratio quanto più posso, del buon voler vostro, ma prego l'onnipotente Dio, che gli piaccia mantenermi in questa mia giusta opinione, in modo, che in essa possa perseverar' in sin' alla morte. Et quanto al carico delle querele, che m'imponete, temo, che ne l'ingegno, ne la memoria, ne la parole mie sieno sufficienti à rispondere, considerando la prolissità, & grandezza de gli articoli, la lunga detension mia in prigione; & la lunga malaria, & delibità grande, la qual al presente sopporto. Allora comandarono, che gli fosse portata una sedia, sopra la quale assettatosi, segui il parlar suo in questo modo.

    Quanto al primo articolo, nel quale si contiene, ch'io, per mostrar la malitia mia contra il Re, nella causa di questo suo secondo matrimonio, ho sempre; fatto resistentia à Sua Serenissima Maestà, non risponderò altro, se non che quello, ch'io ho detto, l'ho detto secondo il parere, & la coscientia mia, non dovendo, nè volendo celar la verità al mio Principe. Il che, se non havessi fatto, havrei certamente fatto come traditore, & disleale. Et per un tal'errore (se pur si può chiamare errore) confiscati i miei beni, sono stato condannato a perpetua carcere, nella quale già quindici mesi io sono stato rinchiuso. Risponderò solamente al principal caso, ove voi dite, che io sono incorso nella pena dalla statuto fatto nell'ultimo consiglio, dopo l'havermi voi fatto mettere in prigione, dicendo, che come ribello ingiustamente, & malitiosamente haveva detratto al nome, titolo, onore, & dignità, della Maestà del Re in quello, che dal predetto consiglio gli era stato concesso, cioè, che lo ricevevano come supremo capo della Chiesa in Inghilterra. Et prima, Quanto à quello, che voi m'opponete, ch'io non ho voluto rispondere cosa alcuna al Signor Secretario del Re, ne all'onorando Consiglio di S. Maestà, quando m'interrogarono, che opinione io havessi del detto statuto, se non dire, che essendo io morto al mondo, non pensava punto à tali cose, ma solamente alla passione del Nostro Signor Gesù Cristo: vi dico, che per tal silentio mio, lo statuto vostro non mi può ragionevolmente condannare alla morte, perche ne lo statuto vostro, ne tutte le leggi del mondo possono punire alcuno, se non per qualche mal fatto, ò detto, & non per un simile silentio, come è stato il mio. A questo rispose il Procuratore del Re, dicendo, che questo cotal silentio era dimostration vera, & indicio certo d'una maligna mente verso il predetto statuto. Però che ogni leale, & fedel soggetto alla Maestà del Re, essendo interrogato circa il detto statuto del parere, & dell'opinion sua, era tenuto, & obligato a risponder categoricamente, & senza dissimulatione alcuna, che tale statuto fosse buono, 8: santo. Certamente disse il Moro, s'egli è vero quello, che nelle ragioni civili si scrive, che è, Qui tacet, consentire videtur, il silentio mio ha più presto confermato lo statuto vostro, che condannato. Et per quanto voi dite, che ogni fedel soggetto è obligato a rispondere etc. s'intende, che in cosa, che appartenga alla coscientia, il fedel soggetto è più obligato alla coscientia, & anima sua, che ad ogni altra cosa di questo mondo, quando la concientia sia di sorte, che non sia causa di scandolo, ò di seditione al suo Signore, come è la mia, facendovi certi, che la coscientia, et mente mia insino ad ora non è stata scoperta ad huomo, che vìva.

    Quanto al secondo articolo, ove si dice, che io ho fatto contra il detto statuto, scrivendo diverse lettere al Vescovo di Rochester, consigliandolo, & essortandolo à non voler consentire al detto statuto, vorrei volentieri, che dette lettere fossero portate, & lette in publico. Pure, poiché, come voi dite, elle sono state abbruciate dal detto Vescovo, mi piace di dirvi al presente brevemente il tenore di esse. In alcune non si conteneva altro, che certe cose famigliari, come si richiedeva alla nostra lunga, & antica amicitia. In alcune altre era la risposta di quello che il detto Vescovo m'havea mandato a domandare, cioè, quello, che io havessi risposto nella Torre alla prima mia essaminatione sopra il detto statuto. Al quale io risposi sol questo, che io haveva informato la coscientia mia, & che egli informasse la sua. ne altro risposi, sopra il carico dell'anima mia. Questo è quanto si conteneva nelle mie lettere, per le quali secondo lo statuto vostro non mi potete condannare à morte.

