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Discussione: Riformisti su Marte

  1. #1251
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    E' accaduto di nuovo.

    Mentre il mondo trattiene il fiato per le nuove minacce di Al Qaeda, mentre l'Italia è in ansia per l'attentato prossimo venturo, mentre l'Europa guarda con raccapriccio a quel che resta di Bankitalia, il presidente del Consiglio, Cavalier Crescina, entra in una clinica di Ferrara per il secondo trapianto di capelli.

    Ecco a che cosa si riferiva il ministro Siniscalcolo, l'altro giorno, quando ha detto che «sono a rischio l'immagine e la credibilità dell'Italia»: alla biglia presidenziale, ancora troppo glabra nonostante il ciuffo sbarazzino spuntato quest'inverno, dopo la lunga attesa seguita al primo innesto pilifero.
    Così almeno ha capito il Cavalier Bellachioma.
    E, col decisionismo che lo contraddistingue, ha subito provveduto.

    Proprio nel primo anniversario dell'intervento numero uno, come si fa per il tagliando della macchina prima delle ferie, è tornato sul luogo del trapianto.
    Dopo il Berlusconi bis, il trapianto bis.
    È il suo modo tutto originale di reagire alle crisi nazionali e internazionali: facendosi i cazzi suoi.

    Due anni fa, in pieno scandalo Parmalat, sparì per trentatre giorni causa lifting.
    L'estate scorsa, con l'Iraq in fiamme e Baldoni sequestrato, si aggirava per la Costa Smeralda sotto una ridicola bandana.
    All'ultimo G8, all'indomani della strage di Londra, montò su un paio scarpe con due trampoli al posto dei tacchi e posò per la foto di gruppo guardando dall'alto in basso l'attonito Chirac.
    Poi, sceso a terra, prese a concionare su Vieri e Gilardino.

    Alleati e oppositori si scannano sulla questione morale.
    Lui, appena sente parlare di morale, mette mano al toupet.
    L'altro giorno,
    (quando s'era dato malato disertando il consiglio dei ministri sul caso Bankitalia)
    i soliti maligni avevano insinuato un mal di gola diplomatico per evitare di schierarsi sul caso Fazio.
    Sospetti ingiusti e infondati: lui semplicemente di Fazio se ne fotte.
    Ha ben altro per la testa.
    Per esempio la pelata, che il primo intervento ha soltanto parzialmente schermato con una grottesca raggiera di capelli modello Barbie asfaltati all'indietro e pittati ora di rossastro, ora color pece.
    Ci vuol altro per le prossime elezioni.
    Restyling completo, moquettatura totale, costi quel che costi.
    Per uno che «ha vinto il cancro», vincere la calvizie è un gioco da ragazzi.
    La chioma, l'ultima speme.
    Udc e An vogliono un nuovo leader?
    Eccolo pronto: lo stesso di prima, ma coi boccoli.
    E, se proprio insistono, c'è sempre il trapianto di faccia.
    Lo stesso del '94, quando un Craxi più basso, più ricco e più abbronzato convinse gl'italiani di essere un uomo nuovo.

    Resta da capire chi sia, questa volta, il donatore.
    Nel primo trapianto,
    («delocalizzazione», come ebbe a definirla lui stesso in un'assemblea di Confindustria)
    fu la sorella Maria Antonietta a immolarsi per la capa di Silvio.
    Una sorta di prestanome pilifera.
    E ieri?
    A chi appartiene il vello d'oro delicatamente depositato sul sacro cuoio dal professor Rosati?
    Quando il destinatario è Lui, i donatori bulbari non mancano mai.
    Ogni volta è una gara di solidarietà: i peli a Silvio sono la versione moderna dell'oro alla patria di mussoliniana memoria.
    Tutti a offrire qualcosa per la Causa:
    Adornato e Ferrara le rispettive barbe,
    Paolo Guzzanti la fulva zazzera,
    la Gardini, la Carlucci e Del Noce le chiome fluenti,
    Schifani il riportino appositamente conservato in una teca.

    (tagliati inesorabilmente fuori Bondi e Alfano, per mancanza di materia prima)
    Chi avrà scelto questa volta il Cavalier Cesare Ragazzi?
    Solo quando cadrà la bandana bis, l'arcano sarà svelato.

    Ma le voci sulla nuova coiffure sono già il nuovo gioco dell'estate.
    Boccoli d'oro alla Shirley Temple?
    Frangetta alla Uma Thurman?
    Coda di cavallo alla Jennifer Lopez?
    Maschietta tipo Sharon Stone?
    Caschetto alla Claudia Koll?
    O una soluzione arruffata ma arrapante tipo Sandra Bullock?

    C'è perfino chi giura che siano già pronti i manifesti della prossima campagna elettorale, con il Cavalier Rifatto in versione rasta, alla Bob Marley.
    Ma con le ultime leggi antiterrorismo c'è il rischio che lo intercettino, lo arrestino e gli prelevino la saliva.
    (nel qual caso, il donatore c'è già: Emilio Fede)

    Per l'inno del nuovo partito unico, «Il Pelo delle Libertà», Apicella sta lavorando a un motivetto ispirato a «Non è un capello ma un crine di cavallo» e a «Come porti i capelli bella bionda».
    Per ora se ne conosce soltanto il ritornello:
    «Tira più un pelo di Silvio che una pariglia di Prodi».

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  2. #1252
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    Predefinito "Ditelo con i...Fiorani"

    Fiorani:
    «Ho sentito il Presidente (Berlusconi, nota a lato) commosso della cosa...».
    Gnutti:
    «Gli ho detto che andremo avanti con Rcs e che ci deve dare una mano».
    Fiorani:
    «Digli di chiamare il Number One (Antonio Fazio, nota a lato)».
    Gnutti:
    «Gli ho detto (a Berlusconi) che se non ci dà una mano la sinistra prende tutto».


    (Conversazione telefonica del 12 luglio 2005)

    Era un torrido giorno d'agosto del 1998 quando la quiete vacanziera della Banca Popolare di Lodi viene turbata da una visita inattesa.

    Un plotoncino di uomini della Dia venuti da Palermo chiedono di vedere gli archivi della Banca Rasini.
    Cercano, su incarico del pool antimafia, i conti correnti di Silvio Berlusconi e tutta la documentazione relativa alle 25 "Holding Italiana" che custodiscono il capitale della Fininvest.
    L'indagine è quella a carico di Silvio Berlusconi e Marcello Dell'Utri, per concorso esterno in associazione mafiosa e riciclaggio di denaro della mafia.
    (inchiesta poi archiviata per il Cavaliere e approdata a rinvio a giudizio, processo e condanna di primo grado per Dell'Utri)

    Perché la Dia cerca quelle carte proprio alla Bpl?
    Perché dall'aprile 1992 la banca lodigiana, capitanata da Gian Piero Fiorani, ha inglobato
    (fusione per incorporazione)
    la Rasini.
    Cioè il piccolo e chiacchierato istituto creditizio milanese di Via Mercanti, a due passi dal Duomo, fondato dal banchiere Carlo Rasini in società con la famiglia siciliana Azzaretto.

