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Discussione: VENETO- G.Cìola

  1. #21
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    costruttiva sarebbe molto antica, del primo medioevo: qui noi propendiamo a credere si trovasse invece il quartiere longobardo, diviso, come nelle altre città italiane, da quelli abitati dalla popolazione gallo-romana, che si sarebbe in seguito consolidato nel quartiere teutonico medievale; significativo il nome della contrada S. Martino o «Burgus Sancti Martini», che, assieme al «Burgus Crucis» facevano capo alla Torre Verde, il contrassegno più vistoso della germanicità medievale della città, assieme alla torre del Wanga ed alla torre della Tromba, superstiti di altre abbattute.
    La colonia tedesca medievale, frutto in parte dell'immigrazione secondaria e terziaria di alcune corporazioni di arti e mestieri, aveva la sua parrocchia nella chiesa gotica di S. Pietro, riedificata dal vescovo Hinderbach, all'interno della quale una cappella ottagonale è dedicata al martire trentino Simone Unferdorben, di cui merita raccontare brevemente la storia. Il vescovo si era legato alla colonia ebraica che gli pagava 1000 ducati annui per la di lui protezione e benevolenza ed in più, essendo colti, amanti della musica e delle arti, si vedevano spesso invitati a palazzo, sollevando lo scandalo dei Trentini che si vedevano surclassati da quei «can de zudei». Inoltre imperversavano a quell'epoca le prediche infuocate di un frate francescano, Bernardino da Feltre, che accusava gli Ebrei di portare alla rovina la città con la loro usura. In questo clima, nell'anno 1475, quando un bimbo di circa due anni scomparve e fu trovato morto in una roggia, il popolo scatenò un pogrom di inaudita violenza contro gli Ebrei, assediando pure il castello vescovíle e chiedendo a gran voce la morte degli Israeliti e la confisca dei loro beni; il principe-vescovo Hinderbach, impaurito, fece condannare nove di loro allo squartamento, tutta la comunità venne bandita e i,loro beni confiscati. Nella cappella di S. Pietro un ignoto scultore teutonico ha raffigurato la scena del presunto assassinio rituale di Simone, con gli Ebrei torturatori che stanno seviziando il bambino: su una panca si vede un vaso per la raccolta del sangue; il gruppo è oggi conservato nel Museo Diocesano. E' interessante riferire che l'episodio di Simone fu concomitante con l'uscita del primo libro a stampa della città di Trento: il pavido Hinderbach, per giustificarsi di fronte alla nobiltà trentina, fece stampare in tedesco da un incisore un racconto illustrato del martirio del piccolo Símone, dal titolo: «Geschichte des zu Trient ermordeten Christenkindes» (:Storia del bambino cristiano assassinato a Trento).
    Quali furono le cause del declino del germanesímo in questa ultima marca germanica, che pure coinvolgeva una zona assai vasta? Dapprima il processo fu lento, pur soggiacendo l'elemento germanico alle stesse cause che lo videro perdente anche nella Lorena e nell'Alsazia di fronte all'elemento francofono, per la legge naturale secondo la quale la lingua parlata dalla parte economicamente attiva della popolazione è quella che prende immancabilmente il sopravvento sulla parte passiva; questa marca meridionale germanica geograficamente e quindi materialmente separata dalla propria nazione, circondata da ogni lato da popolazioni romanze che tenevano il predominio economico dei traffici e del commercio, non poteva resistere a lungo al processo di latinizzazione.