    Quanto al terzo articolo, che dice, che quando io fui essaminato per lo consiglio, io risposi, che lo statuto vostro era, come una spada da due tagli, che volendo osservare, si perderebbe l'anima, & non osservandolo, overo contradicendogli, si perderebbe il corpo, quello che medesimamente ha risposto il Vescovo di Rochester, per lo qual detto a voi pare, che apertamente fossimo d'accordo, vi dico, ch'io non risposi, se non con conditione, cioè, che se lo statuto era come una spada da due tagli, io non sapeva in che modo l'huomo havesse a governarsi, non volendo incorrere nell'uno de' due pericoli. In che modo il detto Vescovo habbia risposto, io non lo so. Se egli ha risposto come io, è stato per conformità de' nostri ingegni, & dottrina, ò studii, non già che fossimo d'accordo cosi tra noi. ne pensate, che mai io habbia detto, ò fatto cosa alcuna contra lo statuto vostro con malitia. Può bene essere, che malitiosamente sieno state rapportate parole del fatto mio alla Maestà del Rè. Questo detto, furono domandati per un commandator Regio, dodici huomini, secondo il costume, et usanza del paese d'Inghilterra, à quali furono dati i detti articoli, accioche per essi giudicassero, se il Moro havesse malitiosamente contrafatto al detto statuto, ò nò. Costoro, poiché hebbero essaminata la causa tra loro per ispatio d'un quarto d'hora, ritornarono dinanzi à Giudici principali ordinarii, & pronuntiarono questa parola, GHYTY, la quale in Italiano significa reo, ò degno di morte. Dopo questa condannatione, il Signor Cancelliere pronuntiò in publico la causa della retentione del Moro secondo la forma, & tenore della nuovalegge. Dopo questo cominciò il Moro a parlare, dicendo. Adunque, poi- ch'io son condannato (& Dio sà come) voglio un poco più liberamente parlare dello statuto vostro, per levare all'anima mia anco questo carico. Sono già sette anni passati, che io non fo altro, che studiare sopra questo caso, ne mai ho trovato appresso alcun Dottore Ecclesiastico, che un secolare, overo temporale possa, o debbia esser capo sopra lo spirituale. Questo detto, gli fu interrotto il parlare dal Signor Cancelliere, il qual disse. Messer Tomasse, voi volete essere stimato più savio, e di miglior coscientia, che tutti i Vescovi, tutti i nobili, & tutto il resto del Regno universalmente. Al quale il Moro rispose. Signor mio, per un Vescovo, che voi havete, dell'opinion vostra, io ho de' santi più di cento della mia, & per un vostro parlamento, o Concilio (& Dio sa che Concilio) io ho tutti i Concilii generali, fatti da mille anni in quà, & per un Regno io ho la Francia, & tutti gli altri Reami di Christianità. Disse allora il Duca di Nortfolc. Adesso Moro vediamo la malitia tua chiaramente. Rispose il Moro, Signor Duca, mi è stato di necessità dir questo, per dichiaratione della coscientia mia, & satisfattione dell'anima, & di questo chiamo il Signor Dio per mio testimonio, il quale è solo scrutatore de cuori humani. Et più vi dico, che questo vostro ordine, & statuto è mal fatto, perche già havete fatto professione, et giurato, di non far mai cosa alcuna centra la Chiesa, la quale tra' Christiani è una sola, intera, & indivisa: ne voi soli havete autorità, senza il consentimento di tutti gli altri Christiani, di far nuove leggi, ò statuti centra la detta unione di tutti. Ma non è però questa la causa, per la quale m'havete condannato. Se io bene per qual causa, che non per altro m'havete condannato, se non che per lo passato non ho voluto acconsentire al nuovo matrimonio della Maestà del Re. Ma spero nella Divina bontà, & misericordia, che come San Paolo, secondo che si scrive nella sua vita, perseguitò Santo Stefano, ne per questo resta, che non sieno adesso amici in Cielo; cosi noi tutti, ancora che in questo mondo siamo discordi, nell'altro habbiamo ad essere uniti con perfetta carità. Et cosi io prego l'onnipotente Iddio, che voglia servare, & guardar da male la sacra Maestà del Rè, & darle buon consiglio.

    Dopo questo, essendosi il Moro rimenato alla Torre di Londra, una sua figlia chiamata Margherita, innanzi che entrasse nella detta Torre, gittatasi nel mezo della turba di gli arcieri, & satelliti, mossa da un'estremo dolore, & amore paterno, senza rispetto alcuno dell'assistentia del popolo, ò del loco publico, venuta al padre, & abbracciatelo strettamente, lungamente cosi il tenne, senza mai poter mandar fuori voce, ò parlargli.

    Il dolce padre, poi che gli fu concesso da gli arcieri, per racconsolarla un poco, disse: Margherita figliuola, babbi patientia, ne ti dare affanno, perche egli è volontà di Dio, che cosi sia. Hai conosciuto l'animo, & la natura mia, già fa gran tempo. Dopo questo, essendosi la detta Margherita dilungata dal detto suo padre la spatio di dieci, ò dodici passi, da capo ritornò ad abbracciarlo. Alla quale il padre con fermo viso, & parlare, senza mutatione alcune di colore, ò spargimento di lagrime, non disse altro, se non che pregasse Iddio per l'anima sua. Il mercordi seguente fu il detto Moro decapitato su la piazza grande della Rocca di Londra. Il qual poco innanzi all'essecutione, brevemente parlò alcune cose, pregando gli assistenti, che volessero pregar Dio per lui in questo mondo, & egli pregherebbe per loro nell'altro. Poi gli essortò, & pregò con grande istantia, che volessero anche pregare Dio per il Re, accioche gli desse buon consiglio, protestando, che moriva suo buon servitore, & principalmente del Signore Iddio.

    Questa, Monsignor Reverendissimo, è stata la fine di Messer Tomasse Moro, non so se più degna d'esser pianta, che invidiata. Dio l'habbia ricevuto nella gloria del paradiso, come io credo, & spero. Se in altro posso servir Vostra Signoria Reverendissima, facciami favor di commandarmi, come ha fatto hora.

    Delle cose di Tunisi, dopo la presa della Terra, & la fuga di Barbarossa, non c'è altro di momento, se non che Barbarossa s'è salvato a Bona con più d'otto mila Turchi, & gran moltitudine di Mori. Antonio Doria n'andò per menar via, o per abbrucciare XV. galee, che vi sono, ma non ha potuto far ne l'uno, ne l'altro, havendole trovate affondate a meza acqua. Da poi v'è andato il Principe Doria con XI. galee. L'Imperatore se ne verrà a Palermo, & di là a Napoli, dove si tratterrà tutto questo inverno, & a primavera verrà a baciare il piede al Papa. Ma di tutto Vostra Signoria Reverendissima sarà ragguagliata a pieno dall'Agente suo, al quale ho comunicato ogni cosa. Alla buona gratia sua humilmente mi raccomando. Da Roma. A' XII. d'Agosto. 1535.

    Di. V. Signoria Reverendiss. & Illustriss. umilissimo ser.

    Nicolo, Cardinal di Capua.