    Lì Luigi Berlusconi, il padre di Silvio, ha trascorso tutta la sua vita professionale, entrandovi da sportellista e uscendone direttore generale.
    E' la banca che Michele Sindona, in un'intervista dal carcere al giornalista Nick Tosches, indicò fra quelle usate da Cosa Nostra per "lavare" i proventi dei suoi affari al Nord.
    La banca che a metà anni 60 concede i primi crediti e fidejussioni all'Edilnord del giovane Silvio.

    I pm Antonio Ingroia e Nico Gozzo hanno spedito la Dia a Milano per ricostruire i finanziamenti alle Holding Italiana a cavallo fra gli anni 70 e 80, quando il finanziere Filippo Alberto Rapisarda, ex amico e poi accusatore di Dell'Utri, fa risalire i presunti investimenti miliardari del capo della mafia Stefano Bontate nell'avventura televisiva del Cavaliere.
    Alla perentoria richiesta di vedere la carte della Rasini, l'ufficio legale della Bpl cade
    (o finge di cadere)
    dalle nuvole:
    "Della Rasini e dei conti Fininvest non ci risulta nulla".

    Ma il consulente della Procura Francesco Giuffrida, vicedirettore della Banca d'Italia a Palermo che partecipa alle perquisizioni, ha un asso nella manica.
    Tira fuori un estratto conto che dimostra l'esistenza di alcuni conti correnti intestati a Berlusconi o riferibili a Fininvest presso la Rasini.
    E si piazza nei vecchi uffici di Via Mercanti.

    A quel punto ai banchieri lodigiani torna improvvisamente la memoria:
    "Ci dev'essere un archivista in pensione che sa qualcosa".

    Il vecchietto puntualmente arriva e accompagna agenti e consulente all'ultimo piano della banca milanese.
    Apre cassetti.
    Estrae vecchi e polverosi dossier.
    Ed ecco ciò che gli inquirenti cercavano, o almeno una parte: la documentazione delle Holding Italiana.
    Che, lo si scopre allora, non sono 25, ma addirittura 38.


    La Rasini emerge anche dalle indagini del pool di Milano sul patrimonio "parallelo" del Cavaliere: quello accantonato su 105 libretti al portatore accesi presso il Monte dei Paschi di Siena, la Banca Popolare di Abbiategrasso, la Comit e la solita Rasini.
    Tra il 1988 e il '95 i libretti, materialmente in possesso di Giuseppino Scabini,
    (che amministra il patrimonio personale di Berlusconi)
    registrano movimentazioni per 130 miliardi in entrata e 126 in uscita.
    Poi entrano in vigore le norme anti-riciclaggio, e il "nero" verrà trasferito in Svizzera.

    Oggi che dalle telefonate di Ricucci, Fiorani e Gnutti emerge il ruolo di Silvio Berlusconi nella scalata alla Rcs, torna alla mente quel vecchio legame "affettivo" e finanziario fra il Cavalier FacoltàDiNonRispondere e il banchiere padano che custodisce gli archivi del suo passato.
    Entrato alla Bpl nel 1978 con un semplice diploma di ragioneria,
    (si laureerà solo nel 1990, in Scienze politiche)
    Fiorani inizia la sua arrampicata gestendo due affari molto delicati: uno è la ristrutturazione del gruppo bancario in Sicilia;
    (ingloba ben cinque banche sicule e fa della Lodi la seconda banca dell'isola, dopo il Banco di Sicilia)
    l'altro è appunto l'ingresso nella Rasini, prima con una partecipazione di controllo, poi con la fusione.
    Inglobandone il patrimonio, la clientela e gli archivi.
    Purtroppo gli archivi sono ampiamente incompleti.

    Alla fine la Dia e Giuffrida dovranno arrendersi di fronte alla "anomalia" di vari finanziamenti, non riuscendo a ricostruire la provenienza di almeno 113 miliardi di lire
    (anni 70)
    una quarantina dei quali giunti addirittura "in contanti".
    Colpa
    (diranno i pm al processo Dell'Utri)
    della condotta "poco collaborativa" della Bpl.

    Ma anche dell'altra banca con cui la prima Fininvest condusse gran parte delle sue operazioni: la Bnl, tramite le fiduciarie Saf e Servizio Italia e tramite la sua banca d'affari a medio termine, Efibanca.
    Efibanca emerge anche negli atti del processo milanese "toghe sporche": Stefania Ariosto racconta che Cesare Previti le parlò di "fondi illimitati" a disposizione di Berlusconi presso Efibanca per corrompere giudici romani.
    S'è poi scoperto che Previti era consulente di Efibanca fin dagli anni 70, quando l'istituto cominciò a prestare soldi alla Fininvest per l'edilizia e poi per le tv.
    Mutui per un totale di 230 miliardi di lire a 8 società del Biscione che
    (secondo un rapporto della Guardia di Finanza)
    "prescindono dalla prestazione delle garanzie effettive".
    Insomma, troppo generosi e poco garantiti.

    E a chi appartiene oggi Efibanca?
    Anch'essa alla Bpl, che l'ha acquisita nel dicembre 1999.
    Come su quelli della Rasini, anche sugli archivi di Efibanca è seduto oggi il ragionier Gian Piero Fiorani.

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  3. #1253
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    Predefinito Interceptor

    Quando, l'altroieri sera, il volto emaciato e provato del Cavalier Ritrapiantato è comparso in tutti i cinegiornali della sera, molti avranno pensato ai postumi del terribile intervento pilifero.
    Poi però "lui" stesso ha tenuto a precisare che la fonte di tanta sofferenza era ben altra.

    La pubblicazione su "Repubblica" dell'sms di Anna Falchi a Stefano Ricucci:
    "Ti amo, sono tua per sempre".

    La qual cosa lo ha "indignato" perché "non siamo più un paese civile se quel che una signora scrive al marito finisce intercettato sui giornali.
    Conversazioni private, una cosa scandalosa".

    Per questo,
    (non certo per le intercettazioni che dimostrano la sua benedizione alla scalata alla Rcs)
    "sto mettendo mano personalmente a una legge per restringere la possibilità per chiunque di fare intercettazioni telefoniche.
    Lo sto scrivendo di mio pugno, per limitarle nei casi stringenti di mafia e di terrorismo e punire con pene severe, da 5 a 10 anni di reclusione, chi le fa e chi le pubblica".

    Strana legge da parte di un premier che ne ha appena varata una di segno opposto, per consentire ai servizi segreti di intercettare chicchessia, a scopo di antiterrorismo.
    Forse perché, per ora, i servizi li controlla il governo.
    E i giudici non ancora.

    Anzitutto, massima solidarietà al cronista del "Giornale" che l'altro giorno,
    (bruciando i concorrenti)
    ha pubblicato le intercettazioni Fazio-Fiorani.
    Anziché dargli l'aumento, il fratello del suo editore vuole sbatterlo in galera per 10 anni.
    In secondo luogo, una speranza: che la legge anti-intercettazioni il premier la scriva davvero "di suo pugno": così sarà certamente incostituzionale e non entrerà mai in vigore.
    In terzo luogo, un promemoria sull'amore che il Cavaliere Discreto e i suoi cari han mostrato per la privacy.