  2. #22
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    Pure qui agì potentemente l'influenza della chiesa romana che con la caduta del regno longobardo si appropriò di tutte le possessioni dei vinti e soprattutto del potere politico rimasto vacante. Ma fu con il Concilio di Trento (1545-1563), fortemente influenzato dai Gesuiti, e con la violenta repressione del Protestantesimo, che il germanesimo nel Veneto, Trentino e Friuli-Venezia Giulia, subì la condanna a morte, vedendosi in ogni gruppo familiare parlante tedesco un possibile terreno di coltura dell'eresía luterana.
    La curia romana fu determinante nel processo di sgermanizzazione, soprattutto nel territorio tridentino: a Borgo Valsugana il gruppo etnico germanico che, secondo lo storico locale Don A. Costa raggiungeva «quasi la metà della popolazione di allora», perderà nel 1560 il diritto di sentire le funzioni religiose nel suo idioma, con l'ultimo piovano teutonico Lugberto Conte; al piovano degli Italiani che si presenta a Feltre perorando i diritti della popolazione germanica del Borgo, il Vicario generale si oppone dicendo che venga presentato un ricorso alla Curia: vecchio sistema per rispondere negativamente, prendendo tempo: da quel giorno la pieve tedesca non avrà più il suo titolare. Lo stesso storico ci informa che si fondarono in diversi luoghi dei monasteri femminili, tra i quali quello di S. Anna a Borgo, per mettere a contatto le religiose dei due gruppi etnici:
    «Le religiose italiane, per carattere erano più aperte, gioviali, disciplinate nei confronti delle direttive impartite dalla Autorità ecclesiastica, che non le tedesche. La vita di comunità
    avrebbe prodotto un influsso benefico sulle religiose tedesche... e tale influsso avrebbe poi avuto positiva ripercussione sulle famiglie delle religiose stesse (... ) e mediante la influenza che ha la
    donna, affermare gli elementi nazionali, troppo spesso ribelli e ridurli ad unità in Dio e nella Chiesa».


    Don Costa ci spiega pure le ragioni di tali iniziative:
    «La situazione religiosa in quei tempi era molto difficile: la ventata di protestantesimo aveva lasciato tracce assai deleterie anche nella nostra gente, ma l'eresia attecchì profondamente,
    in modo speciale, nelle famiglie tedesche. (... ) Causa il protestantesimo e la benefica ed energica reazione della Controriforma che seguì, era fortemente sentita la necessità di una vita religiosa
    più intensa, disciplinata secondo le norme sapienti della moderna disciplina ecclesiastica».
    In un vecchio almanacco trentino un certo Gianpietro Beltrami ci riferisce che nel 1820
    in quel di Terragnolo si parlava ancora il vechio "slambrot": «Ed è maraviglia altresì che questo loro parlare essi soli l'abbiano sì lungo tempo conservato, quando tutti i popoli a loro circo
    stanti l'hanno scambiato (... ) anzi gli abitatori stessi di vicini monti di Vallarsa e di Folgaria hanno già da molt'anni tramutato il loro idioma nel nostro». Fu il loro parroco Leonardo Za
    nella a convincere il suo gregge a smettere tale "barbaro idioma", onde «conservare il forte sostegno ed unico della prosperità dei popoli, che è la Religione nostra Cristiano-Cattolica...
    Questi pose mano all'opera difficilissima di seppellire nella gola de' vecchi suoi popolani quella loro barbara lingua ed informe. Infatti da vent'anni in qua víen loro predicando e mostrando
    la necessità di un altro parlare; anzi oggimai ha predicato e tempestato e minacciato cotanto, che del suo imprendimento e della infinita fatica sua ora incomincia a coglierne il frutto: dacché
    i vecchi di quel paese, obbligati da lui per coscienza a non dover giammai parlare barbaramente

  3. #23
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    alla nuova generazione, questa è pervenuta per buona ventura a tale età e a tal termine da darne al mondo un'altra, ignorando al tutto quella barbara lingua, e parlando di continuo il nostro
    volgare roveretano. Di che noi vegiamo quel cotale idioma a tale stato, che in brevissimo tempo gli sarà morto e sepolto. E posciaché questo come sarà morto affatto nelle bocche di que' popoli,
    non vivrà già né anche nei libri, in cui non fu mai scritto...».

