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  1. #691
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    In Origine Postato da Giulio II
    Kome godo...
    Non dubitavo...

  2. #692
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    Un ministro coerente
    Sergio Sergi
    Correva l'anno 2002 e nel Granducato del Lussemburgo, il 13 di giugno, si ritrovarono i ministri della Giustizia dell'Unione. All'ordine del giorno (Punto A n°40) c'era la "Decisione quadro" dell'Unione sul mandato d'arresto europeo.
    E tra i partecipanti c'era anche il ministro italiano, Roberto Castelli.
    Dopo mesi di resistenze del governo italiano, per il veto posto dalla Lega, il provvedimento risultó approvato senza alcuna opposizione. Castelli non obiettó. Non disse ne ahi ne bai. Come fu possibile? Il combattente Guardasigilli padano si vantó, e ha continuato a farlo ancora ieri dopo la sconfutta sua e della maggioranza di centro destra alla Camera, di non aver mai detto di sí al mandato d'arresto. Non è vero. Castelli ha dovuto piegarsi e nella trasferta del Lussemburgo, a nome del governo italiano, approvó il mandato d'arresto.
    Il ministro non fu coerente come vorrebbe far credere ai suoi seguaci padani. Non fu duro e puro. Lo documentano gli atti del Consiglio dei Ministri dell'Unione (vedasi la Gazzetta ufficiale Ue del 18 luglio 2002). Castelli ieri ha ribadito che la Lega "è stata coerente perchè si è sempre dichiarata contraria al mandato d'arresto". Questo è vero. Infatti, il capogruppo Alessando C'è ha affermato che si tratta di una "questione di principio".
    Tuttavia, per Castelli il "principio" si è bloccato a Lussemburgo. Sarà stato anche suo malgrado ma è un dato di fatto che Castelli fu presente ai lavori di quel Consiglio e nulla obiettó contro il mandato d'arresto.
    Non risulta aver ribadito il veto. Perchè Berlusconi, dopo l'attentato dell'11 settembre a New York, non poteva, dinnanzi ai partner, sostenere le ragioni del veto su una misura di lotta al terrorismo. Se vogliamo, per Castelli si è trattato di una contraddizione in seno al popolo (padano).

  3. #693
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    Diritti tv un giudice deciderà su Berlusconi
    Chiusa l’inchiesta Mediaset.
    Entro un mese la richiesta di rinvio a giudizio, il premier tra gli indagati