    Vivian Forbes, Thomas More difende la libertà della House of Commons (Camera dei Comuni), St Stephen’s Hall, Parlamento Inglese, Londra. Questo affresco fa parte di una serie di otto comprendente “Building of Great Britain” nell'ingresso del Parlamento Inglese

    Edward Matthew Ward, Sir Thomas More's Farewell to his Daughter, XIX sec., Carol Jackson’s Fine Arts



    Peter Paul Rubens, S. Tommaso Moro, 1625-30, Museo del Prado, Madrid

  4. #4
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    Le notizie della morte di Thomas More giunsero rapidamente nel Continente e con una larga diffusione. Il racconto del processo e della esecuzione di More fu pubblicato in Latino, Francese e tedesco. La fonte di questa informazione e le ragioni della sua diffusione non sono chiaramente conosciute. Questo studio si propone di documentare come giunsero in Ialia le notizie sulla morte di More in una forma molto simile all’Expositio Fidelis de morte Thomae Mori et quorundam aliorum insignium virorum in Anglia e alla Paris New Letter.

    Il testo del racconto italiano è tratto dalle Lettere di Principi, una raccolta fatta da Girolamo Ruscelli. L’autore della lettera, Nicholas Schomberg fu il Cardinale di Capua, un consigliere di fiducia del precedente Pontefice Clemente VII.

    Nato a Meissen nel 1472, durante un viaggio d’istruzione in Italia era stato affascinato dalla predicazione del Savonarola e nel ’97 vestì in S. Marco a Firenze l’abito domenicano, salendo fino al grado di Procuratore Generale dell’Ordine; nunzio in Spagna e in Ungheria sotto Giulio II, in Francia sotto Clemente VII. Leone X lo fece arcivescovo di Capua nel 1520. Paolo III lo creò Cardinale il 21 maggio 1535. Secondo Sir Gregory da Casale fu Schomberg che spinse Paolo III a dare a Fisher il cappello cardinalizio. Nello stesso Concistoro Schomberg caldeggiò un’azione risoluta contro Enrico VIII e l’immediata pubblicazione della bolla pontificia di intimazione, ma la sua opinione non prevalse. Il testo stampato della lettera mostra la data del 12 agosto 1535, e non c’è alcuna indicazione dal testo di come Ruscelli ne sia venuta in possesso.

    Il destinatario della lettera, Marino Caracciolo, fu fatto Cardinale nello stesso Concistoro che vide l’elevazione di Fisher. Come Schomberg, fu un ardente sostenitore di Carlo V, che lo designò Governatore del ducato di Milano nel 1536.

    Un raffronto da vicino con la Expositio Fidelis e la Paris News Letter mostra che il racconto italiano se non è una traduzione dei due documenti è per lo meno un’interpretazione di un originale comune. L’originale potrebbe essere stato benissimo la copia di una relazione che un paio di settimane dopo l’evento già circolava a Parigi e che il Nunzio papale Rodolfo Pio da Carpi ricevette da Anne de Montmorency, Gran Mestro della Casa di Francesco I. Il 29 luglio Carpi, dopo averla tradotta in italiano, indirizzò la lettera ad Ambrogio Recalcati, segretario di Paolo III.

    La lettera di Schomberg può essere una riproduzione della traduzione italiana di Carpi così come potrebbe fondarsi sulla traduzione italiana della Expositio fidelis de morte Thomae Mori et quorundam aliorum insignium virorum in Anglia del Cardinale Reginald Pole, un ampio documento traboccante d’ammirazione per la vittima e di esecrazione per il persecutore, ch’era stampato con la data di Parigi, 23 luglio 1535, indirizzata da un oscuro <<Philippus Montanus>> a un certo <<Caspar Agrippa>>, ma si andava dicendo che fosse stato vergato dalla più celebre penna d’Europa: quella di Erasmo.

    La versione italiana del Pole non ci è pervenuta, ma ne dà notizia una lettera di Damiao de Gois ad Erasmo del 15 dicembre 1535.

    Al di là della sua provenienza la lettera di Schomberg è interessante come testimonianza di una consapevolezza e di una risposta italiana alla morte di More.

    Con molta probabilità Schomberg inviato da Clemente VII per negoziare una pace tra Francesco, Carlo ed Enrico conobbe More a Londra nel maggio del 1524. Ad ogni modo riferisce di More come “antico amico mio” e fornisce un commento sulla morte di More completamente indipendente dalla Expositio Fidelis e dalla Paris New Letter.

    Sorprendentemente questa lettera non è stata stampata prima del 1573. Girolamo Pollini nella sua Historia Ecclesiastica della Rivoluzione d’Inghilterra ci riferisce della lettera e ricava, naturalmente, per la sua opera alcuni particolari.

    Il Catalogo delle Letter and Papers of Henry VIII elenca la lettera, ma non ristampa o traduce il testo, eccetto che per il paragrafo finale.

    Le bibliografie di Sullivan e Gibson non fanno menzione di essa.

    De Vocht è a conoscenza della lettera ma riferisce soltanto della sua presenza nella collezione Epistres des Princes, una traduzione italiana di Ruscelli. Questa informazione la ricava dagli Acta Thomae Mori di Stapleton, il quale afferma di aver conosciuto la lettera di Schomberg nella sua traduzione francese.

    Reynolds riferisce della versione spagnola e tedesca del processo e della morte di More, ma non dice nulla circa la lettera di Schomberg.

    Il racconto italiano del processo e della morte di Thomas More è doveroso portarlo all’attenzione degli studiosi di More non solo perché assomiglia agli altri racconti e perché può rappresentare esattamente la forma nella quale le notizie del processo e della morte di More giunsero alla corte papale, ma specialmente perché è una delle maggiori indicazioni della capacità del grande uomo inglese di conquistare il rispetto, l’affetto e l’amicizia degli uomini di ogni tempo.