    Al convegno di Asiago dell'81, il prof. W. Maid dell'Unniversità di Innsbruck, ha incentrato la sua relazione su un prezioso documento superstite: un catechismo cimbro del 1602, stampato a Padova dalla Curia vescovile, nel quale egli ha ravvisato uno strumento tecnico per estirpare l'antica parlata, per la qual cosa si è provocatoriamente chiesto se la Curia si preoccupasse della «Propaganda Fidei» e non piuttosto della «Propaganda Linguae», italiana ovviamente, come si evince dallo studio critico del testo in questione.
    Il colpo di grazia al germanesimo dei venti comuni veneti fu la catastrofe del conflitto 1915-18 che sconvolse la vita di queste popolazioni, costrette a lasciare le loro montagne per un ambiente estraneo, interrompendo bruscamente l'apprendimento familiare della lingua materna alle nuove generazioni: questa fu proprio la fine.
    Confuteremo infine con motivi che speriamo validi un'ultima teoria, quella bavarese: dopo le esagerazioni del pangermanesimo ottocentesco e le controdeduzioni dei detrattori nazionalistici dell'altra parte, sembra che attualmente sia stato trovato un compromesso: sia la cultura ufficiale italiana, che quella d'oltralpe hanno adottato e fatta propria la teoria bavarese, secondo la quale lo sparuto germanesimo che non è possibile occultare, perché ancora evidente, sarebbe derivato da migrazioni medievali di famiglie venute dalle montagne della Baviera e del Tírolo.
    Senza voler negare del tutto una immigrazione secondaria e terziaria (e ci sono vari cognomi a dimostrarlo), le quali sarebbero state comunque qui di gran lunga minori che non nelle più ricche e vicine Valli di Non, di Sole, di Fiemme e di Fassa, non v'è chi non possa vedere la differenza che corre tra il territorio in questione e gli altri, perché nel primo i Germani vi furono in maggioranza e vennero semmai ulteriormente rafforzati dall'afflusso di coloni bavaro-tirolesi, come ai tempi del principevescovo di Trento Fredericus von Wanga, il quale ne favorì la venuta in quanto si rendeva conto che era già incominciato il declino della sua razza; mentre nei secondi i pur frequenti cognomi teutonici non hanno quasi per nulla alterato il tipo somatico dei nativi di ceppo reto-celtico.
    Parlando di tipi somatici, chiunque abbia un po' di dimestichezza con le popolazioni dei sette e tredici comuni, sa che sarebbe assai arduo paragonare i biondi longilinei, sia pur divenuti piuttosto rari, col tipo fisico bruno e tarchiato del bavarese.
    Aggiungiamo un'altra considerazione d'indole economica: non v'è chi possa convincerci del fatto che degli abitanti della ricca e opíma Baviera sarebbero venuti a cacciarsi fra questi monti a fare la fame!
    In tutto il territorio in questione c'è ancora intatto il ricordo dell'ordinamento in arimannie, in gastaldie (come nel Perginese) ed in "vicinie", come nei sette e tre