    Marco Tedeschi
    MILANO Questa volta ci sono di mezzo film acquistati e soldi che si moltiplicano tra un passaggio e l’altro, tra società off-shore, banche svizzere e i canali televisivi del Biscione, con l’obiettivo di aggirare le pretese del fisco italiano. Un fantasioso marchingegno che sarebbe riuscito a far lievitare i conti con l’unico scopo di poter dichiarare più spese del reale e di potere contare quindi su sgravi fiscali più alti del dovuto.
    La procura di Milano ha chiuso infatti, in vista della richiesta di rinvio a giudizio (tempo un mese), dopo quasi quattro anni, l'inchiesta su Mediaset relativa alla compravendita di diritti cinematografici e televisivi. Tra gli indagati figurano Silvio Berlusconi, Fedele Confalonieri, il banchiere Paolo Del Bue, Candia Camaggi (responsabile di Fininvest Sa, in Svizzera), Giorgio Vanoni (capo allora delle società estere Fininvest), Daniele Lorenzano, Gabriella Galletto, l’avvocato inglese David Mills. Se vi sarà rinvio, accogliendo l’indicazione degli inquirenti, deciderà il giudice per le indagini preliminari. Ma non è detto che vi sarà anche processo per tutti: tra le righe della legge salva Previti si nasconderebbe una norma tesa ad abolire la continuazione del reato.
    L'inchiesta sulla compravendita di diritti cinematografici da parte di Mediaset, condotta dai pm Alfredo Robledo e Fabio De Pasquale, è iniziata nel giugno di quattro anni fa, nel 2001 come una sorta di costola di quella sul consolidato Fininvest.
    L'indagine è partita in seguito alla trasmissione da parte delle autorità elvetiche dei conti bancari delle società offshore Century One Ltd. e Universal One Ltd, presso la Banca della Svizzera Italiana (BSI) di Lugano, chiesti anni prima dalla Procura di Milano nell'ambito, appunto, delle indagini sul consolidato Fininvest.
    Secondo la ricostruzione firmata dalla Guardia di Finanza, i diritti cinematografici, venduti dalle case cinematografiche americane attraverso un complesso giro, sarebbero stati acquistati dalle due società off-shore, poi con altri passaggi tra le società estere, acquistati nel '94 da Mediaset a un prezzo di 171 milioni di dollari superiore a quello reale. In questo modo, secondo gli inquirenti, sarebbe stato gonfiato il loro valore e la spesa ritenuta fittizia sarebbe stata esposta nelle dichiarazioni fiscali, in modo da ottenere esenzioni e poter godere delle detrazioni dall’imponibile previste dai meccanismi della legge Tremonti (che risale al giugno 1994, cioè al primo governo Berlusconi e che nel 1995 avrebbe consentito complessivamente al gruppo un risparmio di 243 miliardi di imposte su un utile complessivo di 454 miliardi, solo un capitolo della lunga contesa con il fisco del Biscione, chiusa da un condono milionario, in euro, consentito dalla legge voluta dal solito Tremonti).
    Il sospetto è anche quello che sarebbe stato possibile, attraverso quell’esercizio contabile moltiplicatore di spese, costituire fondi neri per almeno 170 miliardi.
    Tutte queste accuse sono sempre state categoricamente respinte da Mediaset, che ha affermato di non aver mai compiuto operazioni irregolari nella compravendita di diritti cinematografici. Testualmente in una nota dell’ottobre scorso (dopo una perquisizione della Guardia di Finanza): «I diritti cinematografici acquistati dalla società sono veri, esistenti, qualitativamente ineccepibili. Sono stati regolarmente messi in onda ed hanno concorso a determinare successi di audience del gruppo».
    Il fascicolo dell'indagine consta di circa 500 mila pagine, tutte digitalizzate. Nell'indagine chiusa ci sono in tutto quattordici indagati, a vario titolo, per frode fiscale, falso in bilancio, appropriazione indebita.
    Oltre a questo filone di indagine ci sono tre stralci, in cui sono coinvolti i figli di Silvio Berlusconi, Marina e Pier Silvio (per i quali il gip Maurizio Grigo ha chiesto la proroga delle indagini) e una terza persona. Le accuse formalizzate a suo tempo nei loro confronti con l' iscrizione nel registro degli indagati (se ne ebbe notizia nel luglio dello scorso anno) sono di ricettazione e riciclaggio. Accuse che furono definite «incomprensibili», da uno dei legali di Berlusconi, Niccolò Ghedini, il quale sottolineò come tra il '90 e il '94, a quando risalgono le presunte irregolarità, Marina e Piersilvio Berlusconi non avessero cariche societarie.

  4. #694
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    In Origine Postato da MrBojangles
    Diritti tv un giudice deciderà su Berlusconi
    Chiusa l’inchiesta Mediaset.
    Entro un mese la richiesta di rinvio a giudizio, il premier tra gli indagati


    Sui fondi Mediaset il bianchetto della salvaPreviti
    Marco Travaglio

    MILANO
    Più che un'indagine, quella sulla compravendita dei diritti televisivi e cinematografici Mediaset pare un monumento al conflitto d'interessi.
    Ma anche una grande, spettacolare gimkana.
    Un lungo e tortuoso slalom fra regole esistenti e nuove norme ad personam
    (falso in bilancio),
    condoni fiscali e defiscalizzazioni
    (legge Tremonti),
    ostacoli di ogni genere alle rogatorie internazionali
    (prima la legge che le cestinava, poi il blocco deciso da Castelli),
    impunità incostituzionali
    (Lodo Maccanico)
    e ora il SalvaPreviti sulla prescrizione,
    che in realtà è un SalvaBerlusconi.