    BIBLIOGRAFIA

    Lettera del Cardinale Niccolò Schönberg al Cardinale Marino Caracciolo sul processo e la morte di Thomas More, 12 agosto 1535, conservata negli archivi vaticani è pubblicata la prima volta in RUSCELLI G., Lettere di principi, le quali o si scrivono da principi, o a principi, o ragionan di principi.Giordano Ziletti, Venezia 1562, vol. 1, pp. 127-129.

    WHEELER T., “An Italian Account of More’s Trial and Execution”, in Moreana Bulletin Thomas More, 26-1970, p. 33 (Viene riportato il racconto per intero).

    “Il processo e la morte di Thomas More in una lettera di Niccolò Schönberg”, in .AA.VV, Idea di Thomas More (1478-1978), Neri Pozza, Vicenza 1978, pp. 145-150 (Viene riportato il racconto per intero).

    FIRPO L., “Thomas More e la sua fortuna in Italia”, in AA.VV, Idea di Thomas More (1478-1978), Neri Pozza, Vicenza 1978 pp.254-256.

    Letters and papers, foreign and domestic, of the Reign of Henry VIII, ed. J. Gairdner, London 1862 segg., vol. VIII, p. 1141.

    L. von PASTOR, Storie dei Papi, Roma, vol. V, 1924, pp. 645-646.

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    ISTANZA INVIATA AL PAPA
    PER LA PROCLAMAZIONE DI
    SAN TOMMASO MORO
    A PATRONO DEI GOVERNANTI E DEI POLITICI


    Beatissimo Padre,

    la figura di San Tommaso Moro martire ha, ormai da secoli, suscitato la sincera venerazione del popolo cristiano. Ma egli è anche uno dei santi dei quali il mondo della cultura e quello della politica approfondiscono, con maggiore dovizia di studi e con crescente interesse di scienze e prassi, i molteplici aspetti della vita e dell'opera. La bibliografia specialistica è in costante aumento e presenta caratteristiche assai significative: anzitutto accomuna autori che appartengono a diverse chiese e comunità cristiane (Sir Thomas More è inserito nel calendario liturgico della Chiesa Anglicana in Inghilterra come "martyr"), fedi religiose e persino agnostici: e questo a testimonianza di un interesse davvero universale. Inoltre, ne traspare un'ammirazione che, al di là dell'apporto offerto da San Tommaso Moro nei settori in cui operò — come umanista, come apologeta, come giudice e legislatore, come diplomatico o come statista —, si concentra sull'uomo: se la santità è di per sé anche pienezza dell'umano, in questo caso ciò appare addirittura tangibile.

    Già il predecessore della Santità Vostra sul soglio di Pietro, il Papa Pio XI, nella Bolla di Canonizzazione lo pose quale modello di provata integrità di costumi per tutti i cristiani e lo definì "laicorum hominum decus et ornamentum". Proprio fra i laici la crescente attrazione verso questa straordinaria figura ci parla di una presenza che, con il trascorrere del tempo, si fa più viva, più incisiva e sempre di più permanentemente attuale.

    Egli appare come l'esemplare di quell'unità di vita che la Santità Vostra ha indicato quale espressione specifica della santità per i laici: «L'unità della vita dei fedeli laici è di grandissima importanza: essi, infatti, devono santificarsi nell'ordinaria vita professionale e sociale. Perché possano rispondere alla loro vocazione, dunque, i fedeli laici debbono guardare alle attività della vita quotidiana come occasione di unione con Dio e di compimento della sua volontà, e anche di servizio agli altri uomini» (Es. ap. Christifideles laici, n. 17). In lui non ci fu alcun segno di quella frattura fra fede e cultura, fra principi e vita quotidiana, che il Concilio Vaticano II lamenta «tra i più gravi errori del nostro tempo» (Cost. past. Gaudium et spes, n. 43).

    Nell'attività umanistica in cui spaziò dall'inglese al latino, al greco, dalla filosofia, specie politica, alla teologia, egli unì lo studio alla pietà, la cultura all'ascesi, la sete di verità alla ricerca della virtù attraverso una dura ma gioiosa lotta interiore. Come avvocato e giudice, finalizzò l'interpretazione e la formulazione delle leggi (è giustamente considerato fra i fondatori della scienza della common law inglese) alla tutela di una vera giustizia sociale e alla costruzione della pace fra gli individui e le nazioni. Più pensoso di eliminare le cause della violenza che di reprimere, non separò la promozione appassionata ma prudente del bene comune dalla pratica costante della carità: "patrono dei poveri" lo definirono infatti i suoi concittadini. L'incondizionata e benevola dedizione alla giustizia nel rispetto della libertà e dell'umana persona fu la guida della sua condotta di magistrato. Servendo ogni uomo, San Tommaso Moro sapeva di servire il suo Re, e cioè lo Stato, ma voleva servire anzitutto Dio.

    Questa tensione a Dio ne permeava l'intera condotta. La sua famiglia, ove si premurò di instaurare un'istruzione ad elevatissimo livello morale, venne dai contemporanei definita "accademia cristiana". Da uomo pubblico dimostrò di essere nemico assoluto dei favoritismi e dei privilegi del potere, professando un esemplare distacco dagli onori e dalle cariche, ma vivendo, con semplicità e con umiltà, il suo stato di altissimo servitore del Re.

    Fedele fino in fondo ai doveri civili, si espose a rischi estremi pur di servire il proprio Paese. Riuscì a divenire perfetto servitore dello Stato, perché lottò per essere perfetto cristiano. «Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio» (Mt 22, 21): egli comprese che queste parole di Cristo, se, da un lato, affermano la relativa autonomia del temporale dallo spirituale, dall'altro — in quanto pronunciate da Dio stesso —, impegnano la coscienza del cristiano a proiettare nella sfera civile i valori del Vangelo, respingendo però ogni compromesso, e questo fino all'eroismo del martirio, affrontato con profonda umiltà.