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  4. #24
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    dici comuni, che sono tipiche tradizioni longobarde, così come l'istituzione dei "saltarii" o "waldemanni".
    Ma la prova fondamentale è la tradizione militare dei c.d. Cimbri, ereditata dai loro avi arimanni.
    Sosteneva giustamente il Galanti che i Longobardi, alla stessa guisa dei Goti, non potevano aver coltivato i campi, occupati com'erano in continue guerre, a governare lo stato e a fronteggiare i nemici limitrofi; la condizione di coloni o servi della gleba s'addiceva ai vinti e non ai vincitori che disdegnavano i lavori campestri: essi infatti, per indicare gli altri Italiani, usano l'espressione 'Taurn" =contadini, a significare che, pur abitando in mezzo a loro nelle campagne, «non lo erano», perché arimanni. Nel Trentino il termine arimanno veniva usato comunemente per indicare il soldato di mestiere.
    Il Prof. Bellotto ha acutamente osservato che i "Cimbri" usano ancora il verbo "rústan", germ. "hrust", ted. "rústen", per vestirsi, abbigliarsi; ma che significava più propriamente «armarsi, indossare l'armatura e l'equipaggiamento militare»; altra voce il sostantivo "gheplettra" o "gaplettarach" =roba, che deriva da "plate"=piastra, armatura; anche maschera: "bohúta", da cui la veneziana baùta, sottende la celata, che è quella parte dell'armatura che protegge il viso.
    Enoto che il nerbo dell'esercito di Ezzelino da Romano era costituito da «montanari tedeschi», reclutati nella fascia pedemontana della Marca Trevigiana, nei tredici e sette comuni, nel Perginese e negli altri feudi tridentini a lui alleati.
    In tutto il medioevo, ma anche dopo, i "Cimbri" esercitarono preferibilmente il mestiere delle armi, al soldo dei più disparati condottieri ed in ogni paese: cognomi quali Danese, Danesin, Spagnollo, Spagnolli, ecc., stanno ad indicare una lunga militanza di qualche avo lanzichenecco agli ordini del re di Danimarca e di Spagna.
    Che la tradizionale fama di soldati di mestiere i"Cimbri" del Veneto la conservassero fino al XVII secolo è dimostrato dal Conte Francesco Caldogno, morto nel 1608, nella sua «Relazione delle Alpi Vicentine e de' Passi e Popoli loro».
    Ricordiamo infine, per averlo letto in varie riviste specializzate, della abitudine, durata fino al XIX secolo, invalsa tra i "Cimbri", di girare sempre armati di tutto punto, tanto che fuori dalle chiese esistevano apposite rastrelliere ove deporre spade e fucili per coloro che entravano ad assistere alle sacre funzioni.
    Contro l'ipotesi bavarese stanno pure le numerose reminiscenze pagane nei toponimi e che si riferiscono all'antica mitologia germanica: Thor, Odino, Freia; oltreché nelle canzoni, leggende e favole che raccontano di streghe, nani, folletti e di boschi sacri. Solo la libertà e la tolleranza religiosa dei Longobardi poteva permettere il perpetuarsi del paganesimo nordico sui nostri monti; se i Bavaresi fossero stati i soli colonizzatori, queste reminescenze pagane non ci sarebbero state perché essi erano già cristianizzati dal X secolo, come ci conferma la fioritura di misticismo
    251

  5. #25
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    che si ebbe sino al XIII secolo; nel medioevo quindi non avrebbero portato seco che le loro tradi7ioni cristiane.
    Anche il Dal Pozzo, studiando i montanari vicentini, ammette che essi fossero dapprima pagani, per divenire poi ariani, come è dimostrato da molte piccole chiese con «portico dinanzi», le quali esistevano fin dall'VIII secolo ed erano adorne di «pitture tacciate d'arianesimo», per la quale ragione i vescovi cattolici le fecero cancellare e intonacare, dopo la sconfitta di Desiderio.
    Il Cattolicesimo ha poi acquisito proselití dapprima nella pianura e solo dopo sulle montagne: le cinque chiese madri delle cappelle edificate in un secondo tempo sugli altopiani, sono quelle di Arsié, Campese, Marostica, Breganze, e Caltrano e ciò offre una ennesima prova che gli abitatori teutonici provenivano dalla pianura veneta e non dalla Baviera.
    Che l'immigrazione provenisse da sud anziché da nord lo ha ulteriormente dimostrato una interessante comunicazione della Prof. Giulia Maestrelli Anzillotti dell'Università» di Firenze al convegno sulle isole linguistiche di origine germanica dell'Italia Settentrionale del 1981, secondo cui nella Vallarsa i toponimi di origine germanica si addenserebbero a mano a mano che ci si addentra nella valle, in altre parole diminuirebbero spostandosi da sud verso nord, cosa che dovrebbe essere esattamente all'opposto se i colonizzatori fossero scesi dal Tirolo e dalla Baviera, secondo una logica linea di contiguità linguistico-territoriale.
    I documenti antichi sono rari: ne nomineremo tre, oltre al già citato atto di donazione del 967 di Berengario agli «arimanni ed altri uomini liberi» della Val Brenta. Il primo è un "Placito" dell'anno 845 ('3), nel quale sarebbero convenuti a Trento gli Sculdascí ("Schultheissen") e molti vassalli della zona di Pergine: «tanto Teutonici che Longobardi» («tam Teutisci quarn et Langobardi»); nel documento vengono nominate le località di Civezzano e di Fornace; a Civezzano venne scoperta nel 1885 una tomba principesca longobarda che ora si trova al museo "Ferdinandeum" di Innsbruck. Il secondo è del 22 gennaio del 969 e nomina una "Silva Hermanorum"=selva degli arimanni nel territorio di Verona, con cui l'imperatore Ottone I concede a questi arimanni, dei quali il Cipolla ammette che si trattasse di discendenti di una popolazione germanica, il diritto di pascolare, seminare, arare, con «dominio sulle persone della Selva Frizolana».
    Il terzo documento, contestato e definito apocrifo dai nazionalisti trentini, è il testo della dedizione di Pergine alla città di Vicenza, scritto nel cenobio di Valdo il 13 marzo 1166: in esso gli abitanti di Fierozzo, Roveda, Vignola, Frassilongo, che si erano ribellati alle angherie del Vescovo di Trento e dei Signori di Castel Pergine, si rivolgono per protezione ai Vicentini, forse perché questi avevano sotto il loro dominio altre popolazioni di ceppo germanico; gli unici a restare fedeli al loro Si
    (13) Igino Rogger: "Atti del convegno internazionale sulla Valle del Fersina", 1978.