    Una legge-vergogna che, se se passerà, porterà a morte sicura anche l'ultimo fascicolo aperto a Milano sul Cavaliere.
    Ancora una volta
    (sarebbe la settima)
    non perchè non ci sia reato; ma per prescrizione.

    I pm Alfredo Robledo e Fabio De Pasquale, che lavorano a questo caso da quattro anni nel silenzio più assoluto, vanno comunque avanti. E chiudono, prima dello scadere dell'ultima proroga consentita, un lavoro che ha fruttato rogatorie in 12 paesi, 500 mila pagine di atti e 21 fogli di «avviso di conclusione delle indagini»: quello che prelude, entro un mese, alla richiesta di rinvio a giudizio.
    Per 14 indagati:
    Silvio Berlusconi
    (appropriazione indebita, frode fiscale e falso in bilancio),
    Fedele Confalonieri
    («solo» falso in bilancio),
    i presunti soci occulti Frank Agrama
    (cittadino Usa, già agente Paramount)
    e Daniele Lorenzano
    (ex capoacquisti Fininvest),
    il superconsulente inglese David Mills
    (marito di una ministra del governo Blair),
    il presunto prestanome Erminio Giraudi
    (mercante di carni a Montecarlo),
    il banchiere svizzero Paolo Del Bue,
    il cugino del Cavaliere Giancarlo Foscale e la moglie Candia Camaggi

    (responsabili della finanza svizzera),
    una sfilza di altri dirigenti e manager del Biscione.
    Stralciati Marina e Piersilvio: su di loro si continua a indagare per riciclaggio.

    Una cresta dopo l'altra
    L’inchiesta nasce da una costola di quella
    (chiusa con la prescrizione, grazie alla controriforma del falso in bilancio)
    sui 1550 miliardi di fondi neri Fininvest.
    L'attenzione dei pm si concentra su due misteriose società estere legate alla lussemburghese Silvio Berlusconi Finanziaria: la Century One e la Universal One.
    I loro conti svizzeri sono l'ultimo domicilio conosciuto della gran parte dei fondi neri (104 miliardi) «distratti» e dirottati «su conti bancari in Svizzera, alle Bahamas, a Montecarlo, nella disponibilità degli indagati» e «gestiti da fiduciari di Berlusconi».
    Come nascono i fondi neri?
    Con un ingegnoso sistema di «creste» legato, appunto, all'acquisto dei diritti in America.
    Mediaset non li comprava direttamente. Li faceva acquistare da società off-shore, fra cui Century One e Universal One, che a loro volta li rivendevano ad altre società gemelle, in una sorta di catena di sant'Antonio: a ogni passaggio, il prezzo aumentava. Fittiziamente, secondo l'accusa. Una cresta oggi, una cresta domani: così la differenza fra il valore reale e quello gonfiato alimentava il polmone dei fondi neri. E - sostiene la Procura - a ingrassava le tasche degli indagati.
    Soprattutto di Silvio Berlusconi.

    Ma perchè - domanda malizioso l'avvocato Niccolò Ghedini - Berlusconi avrebbe dovuto rubare «soldi suoi»?
    E come avrebbe fatto, visto che
    - è sempre Ghedini che parla - «da quando è entrato in politica nel '93 ha lasciato tutte le cariche e non può esperire alcun atto?».


    Tre reati, tre moventi
    La prima domanda riguarda i moventi.
    Che, secondo i pm, sono tre.
    Primo: il premier s'è messo in tasca, lui e i suoi cari, l'equivalente di 280 milioni di euro
    (in dollari, lire, franchi francesi e svizzeri, e persino in fiorini olandesi),
    ovviamente in nero
    (appropriazione indebita).
    Secondo: su quei fondi neri non ha pagato le tasse, esponendo al fisco costi fittizi per abbattere i redditi e pompare le perdite, sottraendo all'erario 124 miliardi di lire fra il 1996 e il '99
    (frode fiscale).
    Terzo: ha gonfiato il valore dei magazzini e dunque dell'azienda, approfittandone al momento della quotazione in Borsa, avvenuta nel 1996 «sulla base di una falsa rappresentazione della consistenza patrimoniale della società».
    Il tutto iscrivendo nei libri contabili «maggiori costi» per «mascherare la formazione di ingenti fondi neri», «con l'intenzione di ingannare i soci e il pubblico circa la situazione patrimoniale della società»
    (falso in bilancio fino al 2000).