    Il suo Martirio, se pur con la prudenza della storia imperfetta degli uomini, è la prova suprema di quest'unità di valori — frutto dell'assidua ricerca della verità e di una non meno tenace lotta interiore — cui San Tommaso Moro seppe improntare tutta la propria esistenza. Lo straordinario buon umore, la perenne serenità, la considerazione delle posizioni contrarie, il sincero perdono a chi lo condannava, mostrano come la sua coerenza si sposasse con un profondo rispetto per la libertà altrui.

    Proprio l'attualità di questa convergenza di impegno politico e di coerenza morale, di quest'armonia fra il soprannaturale e l'umano, di questa unità di vita senza residui, ha indotto numerosi pubblici esponenti di vari Paesi del mondo ad aderire al Comitato per la proclamazione di Sir Thomas More, Santo e Martire, quale Patrono dei Governanti. Fra i firmatari della presente istanza si annoverano cattolici e non: uomini di Stato che operano in circostanze non solo politiche, ma anche culturali, assai eterogenee tra di loro, ma tutti ugualmente sensibili alla fecondità dell'esempio moreano. Un esempio che, ben oltre l'arte del governare, abbraccia le virtù indispensabili per il buon governo.

    La politica per lui non fu una interessata professione, ma un servizio talvolta arduo, al quale si era coscienziosamente preparato non solo con l'approfondimento della storia, delle leggi e della cultura del proprio Paese, ma soprattutto con l'indagine paziente sulla natura umana, la sua grandezza e le sue debolezze, e sulle condizioni sempre perfettibili del vivere sociale. La politica fu lo sbocco di un assiduo sforzo di lucida comprensione. Grazie ad esso, egli poté insegnare la giusta gerarchia dei fini da perseguire nel governo, alla luce del primato della Verità sul potere e del Bene sull'utile. Agì sempre nella prospettiva dei fini ultimi, quelli che l'alternarsi delle vicende storiche non potrà mai vanificare.

    Di qui la forza che lo sostenne nell'affrontare il martirio. Fu martire della libertà nel senso più moderno del termine, perché si oppose alla pretesa del potere di comandare sulle coscienze: tentazione perenne — e tragicamente attestata dalla storia del XX secolo — di ordinamenti politici che non riconoscono nulla al di sopra di sé. Fedele alle istituzioni del suo popolo — la Magna Charta recitava: Ecclesia anglicana libera sit — e attento lettore della storia che gli mostrava come il primato di Pietro costituisca garanzia di libertà per le Chiese particolari, San Tommaso Moro dette la vita per difendere la libertà della Chiesa dallo Stato. Ma in questo modo egli difese allo stesso tempo la libertà ed il primato della coscienza del cittadino nei confronti del potere civile.

    Martire della libertà perché martire del primato della coscienza che, saldamente formato dalla ricerca della verità, ci rende pienamente responsabili delle nostre decisioni, cioè padroni di noi stessi e dunque liberi da ogni vincolo che non sia quello — proprio della creatura — che ci lega a Dio. La Santità Vostra ci ha ricordato che la coscienza morale rettamente intesa è «testimonianza di Dio stesso, la cui voce e il cui giudizio penetrano l'intimo dell'uomo fino alle radici della sua anima» (Enc. Veritatis splendor, n. 58). Questa — ci sembra — la lezione fondamentale di San Tommaso Moro agli uomini di Governo: lezione di fuga dal successo e dal facile consenso in nome della fedeltà ai principi irrinunciabili, da cui dipende la dignità dell'uomo e la giustizia degli ordinamenti civili. Lezione, questa, altamente ispiratrice per tutti coloro che, sulle soglie del nuovo Millennio, si sentono chiamati a scongiurare le ricorrenti insidie di nuove e mascherate tirannie.

    Perciò, certi di agire per il bene della società futura e confidando che la nostra supplica troverà benevola accoglienza nella Santità Vostra, chiediamo che Sir Tommaso Moro, Santo e Martire, fedele servitore del Re, ma anzitutto di Dio, venga proclamato "Patrono degli Uomini di Governo".

    *****

    LETTERA APOSTOLICA
    IN FORMA DI MOTU PROPRIO
    PER LA PROCLAMAZIONE DI
    SAN TOMMASO MORO
    PATRONO DEI GOVERNANTI E DEI POLITICI

    GIOVANNI PAOLO PP. II

    A PERPETUA MEMORIA


    1. Dalla vita e dal martirio di san Tommaso Moro scaturisce un messaggio che attraversa i secoli e parla agli uomini di tutti i tempi della dignità inalienabile della coscienza, nella quale, come ricorda il Concilio Vaticano II, risiede "il nucleo più segreto e il sacrario dell'uomo, dove egli si trova solo con Dio, la cui voce risuona nella sua intimità" (Gaudium et spes, 16). Quando l'uomo e la donna ascoltano il richiamo della verità, allora la coscienza orienta con sicurezza i loro atti verso il bene. Proprio per la testimonianza, resa fino all'effusione del sangue, del primato della verità sul potere, san Tommaso Moro è venerato quale esempio imperituro di coerenza morale. E anche al di fuori della Chiesa, specie fra coloro che sono chiamati a guidare le sorti dei popoli, la sua figura viene riconosciuta quale fonte di ispirazione per una politica che si ponga come fine supremo il servizio alla persona umana.

    Di recente, alcuni Capi di Stato e di Governo, numerosi esponenti politici, alcune Conferenze Episcopali e singoli Vescovi mi hanno rivolto petizioni a favore della proclamazione di san Tommaso Moro quale Patrono dei Governanti e dei Politici. Tra i firmatari dell'istanza vi sono personalità di varia provenienza politica, culturale e religiosa, a testimonianza del vivo e diffuso interesse per il pensiero ed il comportamento di questo insigne Uomo di governo.