  6. #26
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    gnore Gundibaldo sono i Pompermanni della «arimannia di Fierozzo». In tale documento si attestava che gli abitatori del Pergínese praticavano la legge salica e longobarda, «nella quale vivevano da cento, duecento, quattrocento anni», cioè fin dal1'VIII secolo! E' certo che gli abitanti dei villaggi del Perginese non avrebbero insistíto con tanto ardore nei loro diritti, se questi non fossero stati consacrati da una
    secolare tradizione (14).
    Il 25 agosto 1525, nel corso della rivoluzione contadina, venne ucciso dagli insorti di Strigno l'odiato capitano di Castel Ivano, Giorgio Picler: il cadavere fu trascinato sotto un grande olmo nella piazza del paese e tutti i capifamiglia passarono a schiaffeggiarlo, ripetendo l'antica tradizione germanica dell'assunzione della responsabilità collettiva da parte dell'intera comunità; ancora nel XVI secolo era operante, tra i valligiani della Valsugana, l'antica usanza della primitiva società
    germanica! (14 bis).
    Un ulteriore contributo alla tesi dell'antichità dei primi stanziamenti germanici nel Veneto è dato dai vocaboli che sono penetrati nel dialetto veneto e dei quali diamo un elenco, facendo notare che ben pochi sono recenti, la massima parte sono molto antichi e si ricollegano a termini antico-germanici, gotici e longobardi; per quelli di cui non siamo riusciti a trovare la voce arcaica ci siamo limitati a darne la traduzione nel tedesco moderno.
    Vocaboli longobardi ancora usati nella lingua "cimbra" sono:
    - "barba"=zio, "briku"=brìccone e "marascha"=strega (dal logb. "maschka"), - "balengo", "sbilenco": matto, svitato, dal logb. "bislink", - "banda": parte, dal got. "bandwa",
    - "bara": carro a due ruote, dal logb. "bahra", - "baruffa"-are: dal logb. "bihroffian",
    - "bargnifo", "mergnifo": dal logb. "ber-nif"=furbo, - "bega", "begare": lite, litigare, dal got. "bega", - "bessi", "bezzi": danari, dal germ. "Batzen",
    - "bicer": bicchiere, dal logb. "pehhari",
    - "bioto": solo, dal got. "blauts", germ. "blauta", - "braida": campo, dal logb. "braida",
    - "brase": brace, dal germ. "brace"= carbone,
    - "brenta", "brentana": recipiente per liquidi, dal germ. "Brintz"=fonte, - "broare", "broà": bollire, dal germ. "bruwejan" =bruciare, ted. "brúhen", - "brombo": prugna, dal germ. "pfruma", ted. "brombeere",
    - "brosa": brina, gelo, dal germ. "brost",
    - "bulo", "bullo": vanitoso, dal germ. "Bulle"=toro, ted. "Buhle"=amante, - "cotola": gonna, dal germ. "kottan"=rozzo tessuto di lana,
    - "croto", "cruoto": rospo, ted. "Króte", da cui "ingrotolire", "ingrotolio", "ingrotà",
    (14) "Storia della gente trentina", Ed. Marsilio.
    (14 bis) Nelle vicinanze di Castel Telvana furono trovate delle tombe longobarde con ricchi corredi

