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    Predefinito Briganti piemontesi: Mayno della Spinetta

    Tra i briganti piemontesi che "infestarono" la regione nord-occidentale italiana nel periodo intercorrente fra la prima campagna napoleonica (1796) e la fine dell'impero del Bonaparte (1814), il più celebre, quello più ricordato dalla tradizione popolare è senz'altro Giuseppe Antonio Mayno (o Maino o Majino), detto Mayno della Spinetta (Maien d'la Spinetta), detto pure "l'Imperatore della Fraschetta" e dai francesi "il terrore dei dipartimenti al di là delle alpi".
    La Fraschetta è la zona pianeggiante (ai tempi prevalentemente boschiva), che si situa nel triangolo fra Alessandria, Tortona e Novi Ligure.
    Spinetta Marengo, a pochi chilometri da Alessandria, ed oggi suo sobborgo e frazione, vide i natali di Giuseppe Antonio Mayno secondo alcuni nel 1780, secondo altri, sulla base di documenti rinvenuti nella Chiesa parrocchiale spinettese (ma l'atto di nascita andò bruciato insieme a tutta la documentazione ai tempi della famosa battaglia di Marengo, avvenuta nei pressi), nel 1784.
    I genitori, contadini, erano Giuseppe Mayno (o Maino o Majino) e Maria Roveda. L'unico dato certo e documentato è che Giuseppe Antonio Mayno nel 1803, quando era un giovane diciannovenne (o al massimo ventitreenne) sposò la nipote sedicenne del parroco di Spinetta, tale Cristina Ferraris (o Ferrari).
    "L'Imperatore della Fraschetta" (detto anche "Re di Marengo e Imperatore delle Alpi" ) avrebbe iniziato ufficialmente la sua attività di brigante proprio il giorno del suo sposalizio, quando essendo venuto meno al divieto delle autorità francesi di portare le armi da fuoco, avrebbe sparato per festeggiare la sposa, e accorsi i gendarmi avrebbe ingaggiato un conflitto a fuoco con loro ferendo o uccidendo "un maresciallo".
    Il Piemonte era già stato annesso alla Francia e gli "alberi della libertà" erano stati piantati nelle piazze dei maggiori comuni, mentre le truppe "liberatrici", come tutti gli stanieri invasori depredavano le campagne, violavano le fanciulle, distruggevano i raccolti, requisivano il bestiame ai contadini già ridotti al minimo di sussistenza dalle frequenti carestie e dalla guerra, la peggiore delle sventure. Inoltre offendevano i sentimenti religiosi e le tradizioni a cui le plebi rurali. come molti altri piemontesi ,erano senz'altro attaccate.
    Mentre la ben nutrita borghesia cittadina aderiva in buona parte alle "idee francesi", compreso certo "clero democratico", il popolino, che subiva sulla propria pelle la nuova forma di oppressione e i nuovi padroni, niente affatto migliori dei precedenti, aveva modo di constatare le stridenti contraddizioni fra le parole di libertà ed eguaglianza predicate dai "giacobini" e la realtà dei fatti.
    Nell'alessandrino, come nel resto della regione, alcuni detti popolari mettevano in evidenza tutto questo:
    "Libertè, egalitè, fraternitè - i franseis an carosa e i Lisandren a pe'" , "Libertè, fraternitè, egalitè la moglie tua dammela a me" - "Libertè, fraternitè, egualitè spogliarti te e vestirmi me".
    I contadini affamati non tolleravano certo lo spettacolo offerto dagli invasori , e nella Fraschetta di Alessandria, come in molte altre parti del piemonte l'odio antifrancese imperversa in modo direttamente proporzionale alla fame e alle angherie dei "liberatori".

    I contadini con alla testa molti parroci... abbattono in molte piazze gli "alberi della libertà", imposti da occupanti e giacobini locali, al grido di " Albero senza radici, berretto senza testa, sono minchioni quei che hanno fatto la festa ".
    Nel 1799 quando si vota il plebiscito per l'annessione alla Francia i comuni della Fraschetta alessandrina, da Pozzolo Formigaro, Mandrogne, Spinetta, Frugarolo, Castellazzo, fino a raggiungere l'acquese fino a Strevi, si ribellano e disertano il voto. Oviglio, Sezzadio, Castelferro insorgono.
    Ad Alessandria tal Ubaldo Piola comanda la Guardia Nazionale e si prepara alla difesa della città dai possibili assalti dei contadini insorgenti, riesce a respingerli e li insegue fino a Castelferro dove è a propria volta respinto dai contadini e dai briganti.
    Il popolo di Acqui Terme, rifiutando l'annessione cerca di proclamarsi repubblica indipendente.
    Dietro a tutti questi avvenimenti i francesi vedono non solo le ragioni sociali e culturali locali, ma anche la cospirazione degli agenti inglesi, che senz'altro hanno preso contatto con qualche banda, sicuramente con il barbettismo.

