dal sito di Emporion
" Usa/Ue
Il faccia a faccia della crescita
di Massimo Lo Cicero
La ripresa di un stagione di crescita economica si profila sul palcoscenico dell’economia mondiale. L’ultimo rapporto della Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCDE) rappresenta una prima finestra di ottimismo in ordine al giudizio sulla dinamica del prodotto lordo nei prossimi tre anni. Il 2003, secondo i ricercatori dell’OCDE, non ci offrirà un bilancio entusiasmante. La crescita del prodotto interno lordo (Pil) sarà di un modesto 0,5% su base annua per l’insieme dei paesi che adottano l’euro come moneta: il Pil dell’Unione Europea – che include anche paesi che non adottano l’euro, il più importante dei quali è il Regno Unito – crescerà ad un ritmo superiore, allo 0,7% annuo. La crescita sarà più intensa negli Stati Uniti – perché raggiungerà il 2,9% annuo – mentre la media dell’insieme dei paesi che aderiscono all’OCDE si fermerà in una posizione intermedia, al 2% annuo.
La previsione per il 2004 e il 2005 rivela una prospettiva espansiva sia nel vecchio che nel nuovo continente, con una marcata leadership degli Stati Uniti rispetto all’Unione Europea. Il Pil aumenterà più del 4% nel 2004 e del 3,8% nel 2005 nell’economia americana. In quella europea, e negli stessi anni, si dovrebbe osservare un più modesto 1,8% nel 2004 ed un 2,5% nel 2005. I valori medi per l’insieme dei paesi OCDE sono, di nuovo, in una posizione intermedia, al 3% ed al 3,1%, rispettivamente nei due anni considerati. L’inflazione – che è già più bassa – dovrebbe ridursi ulteriormente negli Stati Uniti in termini più marcati rispetto a quanto avverrà nell’Unione Europea: passando, nel vecchio continente, dal 2,1% del 2003 all’1,7% mentre negli Usa scenderà dall’1,6% all’1,2%. Una dinamica simile si avrà nei tassi di occupazione, che misurano il rapporto tra il numero dei lavoratori ed il totale della popolazione residente. Quello americano, sempre nella forbice tra il 2003 ed il 2005, passerà dal 6% al 5,2%; quello europeo sarà stabile perché dall’8% dovrebbe scendere solo al 7,9%.
Solo per l’ultima variabile macroeconomica rilevante, la dimensione dei tassi di interesse a breve, la situazione si presenta in termini ribaltati. I tassi a breve sono stati nel 2003 più alti in Europa che negli Stati Uniti: anche per questo motivo il cambio tra euro e dollaro ha visto crescere il valore della moneta europea rispetto a quella americana. In termini quantitativi la media dei tassi dell’area euro è stata nel 2003 intorno al 2,3%. Quelli americani hanno oscillato intorno al valore di 1,2%. In questo caso bisogna guardare all’area dell’euro, e non all’Unione Europea nella sua interezza, perché un tasso di interesse si misura in relazione ai prestiti ed ai depositi espressi nella medesima valuta. I tassi sulla sterlina inglese non sono tassi sull’euro evidentemente, anche se il Regno Unito partecipa all’Unione. Nel 2005, secondo i ricercatori dell’OCDE, i tassi americani saranno risaliti al 2,7% e quelli espressi in euro dovrebbero rimanere stabili, intorno al 2,2%. Ne dovrebbe risentire la “forza” del cambio dell’euro sul dollaro come naturale conseguenza.
Fin qui le previsioni sul futuro a medio termine ma la differenza tra le due economie, che si trovano sulle sponde opposte dell’oceano Atlantico, si capisce meglio quando si osserva la dinamica dell’ultimo decennio del Ventesimo secolo. L’OCDE ci mette a disposizione due documenti molto utili anche in questo caso. Si tratta del testo di un articolo che il capo economista di quella organizzazione ha presentato in una riunione tenutasi a Washington nel marzo 2003 per illustrare le differenze di crescita che si manifestano nell’ambito dei paesi aderenti all’organizzazione stessa. Altre utili informazione statistiche sono contenute nel quinto capitolo dell’OECD “Economic Outlook” n. 73, dal titolo “Structural Policies and Growth”.