  7. #27
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    - "fiapo": moscio, ted. "schlapp"=fiacco,
    - "finco": fringuello, dal germ. "fink", ted. "Fink", - "finfarlo", fungo gialletto, ted. "Pfifferling",
    - "gaburo": contadino, termine veronese di etimologia incerta, - "gagia", "gaja", "gaida": grembo, dal logb. "gajda"=freccia,
    - "garanghela", "gringola": festa, baldoria, da "Geringel" =antica danza tirolese,
    - "gansega", "sansega" (mantovano "ganzaiga" ) : dal germ. "gagan-zaiga" =contraccambio, - "garbo": aspro, dal germ. "harwa",
    - "gaso", "gaseto": impuntura, dal logb. "gahagi",
    -"gloccare": suonare di campane, ted. "glocken" (per altri deriverebbe dal celtico), - "goto": bicchiere,
    - "gramo": misero, dal logb. "gram"=affanno,
    - "grampar": afferrare, dal got. "krampa"=uncino,
    - "grobiàn": contadino, dalla rad. ted. "grob" (Trentino), - "guarnelo": gonna rustica, dal logb. "warnjan",
    - "lossa", "lozza", "slosso": melma, sporco, dal germ. "lòss", - "magòn": nausea, dal germ. "mago"= stomaco, - "mis-mas": confusione, ted. "Misch-Masch", - "marantega": vecchiaccia, dal logb. "mara", -"far misdea": fare un macello, ted. "Missitat", - "napia", "napa" nasone, dal logb. "nappja"=naso,
    -"patela", "patelòn": sportello di stoffa sul davanti degli antichi pantaloni, dal got. "paida",
    logb. "paita",
    - "patufàr", "petufare": picchiare, ted. "betupfen", -"rapa": ruga, dal got. "rappa"=ragade del cavallo, - "rochelo", "rocheto" rocchetto, dal got. "rukka", - "rosta": sbaramento, dal germ. "rosta", "rosti",
    - "ruà", "ruar": mescolare, dal germ. "hrorian", ted. "riihren", - "ruspio": ruvido, dal logb. "ruspi", - "sai": donna sciatta e sporca, dal ted. "Sau"=scrofa, - "sata", "zata": zampa, ted. "Tatze",
    - "sbregar", "sbrego": strappare, strappo, dal got. "brikan", ted. "brechen",
    (per noi deriva dal celtico),
    - "sbrindola", "sbrindolona": bighellona, dalla rad. germ. "bunda", "benda", - "scafa": broncio, dal logb. "skafa",
    - "schincare", spuntare, dal logb. "skinko",
    - "schitare": cacare dei polli, dal germ. "skit", "skitan",
    - "scoco", "scoca": distratto, dal germ. "skokka"=sgualdrina, - "sgnappa": grappa, ted. "Schnaps", - "sgranfignar": rubare, dal lobg. "grinfan", - "sgranfo": crampo, dal logb. "krampfo", - "sguaita": guardia, dal germ. "wahta",
    - "slambroto": cibo disgustoso, dal ted. "Schlamm"=melma e"Brot"=pane? -"slandròn": ozioso, vagabondo, dal germ. "slander", ted. "schlendern"=oziare, - "slepa": manrovescio, dal germ. "slep", "slaip", - "smacàr": buttare giù, dal logb. "smahhjan", - "smalzo": strutto, ted. "Schmalz,
    - "scagno": scanno, dal logb. "skranna", - "schei": soldi dal logb. "kild" o "gild",
    254