    Mayno non è stato ne' il primo ne' l'ultimo brigante della Fraschetta di Alessandria.
    Nel 1796 un ominimo, tal Antonio Maino detto Passapertutto, forse parente del nostro, e Andrea Oddone detto Gian o Giuan, operavano aggressioni e depredamenti sulla streda fra Alessandria e Tortona, assassinando almeno sette francesi. In data 17 agosto 1797 fu il regio Senato di Torino a condannare i due briganti alla pena di morte per mezzo della ruota e allo squartamento, pena commutata per grazia del re Carlo Emanuele IV di Savoia "all'appiccagione finchè l'anima sia separata dal corpo", sentenza eseguita sulla piazza di alessandria poco dopo.
    A quel tempo Giuseppe Antonio Mayno aveva fra i 13 (più probabilmente) e i 17 anni (secondo le diversi ipotesi sulla sua data di nascita).
    Secondo taluni Mayno era analfabeta, secondo altri aveva un'istruzione ben superiore alla media dei suoi paesani, avendo passato qualche anno della sua prima giovinezza addirittura in seminario.
    Prima del suo matrimonio del 1803 e del suo darsi alla macchia non si hanno notizie certe, solo molte voci e ...leggende, non tutte necessariamente infondate, ma talune francamente improbabili, come quella che lo vuole guerreggiare con le truppe reali contro i francesi e poi con i briganti antifrancesi appoggiati dall'Inghilterra, i famosi BARBETTI del torinese e cuneese (ma presenti in tutto il Piemonte e nel nizzardo).
    Sicuramente Mayno non inizio' la sua vita di bandito nel 1803, è molto probabile che avesse già avuto parte ad azioni di piccole bande locali, e che già avesse sulla coscienza più di una violazione della legge, forse qualche rapina, forse anche qualche sparatoria con i francesi a colpi di spacciafosso.
    Una delle ipotesi più accreditate è invece quella che vuole Giuseppe Antonio Mayno diventare un bandito, prima dei venti anni, per non fare il soldato. Un renitente alla leva o un disertore insomma.
    E la coscrizione obbligatoria fu una delle iniziative dell'occupante , dopo l'annessione del Piemonte alla Francia, che aggravò senz'altro l'avversione del popolino, dei contadini, già alle prese con ben altri problemi di sopravvivenza, al regime della "libertà".

    continua...

  2. #2
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    "continua" "continua" E allora ?... Quanto devo ancora aspettare

  3. #3
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  4. #4
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    Secondo alcuni i "frascaroli" o "Mandrogni" sarebbero discendenti dei Saraceni che intorno all'870 d.c.partendo dalla loro base di "Frasinetum", non lontano da Sanit-Tropez, in Provenza, per oltre un secolo avrebbero terrorizzato il Monferrato con le loro scorrerie al di qua delle Alpi.
    Ciò spiegherebbe la "riottosità" degli abitanti dei paesi nelle immediate vicinanze di Alessandria, conosciuta un tempo per tutta la Valle Padana. In passato si diceva infatti che in terra Mandrogna seminando fagioli nascevano ladri e che non necessitavano cimiteri, giacchè gli abitanti morivano sicuramente in prigione.
    Fatto è che il 4 dicembre 1803 il Prefetto del Dipartimento di Marengo scrive al Sindaco di Alessandria una lettera in cui vengono per la prima volta citati i "freres Mayno", qualificati come ladri e non ancora come briganti.
    Secondo alcune ricostruzioni la banda di Mayno della Spinetta avrebbe presto raggiunto i duecento componenti. Denominato "capo di ladri", Mayno della Spinetta è invece nell'interpretazione di Angelo Brofferio " fatto inconsapevole strumento della causa dei nobili e dei preti" ed è addirittura qualificato quale "comandante di guerriglia" .
    Non così il Viganò che scrive con durezza : " se dalle grida e dal pubblico, meno le ultime classi, Giuseppe era chiamato un brigante, un ladro, un assassino; se le leggi il dannavano alla pubblica vendetta, gli si dava cio' che era del merito suo" .
    Persino il grande Cesare Lombroso, sul finire del XIX secolo in " L'uomo delinquente in rapporto all'antropologia, alla giurisprudenza ed alle discipline carcerarie " si occupò di Mayno della Spinetta e del suo personaggio pronunciando un giudizio impietoso, fondato sulla positivistica e scientistica fede nella società borghese, riconducendo le gesta e la leggenda del grande brigane monferrino alla loro natura di rivolta contro l'ordine legale. Il Lombroso considera Mayno della Spinetta un delinquente ed un criminale comune, un malvagio che si oppone alla società degli Onesti con la fisionomia del "vendicatore politico", in cui si nota certo qualche lampo di generosità, ma in un contesto delinquenziale irrimediabile. Per il Lombroso " questa generosità, questo colorito di parte non erano che una vernice per coprire le azioni malvagie, per combattere la legge nemica del mal fare, sotto nome di combattere il Governo, forse qualche volta per illudere se stessi" .
    Anche il Ruggiero e il Colli non sono meno categorici nel relegare la figura di Mayno fra i delinquenti di strada, i ladri e gli assassini, ma tutta la tradizione popolare alessandrina, frascarola e monferrina, come taluni studiosi più sensibili alle contraddizioni sociali del Piemonte napoleonico, sono d'altro avviso. E forse è fra i due estremi che anche in questo caso occorrerà cercare il vero.