    La seconda domanda di Ghedini, nell'ipotesi accusatoria, ha una risposta semplice semplice:
    Berlusconi finge da 12 anni di disinteressarsi di Mediaset, ma in realtà ha continuato a fare il bello e il cattivo tempo. Anche nel 1994, quand'era presidente del Consiglio. E poi almeno fino al 1999, quand' era capo dell'opposizione. In quanto principale azionista, è una sorta di prestanome di se stesso.

    Week end, Stato e bottega
    La prova?
    Una serie di testimonianze che raccontano come il Cavaliere, nei week-end, non si limiti alle cantatine con Apicella; ma abbia continuato a dare disposizioni, sull'acquisizione di quei diritti cine-tv e sull'espansione del suo impero all'estero, ai suoi uomini di fiducia.
    Quali?
    Soprattutto Carlo Bernasconi, capo della Silvio Berlusconi Communications (morto nel 2001);
    Oliver Novick, responsabile della Direzione corporate development
    (che già nel '95 aveva ammesso di aver «continuato a parlare con Berlusconi della questione Spagna fino all'estate '94»);
    e Lorenzano, plenipotenziario per il commercio dei film a Hollywood.
    L'hanno raccontato alcuni collaboratori del gruppo, fonti davvero insospettabili. Come l'ex segretaria di Bernasconi, Marina Camana: secondo L'Espresso, ha raccontato ai pm che «le indicazioni per l'acquisto dei diritti televisivi venivano impartite da Arcore».
    A questo punto entra in scena, proprio grazie alle rogatorie americane che il governo ha fatto di tutto per bloccare, un personaggio da romanzo esotico: Farouk Mohamed Agrama detto «Frank», l'interfaccia di Lorenzano in America.

    Frank, lo zio d'America
    Nato in Egitto, Agrama lavora come regista in Libano, poi sullo scorcio degli anni 60 approda a Roma, dove fonda la Film Associates of Rome (Far) e comincia a dirigere e produrre pellicole trash: «L'amico del Padrino», «Sesso e pazzia», «Si può fare molto con sette donne», «Queen Kong». Nel luglio '79, mentre Berlusconi fa incetta di film alla Titanus per il varo di Canale 5, si butta nel business della compravendita di programmi tv. Ma, dopo pochi mesi, vola in California per collaborare con Paramount. Nel 1983 fonda, sul Sunset Boulevard, la casa di produzione Harmony Gold. Insieme a Lorenzano, diventa l'uomo del Cavaliere a Los Angeles e fa soldi a palate, producendo film per la Berlusconi Communications e rifornendo le reti Fininvest di diritti su programmi Usa, tramite un'altra società:la Wiltshire Trading. Secondo l'accusa, anche questa società ha svolto «un ruolo di intermediario analogo a quello di Universal One e Century One» per gonfiare i conti.
    Cioè le tasche del Cavaliere.

  5. #695
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    Ultimora!!!!

    Srhoeder sospettato di aver preso tangenti dal peracottaro davanti casa sua!!!



    Quelli che:
    "Le zingare VOLEVANO rapire il bambino..."

    E 'sti cazzi.