    2. Tommaso Moro visse una straordinaria carriera politica nel suo Paese. Nato a Londra nel 1478 da rispettabile famiglia, fu posto, sin da giovane al servizio dell'Arcivescovo di Canterbury Giovanni Morton, Cancelliere del Regno. Proseguì poi gli studi in legge ad Oxford e a Londra, allargando i suoi interessi ad ampi settori della cultura, della teologia e della letteratura classica. Imparò a fondo il greco ed entrò in rapporto di scambio e di amicizia con importanti protagonisti della cultura rinascimentale, tra cui Erasmo Desiderio da Rotterdam.

    La sua sensibilità religiosa lo portò alla ricerca della virtù attraverso un’assidua pratica ascetica: coltivò rapporti di amicizia con i frati minori osservanti del convento di Greenwich e alloggiò per un certo tempo presso la certosa di Londra, due dei principali centri di fervore religioso nel Regno. Sentendosi chiamato al matrimonio, alla vita familiare e all'impegno laicale, egli sposò nel 1505 Giovanna Colt dalla quale ebbe quattro figli. Giovanna morì nel 1511 e Tommaso sposò in seconde nozze Alicia Middleton, una vedova con figlia. Fu per tutta la sua vita marito e padre affezionato e fedele, intimamente impegnato nell'educazione religiosa, morale e intellettuale dei figli. La sua casa accoglieva generi, nuore e nipoti, e rimaneva aperta per molti giovani amici alla ricerca della verità o della propria vocazione. La vita di famiglia lasciava, per altro, ampio spazio alla preghiera comune e alla lectio divina, come pure a sane forme di ricreazione domestica. Tommaso partecipava alla Messa quotidianamente nella chiesa parrocchiale, ma le austere penitenze che adottava erano conosciute solo dai suoi familiari più intimi.

    3. Nel 1504, sotto il re Enrico VII, venne eletto per la prima volta al parlamento. Enrico VIII gli rinnovò il mandato nel 1510, e lo costituì pure rappresentante della Corona nella capitale, aprendogli una carriera di spicco nell'amministrazione pubblica. Nel decennio successivo, il re lo inviò a varie riprese in missioni diplomatiche e commerciali nelle Fiandre e nel territorio dell'odierna Francia. Fatto membro del Consiglio della Corona, giudice presidente di un tribunale importante, vice-tesoriere e cavaliere, divenne nel 1523 portavoce, cioè presidente, della Camera dei Comuni.

    Universalmente stimato per l'indefettibile integrità morale, l'acutezza dell'ingegno, il carattere aperto e scherzoso, la straordinaria erudizione, nel 1529, in un momento di crisi politica ed economica del Paese, fu nominato dal re Cancelliere del regno. Primo laico a ricoprire questa carica, Tommaso affrontò un periodo estremamente difficile, sforzandosi di servire il re e il Paese. Fedele ai suoi principi si impegnò a promuovere la giustizia e ad arginare l'influsso deleterio di chi perseguiva i propri interessi a spese dei deboli. Nel 1532, non volendo dare il proprio appoggio al disegno di Enrico VIII che voleva assumere il controllo sulla Chiesa in Inghilterra, rassegnò le dimissioni. Si ritirò dalla vita pubblica, accettando di soffrire con la sua famiglia la povertà e l’abbandono di molti che, nella prova, si rivelarono falsi amici.

    Costatata la sua irremovibile fermezza nel rifiutare ogni compromesso con la propria coscienza, il re, nel 1534, lo fece imprigionare nella Torre di Londra, ove fu sottoposto a varie forme di pressione psicologica. Tommaso Moro non si lasciò piegare e rifiutò di prestare il giuramento che gli si chiedeva, perché avrebbe comportato l'accettazione di un assetto politico ed ecclesiastico che preparava il terreno ad un dispotismo senza controllo. Nel corso del processo intentatogli pronunciò un'appassionata apologia delle proprie convinzioni circa l'indissolubilità del matrimonio, il rispetto del patrimonio giuridico ispirato ai valori cristiani, la libertà della Chiesa di fronte allo Stato. Condannato dal Tribunale, venne decapitato.

    Col passare dei secoli si attenuò la discriminazione nei confronti della Chiesa. Nel 1850 fu ricostituita in Inghilterra la gerarchia cattolica. Fu così possibile avviare le cause di canonizzazione di numerosi martiri. Tommaso Moro insieme a 53 altri martiri, tra i quali il Vescovo Giovanni Fisher, fu beatificato dal Papa Leone XIII nel 1886. Insieme allo stesso Vescovo fu poi canonizzato da Pio XI nel 1935, nella ricorrenza del quarto centenario del martirio.

    4. Molte sono le ragioni a favore della proclamazione di san Tommaso Moro a Patrono dei Governanti e dei Politici. Tra queste, il bisogno che il mondo politico e amministrativo avverte di modelli credibili, che mostrino la via della verità in un momento storico in cui si moltiplicano ardue sfide e gravi responsabilità. Oggi, infatti, fenomeni economici fortemente innovativi stanno modificando le strutture sociali; d’altra parte, le conquiste scientifiche nel settore delle biotecnologie acuiscono l’esigenza di difendere la vita umana in tutte le sue espressioni, mentre le promesse di una nuova società, proposte con successo ad un’opinione pubblica frastornata, richiedono con urgenza scelte politiche chiare a favore della famiglia, dei giovani, degli anziani e degli emarginati.