    Autunno 1995.
    Berlusconi,
    (sfumato il sogno di annettere a Forza Italia il popolarissimo Antonio Di Pietro)
    persegue un sogno molto garantista: mandare in galera l'ex pm.
    Il 7 settembre,
    (presente Cesare Previti)
    riceve nella villa di Arcore il costruttore Antonio D'Adamo,
    (già manager Fininvest e già amico di Di Pietro)
    ora pluriinquisito per il tracollo delle sue imprese.
    Bisognoso d'aiuto da Silvio e dalle banche, D'Adamo offre su un vassoio d'argento la testa di Tonino: racconta di prestiti e favori fatti, allude a indagini addomesticate.
    Il Cavalier Gatto ed il Senator Volpe, gli fan mettere tutto per iscritto, in un memoriale di 4 pagine che poi tengono in un cassetto per due anni.
    Poi, nel '97, Previti si decide finalmente a consegnarlo alla Procura di Brescia che indaga su Di Pietro per le intercettazioni di Pacini Battaglia.
    ("mi hanno sbancato…")

    Il memoriale è, al solito, pieno di bufale, ed è lo stesso D'Adamo
    (intercettato di ritorno da Arcore il 7 settembre '95)
    a spiegarne in diretta il movente alla figlia:
    "Papà, ma tu sei riuscito a fare qualcosa per lui?".
    "Certo Patrizia, c'è tutta una contropartita...".

    Quale?
    Il Cavalier Dazione gli ha appena promesso che i suoi 40 miliardi di debiti con le banche e gli affari edili bloccati in Libia saranno presto risolti in cambio delle sue accuse a Di Pietro.
    (che minaccia di candidarsi alle elezioni del '96)
    Il Cavalier Entratura,
    (che ha già procurato a D'Adamo un finanziamento di 12 miliardi da Comit)
    promette di intervenire sulla Popolare di Novara e di scrivere al governo libico, nonchè aiuti per 2 miliardi da Mediolanum e per 14 da Edilnord e Banca di Roma.
    Totale: 24 miliardi di buoni motivi per distruggere Di Pietro.

    Quel che D'Adamo ancora non sa è che l'amico Silvio registra tutte le conversazioni con una telecamera nascosta, poi con un abile taglia e cuci gli fa dire anche quello che lui non ha detto.
    Lo scopre il 13 maggio '97, quando il Cavalier Dossier va alla Procura Brescia a raccontare:
    "D'Adamo mi ha riferito di aver ricevuto da Pacini Battaglia un finanziamento da 9 miliardi" in cambio del salvataggio di Pacini da Mani Pulite.
    "D'Adamo avrebbe dovuto restituire a Pacini 4 miliardi e mezzo, mentre la restante somma avrebbe dovuto essere destinata al dottor Di Pietro, pienamente consapevole e consenziente".

    Il Cavalier Geloso rivela di aver registrato tutto grazie a un teleoperatore Fininvest, Roberto Gasparotti: dopo la scoperta del celebre "cimicione" nel suo studio romano, per individuare il presunto traditore "fu predisposto in alcune stanze della mia casa un rudimentale impianto di registrazione che si attivava al manifestarsi di fonti sonore. Tramite Gasparotti ho appreso che parte di quei colloqui (con D'Adamo) erano registrati… Su insistenza di Gasparotti, dissi che poteva pure conservarli come 'memoria storica'…".
    Il 10 giugno '97 Gasparotti corre dai pm a confermare la versione del principale e a presentare un taglia-e-cuci delle confidenze di D'Adamo.
    Ma,
    (nonostante il sapiente lavoro di forbici)
    il quadro che emerge è tutt'altro che chiaro: si sente il Cavalier Demonizzato che tenta di far dire certe cose a D'Adamo e D'Adamo che cerca di assecondarlo, ma senza mettersi nei guai con qualche calunnia.
    Convocato dal gip Anna Di Martino, D'Adamo tenta fino all'ultimo di barcamenarsi, ma cade in mille contraddizioni: non vuole accusare Di Pietro, ma neppure smentire Berlusconi. Il doppio gioco dura poco.
    Alla fine il costruttore confessa:
    "Io a Berlusconi non ho mai detto che avevo promesso 4 miliardi e mezzo a Di Pietro. Evidentemente Berlusconi voleva sentirselo dire, ma non era così... Berlusconi continuava a mettermi (certe cose) in bocca, soprattutto perché sapeva che mi stava registrando e io non lo sapevo".

    Il complotto finisce qui.
    Nella sentenza del 18 febbraio '99,
    (che proscioglie Di Pietro perchè "il fatto non sussiste")
    il giudice Di Martino scrive:
    "La genesi delle accuse di D'Adamo rinviene dai sedimentati risentimenti nutriti da Silvio Berlusconi nei confronti dell'ex magistrato, risultando poi per tabulas che proprio Berlusconi (e il collega Previti) sospinse D'Adamo" a parlare "con la Procura di Brescia, utilizzando ogni mezzo e facendo leva… sullo stato di dipendenza finanziaria e psicologica in cui D'Adamo si trovava a causa degli aiuti economici ricevuti".

    Fortuna che non era ancora in vigore la legge che sta scrivendo.
    Se no 5 o 10 anni di galera a Silvio Interceptor non glieli levava nessuno.

    Anche perché quelle non erano intercettazioni autorizzate da un giudice in un'inchiesta giudiziaria; erano disposte da un privato per incastrarne un altro con un abile montaggio delle frasi di un terzo.
    Tale è l'afflato garantista e l'amore per la privacy che ha sempre mosso il Cavalier Vittima.

    Per non parlare dei giornali e delle tv al seguito.
    Come Canale 5, che nel '95 trasmette uno "Sgarbi quotidiani" in cui lo scalmanato deputato forzista legge una lettera anonima per accusare Gian Carlo Caselli di essere il mandante morale dell'assassinio di don Pino Puglisi.
    O come "Panorama",
    (diretto da Giuliano Ferrara)
    che nel luglio '97 sbatte in copertina una foto di Di Pietro seduto su un divanetto con una signora, sotto il titolo:
    "Il Grande Scroccone".

    Allusione a un'avventura extraconiugale dell'ex pm.
    Poi si scopre che la foto è un particolare di un cocktail con decine di persone, e che la ragazza è una commessa della Standa invitata separatamente da Di Pietro.
    Lo stesso "Panorama" omaggia i suoi lettori di un vhs con un taglia-e-cuci dell'interrogatorio a porte chiuse di Stefania Ariosto per farla apparire una mezza matta.
    (nonostante il divieto del Tribunale)
    Nel luglio 2002 "il Giornale" e "Panorama", in stereo, pubblicano alcune e-mail antigovernative inviate dal pm Armando Spataro a vari colleghi, e il cosidetto ministro Castelli le cita in tv come esempio di condotte da censurare.
    Chi abbia intercettato le mail private di un magistrato passandole agli uomini del premier non si sa.
    Ma il governo degli alfieri della privacy riesce a ispezionare anche il segretario dell'Anm Carlo Fucci per l'sms spedito a Capodanno ad alcuni amici con una battuta su Berlusconi.
    Poi c'è il caso Storace-Storhacker: prima l'intrusione nell'Anagrafe di Roma a caccia di firme false nella lista Mussolini; poi, come ha rivelato l "Espresso", il detective che fotografa chi entra e chi esce dal comitato elettorale di Piero Marrazzo, per poi andare a riferire alla Regione Lazio ancora guidata da Storhacker.

    Chissà qual'è la pena prevista dal Cavalier Indignato per simili condotte?
    A parte, si capisce, un ministero o una direzione di giornale.