    La Banda di Mayno forse non raggiunse mai le dimensioni che gli furono attribuite. Forse soltanto in alcune circostanze riuscì a raggruppare i 200 uomini di cui parlano taluni storici. Il fatto è che dopo la sua fine, compariranno davanti ai giudici ben 49 componenti del gruppo di briganti mandrogni. Giuseppe Mayno sarebbe stato il cinqueantesimo e altri, nel frattempo, morti ammazzati, avrebbero fatto salire il numeo ad una sessantina.
    Nella banda di Mayno della Spinetta militavano certamente i fratelli di Giueppe Antonio: ossia Francesco Antonio (più anziano di Giuseppe ), Giovanni di poco più giovane, e il quattordicenne Domenico.
    Tra gli altri briganti troviamo tal Stefano Barberis (detto Ratatuia) che morì in un conflitto a fuoco presso la Bandita, un cascinale presso Montenotte, dal nome sinistro e.....indicativo, come tanti toponimi.
    Anche Giuseppe Cangiaso detto il Sanguinario, il sarto Paolo Ferraris detto il Segretario (fratello della moglie di Giuseppe Mayno) e Secondo Morelli sono membri della banda, come Giuseppe Antonio e Sebastiano Frachia, Giovanni e Felice Gambarotta, Bartolomeo e Felice Villacchia, GiovanBattista e Giuseppe Camagna, Giovanni Laguzzo, Giuseppe Arzone.. Anche alcune donne fanno parte del gruppo, ad iniziare dalla moglie di Mayno, la giovane Cristina Ferraris, Anna Maria Arzone, Rosa Cangiaso detta la nana, Maria Maddalena Semino.
    Tra i favoreggiatori della banda si trovano un parroco, un avvocato, un usciere della prefettura di Piacenza, un impresario, due osti, alcuni negozianti di bestiame, un pizzicagnolo e alcuni contadini.
    Scrive Michele Ruggiero : "la banda vive di scorrerie e dapprima sceglie come propria base le montagne sui confini con la Liguria, più tardi scenderà verso la pianura estendendo le proprie imprese verso la Lomellina e il Vercellese. La disciplina è rigida. Anche di Mayno (...) si dice che difende i diritti degli umili e che ruba ai ricchi per dare ai poveri: la caratteristica del 'brigante buono', cioè di quello sociale, il vendicatore delle offese, è presto formata.
    Abile e temerario Mayno sa tenere in scacco i francesi, si ricordano le sue gesta, spesso beffarde; molte altre gli sono attribuite dalla voce popolare, come quella di indossare la divisa della germanderia e di aggirarsi per la stessa Alessandria fono a farsi ospitare nella carrozza dal capo della polizia, senza che questi lo riconosca (...). Su un'impresa concordano molte fonti: avendo saputo che il Commissario Saliceti, ministro presso la Repubblica Ligure, deve attraversare il Piemonte per raggiungere Parigi, decide di derubarlo, ma, fermata la carrozza deve accontentarsi di togliere al malcapitato soltanto alcuni gioielli e la decorazione della Legione d'Onore"
    .
    Al di là delle dicerie popolari sembra proprio che Mayno della Spinetta abbia goduto di connivenze e complicità fra la polizia. Lo stesso commissario Dellepiane, un intrigante ed un corrotto, che i francesi incaricheranno delle indagini sulla banda di Mayno, faceva il doppio giuoco ed evitava di interferire con le attività dei briganti. Intanto il 19 gennaio 1804 Cristina Ferraris aveva dato alla luce la figlia di Mayno della Spinetta, Maria Teresa.
    Il 2 dicembre 1804, giorno dell'incoronazione di Napoleone, la banda di Mayno si rese protagonista di un'altra impresa, fermando fuori Alessandria, nei pressi di San Giuliano Vecchio, al bivio per Torre Garofoli, una vettura del convoglio di Papa Pio VII diretta a Parigi. Dalla carrozza venne trafugata una cassetta piena di gioielli.
    Scrive il Ruggiero : "I francesi dopo questo fatto sono sgomenti: il proprio prestigio di fronte al Papa è duramente scosso, a Parigi l'Imperatore si infuria; il prefetto di Alessandria, il Dauchy, emana ordini severissimi: bruciare le capanne di foglie sparse nella campagna, che sono sempre state un comodo rifugio per i malviventi, far girare le pattuglie, fermare i sospetti, arrestare i senza mestiere. Si giunge ad estremi mai visti, neppure durante la guerra: nottetempo vegono sbarrate le porte della città, le ronde perlustrano vie e piazze."

