su questo argomento vedi anche......:
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Verso il bipolarismo in attesa della Repubblica Presidenziale
RIFORME ISTITUZIONALI
SULL’ESEMPIO DI PACCIARDI
di Andrea Sirotti Gaudenzi
(pubblicato sul fascicolo nazionale del Resto del Carlino del 13 febbraio 1999)
Nel commentare la pronuncia con cui la Corte Costituzionale ha ammesso il quesito referendario sull’abolizione della quota proporzionale, Mario Segni ha espresso la necessità di proseguire la battaglia per le riforme, indicando il presidenzialismo come prossimo obiettivo. Molti di noi hanno ripensato a Randolfo Pacciardi, il padre del Presidenzialismo italiano, che nel 1964 diede vita al movimento Nuova Repubblica per denunciare i mali di un sistema dominato dalla partitocrazia.
Pochi giorni fa abbiamo festeggiato il centocinquantesimo anniversario della Repubblica Romana, la prima istituzione democratica che il Popolo italiano, guidato da Giuseppe Mazzini, seppe darsi; lo studio della costituzione di quella Repubblica ispirò Pacciardi nella sua idea riformatrice. Incompreso e messo al bando ieri, oggi viene apprezzato per la sua visione profetica della politica italiana.
Eppure, bisogna ricordare l’ostracismo subìto da questo grande protagonista della storia dell’Italia repubblicana anche all’interno del "suo PRI", che fu costretto a lasciare. Quando, poi, sul finire dello scorso decennio, Pacciardi e molti militanti di Nuova Repubblica rientrarono nel PRI, i vertici del partito diedero a quell’episodio un’interpretazione riduttiva. Non si trattava della rappacificazione tra le due anime del partito: quella tradizionale e mazziniana (rappresentata dallo stesso Pacciardi) e quella "azionista" (costituita dagli uomini che provenivano dal Partito d’Azione).
E’ curioso che lo stesso Pacciardi, al congresso del PRI di Rimini del 1989, avesse ricordato come tutti gli esponenti del Partito d’Azione (che erano divenuti di fatto i padroni dell’Edera) fossero entrati nel Partito d’ispirazione mazziniana grazie alla propria intercessione. Lo stesso Ugo La Malfa doveva la propria appartenenza al PRI a Pacciardi. Eppure gli "azionisti" trattarono il rientro di Randolfo Pacciardi come un imbarazzante caso personale. Così l’episodio venne ricordato da Giorgio Vitangeli su "Lettera Repubblicana", l’organo dei presidenzialisti mazziniani nei primi anni ‘90: "fu una sorta di perdono concesso ad un povero vecchio, che aveva scritto pagine gloriose della storia del partito e cui non si poteva negare la consolazione di morire con una tessera repubblicana sul cuore e l’edera sulla bara".
Il Partito non volle riconoscere alcun merito ai pacciardiani, che furono isolati, dimenticati, in alcuni casi addirittura criminalizzati. Il PRI perdette, così, la sua anima mazziniana, quello spirito di fratellanza che consentiva di fare politica "a viso aperto, alla garibaldina, in francescana povertà". Gli scritti di Pacciardi furono messi all’indice e il programma del presidenzialismo, pubblicato sul settimanale "Folla" del 28 febbraio 1964, fu completamente dimenticato. Il cammino verso le riforme intrapreso oggi può essere considerato un piccolo (e tardivo) risarcimento storico alla monumentale figura di Randolfo Pacciardi, anche se molti sedicenti repubblicani si sono dimenticati di celebrarne il centenario della nascita (avvenuta il primo gennaio 1899), e si ostinano a rifiutarne gli insegnamenti.
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tratto dal sito web
http://web.tiscali.it/sirottigaudenz...t/memoria.html
La pagina della memoria mazziniana