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  4. #1254
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    Predefinito Cronache marziane

    Anno di grazia 2200.
    Studiosi e ricercatori del Pianeta Rosso hanno effettuato un'interessante scoperta: un diario risalente a due secoli fa, rinvenuto in un piccolo territorio del pianeta Terra a forma di calzatura.
    Alcuni passaggi:

    6 agosto 2006.
    Si insedia il nuovo governo di centrodestra uscito vincitore dalle elezioni politiche.
    Nell'Opa lanciata su Palazzo Chigi, il candidato della Cdl Stefano Ricucci ha prevalso di misura su quello dell'Unione, uscito vincitore dalle primarie contro Romano Prodi: il presidente Unipol Giovanni Consorte.

    7 agosto 2006.
    Il governo Ricucci sale al Colle e giura nelle mani del presidente della Repubblica Silvio Berlusconi, appena eletto da un'ampia maggioranza bipartisan.
    Prima dichiarazione ufficiale del premier nei saloni del Quirinale, accanto alla first lady Anna:
    «A pupa, anvedi che quartierino, ahò, me cojoni!».

    8 agosto 2006.
    Positive le prime reazioni della libera stampa.
    Il Corriere della Sera,
    (posseduto al 100% da Ricucci e diretto da Flavio Briatore) titola :
    «Siamo tutti immobiliaristi» e ospita un distaccato editoriale di Piero Ostellino:
    «Noi sinceri liberali, in mancanza di Silvio e Bettino, non possiamo non dirci ricucciani».


    9 agosto 2006.
    Il neopresidente di Mediaset Claudio Petruccioli annuncia il nuovo colpo del Biscione: l'esclusiva sui diritti tv del segnale orario e della benedizione pasquale urbi et orbi del papa.
    Vivo disappunto a Viale Mazzini.
    «Abbiamo combattuto fino all'ultimo», dichiara il presidente Rai Fedele Confalonieri, «ma contro il conflitto d'interessi non c'è stato nulla da fare».

    10 agosto 2006.
    Slitta ancora la nomina del direttore generale Rai.
    La maggioranza propone Piersilvio Berlusconi.
    Ma è incompatibile: il padre non lo ritiene sufficientemente affidabile.

    11 agosto 2006.
    Nuove intercettazioni su Antonveneta: pare che per un'intera giornata il neogovernatore di Bankitalia Maria Cristina Fazio non abbia telefonato a nessuno.
    Sdegnata smentita dell'interessata:
    «Chiamo sempre qualcuno, controllate meglio».
    Ancora divisa la sinistra sulle eventuali dimissioni della governatora.
    D'Alema:
    «La scelta spetta solo a lei, nessuno violi la sua privacy».
    Bertinotti:
    «Le donne non si toccano neanche con un fiore».

    12 agosto 2006.
    Il ministro dell'Economia Antonio Fazio vara un decreto salva-Grillo per condonare al senatore forzista le superbollette dei telefoni incautamente prestati alla governatora.

    13 agosto 2006.
    Forte della riforma dell'ordinamento giudiziario, il ministro della Giustizia Gian Piero Fiorani destituisce il gip Clementina Forleo: pare le sia stata fatale una frase
    («La legge è uguale per tutti»)
    sfuggita durante l'interrogatorio dinanzi ai nuovi ispettori ministeriali Calisto Tanzi e Sergio Cragnotti.
    Dichiarazione ora al vaglio del nuovo procuratore di Milano Francesco Castellano, che indaga sulla collega e sui pm Greco, Fusco e Perrotti per lesa maestà.

    14 agosto 2006.
    Roberto Castelli
    annuncia un'ispezione al Tribunale di Tempio Pausania, reo di non aver proceduto contro un sospetto terrorista che si aggira per la Costa Smeralda a volto coperto.
    Poi, gli spiegano che non può ispezionare un bel nulla perchè:
    a) non è più ministro della Giustizia;
    b) il cittadino in questione è Silvio Berlusconi, bendato dopo il secondo lifting.


    15 agosto 2006.
    Ancora bloccata la nomina del nuovo procuratore nazionale antimafia.
    Fuori gioco Gian Carlo Caselli, bocciato agli esami psicoattitudinali: l'hanno comunicato ieri il presidente e il vicepresidente della commissione esaminatrice, Marcello Dell' Utri e Giulio Andreotti.
    Favorito d'obbligo, oltre a Piero Grasso, il primo presidente della Cassazione Corrado Carnevale.

    16 agosto 2006.
    Un certo ragionier Marcello Pera telefona all'Ansa per dettare un dichiarazione di fuoco su qualcosa. Asserisce di essere stato presidente del Senato, ma il redattore di turno risponde:
    «Sì, e io ero presidente degli Stati Uniti».
    E mette giù.

    17 agosto 2006.
    Nuove, decisive scoperte nell'inchiesta della Procura di Palermo su Bernardo Provenzano.
    Assodato che l'anziano boss non beve, non fuma, ha una nuova prostata e porta la dentiera, dalle nuove cartelle cliniche risulta affetto da cacarella.
    Soddisfatto il ministro dell'Interno Cesare Previti:
    «Ormai il superlatitante ha le ore contate».


    18 agosto 2006.
    Clamorosa intervista dal carcere di Totò Riina, che pone con forza la "questione morale".
    Unanime la risposta della classe politica:
    «Piano con le parole, basta con le minacce».

    19 agosto 2006.
    Ancora fermo, fra le proteste del presidente della Consob Chicco Gnutti, il ddl sul risparmio.
    Berlusconi sollecita un emendamento per introdurre il mandato a termine del Papa.
    Non se ne conoscono, al momento, le motivazioni.


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  5. #1255
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    Predefinito Cronache marziane

    Clamoroso!
    Carlo Lorenzini (detto "il Collodi") non si ispirò al suo paese natìo in provincia di Pistoia per l'ambientazione della sua famosa opera; ma ad un paesino della Brianza: Arcore.

    Lui non c’entra mai niente.
    A sentir lui,
    (a prendere sul serio le sue dichiarazioni e smentite degli ultimi vent’anni)
    lo si direbbe nullatenente.
    Un carmelitano scalzo.
    Invece è il politico più ricco del mondo e l’uomo più ricco d’Italia.

    L’apparente contraddizione la spiegò Indro Montanelli:
    «Berlusconi è un mentitore professionale: mente a tutti, sempre, anche a se stesso, poi crede alle sue menzogne».
    «È un bugiardo sincero».

    Soprattutto negli affari.
    Dal calcio
    («Non prenderemo mai Nesta», «Il Milan non acquisterà Gilardino»)
    all’alta finanza.

    Comincia molto giovane, a mentire.
    Negli anni 70,
    (mentre costruiva Milano2 con l'Edilnord)
    non risultava in nessuna delle sue aziende e finanziarie.
    Tutte intestate a parenti, amici, teste di legno.
    Dallo zio Luigi Foscale ai Previti
    (padre Umberto e figlio Cesare)
    a una schiera di notai con mogli, casalinghe genovesi, elettricisti baresi e l'immancabile siciliano, parente di Buscetta.
    Particolarmente azzeccato l'amministratore della Palina Srl,
    (società di transito usata per far passare 27 miliardi del 1979, di provenienza ignota, alle holding Fininvest)
    un tale Enrico Porrà, 75 anni, colpito da ictus, che veniva accompagnato in carrozzella a firmare gli atti nei consigli d'amministrazione.