    continua....

  5. #5
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    Secondo alcuni i "frascaroli" o "Mandrogni" sarebbero discendenti dei Saraceni che intorno all'870 d.c.partendo dalla loro base di "Frasinetum", non lontano da Sanit-Tropez, in Provenza, per oltre un secolo avrebbero terrorizzato il Monferrato con le loro scorrerie al di qua delle Alpi.
    Ciò spiegherebbe la "riottosità" degli abitanti dei paesi nelle immediate vicinanze di Alessandria, conosciuta un tempo per tutta la Valle Padana. In passato si diceva infatti che in terra Mandrogna seminando fagioli nascevano ladri e che non necessitavano cimiteri, giacchè gli abitanti morivano sicuramente in prigione.
    Fatto è che il 4 dicembre 1803 il Prefetto del Dipartimento di Marengo scrive al Sindaco di Alessandria una lettera in cui vengono per la prima volta citati i "freres Mayno", qualificati come ladri e non ancora come briganti.
    Secondo alcune ricostruzioni la banda di Mayno della Spinetta avrebbe presto raggiunto i duecento componenti. Denominato "capo di ladri", Mayno della Spinetta è invece nell'interpretazione di Angelo Brofferio " fatto inconsapevole strumento della causa dei nobili e dei preti" ed è addirittura qualificato quale "comandante di guerriglia" .
    Non così il Viganò che scrive con durezza : " se dalle grida e dal pubblico, meno le ultime classi, Giuseppe era chiamato un brigante, un ladro, un assassino; se le leggi il dannavano alla pubblica vendetta, gli si dava cio' che era del merito suo" .
    Persino il grande Cesare Lombroso, sul finire del XIX secolo in " L'uomo delinquente in rapporto all'antropologia, alla giurisprudenza ed alle discipline carcerarie " si occupò di Mayno della Spinetta e del suo personaggio pronunciando un giudizio impietoso, fondato sulla positivistica e scientistica fede nella società borghese, riconducendo le gesta e la leggenda del grande brigane monferrino alla loro natura di rivolta contro l'ordine legale. Il Lombroso considera Mayno della Spinetta un delinquente ed un criminale comune, un malvagio che si oppone alla società degli Onesti con la fisionomia del "vendicatore politico", in cui si nota certo qualche lampo di generosità, ma in un contesto delinquenziale irrimediabile. Per il Lombroso " questa generosità, questo colorito di parte non erano che una vernice per coprire le azioni malvagie, per combattere la legge nemica del mal fare, sotto nome di combattere il Governo, forse qualche volta per illudere se stessi" .
    Anche il Ruggiero e il Colli non sono meno categorici nel relegare la figura di Mayno fra i delinquenti di strada, i ladri e gli assassini, ma tutta la tradizione popolare alessandrina, frascarola e monferrina, come taluni studiosi più sensibili alle contraddizioni sociali del Piemonte napoleonico, sono d'altro avviso. E forse è fra i due estremi che anche in questo caso occorrerà cercare il vero.