  6. #696
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    Predefinito Siamo alle solite

    Milano, 19:40

    IMI-SIR: DIFESA PREVITI, ANNULLATE UDIENZA PRELIMINARE
    E' stata fissata per giovedi', la prossima udienza del processo Imi-Sir/Lodo Mondadori. Alessandro Sammarco, il legale di Cesare Previti, ha chiesto, al termine dell'udienza odierna davanti ai giudici della seconda sezione della Corte d'Appello del Tribunale di Milano, che venga dichiarata la nullita' dell'udienza preliminare e degli atti successivi del processo, per legittimo impedimento di Previti a partecipare ad alcune udienze in primo grado, a causa dei suoi impegni parlamentari. La corte si e' riservata la decisione. La richiesta non e' nuova e fa riferimento alle 4 ordinanze firmate dal gip Alessandro Rossato il quale, nel settembre del 1999, aveva stabilito che gli impedimenti, relativi all'attivita' del forzista a Montecitorio, non fossero legittimi, in quanto le esigenze processuali erano prevalenti rispetto a quelle parlamentari. In seguito, una sentenza della Corte Costituzionale diede torto a Rossato, stabilendo che quelle ordinanze erano nulle, ma i giudici milanesi respinsero il tentativo delle difese di far ripartire da capo il processo, sostenendo che la nullita' riguardava solo le motivazioni delle ordinanze e non tutti gli atti successivi.

  7. #697
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    L’imputato Metta vuole Berlusconi in aula
    Processo di appello.
    L’ex giudice è stato condannato per corruzione giudiziaria: emise la sentenza che regalò al premier lo scettro della Mondadori

    MILANO Effetto deja vu al processo d’appello Imi-Sir dove ieri, la difesa di Cesare Previti si è impegnata a difendere la legittimità dell’ostruzionismo processuale, che in primo grado aveva dilatato, oltre ogni ragionevole limite, la durata del processo, portandolo alle soglie della prescrizione. L’avvocato Alessandro Sammarco ha chiesto in sostanza che tutto sia azzerato e che si riparta dall’udienza preliminare, richiesta che gira attorno ai famosi legittimi impedimenti del suo assistito, che a un certo punto, nel corso dell’udienza preliminare, furono dichiarati illegittimi dal gup Alessandro Rossato. La questione aprì un contenzioso che si protrasse nel corso del dibattimento davanti al collegio presieduto da Paolo Carfì e adesso viene riproposta come motivo d’appello.
    Questione procedurale, complicata e noiosa, ma per fortuna, a rompere la monotonia dell’udienza ci ha pensato l’avvocato Francesco Pettinari, difensore dell’ex giudice Vittorio Metta, condannato per corruzione giudiziaria per aver emesso la sentenza che regalò a Berlusconi lo scettro della Mondadori. Stando all’accusa, fu pagato per quel verdetto e adesso il suo legale chiede che Silvio Berlusconi sia ascoltato come testimone in aula, ma già in primo grado il premier disdegnò questo invito. Tant’è che Metta, in una memoria dai toni avvelenati, lamentò questa defezione: «Era lecito attendersi - scrisse - che l’onorevole Berlusconi venisse a dire se è vero che ha pagato, quali sono le ragioni per cui ha pagato, chi gli ha detto di pagare». Pettinari chiede anche che venga rintracciato il segretario di Magistratura democratica dell’epoca (90-91) perché anche lui venga a deporre. La corrente di sinistra della magistratura, diffuse in quegli anni un volantino in cui metteva in discussione la regolarità dell’attribuzione della causa Mondadori al collegio presieduto da Metta. Lo disse in epoca non sospetta, prima che fossero avviate le attuali indagini per corruzione giudiziaria e dunque, questa richiesta di Pettinari sembrerebbe un clamoroso autogol, che conferma che già allora si sentiva puzza di bruciato.
    Con toni più cauti del solito, attento a non indisporre il presidente Roberto Pallini, il difensore di Previti ha invece ripetuto che il processo lodo Mondadori-Imi Sir è nullo, fin dalle sue prime battute, cioè dall'udienza preliminare. La questione non è nuova. Negli anni passati è stata oggetto di una pronuncia da parte della corte Costituzionale, quindi di una serie di ordinanze da parte del collegio del processo di primo grado, presieduto da Paolo Carfì. In estrema sintesi, dopo due anni di udienza preliminare, forzatamente dilatata dai legittimi impedimenti continuamente presentati da Previti, il gup Rossato fece prevalere il principio costituzionale della ragionevole durata del processo e in quattro occasioni proseguì i lavori, malgrado l’assenza di Previti. La Corte Costituzionale gli ha dato torto, ma ha delegato ai giudici di primo grado (in questo caso Carfì) la decisione sulle sorti del processo. E Carfì decise di proseguire, e non, come avrebbe voluto la difesa Previti, di azzerare tutto, ripartendo dall’udienza preliminare. Ora Sammarco parla di «contorcimento motivazionale», accusa il giudice di aver fatto di tutto per proseguire il processo: «Come si è permesso? ha svilito la funzione parlamentare di Previti». Si vedrà cosa decide il presidente Pallini.