    È proprio nel ’79 che il neocavalier Silvio riceve la prima visita della Guardia di Finanza all'Edilnord.
    «È lei il proprietario?».
    «No, sono un semplice consulente esterno per la progettazione e direzione lavori di Milano2».

    In realtà è il proprietario unico della società, intestata a Umberto Previti.
    I militari bevono tutto e chiudono l'ispezione in meno di un mese con una relazione tutta rose e fiori, nonostante le anomalie valutarie riscontrate.
    Uno dei graduati, colonnello Salvatore Gallo, risulterà nelle liste P2.
    L'altro, capitano Massimo Maria Berruti, getterà l'uniforme un mese dopo per diventare avvocato e andare a lavorare in Fininvest.
    Condannato per i depistaggi delle indagini sulle mazzette alla Guardia di Finanza, ora è deputato di Forza Italia.


    Nel 1990,
    (grazie ai buoni uffici del Caf)
    viene approvata la legge Mammì.
    Il Cavalier Monopolio potrà tenersi tutt'e tre le tv in cambio della rinuncia al “Giornale” e alla pay tv.
    (di cui può conservare soltanto il 10%)
    Ma lui aggira anche quella.
    Intesta il “Giornale” al fratello Paolo.
    E per Telepiù trova una corte d'imprenditori amici che rilevano il 90% delle sue quote.
    Una cessione fittizia
    (secondo i pm di Milano e Roma)
    con capitali berlusconiani.
    Il Cavaliere, divenuto premier, smentisce sdegnato:
    «Fininvest ha solo il 10% di Telepiù»
    (29-7-94).
    Ma il pool Mani Pulite scopre una tangente di 50 milioni ai finanzieri che indagano sulla proprietà della pay-tv.
    Per nascondere che cosa?
    Forse il "mero proprietario" della finanziaria lussemburghese Cit, che ha rilevato il 25% delle quote nel '91?
    Il concessionario Luigi Koelliker, uno dei nuovi soci, racconta a Di Pietro che nel '90 Berlusconi, «preoccupato di conservare il suo potere su Telepiù» in barba al nuovo tetto antitrust, chiese a un gruppo di amici di intestarsi ciascuno il 10% della società Telepiù:
    «Accettai a titolo di amicizia».

    E così fecero gli altri:
    Mario e Vittorio Cecchi Gori,
    Leonardo Mondadori,
    Luca e Pietro Formenton,
    Pietro Boroli,
    Bruno Mentasti,
    Massimo Moratti,
    Renato Della Valle,
    Mario Rasini.

    (quello della banca omonima)
    Nel '91 Koelliker decide di uscire, e viene prontamente sostituito dalla Fininvest con altri, fra il magnate tedesco Leo Kirch, anche se il suo nome continua a comparire nella compagine azionaria.

    A quel punto il Cavalier Smentita confessa:
    «Nessun fatto condannabile dal punto di vista morale e penale. La Mammì mi ha usato una violenza imponendomi di vendere entro 60 giorni il 90% di Telepiù. Ho chiesto ad amici la cortesia di sottoscrivere il 10% ciascuno, poi a 9 amici sono stati frettolosamente intestati gl'impianti e tutto il resto. Soci provvisori, in attesa di trovare investitori stranieri»

    (5-10-94).
    L'indagine però passa da Milano a Roma.
    Finirà nel nulla.

    A fine '94 il pool s'imbatte in una società off-shore che ha foraggiato sottobanco Craxi.
    Nel '96 scopre che è del Cavalier Mazzetta.
    Ma lui nega:
    «All Iberian? Mai conosciuta. Vi pare che, col mio senso estetico, avrei potuto accettare una società con quel nome?»
    (7-12-2000).
    I giudici, fino alla Cassazione, appureranno che è tutta sua: la capofila della Fininvest occulta, imbottita di miliardi
    (1200 in sei anni)
    per compiere ardite scalate in Italia e all'estero:
    456 miliardi per acquisire l'86% della madrilena Telecinco tramite prestanomi;
    (in barba all'antitrust spagnola, che consentiva di possedere fino al 25%)
    637 per finanziare le teste di legno in Telepiù;
    15 a Previti per quelle che lui chiama "parcelle" e invece, in parte, sono tangenti a giudici;
    22 a Craxi dopo la Mammì.

    Altri miliardi, scrivono i giudici: «per acquisti alla Borsa di Milano, eludendo la normativa Consob che impone di dichiarare nuovi pacchetti superiori al 2% di società quotate».
    Quali acquisti?
    Le scalate Rinascente, Standa, Mondadori.

    Il caso Telepiù finisce a tarallucci e vino.
    Ma in Spagna l'antitrust è una cosa seria, e anche il codice penale.
    Il 23 luglio 1997 il giudice Baltasar Garzòn apre un fascicolo su Berlusconi, Dell'Utri e altri manager Fininvest.
    Il Cavalier Menzogna giura che «è tutto regolare, mai superato il 25%».

    Ma Garzòn scopre i suoi prestanomi:
    il finanziere plurinquisito Javier de la Rosa, il solito Leo Kirch e
    (udite udite)
    Miguel Duran, presidente dell'Once, la ricca associazione spagnola dei non vedenti.
    Chi chiedeva il «blind trust», il fondo cieco, è accontentato.

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  6. #1256
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    Predefinito

    Nella sua comica lettera dell’altro giorno a "Repubblica", il Cavalier Bugiardoni giurava che i suoi mass media non hanno mai «censurato o attaccato» nessuno.

    Negli stessi giorni il suo settimanale di famiglia, Panorama, era costretto a pubblicare una sentenza del Tribunale di Napoli, che il 20 giugno scorso ha «accolto le domande della dott.sa Ilda Boccassini, ritenendo diffamatorio l’articolo riportato il 20/12/2001 dalla rivista Panorama a firma di Lino Jannuzzi dal titolo “Il gioco dei quattro congiurati”, in cui si riferiva che in un albergo di Lugano si erano riuniti Elena Paciotti, Ilda Boccassini, Carla Del Ponte, e Carlos Castresana allo scopo di trovare il modo per arrestare Berlusconi».
    Ed ha «condannato l’Arnoldo Mondadori Editore Spa e il dr. Carlo Rossella al pagamento in favore della dott.sa Boccassini di euro 12 mila a titolo di risarcimento danni e di riparazione pecuniaria».

    Ieri, sempre su Panorama, è comparso il seguente comunicato del Cdr:
    «Una sentenza del Tribunale di Napoli ha ritenuto diffamatorio nei confronti di Ilda Boccassini un articolo di Lino Jannuzzi del 20.12.2001 in cui si riferiva di un incontro a Lugano tra magistrati e politici per “trovare il modo di arrestare Berlusconi”. Ci furono smentite e polemiche. In un editoriale pubblicato il 27.12.2001, Panorama scriveva: “Jannuzzi annuncia che dimostrerà che l’incontro c’è stato. Se così non sarà, diciamolo con chiarezza, chiederemo scusa”. A fronte di questa sentenza i rappresentanti sindacali di Panorama si rammaricano che sulla vicenda il collega Jannuzzi non abbia fatto la promessa chiarezza, lasciando un’ombra di discredito sul nostro giornale che ha pubblicato il suo articolo».