  8. #28
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    "schena": schiena, dal logb. "skena", - "schinco": stinco, dal logb. "skinkan",
    - "scuri": imposte, dal logb. "skur", - "springo": lesto, dal germ. "springan",
    - "slapàr": divorare, dal logb. "slappan"; "slapòn": mangione, - "sparagnàr": risparmiare, dal germ. "sparanjan",
    - "stocàre": increspare, dal Igb. e germ. "stukan",
    - "stosare": urtare, dal got. "stautan", ted. "stossen",
    - steora": tassa, dal germ. "stiura", ted. "Steuer", - "strica": riga, dal logb. "strihha",
    - "strucàr": premere, dal germ. "trukjan", ted. "drncken",
    - "tataràr": sfaccendare, dal got. "taturan", "taturo", ted. "tattern",
    - "trambalàr": barcollare, dal got. "trimpan", ted. "trampeln", - "trage": armatura, ted. "Trage",
    - "valdora": accetta, dal germ. "waldo"=bosco.
    Ma l'ultima definitiva e inoppugnabile dimostrazione dell'antichità degli stanziamenti germanici la stava preparando il valoroso Prof. Alfonso Bellotto, il quale cessava di vivere mentre era intento alla stesura di un esauriente studio cronologico delle parole rinvenute nel dialetto "cimbro" attestanti una indiscussa vetustà: era la prova dell'esame glottologíco, scientificamente irrefutabile.
    Ma la teoria bavarese è vista dalla nostra cultura ufficiale come il male minore ed imposta come una verità da non discutersi; chissà perché la tesi longobarda è riguardata come un mito pericoloso e chi la sostiene, senza altro scopo che quello dettato dai propri convincimenti maturati dopo decenni di studio glottologico in loco, viene trattato da mitomane, come è accaduto al Prof. Bellotto alla chiusura del Convegno di Asiago del 1981: un esponente politico locale ha dichiarato, senza mezzi termini, facendo eco alle parole di un docente patavino, che era ora di finirla con dei miti inconsistenti e che lo studio antropologico doveva essere condotto al di fuori dei dilettantismi o del folklore ed essere riservato solo agli addetti ai lavori, cioè agli ambienti universitari che detengono il monopolio della cultura ufficiale. Queste dichiarazioni non hanno mancato di colpire sfavorevolmente anche lo scrittore M. Rigoni-Stern, cimbro autentico, che questi miti conosce e sa che essi traggono origine da una storia mai scritta, ma non per questo meno vera.

  9. #29
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    Predefinito Il più grande ghibellino del Veneto

    La storia falsificata dai massoni e dai chierici ha fatto di Ezzelino da Romano un mostro da mettere nelle prime pagine di talune biografie. Per prima cosa è stata accreditata la tesi ch'egli fosse un "tedesco", senza specificarne la provenienza, in tempi nei quali l'esserlo costituiva un marchio d'infamia; il conte Giovanni da Schio, storico vicentino, lo ritiene un "cimbro", il cui nome deriverebbe da "Etzele" o "Eccele", usuale nei sette e tredici comuni: ancor oggi nella Valsugana, a Pergine, Levico e Borgo esistono diverse famiglie Eccel, da qui trapiantate a Trento e a Bolzano ..(SEGUE,abbiate solo un po' di pazienza.)

  10. #30
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    Exclamation TROVERETE TUTTI I BRANI DI CIOLA DEDICATI ALL'ORIGINE DELLE NAZIONI PADANE QUI!


 

 
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