  8. #698
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    Il Trionfo delle Attenuanti
    Nando Dalla Chiesa

    Al Senato è già partita la caccia al tesoro.
    Un nuovo avvincente totoquiz si accinge a coinvolgere milioni di italiani.
    Chi sarà il misterioso settantenne che è stato teneramente associato a Previti nelle premure della ben nota legge sulla prescrizione, altrimenti detta Salva-Previti?
    Chi sarà questo signore lindo e gentile per il quale sono stati chiamati a scomodarsi centinaia di parlamentari, che sta sconvolgendo gli schemi dottrinari di stuoli di giuristi e che sta facendo sognare a occhi aperti un numero imprecisabile di imputati e di avvocati?

    Forse sull'onda dell’indignazione per la nuova norma volta a sottrarre ai rigori della giustizia il buon Cesare, l’inseparabile amico di Silvio Berlusconi, si è passati con eccessiva spensieratezza accanto all’articolo che apre il disegno di legge.

    Vediamo dunque che cosa dice.
    Articolo 1:
    «All’articolo 62 del codice penale, dopo il numero 6), è aggiunto il seguente: 6 bis) l’essere persona che, al momento della commissione del fatto, abbia compiuto settanta anni di età e che, al momento della sentenza, non si trovi nelle condizioni di cui all’articolo 99».
    Che cosa significa, sotto le croste del formalismo tecnico?
    Significa che avere commesso un reato dopo il compimento del settantesimo anno di età diventa una circostanza attenuante (art.62), purché non si sia recidivi (art.99).
    Avete capito bene.
    Settant’anni come certificato automatico di maggior bisogno o indigenza sociale, di maggiore debolezza psicologica, forse anche di minore capacità di intendere e di volere.
    È strabiliante.
    Perché le circostanze attenuanti fanno tutte riferimento, nel nostro codice, a comportamenti specifici o alle cause (o ai fini) di comportamenti specifici. Ad esempio, detto al volo, sono circostanze attenuanti l’avere agito per motivi di particolare valore morale o sociale, o l’avere reagito in uno stato d'ira a un fatto ingiusto altrui, o l’avere agito sotto la suggestione di una folla in tumulto. Oppure l’avere arrecato un danno patrimoniale di speciale tenuità, così come l’avere riparato il danno prima del giudizio. Che cosa c’entra allora con queste circostanze il puro riferimento a una condizione anagrafica che metterebbe nello stesso mazzo situazioni sociali e personali diversissime? Spiegano i sostenitori, sempre più imbarazzati, della Salvapreviti che anche per i minori di quattordici o diciotto anni si fa riferimento a una condizione anagrafica. Ma così essi offendono, senza rendersene conto, tutta la popolazione anziana italiana. La quale si vede gettata di colpo nella condizione di incapacità o immaturità (e perché no di infermità?) mentale che si attribuisce convenzionalmente al ragazzino non imputabile o al minore.
