Prima di addentrarmi nella prolissa descrizione degli effetti radioattivi a breve e a lungo termine di una guerra nucleare globale, intendo affrontare l’argomento relativo alle situazioni ambientali tossiche dovute ad un conflitto generale. Nel caso in cui migliaia di testate nucleari venissero lanciate i sopravvissuti alle esplosioni (probabilmente 4 miliardi di persone) si troverebbero a dover affrontare un ambiente fisico notevolmente mutato rispetto al precedente.
Le esplosioni genererebbero grandi quantità di ossidi di azoto che sarebbero innalzati nella stratosfera: ciò avrebbe l’effetto di ridurre del 20% la concentrazione di ozono nell’atmosfera dell’Emisfero Nord. Tale riduzione aumenterebbe sulla superficie terrestre l’intensità della radiazione ultravioletta che, inizialmente, sarebbe arrestata dalla presenza delle coltri di fumo causa dell’inverno nucleare ma che successivamente colpirebbe la terra senza alcun ostacolo (da evidenziare che il ripristino della concentrazione dell’ozono avverrebbe solo dopo parecchi anni , anni in cui i sopravvissuti sarebbero bersaglio della radiazione in oggetto).
La combustione da grandi incendi, inoltre, immetterebbe nella parte bassa dell’atmosfera anche numerose quantità di prodotti tossici, come monossido di carbonio, idrocarburi, ossidi di zolfo, acido cloridrico e pirotossine. Tali sostanze risulterebbe letali per molte forme di vita e, inoltre, una loro deposizione al suolo contaminerebbe quest’ultimo per parecchio tempo. Senza contare che il dilavamento dei composti di azoto, zolfo e cloro, dovuto alle precipitazioni, aumenterebbe il grado di acidità delle piogge stesse.
Infine, il raffreddamento della superficie a causa dell’inverno nucleare potrebbe determinare la formazione di strati superficiali freddi perenni, che avrebbe l’effetto di trattenere vicino al terreno le sostanze chimiche immesse dagli incendi, prolungando la contaminazione a tempo indeterminato.
La domanda che risulta naturale porsi è quali sarebbero gli effetti di questo “inquinamento” chimico dell’atmosfera nei riguardi dei sopravvissuti. Uno studio degli anni Ottanta di due studiosi dell’Università del Colorado ritiene che gli effetti combinati sia delle sostanze nocive derivanti dagli incendi che di quelle derivate dalla liberazione di sostanze chimiche in seguito ad attacchi nucleari a città e centri industriali sarebbero non letali su scala globale. In altre parole, le conseguenze mediche sarebbero non catastrofiche nell’immediato ma pericolose solo in prospettiva di mutazione genetiche e neoplasie. Birks e Stephens affermano che le possibilità di ammalarsi di cancro in seguito alla liberazione di queste sostanze chimiche sarebbero minime, ma questa conclusione non mi trova d’accordo (naturalmente, in base a opinioni di altri scienziati).
In primis, il grado di incertezza sulla deposizione nell’atmosfera e sulla superficie terrestre di prodotti chimici è molto grande; inoltre è molto probabile che grosse quote di prodotti nocivi si concentrerebbero in alcune zone, aumentando così esponenzialmente il loro effetto letale. Da ciò deriva la conclusione che gli effetti dell’inquinamento chimico potrebbero risultare addirittura superiori a quelli della radioattività, specialmente nelle zone ad alta concentrazione. Ma tralascio questo argomento per ora, le conseguenze mediche e genetiche saranno trattate in un altra “puntata”.
Risulta ancora poco chiara la situazione riguardante la formazione di smog fotochimico in conseguenza di attacchi nucleari multipli. Per esemplificare basterà dire che già oggi nelle grandi città, come è risaputo, la presenza di forti quantità di ossidi di azoto, monossido di carbonio e idrocarburi dà seguito alla formazione di forti agenti ossidanti, come l'ozono, in conseguneza dell'azione della luce solare. E' evidente che l'immissione massiccia di queste sostanze dopo una guerra atomica generalizzata darebbe luogo a una produzione immane di smog fotochimico, ma sulle conseguenze reali di questa situazione i dubbi, come ricordato poc'anzi, permangono.