    La Banda di Mayno forse non raggiunse mai le dimensioni che gli furono attribuite. Forse soltanto in alcune circostanze riuscì a raggruppare i 200 uomini di cui parlano taluni storici. Il fatto è che dopo la sua fine, compariranno davanti ai giudici ben 49 componenti del gruppo di briganti mandrogni. Giuseppe Mayno sarebbe stato il cinqueantesimo e altri, nel frattempo, morti ammazzati, avrebbero fatto salire il numeo ad una sessantina.
    Nella banda di Mayno della Spinetta militavano certamente i fratelli di Giueppe Antonio: ossia Francesco Antonio (più anziano di Giuseppe ), Giovanni di poco più giovane, e il quattordicenne Domenico.
    Tra gli altri briganti troviamo tal Stefano Barberis (detto Ratatuia) che morì in un conflitto a fuoco presso la Bandita, un cascinale presso Montenotte, dal nome sinistro e.....indicativo, come tanti toponimi.
    Anche Giuseppe Cangiaso detto il Sanguinario, il sarto Paolo Ferraris detto il Segretario (fratello della moglie di Giuseppe Mayno) e Secondo Morelli sono membri della banda, come Giuseppe Antonio e Sebastiano Frachia, Giovanni e Felice Gambarotta, Bartolomeo e Felice Villacchia, GiovanBattista e Giuseppe Camagna, Giovanni Laguzzo, Giuseppe Arzone.. Anche alcune donne fanno parte del gruppo, ad iniziare dalla moglie di Mayno, la giovane Cristina Ferraris, Anna Maria Arzone, Rosa Cangiaso detta la nana, Maria Maddalena Semino.
    Tra i favoreggiatori della banda si trovano un parroco, un avvocato, un usciere della prefettura di Piacenza, un impresario, due osti, alcuni negozianti di bestiame, un pizzicagnolo e alcuni contadini.
    Scrive Michele Ruggiero : "la banda vive di scorrerie e dapprima sceglie come propria base le montagne sui confini con la Liguria, più tardi scenderà verso la pianura estendendo le proprie imprese verso la Lomellina e il Vercellese. La disciplina è rigida. Anche di Mayno (...) si dice che difende i diritti degli umili e che ruba ai ricchi per dare ai poveri: la caratteristica del 'brigante buono', cioè di quello sociale, il vendicatore delle offese, è presto formata.
    Abile e temerario Mayno sa tenere in scacco i francesi, si ricordano le sue gesta, spesso beffarde; molte altre gli sono attribuite dalla voce popolare, come quella di indossare la divisa della germanderia e di aggirarsi per la stessa Alessandria fono a farsi ospitare nella carrozza dal capo della polizia, senza che questi lo riconosca (...). Su un'impresa concordano molte fonti: avendo saputo che il Commissario Saliceti, ministro presso la Repubblica Ligure, deve attraversare il Piemonte per raggiungere Parigi, decide di derubarlo, ma, fermata la carrozza deve accontentarsi di togliere al malcapitato soltanto alcuni gioielli e la decorazione della Legione d'Onore"
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    Al di là delle dicerie popolari sembra proprio che Mayno della Spinetta abbia goduto di connivenze e complicità fra la polizia. Lo stesso commissario Dellepiane, un intrigante ed un corrotto, che i francesi incaricheranno delle indagini sulla banda di Mayno, faceva il doppio giuoco ed evitava di interferire con le attività dei briganti. Intanto il 19 gennaio 1804 Cristina Ferraris aveva dato alla luce la figlia di Mayno della Spinetta, Maria Teresa.
    Il 2 dicembre 1804, giorno dell'incoronazione di Napoleone, la banda di Mayno si rese protagonista di un'altra impresa, fermando fuori Alessandria, nei pressi di San Giuliano Vecchio, al bivio per Torre Garofoli, una vettura del convoglio di Papa Pio VII diretta a Parigi. Dalla carrozza venne trafugata una cassetta piena di gioielli.
    Scrive il Ruggiero : "I francesi dopo questo fatto sono sgomenti: il proprio prestigio di fronte al Papa è duramente scosso, a Parigi l'Imperatore si infuria; il prefetto di Alessandria, il Dauchy, emana ordini severissimi: bruciare le capanne di foglie sparse nella campagna, che sono sempre state un comodo rifugio per i malviventi, far girare le pattuglie, fermare i sospetti, arrestare i senza mestiere. Si giunge ad estremi mai visti, neppure durante la guerra: nottetempo vegono sbarrate le porte della città, le ronde perlustrano vie e piazze."

    continua....