    E in effetti. Come si fa a stabilire che sia un’attenuante avere settant’anni quando a quell'età si può godere del massimo reddito, così come si può esercitare il massimo di potere e di responsabilità? Siamo in un Paese i cui presidenti della Repubblica hanno normalmente ottant’anni, che fino a un paio d’anni fa ha visto il più energico pontefice della storia dare lezioni di vigore fisico e mentale dall’alto della sua età veneranda, in cui un finanziere come Cuccia ha tenuto banco fino a novant’anni e in cui, guarda caso, lo stesso parlamento si accinge a stabilire che l’incarico (delicatissimo) del procuratore nazionale antimafia venga prorogato per il magistrato in carica fino al compimento del settantaduesimo anno di età. E che - sempre per legge - vede ancora in cattedra a quell’età i professori universitari, o a far sentenze in tribunale i giudici o a far visite in ospedale i medici.
    Come spiegare allora una norma la cui “ratio” fa a pugni con la realtà di ogni giorno e che potrebbe generare nuovi reparti scelti della criminalità comune, età minima di arruolamento settant’anni, grazie a questa minore punibilità davanti alla legge? Come spiegare un provvedimento che potrebbe scatenare le fantasie comico-grottesche di Dario Fo o di Beppe Grillo? Qualche senatore dell’opposizione una spiegazione se l’è data. E non gli ci è voluto molto, in verità, per farsi venire l’idea. È bastato scorrere la storia legislativa di questi ultimi anni per affinare una tesi cartesiana. Ragazzi, qui c’è di mezzo qualcuno. C’è qualcuno di settant’anni, in giro per l’Italia, abbastanza potente per farsi fare questo piccolo e innocente ritaglio di legge approfittando dei buoni sentimenti che albergano nei nostri cuori verso gli anziani. E d’altronde sta o no questo parlamento perfino discutendo l’istituzione (per legge!) di una festa dei nonni?
    Quei senatori hanno anche fatto dei rapidi conti.
    E hanno verificato che l’articolo in questione non può interessare direttamente né Berlusconi né Previti né Dell’Utri, i quali per i fatti loro imputati negli attuali processi veleggiano sotto la fatidica quota anagrafica.
    Al massimo potrà interessarli in futuro.
    Chi è allora?
    Chi ha bisogno di una bella attenuante, di quelle che - come si è visto nella rossa Milano con Berlusconi - consentono di far scattare per i colpevoli una provvidenziale prescrizione?
    I senatori per ora non ci sono arrivati.
    Non lo sanno.
    Ma “loro”, quelli che hanno fatto la legge, lo sanno senz’altro. Sanno in che processo è infilato e in quale parte d’Italia. Da qui il gioco del mese. Il grande, divertente e amaro, totoquiz. Chi sarà?
    Purtroppo, c’è da temere, lo sapremo solo quando il soggetto misterioso verrà condannato in qualche tribunale della Repubblica e la farà franca rivendicando la sua età oltre che (perché le leggi devono essere severe, mica si può pensare a salvare i mascalzoni) la sua illibatezza, il suo non essere recidivo. Nell’attesa, si potrebbe indire un concorso a premi.
    Per chi indovina, un viaggio in coppia nei migliori paradisi fiscali.



  9. #699
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    Prescrizione, il governo vuole fare presto
    La legge andrà in aula senza relatore.
    Emendamento Bobbio, An, per fermare Caselli in ogni caso per la Dda