    In questo contesto, giova riandare all'esempio di san Tommaso Moro, il quale si distinse per la costante fedeltà all’autorità e alle istituzioni legittime proprio perché, in esse, intendeva servire non il potere, ma l'ideale supremo della giustizia. La sua vita ci insegna che il governo è anzitutto esercizio di virtù. Forte di tale rigoroso impianto morale, lo Statista inglese pose la propria attività pubblica al servizio della persona, specialmente se debole o povera; gestì le controversie sociali con squisito senso d'equità; tutelò la famiglia e la difese con strenuo impegno; promosse l'educazione integrale della gioventù. Il profondo distacco dagli onori e dalle ricchezze, l'umiltà serena e gioviale, l'equilibrata conoscenza della natura umana e della vanità del successo, la sicurezza di giudizio radicata nella fede, gli dettero quella fiduciosa fortezza interiore che lo sostenne nelle avversità e di fronte alla morte. La sua santità rifulse nel martirio, ma fu preparata da un'intera vita di lavoro nella dedizione a Dio e al prossimo.

    Accennando a simili esempi di perfetta armonia fra fede e opere, nell'Esortazione apostolica post-sinodale Christifideles laici ho scritto che "l'unità della vita dei fedeli laici è di grandissima importanza: essi, infatti, devono santificarsi nell'ordinaria vita professionale e sociale. Perché possano rispondere alla loro vocazione, dunque, i fedeli laici debbono guardare alle attività della vita quotidiana come occasione di unione con Dio e di compimento della sua volontà, e anche di servizio agli altri uomini" (n. 17).

    Quest'armonia fra il naturale e il soprannaturale costituisce forse l'elemento che più di ogni altro definisce la personalità del grande Statista inglese: egli visse la sua intensa vita pubblica con umiltà semplice, contrassegnata dal celebre "buon umore", anche nell'imminenza della morte.

    Questo il traguardo a cui lo portò la sua passione per la verità. L'uomo non si può separare da Dio, né la politica dalla morale: ecco la luce che ne illuminò la coscienza. Come ho già avuto occasione di dire, "l'uomo è creatura di Dio, e per questo i diritti dell'uomo hanno in Dio la loro origine, riposano nel disegno della creazione e rientrano nel piano della redenzione. Si potrebbe quasi dire, con espressione audace, che i diritti dell'uomo sono anche i diritti di Dio" (Discorso, 7.4.1998).

    E fu proprio nella difesa dei diritti della coscienza che l'esempio di Tommaso Moro brillò di luce intensa. Si può dire che egli visse in modo singolare il valore di una coscienza morale che è "testimonianza di Dio stesso, la cui voce e il cui giudizio penetrano l'intimo dell'uomo fino alle radici della sua anima" (Lett. enc. Veritatis splendor, 58), anche se, per quanto concerne l'azione contro gli eretici, subì i limiti della cultura del suo tempo.

    Il Concilio Ecumenico Vaticano II, nella Costituzione Gaudium et spes, nota come nel mondo contemporaneo stia crescendo "la coscienza della esimia dignità che compete alla persona umana, superiore a tutte le cose, e i cui diritti e doveri sono universali e inviolabili" (n. 26). La vicenda di san Tommaso Moro illustra con chiarezza una verità fondamentale dell'etica politica. Infatti la difesa della libertà della Chiesa da indebite ingerenze dello Stato è allo stesso tempo difesa, in nome del primato della coscienza, della libertà della persona nei confronti del potere politico. In ciò sta il principio basilare di ogni ordine civile conforme alla natura dell'uomo.

    5. Confido, pertanto, che l'elevazione dell'esimia figura di san Tommaso Moro a Patrono dei Governanti e dei Politici giovi al bene della società. È questa, peraltro, un'iniziativa in piena sintonia con lo spirito del Grande Giubileo, che ci immette nel terzo millennio cristiano.

    Pertanto, dopo matura considerazione, accogliendo volentieri le richieste rivoltemi, costituisco e dichiaro celeste Patrono dei Governanti e dei Politici san Tommaso Moro, concedendo che gli vengano tributati tutti gli onori e i privilegi liturgici che competono, secondo il diritto, ai Patroni di categorie di persone.

    Sia benedetto e glorificato Gesù Cristo, Redentore dell'uomo, ieri, oggi e sempre.

    Dato a Roma, presso san Pietro, il giorno 31 ottobre dell’anno 2000, ventitreesimo di Pontificato.

    IOANNES PAULUS PP. II

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    Predefinito Dalla lettera alla figlia Margareth - 17 aprile 1534

    Quando giunsi a Lambeth, fui il primo ad essere chiamato davanti ai Consiglieri, sebbene il Vicario di Croydon e molti altri fossero arrivati in precedenza. Reso edotto del motivo di quella convocazione (di cui mi meravigliai considerando che nessun laico era stato convocato all'infuori di me), chiesi di leggere la formula del giuramento che essi mi mostrarono munita del Gran Sigillo. Poi chiesi di leggere l' Atto di Successione, di cui mi fu consegnato un esemplare stampato. Dopo aver letto in silenzio ed aver riflettuto sulla formula del giuramento, dichiarai ai Consiglieri che non era mio intendimento censurare né l'Atto e chi l'aveva formulato, né il giuramento e chi l'aveva prestato; nè condannare alcuno. La mia coscienza però mi vietava di giurare, non per quanto disposto dall'Atto di Successione, ma perché, prestando il giuramento nella forma in cui era redatto, rischiavo di esporre l’anima mia a dannazione eterna. E se essi pensavano che il mio rifiuto non era determinato da un mero scrupolo di coscienza ma dalla influenza di altra fantasia. ero pronto a rassicurarli in proposito con un giuramento. Se poi a questo essi non erano disposti a credere. a che sarebbe valso un qualsiasi altro mio giuramento? Se invece vi credevano. mi affidavo alla loro generosità affinché desistessero dal sollecitarmi a prestare un giuramento in contrasto con la mia coscienza.