  6. #6
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    La "Banda di San Giovanni" come talora viene denominata quella di Mayno della Spinetta, continua nelle sue imprese. Assalti, agguati, furti, assassinii..
    Come ricorda il Santelena : " Il nome di Giuseppe Mayno era su tutte le labbra (...) Si cominciò a dire che Mayno non era ne' un assassino, ne' un malfattore volgare (...) che chi aveva bisogno di denaro poteva rivolgersi a lui (...) Molte storie (...) già correvano su di lui, sui suoi sistemi, sulla sua lealtà (...). Tutti ormai dicevano bene di Mayno, e attratti dalla sua fama e anche dal miraggio della ricchezza sempre nuovi uomini correvano nelle sue file ".
    Il comandante francese della piazza di Alessandria, il Despinois è preoccupato, infatti l'attività dei briganti, siano essi o no della banda Mayno, diventa nella sua zona di competenza...sempre più frenetica.
    Il 10 febbraio 1805 tre viandanti sono uccisi durante una rapina nei pressi di Pozzolo Formigaro, nel novese. Un ex frate viene ucciso il primo aprile 1805 nella frazione alessandrina di Lobbi, presso il fiume Tanaro, mentre la madre del medesimo rimane ferita con il calcio di una pistola.
    Persino il Procuratore Capo di Alessandria, tale Gaspare Villavecchia, viene aggredito in piena città, sulla porta di casa, dai briganti frascaroli. Non sopravviverà alle ferite ricevute.
    I ricchi borghesei, spesso filo-francesi, per ideali o per opportunismo, sono le vittime predilette della banda di Mayno della Spinetta, e devono spesso, come vedremo trattando del caso più documentato, sia in Alessandria, che in Novi Ligure che in Castelnuovo Scrivia, pagare ai briganti "contributi", taglie e ricatti.
    Il 3 maggio 1805 Napoleone è in Alessandria, e informato della situazione dalle autorità francesi locali si decide a scrivere al proprio ministro di Polizia, il Fouchè, affinche' dia alla germanderia i mezzi necessari per la ricerca e la cattura dei briganti che infestano la zona e spesso si spingono fino in città.
    Il braccio destro di Mayno, ossia Giuseppe Cangiaso detto il Sanguinario, con una parte della banda, da lui controllata personalmente (fino a far pensare ai frncesi all'avvenuta costituzione, da parte sua, di una nuova formazione, autonoma, di briganti) agisce nel tortonese. Il 2 agosto 1805 la frazione comandata dal Cangiaso della Banda di Mayno (o di San Giovanni) si permette addirittura di organizzare un agguato ai gendarmi del Bourgois e del Verzone in quel di Lobbi. I gendarmi vengono attirati in un cascinale ove sperano, avendo ricevuto un'informazione a riguardo, di poter catturare il Cangiaso solo, in compagnia della sua donna, ma si trovano ad essere circondati da un folto gruppo di briganti, che armati fino ai denti di schioppi e spacciafossi, uccidono il Bourgois e feriscono almeno il gendarme Ceriano prima di fuggire fra i campi.
    Nel frattempo alla banda di Giuseppe Mayno si aggregano nuovi componenti: il Ghibaudi, il Gnifetto e il Vasino, definiti dal Ruggiero "uno più pericoloso dell'altro".
    La gendarmeria tenta di infiltrare un suo informatore, il Gabot (ossia il camparo Galba) , che viene però prontamente scoperto da Mayno che provvede a giustiziarlo, inchiodando nottetempo il suo cadavere all'olmo (denominato da allora "olmo della giustizia"), che si innalzava di fronte alla Chiesa di Spinetta Marengo, sulla stessa piazza ove si trovava la casa dello stesso Giuseppe Mayno. Al cadavere del Gabot, sarebbe stato attaccato anche un cartello con la scritta : " Così si fa ai tiranni che non rispettano la Compagnia di San Giovanni". Anche un tal Bruzotto, detto Brusla, guardia campestre, viene ucciso da Giuseppe Mayno per aver fatto attività di spia a favore di francesi e gendarmi.
    Travestito da mendicante o da frate il Mayno, dice la tradizione popolare di Spinetta, spesso rientra a casa a trovare la mogli, proprio nella piazza di Spinetta.