    La prima cosa che balza all’occhio è che, fra i condannati, manca l’autore materiale del reato: e cioè il senatore forzista e rubrichista di Panorama Lino Jannuzzi.
    (sfuggito al processo grazie al solito scandalo dell’insindacabilità parlamentare)
    Buon per lui: i 12 mila euro alla Boccassini per le balle che ha scritto li paga Bugiardoni, che poi ne era il beneficiario.

    Nel dicembre 2001 infuriava la polemica sulla prima legge salva-Berlusconi e salva-Previti, quella sulle rogatorie.
    Il governo era scatenato contro “Forcolandia” e “l'Internazionale delle toghe rosse”, accusata di perseguitare il povero Silvio.
    La bufala di Jannuzzi arrivò a proposito, infatti fu subito rilanciata dall’altro house organ, Il Giornale.
    Paciotti, Castresana, Boccassini e Del Ponte smentirono subito tutto: il giorno del vertice inventato si trovavano rispettivamente a Bruxelles, a Madrid, a Milano e in Tanzania.
    Ma né Panorama né il Giornale chiesero scusa.
    Anzi, come ricorda il Cdr, Jannuzzi promise di portare «le prove».
    Poi naturalmente non le portò, per il banale motivo che non esistevano, proprio come la congiura elvetica.

    Ora, per carità, sappiamo bene quali scherzi possano giocare a un giornalista la fretta o l'eccessiva fiducia in una fonte.
    È accaduto anche all'Unità, nel marzo scorso, di fidarsi di un ex deportato nei lager nazisti, che giurava di essere stato picchiato dal padre di Storace.
    Subito si scoprì che si era sbagliato, e il direttore dell’Unità si scusò.
    Storace, cavallerescamente, non querelò.
    Quando l’errore è in buona fede, l’incidente si chiude così.
    Ma quello di Jannuzzi non era un errore.
    Era una bufala costruita a tavolino.

    Tant’è che le scuse a Boccassini, Del Ponte, Castresana e Paciotti non sono mai arrivate.
    Anzi Rossella,
    (il direttore che avallò la mega-patacca e che nell’amata America avrebbe già dovuto cambiare mestiere)
    fu subito promosso direttore del Tg5.

    Dopo il caso Unità-Storace, i parlamentari di An Stefano Bonatesta e di FI Antonio Tajani e Francesco Giro, chiesero le dimissioni di Padellaro da direttore dell’Unità e «provvedimenti disciplinari dell'Ordine dei giornalisti».
    Il presunto ministro GasparriSet invocò addirittura «il capo dello Stato e gli organi di garanzia», poi si autosospese dall’Ordine dei giornalisti «fino a quando non assumerà con urgenza provvedimenti contro chi ha delineato la grave menzogna» e contro l’Unità, «giornale di bugiardi».
    Ma rientrò subito, perché l’Ordine annunciò a gentile richiesta un «procedimento disciplinare contro il direttore e la giornalista dell’Unità».

    Invano, ieri, abbiamo cercato sulle agenzie qualche traccia di Bonatesta, Gasparri, Giro e Tajani, nonché dell'Ordine dei giornalisti.
    Una dichiarazione, o almeno un sospiro, sulla superballa jannuzziana.
    Niente.
    Saranno tutti in ferie.
    Magari con Jannuzzi, in un hotel di Lugano.

    Greetings from Mars...

  7. #1257
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    Predefinito Depistaggi...

    A tre settimane dall’uscita delle prime telefonate su Bankitalia-Antonveneta, si continua a parlare più delle intercettazioni che del loro contenuto.

    Inizialmente,
    (grazie al polverone sollevato dal presidente del Senato Pera e ora da quello della Camera Casini)
    si parlava di «senatori intercettati».
    Una balla talmente dozzinale che s'è dovuto cambiare musica, denunciando da destra e da sinistra le cosiddette «violazioni del segreto istruttorio e della privacy».
    E tutti li ad invocare riforme,
    indagini parlamentari,
    chiarimenti dai giudici,
    pene esemplari per i giornalisti.

    Anche questo bailamme è fondato sul nulla più assoluto, perché tutte le intercettazioni fin qui pubblicate non sono coperte da segreto e dunque sono pubblicabili, in quanto depositate dai pm e dal gip nei provvedimenti di sequestro e di interdizione e nei relativi allegati, dunque noti a tutti gli indagati e avvocati.

    Ma, visto che il gioco sporco per ottenere nuove impunità bipartisan prosegue, conviene fare un po' d'ordine.

    Avvocati.
    La loro esperienza in Parlamento è senz'altro utile, ma il fatto che siano avvocati quasi tutti i parlamentari
    (di destra e di sinistra)
    che più insistono per riformare per l'ennesima volta la materia, dovrebbe suggerire qualche sospetto di conflitto d'interesse: quanti penalisti-deputati o senatori difendono indagati in processi basati su intercettazioni?

    Cimici.

    In molti paesi, servizi segreti e forze di polizia possono spiare i cittadini senza informare la magistratura né render conto a nessuno.
    (in America può disporle persino la Sec, la nostra Consob)
    Per questo l'Italia risulta in testa alla classifica delle intercettazioni: in Italia
    (salvo per la nuova legge antiterrorismo)
    per intercettare qualcuno non basta nemmeno la volontà del pm: occorre un provvedimento del gip, cioè un giudice terzo.
    E in media le intercettazioni possono durare per 20 giorni, dopodiché occorre un nuovo provvedimento di proroga del giudice.
    Non si possono disporre per tutti i reati, ma solo per i più gravi, quelli non colposi con pena massima oltre i 5 anni.
    Non solo per mafia e terrorismo, come vorrebbero Bugiardoni, Pecorella & C., ma anche per i reati che li alimentano: usura, corruzione, concussione, traffici di droga,armi e uomini, estorsione e così via.

    Europa.
    Secondo il Cavalier Patacca,
    (inspiegabilmente laureato in legge ma digiuno di diritto)
    le intercettazioni per reati finanziari «non sono degne di un paese civile».
    Eppure sono previste da una legge varata dal Parlamento
    (dove lui ha la maggioranza)
    il 18 aprile 2005, in attuazione della direttiva comunitaria del 2004 che aggiunge ai reati per cui è consentito intercettare l'«abuso di informazioni privilegiate» e la «manipolazione del mercato».
    Così i pm di Milano hanno potuto intercettare i finanzieri accusati di reati punibili con meno di 5 anni, come l'aggiotaggio e le manovre fraudolente sui titoli.
    In tutta Europa già si fa così; ma, evidentemente, per il Cavalier Kapò tutta l'Europa è incivile.

    Imm(p)unità.