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    Predefinito lettera all’arcivescovo di Canterbury Thomas Cranmer - 5 marzo 1534

    Ora, è un fatto che prima del mio viaggio oltremare avevo sentito parlare di certe obiezioni contro la bolla della dispensa, riguardanti le parole del Levitico 2 e del Deuteronomio 3, e secondo le quali la proibizione era de iure divino, ma a quel tempo non mi resi conto se non che le maggiori speranze nella questione stavano in certi vizi trovati nella bolla, per i quali essa doveva considerarsi giuridicamente nulla. ... Ma il re non appare pago di questa soluzione ed infatti in proposito c'era tanta fiducia, a quanto sentire per parecchio tempo, che i consiglieri di opposto parere furono ben lieti di accampare un breve che secondo loro doveva porre rimedio a quei vizi; ma il Consiglio del Re sospettava dell'attendibilità di quel breve: di conseguenza si fecero grandi indagini per chiarire quel punto, e cosa ne venisse poi fuori o non l'ho mai saputo o non lo ricordo. Ma Vi richiamo ora queste cose affinché sappiate che la prima volta che sentii parlare della questione, del fatto cioè che il matrimonio era tanto contrario alla legge naturale, fu quando il grazioso Re, come avevo preso a dirvi, me lo disse egli stesso, e mi presentò davanti la Bibbia aperta e vi lesse le parole che inducevano Sua Altezza e molte altre dotte persone a pensarla cosl, e mi chiese poi che cosa ne pensavo io. Allora, pur non aspettandomi di certo che Sua Altezza avesse in ogni modo a prendere quel punto come più o meno chiarito a seconda del mio povero parere su una cosl grave materia, tuttavia com'era mio dovere al suo ordine esposi quale fosse il mio pensiero sulle parole che vi leggevo. …. e questi illustrissimi signori, non ne dubito affatto, hanno riferito e riferiranno a Sua Altezza che non trovarono mai in me animo o modi ostinati, ma una mente tanto aperta e compiacente quanto si può ragionevolmente desiderare in una questione in discussione. Allorchè in seguito Sua Altezza Reale fu informata sia da loro che da me della mia povera opinione sul problema …. prendendo per il verso migliore la buona volontà sulla questione, nella sua benedetta disposizione d'animo ricorse per il proseguimento degli studi sul suo grande problema solo a quelli la cui coscienza egli sapeva bene esser del tutto incline a quella soluzione, e si servl di me e d'ogni altro che Sua Altezza aveva compreso essere di differente avviso, in altri suoi affari, …. Se noi lo negassimo, come vi dichiarai, non riesco a capire quali vantaggi deriverebbero .da questa negazione, perché il primato è stato per lo meno istituito dal corpo della Cristianità, per la grande e imminente ragione di evitare gli scismi, e corroborato con una successione continua per uno spazio di oltre mille anni, perche tanti ne sono quasi passati dal tempo di san Gregorio. E allora, se tutta la Cristianità è un solo corpo, non riesco a capire come un qualsiasi suo membro potrebbe, senza il generale consenso del corpo, staccarsi dal comune capo….mi pare nella mia povera mente che la causa di Sua Grazia non avrebbe alcun vantaggio…E così io, buon signor Cranmer…. Vi prego per amore di nostro Signore di non essere tanto stanco della mia faticosa supplica da non compiacervi di informare pienamente, per Vostra bontà, Sua Altezza… della mia leale fedeltà…. Non posso infatti trovare nel mio cuore altro da dire se non ciò che mi detta la mia coscienza, e questo non ha mai prodotto nulla che potesse offendere il Re, per ostinazione d'animo o volontà incline al male: è invece una coscienza timorata che può turbarsi per mancanza di miglior consiglio, ma senza mai dimenticare il mio grande dovere verso la Sua nobile Grazia, … Così termino il mio lungo e noioso discorso, supplicando la santa Trinità di mantenervi nella salute del corpo e dell'anima, per la grande bontà che mi dimostrate e il grande conforto che mi date, e di ricompensarvi in cielo. Chelsea, il 5 di marzo.
    Obbligatissimo Vostro Tho. More, Cav.

  8. #8
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    Predefinito PREGHIERA PER IL BUON UMORE di S. Tommaso Moro

    Signore, donami
    una buona digestione
    e anche qualcosa
    da digerire.
    Donami la salute del corpo
    e il buon umore
    necessario per mantenerla.
    Donami, Signore,
    un'anima semplice
    che sappia far tesoro
    di tutto ciò ch'é buono e puro,
    e non si spaventi
    alla vista del male,
    ma piuttosto trovi
    sempre il modo
    di rimettere le cose a posto.
    Dammi un'anima
    che non conosca la noia,
    i brontolamenti,
    i sospiri e i lamenti,
    e non permettere
    che mi crucci eccessivamente
    per quella cosa
    troppo ingombrante
    che si chiama "io".
    Dammi, Signore,
    il senso del buon umore.
    Concedimi la grazia
    di comprendere uno scherzo,
    per scoprire nella vita
    un po' di gioia
    e farne parte anche agli altri.

  9. #9
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    Predefinito Alcuni protagonisti

    Artista sconosciuto, Anne Boylen, seconda moglie di Enrico VIII e causa dello scisma anglicano, 1533-36, National Portrait Gallery, Londra

    Artista sconosciuto, Anne Boylen, National Portrait Gallery, Londra

    Hans Hoblein il giovane, schizzo di Anne Boylen, 1536 circa, Royal Library, Windsor Castle

    Artista sconosciuto, Caterina d'Aragona, prima moglie ripudiata di Enrico VIII, 1530, National Portrait Gallery, Londra

    Artista sconosciuto, Ritratto giovanile di Enrico VIII, 1509 circa

    Artista sconosciuto, Ritratto giovanile di Enrico VIII, 1512 circa

  10. #10
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    Predefinito

    Artista sconosciuto, Ritratto di Enrico VIII, 1542 circa

    Scuola di Hans Hoblein il giovane, Ritratto di Enrico VIII, 1536 circa

    Scuola di Hans Hoblein il giovane, Ritratto di Enrico VIII, 1536 circa

 

 
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