    Un ricco borghese alessandrino, tal Giovanni Franzini, è visitato nel frattempo da alcuni uomini della banda di Mayno la sera del 21 novembre 1805. I briganti, capeggiati dal Ferraris, cognato di Giuseppe Mayno, sono travestiti da soldati francesi e portano i pennacchi bianco, rosso, blu, chiedono al terrorizzato Franzini, quale riscatto per aver salva la vita propria e dei famigliari, la bella cifra edi 20.000 lire, quindi trattengono in ostaggio la sua famiglia, e siccome il Franzini non ha liquidi sufficienti presso di sè, per far fronte al pagamento, è autorizzato ad uscire nottetempo per raccogliere la somma presso gli amici. Sembra che tra detti amici, il banchiere e avvocato Carlo Capsone forse già in combutta con la banda (sarà infatti più tardi arrestato dai francesi con tali accuse) consiglia il Franzini di non portare con sè il denaro raccolto (circa 3.600 lire) ma di inviare una persona fidata a consegnarlo. I briganti chiedono però ulteriori soldi e il Franzini continua la colletta anche il giorno seguente, infine lasciano la casa e gli ostaggi intimando al Franzini di non fare parola dell'accaduto. La polizia è però presto informata da altri e apre ufficialmente un'inchiesta.
    Fatti simili erano già accaduti ad altri borghesi, tali Pavese e Peloso di Novi Ligure e anche a un ricco abitante di Castelnuovo.
    Il Franzini, benchè tenga porte e finestre sbarrate, e viva nella paura, viene ancora contattato dalla banda di Mayno con la richiesta di altro denaro, da consegnare (dice un biglietto fatto ritrovare affisso a un battente della porta, la vigilia di Natale del 1805) , al parroco di Spienetta Marengo. Il Franzini chiede al prete, tal Don Paolo Crova, che sarà successivamente arrestato quale complice della banda, di intervenire presso i briganti affinchè desistano dalla richiesta, in quanto lui non disponeva più di quattrini sufficienti per far fronte alla taglia. Sembra che....il Franzini e i briganti, tramite l'intercessione del parroco, siano giunti a un qualche....accomodamento.
    Ma ormai le autorità francesi e i collaborazionisti giacobini piemontesi sono determinati: il brigantaggio, politico, sociale o meramente criminale che sia......deve essere sgominato, sradicato, annientato. E' l'Imperatore in persona a richiederlo. La Banda di San Giovanni ha quindi i mesi contati.

    .....continua....

  7. #7
    Alessandra
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    Sento che la storia si sta avvicinando alla fine per cui da una parte non vedo l'ora che la posti ma nello stesso tempo un pò mi scoccia....potresti postare il finale a giorni alterni, che ne dici? Con brevi post possibilmente....

    ( )