Da questi due testi si ricavano numerose informazioni sui caratteri della crescita economica osservabili nei due sistemi: quello americano e quello europeo. Dal 1980 al 1995 il tasso medio annuo di crescita dell’economia degli Stati Uniti è stato del 2%, mentre quello dell’Unione Europea è stato solo dell’1,8%. Nel periodo compreso tra il 1995 e il 2002 i due tassi sono stati, rispettivamente, del 2,3% e del 2%. Entrambi hanno accelerato nell’ultimo scorcio del Ventesimo secolo ma l’America è stata sempre più veloce dell’Europa. La previsione, di cui abbiamo già detto, non contraddice questa evidenza offerta dalla storia degli ultimi venti anni. Alle origini di questa forza espansiva si trova la crescita del prodotto pro-capite che è, a sua volta, l’effetto della moltiplicazione tra due variabili: l’intensità con cui cresce il numero delle persone che lavorano rispetto al totale delle persone residenti in un paese e l’intensità con cui cresce la quantità di beni e servizi che ognuna di quelle persone è in grado di produrre con la sua attività lavorativa.
In Europa, tra il 1980 ed il 1995, diminuisce il tasso di occupazione ed aumenta la produttività individuale. Nel periodo successivo, tra il 1995 ed il 2002, il tasso di occupazione aumenta ma questo aumento non bilancia la caduta osservata nel periodo precedente. Negli Stati Uniti, al contrario, le due componenti che generano l’incremento di produttività si espandono entrambe ed in entrambi i periodi considerati. L’economia europea, dunque, cresce meno di quella americana: anche in questo caso la storia passata somiglia al risultato della previsione a medio termine. L’economia americana batte quella europea sia nelle dimensioni dell’investimento nelle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione sia nella quota di spese per la ricerca e lo sviluppo delle tecnologie, vengano esse realizzate dal settore pubblico o dalle imprese private.
Ma l’indice sintetico che esprime la vera differenza tra l’economia americana e quella europea è quello della crescita della produttività multifattoriale: una sorta di misura dell’insieme delle variabili che, combinandosi con la produttività del lavoro, determinano la produttività dell’intero sistema economico. Le grandi economie europee – cioè la Germania, la Francia, l’Italia, il Belgio o l’Olanda – scontano una decelerazione nell’aumento di questo indice. Non retrocedono ma avanzano sempre più lentamente. Gli Stati Uniti presentano, al contrario, una marcata accelerazione che diventa più intensa nel periodo tra il 1990 e il 2000 rispetto a quello compreso tra il 1980 ed il 1990 .
L’Europa, per concludere, assume la protezione del lavoro e la regolazione dei mercati come le variabili chiave delle propria politica economica: le imprese, di conseguenza, comprimono l’espansione dell’occupazione ed intensificano il ricorso al capitale fisico, ma non prestano attenzione alla ricerca tecnologica e all’innovazione, come, del resto, finiscono per fare anche le istituzioni e le attività governative del vecchio continente. Negli Stati Uniti la protezione sociale e la regolazione dei mercati cedono il passo all’innovazione finanziaria e alla ricerca tecnologica, come variabili da perseguire strategicamente. Aumentano l’occupazione e la produttività del lavoro, ma anche la produttività dell’intero sistema che, alla fine, cresce più rapidamente di quello europeo. Non c’è da meravigliarsi che, essendo questi i caratteri dominanti degli ultimi venti anni, nei prossimi tre anni la vecchia Europa affannerà ancora, rincorrendo, senza raggiungerla, l’economia degli Stati Uniti.
http://www.enel.it/magazine/emporion...ion=03/12/2003
maloci@tin.it "
Saluti liberali