    L'articolo 68 della Costituzione, che regola le guarentigie dei parlamentari, stabilisce che essi non possono essere intercettati se non previa l'autorizzazione della Camera di appartenenza.
    (in pratica non possono essere intercettati mai, vista l'assurdità di avvertire qualcuno prima di intercettarlo)
    Nel senso che non si possono controllare i telefoni dei deputati e dei senatori.
    Se però costoro parlano con un privato cittadino controllato, l'art. 68 non prevede alcuno sbarramento per i giudici: la conversazione dovrebbe esser perfettamente utilizzabile.
    Invece non lo è più: la legge Boato
    (capogruppo dei verdi, già noto per le bozze bicamerali)
    n.140 del 20/6/2003, definita «sporca e oscena» da Franco Cordero, fodera gli eletti con un nuovo scudo protettivo.
    Se l'indagato intercettato parla con un parlamentare
    (magari rivelandogli la verità su un delitto passato o futuro)
    il gip non può usare la conversazione senza l'autorizzazione del Parlamento.
    E se il Parlamento, entro 10 giorni, risponde no o non risponde proprio, la bobina dev'essere «immediatamente distrutta».
    Come se non fosse mai esistita.
    Così, paradossalmente, chi non ha nulla da nascondere
    (come dice Fassino sulle telefonate con Consorte)
    non può ottenere la pubblicazione integrale delle sue conversazioni.
    Queste infatti, grazie a quella legge, sono coperte da omissis, che potrebbero cadere solo se il gip chiedesse il permesso alla Camera.
    Il che potrebbe avvenire solo se contenessero notizie di reato.
    Risultato:
    la garanzia di impunità per tutti getta sospetti su tutti.

    Privacy.
    Fino a qualche anno fa il giudice, ricevuti i brogliacci delle intercettazioni, scremava subito quelle utili alle indagini da quelle relative a fatti privati e dunque irrilevanti.
    Depositando le prime a disposizione di indagati e avvocati, e distruggendo le altre.
    Poi, proprio su pressione della categoria forense che non si fidava delle scelte dei giudici, si pretese una «discovery» totale di tutte le intercettazioni, utili e inutili, dinanzi alle parti.
    Così la scrematura avviene di solito a fine indagine, quando gli indagati e i loro avvocati hanno ricevuto tutte le carte.
    Ora, il pm è tenuto al segreto, altrimenti commette il reato di rivelazione di notizie riservate; ma le parti private
    (indagati e avvocati)
    no!
    E possono aver interesse a passare ai giornali le intercettazioni, o una parte di esse, senza commettere alcun reato.
    Proprio ciò che accade in questi giorni.
    Vogliamo tornare alla discrezionalità del giudice, che decide nel segreto del suo ufficio cosa stralciare e cosa no?
    Non è meglio il controllo di tanti occhi, stampa compresa, per valutare la fondatezza di certe indagini e di certi arresti?

    Segreto istruttorio.
    «Alle violazioni del segreto istruttorio siamo abituati», dice Giulio Andreotti
    con l'aria di chi la sa lunga.
    Che strano: era proprio lui capo del governo nel 1989, quando fu varato il nuovo Codice di procedura penale che abolì il segreto istruttorio.
    E lo sostituì con il segreto investigativo, infinitamente più ristretto: vietato pubblicare solo le notizie non ancora «conoscibili dall'indagato».
    Per esempio le iscrizioni nel registro degl'indagati.
    (sempreché l'interessato non lo sappia già)
    Tutto il resto
    (avvisi di garanzia, ordini di cattura o sequestro o perquisizione, intercettazioni depositate, interrogatori e testimonianze)
    non è più segreto;
    (art. 329)
    e chi lo pubblica non integralmente, ma nel contenuto, non commette reato.
    (art. 114)
    Dunque le telefonate Bankitalia-Antonveneta-Bnl, essendo note agl'indagati, non sono segrete.
    Il segreto nel nuovo Codice è a esclusiva tutela delle indagini.
    La reputazione è tutelata dalle norme sulla diffamazione.

    Come dice Piercamillo Davigo:
    «se mi danno del ladro, è ridicolo rispondere: “È un segreto”.
    Bisognerebbe rispondere: “Non è vero”».

    Potendo, s'intende.

    Greetings from Mars...

  8. #1258
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    Predefinito Depistaggi 2...

    Ascolto (senza guardare) il TG5 delle 11,30 di oggi, ferragosto 2005; e mi viene detto che, secondo il rapporto sull'ordine pubblico e criminalità, presentato ieri dal ministro Pisanu,
    "sono diminuiti gli omicidi, i furti e le rapine".

    Bene! E che lo dica il TG5 di Rossella 2000 è, ovviamente, solo un "caso".
    Peccato che il "suo" ministro "di riferimento" non abbia detto anche ALTRO.

    Il ministro dell'interno ci ha spiegato, si, che da quando c'è il Cavalier Patacca i ladri e gli assassini hanno fatto un passo indietro; e lo ha spiegato citando cifre e percentuali.
    Ha precisato, è vero, che sono diminuiti omicidi, furti d'auto, rapine, scippi e borseggi.
    E ci sarebbe da festeggiare a champagne.
    (come probabilmente ha fatto Rossella 2000 nel passare la velina per il TG5 delle 11,30)

    C'è, però, un piccolo "neo" che interviene a "guastare" le statistiche squadernate dal ministro bananas:
    le truffe aumentano.
    E non di poco.
    Rispetto al quadriennio in cui ha governato il centro-sinistra, sono cresciute del 69%.

    C'è da immaginarsi che il Cavalier Pataccaro non ne sarà rimasto contento.
    Non fosse altro che, nel suo "Contratto con gli italiani", ha promesso una "forte riduzione del numero dei reati"
    Del numero COMPLESSIVO, si presume.
    E questi truffatori gli stanno rovinando la partita.

    Anche sei i "bravi" Pisanu e Rossella 2000 hanno cercato di indorargli la pillola,
    (sostenendo con una piroetta logica che è "un chiaro segno di crescente fiducia nelle forze dell'ordine")
    il dato resta li, nella sua nuda eloquenza.
    Ed il quinquennio dei due governucoli del Cavalier Depenalizzato, rischia di passare alla storia come quello del boom delle truffe, della rivincita dell'imbroglio, dell'exploit del raggiro.

    Non saprei dire il perchè, ma ho l'impressione che la "notizia" non abbia colto di sorpresa gli italiani.

    Greetings from Mars...

  9. #1259
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    Predefinito Re: Depistaggi...

    In Origine Postato da MrBojangles
    A tre settimane dall’uscita delle prime telefonate su Bankitalia-Antonveneta, si continua a parlare più delle intercettazioni che del loro contenuto.

    Inizialmente,
    (grazie al polverone sollevato dal presidente del Senato Pera e ora da quello della Camera Casini)
    si parlava di «senatori intercettati».
    Una balla talmente dozzinale che s'è dovuto cambiare musica, denunciando da destra e da sinistra le cosiddette «violazioni del segreto istruttorio e della privacy».
    E tutti li ad invocare riforme,
    indagini parlamentari,
    chiarimenti dai giudici,
    pene esemplari per i giornalisti.

    Anche questo bailamme è fondato sul nulla più assoluto, perché tutte le intercettazioni fin qui pubblicate non sono coperte da segreto e dunque sono pubblicabili, in quanto depositate dai pm e dal gip nei provvedimenti di sequestro e di interdizione e nei relativi allegati, dunque noti a tutti gli indagati e avvocati.

    Ma, visto che il gioco sporco per ottenere nuove impunità bipartisan prosegue, conviene fare un po' d'ordine.

    Avvocati.
    La loro esperienza in Parlamento è senz'altro utile, ma il fatto che siano avvocati quasi tutti i parlamentari
    (di destra e di sinistra)
    che più insistono per riformare per l'ennesima volta la materia, dovrebbe suggerire qualche sospetto di conflitto d'interesse: quanti penalisti-deputati o senatori difendono indagati in processi basati su intercettazioni?

    Cimici.