  8. #8
    SENATORE di POL
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    A rafforzare la lotta contro il brigantaggio alessandrino, arriva dalla Francia un ufficiale, tale Galliot, che si era fatto un nome nella lotta contro i banditi dell'Ovest francese, alla testa del 56° squadrone.
    Il Galliot giunto ad Alessandria nella primavera del 1806 si mette subito al lavoro e dimostra immediatamente indubbie doti investigative e capacità organizzative sconosciute alla gendarmeria locale.
    Mayno della Spinetta, ventiduenne (posta, seguendo l'ipotesi più accreditata, la sua data di nascita nel 1784, mentre secondo altri avrebbe avuto al massimo 26 anni) è ormai leggendario, ma ha anche lui il suo punto debole: la moglie Cristina Ferraris e la piccola figlia, che di tanto in tanto si reca a trovare in paese. Galliot ricevuta infatti l'informazione che Cristina è di nuovo in Spinetta, anziché arrestarla la trasforma nella trappola ideale per il giovane brigante, facendola porre sotto stretta ma discreta sorveglianza.
    Il 12 aprile 1806 il Galliot viene finalmente informato che Mayno si trova "alla Spinetta", ma non nella casa della moglie, innanzi alla chiesa e al famoso "olmo della giustizia", ma in quella del cognato, tale Luigi Ferraris, alla periferia del paese in una regione denominata "Betale".
    A questo punto il Galliot attua il piano che aveva certamente già predisposto. Deve raggiungere Spinetta senza suscitare clamore, e al tempo stesso deve evitare che le spie della banda raggiungano il bandito prima dei gendarmi, facendolo sfuggire ancora una volta alla giustizia francese.
    " Senza clamori - narra il Ruggiero - fa riempire due normali vetture da viaggio di gendarmi e, appena lasciata Alessandria, ordina che siano chiuse le porte della città. Le spie sono tagliate fuori. Neppure la truppa è a conoscenza della missione. Le due vetture raggiungono la casa indicata, i gendarmi circondano l'edificio, bloccano le uscite. Il Galliot e l'aiutante Gouin entrano nella casa passando per il granaio, dove sorprendono due briganti che arrestano prima ancora che possano dare l'allarme. Viene sfondata la porta di una vicina stanza: Mayno è solo, seduto al tavolo, davanti a lui c'è una pistola. Sorpreso balza in piedi, afferra l'arma, fa per sparare, ma un gendarme lo previene e lo ferisce leggermente. Mayno spara a sua volta, il luogotenente GOUIN stramazza a terra; il brigante cerca di gettarsi fuori della stanza, ferisce ed è ferito. Un gendarme viene colpito con una pugnalata, infine un colpo di carabina sparato a bruciapelo abbatte Mayno. Cadendo, ha ancora la forza di colpire un milite. Quando è a terra i gendarmi gli scaricano addosso le carabine. E' finita. La gendarmeria ha pagato duramente l'uccisione: tra le sua file conta tre feriti, il Gouin è morto (...) Il cadavere di Mayno viene caricato su un carro agricolo e trasferito in città, tutto ciò che si trova nella casa del Ferraris viene gettato in strada e dato alle fiamme (...) Il Generale Menou informa il ministero degli Interni, elogia la gendarmeria, compiange il luogotenente Gouine fa stampare un manifesto con cui annuncia la morte di Mayno ".
    Questa, diciamo così, è la versione ufficiale della fine di Mayno della Spinetta, ma non è l'unica. La leggenda popolare vuole che Mayno, sorpreso nella casa del cognato, sia tuttavia riuscito, uccidendo il Gouin e ferendo altri gendarmi, a saltare fuori dell'abitazione, e mentre scappava via, dopo aver fatto strage di altri gendarmi, sarebbe stato ferito ad un tallone (come l'indiano Krishna e come l'acheo Achille) da un soldato che si era nascosto al riparo di un albero. Ormai immobilizzato, per non essere catturato, Mayno della Spinetta si sarebbe sparato alla tempia.
    Tra i documenti storici che parlano della fine di Giuseppe Antonio Mayno vi è una lettera di un cittadino alessandrino della buona borghesia, tal Francesco Carpani, che così scriveva al fratello, sottoprefetto in quel di Tortona :
    " Carissimo fratello, finalmente il famose Maijno ieri alle ore cinque terminò le sue tragiche scene, essendo stato ucciso alla Spinetta in casa di un suo cugino, ma non ha però mancato di fare una terribile difesa, avendo ucciso un tenente dei Gendarmi, un gendarme, e tre feriti mortalmente, e questa mane fu tradotto in Alessandria sovra un carro. Attualmente trovasi nella corte del Prefetto, lascio a voi il considerare quale possa essere la folla del popolo che corre per vederlo, e le sentinelle stesse non bastano per impedir la folla che colà vuole entrare per vederlo, io però curioso come li altri sono entrate con un ufficiale e lo viddì, non essendo più conoscibile per li gran colpi che ha di sciabola, pistole e fucili, insomma è tutto tagliato a pezzi. Si dice che domani sarà formato un palco in piazza, e che sarà abbrucciato ....
    Il Castelli scrive che " Tra la folla che in Alessandria si accalca attorno al palco fatale per vedere il brigante ucciso, vi sono anche i contadini della Frascheta che non riconoscono, non vogliono riconoscere in quel cadavere sfigurato, trapassato dai proiettili e fatto a pezzi dalle sciabole dei gendarmi, il *loro* Mayno. Il loro Maijen non può essere morto, Majin è tutti loro, è anzi il migliore di loro, l'unico che ha osato ribellarsi di fronte ai potenti opponendo violenza a violenza, facendo valere le ragioni dei diseredati e degli oppressi con lo spacciafosso in mano. Majin non è soltanto un uomo, è un simbolo, e i simboli non muoiono. ".
    Mayno della Spinetta è esposto per dieci ore su un palco costruito in Piazza d'Armi, ma non è bruciato, i francesi bonapartisti giacobini.... aborriscono certi metodi "barbari", retaggio dell'oscurantismo clericale medievale o dell'assolutismo dell'Antico Regime. Un cartello è posto sul povero corpo del bandito, ovviamente scritto in francese : " Le brigand Joseph Mayno della Spinetta a vecu ".
    Ben presto la gendarmeria, soddisfatta di questo clamoroso successo, si lancia alla caccia dei complici di Mayno, dei componenti della banda ma anche dei loro favoreggiatori.
    L'art. 1 del titolo terzo della seconda sezione del secondo titolo del Codice penale francese del 6 ottobre 1791, avente piena efficacia nel Piemonte annesso alla Francia Napoleonica, recitava:
    " Allorchè un delitto sarà stato commesso, chiunque sarà convinto d'aver col mezzo di doni, promesse, ordini o minaccie incitato il colpevole od i colpevoli a commetterlo;
    D'aver scientemente o con l'intenzione di delitto procurato al colpevole ed ai colpevoli i mezzi, armi o strumento, che hanno servito alla loro esecuzione;
    Od aver scientemente e con disegno di delinquere, ajutato ed assistito il colpevole od i colpevoli, sia nei fatti che hanno preparata o facilitata la sua esecuzione, o nell'atto stesso che lo ha consumato, sarà punito dalla stessa pena pronunciata dalla legge contro gli autori di detto delitto
    ".

    Continua....




  9. #9
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    un giorno lo completero' questo 3d.....

    Shalom

  10. #10
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    Merita di essere completato.
    E grazie. Nel frattempo lo segnalo ad altri amici, assieme a quello interessantissimo su Senato.

 

 
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