    In molti paesi, servizi segreti e forze di polizia possono spiare i cittadini senza informare la magistratura né render conto a nessuno.
    (in America può disporle persino la Sec, la nostra Consob)
    Per questo l'Italia risulta in testa alla classifica delle intercettazioni: in Italia
    (salvo per la nuova legge antiterrorismo)
    per intercettare qualcuno non basta nemmeno la volontà del pm: occorre un provvedimento del gip, cioè un giudice terzo.
    E in media le intercettazioni possono durare per 20 giorni, dopodiché occorre un nuovo provvedimento di proroga del giudice.
    Non si possono disporre per tutti i reati, ma solo per i più gravi, quelli non colposi con pena massima oltre i 5 anni.
    Non solo per mafia e terrorismo, come vorrebbero Bugiardoni, Pecorella & C., ma anche per i reati che li alimentano: usura, corruzione, concussione, traffici di droga,armi e uomini, estorsione e così via.

    Europa.
    Secondo il Cavalier Patacca,
    (inspiegabilmente laureato in legge ma digiuno di diritto)
    le intercettazioni per reati finanziari «non sono degne di un paese civile».
    Eppure sono previste da una legge varata dal Parlamento
    (dove lui ha la maggioranza)
    il 18 aprile 2005, in attuazione della direttiva comunitaria del 2004 che aggiunge ai reati per cui è consentito intercettare l'«abuso di informazioni privilegiate» e la «manipolazione del mercato».
    Così i pm di Milano hanno potuto intercettare i finanzieri accusati di reati punibili con meno di 5 anni, come l'aggiotaggio e le manovre fraudolente sui titoli.
    In tutta Europa già si fa così; ma, evidentemente, per il Cavalier Kapò tutta l'Europa è incivile.

    Imm(p)unità.

    L'articolo 68 della Costituzione, che regola le guarentigie dei parlamentari, stabilisce che essi non possono essere intercettati se non previa l'autorizzazione della Camera di appartenenza.
    (in pratica non possono essere intercettati mai, vista l'assurdità di avvertire qualcuno prima di intercettarlo)
    Nel senso che non si possono controllare i telefoni dei deputati e dei senatori.
    Se però costoro parlano con un privato cittadino controllato, l'art. 68 non prevede alcuno sbarramento per i giudici: la conversazione dovrebbe esser perfettamente utilizzabile.
    Invece non lo è più: la legge Boato
    (capogruppo dei verdi, già noto per le bozze bicamerali)
    n.140 del 20/6/2003, definita «sporca e oscena» da Franco Cordero, fodera gli eletti con un nuovo scudo protettivo.
    Se l'indagato intercettato parla con un parlamentare
    (magari rivelandogli la verità su un delitto passato o futuro)
    il gip non può usare la conversazione senza l'autorizzazione del Parlamento.
    E se il Parlamento, entro 10 giorni, risponde no o non risponde proprio, la bobina dev'essere «immediatamente distrutta».
    Come se non fosse mai esistita.
    Così, paradossalmente, chi non ha nulla da nascondere
    (come dice Fassino sulle telefonate con Consorte)
    non può ottenere la pubblicazione integrale delle sue conversazioni.
    Queste infatti, grazie a quella legge, sono coperte da omissis, che potrebbero cadere solo se il gip chiedesse il permesso alla Camera.
    Il che potrebbe avvenire solo se contenessero notizie di reato.
    Risultato:
    la garanzia di impunità per tutti getta sospetti su tutti.

    Privacy.
    Fino a qualche anno fa il giudice, ricevuti i brogliacci delle intercettazioni, scremava subito quelle utili alle indagini da quelle relative a fatti privati e dunque irrilevanti.
    Depositando le prime a disposizione di indagati e avvocati, e distruggendo le altre.
    Poi, proprio su pressione della categoria forense che non si fidava delle scelte dei giudici, si pretese una «discovery» totale di tutte le intercettazioni, utili e inutili, dinanzi alle parti.
    Così la scrematura avviene di solito a fine indagine, quando gli indagati e i loro avvocati hanno ricevuto tutte le carte.
    Ora, il pm è tenuto al segreto, altrimenti commette il reato di rivelazione di notizie riservate; ma le parti private
    (indagati e avvocati)
    no!
    E possono aver interesse a passare ai giornali le intercettazioni, o una parte di esse, senza commettere alcun reato.
    Proprio ciò che accade in questi giorni.
    Vogliamo tornare alla discrezionalità del giudice, che decide nel segreto del suo ufficio cosa stralciare e cosa no?
    Non è meglio il controllo di tanti occhi, stampa compresa, per valutare la fondatezza di certe indagini e di certi arresti?

    Segreto istruttorio.
    «Alle violazioni del segreto istruttorio siamo abituati», dice Giulio Andreotti
    con l'aria di chi la sa lunga.
    Che strano: era proprio lui capo del governo nel 1989, quando fu varato il nuovo Codice di procedura penale che abolì il segreto istruttorio.
    E lo sostituì con il segreto investigativo, infinitamente più ristretto: vietato pubblicare solo le notizie non ancora «conoscibili dall'indagato».
    Per esempio le iscrizioni nel registro degl'indagati.
    (sempreché l'interessato non lo sappia già)
    Tutto il resto
    (avvisi di garanzia, ordini di cattura o sequestro o perquisizione, intercettazioni depositate, interrogatori e testimonianze)
    non è più segreto;
    (art. 329)
    e chi lo pubblica non integralmente, ma nel contenuto, non commette reato.
    (art. 114)
    Dunque le telefonate Bankitalia-Antonveneta-Bnl, essendo note agl'indagati, non sono segrete.
    Il segreto nel nuovo Codice è a esclusiva tutela delle indagini.
    La reputazione è tutelata dalle norme sulla diffamazione.

    Come dice Piercamillo Davigo:
    «se mi danno del ladro, è ridicolo rispondere: “È un segreto”.
    Bisognerebbe rispondere: “Non è vero”».

    Potendo, s'intende.

    Greetings from Mars...
    Ho letto un bellissimo articolo sul sole 24 ore cartaceo che parlava del "Decalogo" del
    lanciatore di merda, del tipo:
    - piu' l'accusa è vera, con maggior veemenza la si contesta
    - bisogna immediatamente gridare all'ingiustizia e al complotto politico e se arriva una sentenza di condanna questa rappresenza la prova dell'esistenza del complotto stesso
    - mai parlare del reato ma concentrarsi sullo strumento (cosa evidente in questo caso)

    non ne ricordo altri ma era molto carino... se lo ritrovo ve lo posto.
    Saluti
    Nel nulla il potere si rassicura!

  10. #1260
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    Predefinito Re: Re: Depistaggi...

    In Origine Postato da BlocNum
    Ho letto un bellissimo articolo sul sole 24 ore cartaceo che parlava del "Decalogo" del
    lanciatore di merda, del tipo:
    - piu' l'accusa è vera, con maggior veemenza la si contesta
    - bisogna immediatamente gridare all'ingiustizia e al complotto politico e se arriva una sentenza di condanna questa rappresenza la prova dell'esistenza del complotto stesso
    - mai parlare del reato ma concentrarsi sullo strumento (cosa evidente in questo caso)

    non ne ricordo altri ma era molto carino... se lo ritrovo ve lo posto.
    Saluti
    (è stato già postato; ma non mi ricordo in quale 3ad)


 

 
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