    Nedo Canetti

    ROMA
    Governo e maggioranza hanno deciso. Sull'Ordinamento giudiziario e sulla salva-Previti tireranno diritti. Sono decisi ad approvare entrambi i provvedimenti, in Senato, prima della pausa pasquale dei lavori parlamentari che inizierà il 18 marzo. Lo ha confermato ieri, il sottosegretario alla Giustizia, Luigi Vitali.
    Non si terrà alcun conto, per la riforma, né delle proposte di modifica dell'opposizione, né delle perplessità che serpeggiano nelle stesse file della Cdl, mentre, per l'ex Cirielli, è come se la secca bocciatura del Csm e le molte critiche che sono state sollevate dai più diversi settori della magistratura, della scienza giuridica, dell'avvocatura, dallo stesso ex primo firmatario, Cirielli, appunto (che ha confermato ieri i dubbi che aveva sollevato alla Camera fino al voto contrario), non fossero mai esistiti.
    Per raggiungere questo duplice obiettivo, nel corso della seduta notturna di mercoledì della commissione Giustizia, il relatore sull'ordinamento, Luigi Bobbio, An, ha presentato un emendamento che, utilizzando le pieghe del regolamento del Senato, ha permesso, con il voto favorevole della maggioranza, di precludere tutti gli emendamenti dell'opposizione sui concorsi per la progressione della carriera dei magistrati, e la stessa proposta di modifica del suo collega di partito, Roberto Salerno, ispirata dal ministro Gianni Alemanno. Una decisione che ha permesso di concludere rapidamente l'esame del provvedimento (martedì il voto finale in commissione). Secondo Vitali, potrebbe essere esaminato dall'aula, dopo l'8 marzo, una volta votata la riforma costituzionale. Prima o dopo il salvaPreviti? Gli è stato chiesto. «Non è compito del governo, che tiene ad entrambi e ddl, stabilirlo -ha riposto- ma della conferenza dei capigruppo». Dalle voci che circolano, sembra però che, per i fini che si propone e in vista di certi processi, all'esecutivo farebbe molto più comodo discutere prima il provvedimento sulla prescrizione. E' tanto vero che, sempre lo stesso sottosegretario, ha confermato i molti boatos che parlano di un'iscrizione in aula del provvedimento anche se non finito in commissione, senza relatore e senza relazione. Intanti ieri, dalle file della Cdl, è partito un rinnovato, duro attacco al Csm. Compatto, alla bisogna, si è schierato lo staff del ministero della Giustizia. Hanno sparato a zero il ministro Robertro Castelli («il Csm passa troppo tempo a criticare il Parlamento, invece di occuparsi dei suoi problemi») e tutti sottosegretari, Vitali, Vietti («inutili le valutazioni di principio del Csm»)e Valentino, prontamente sorretti da Ignazio La Russa, dalla vice presidente dei deputati di Fi, Ida Bartolini, dalla portavoce degli azzurri, Elisabetta Gardini, dell'udicino Leonzio Borea che ha garantito il sostegno del suo gruppo al ddl. Un giudizio positivo sul documento del Csm è stato, invece, espresso da Romano Prodi, dalla corrente Unicost dell'Anm («attacchi al Csm manifestano incultura costituzionale») e da numerosi parlamentari del centrosinistra. Blindare il testo (già approvato alla Camera) in modo da renderlo subito fruibile per qualche imputato eccellente e anche per tanti altri, che debbono rispondere di gravi reati, è l'obiettivo dichiarato della Cdl. Nessuna resipiscenza, insistono La Russa, Vitali e Bobbio. Negano che ci possano essere rilievi di costituzionalità. Il rischio che Ciampi non firmi, ammette il sottosegretario, si corre, come per tutte le leggi, ma pensa che se corresse davvero già il Quirinale si sarebbe fatto sentire. «Secondo i giornali -ironizza- Ciampi parla un po' con tutti , soprattutto con i giornalisti, ma evidentemente con quelli di noi con cui doveva parlare, non ha parlato...». Si blinda il salvaPreviti, si blinda l'ordinamento, con forti pressioni su Salerno perché non ripresenti in aula l'emendamento contro il concorsificio.
    E' il suo collega Bobbio che preme, lo stesso che ha ieri annunciato che l'unica modifica all'ordinamento di maggioranza la proporrà lui, un emendamento antiCaselli.
    La norma, infatti, che impedisce al procuratore di Torino di candidarsi alla testa della procura antimafia rischia di cadere, insieme alla possibile caduta del decreto milleproroghe che la contiene (e sul quale ieri è mancato, al Senato, altre nove volte il numero legale, scade martedì).
    La proposta Bobbio, decreto o no, punta a far entrare subito in vigore la parte dell'ordinamento che vieta a chi non sia a più di quattro anni dalla pensione di poter aspirare all'incarico ad incarichi direttivi. Norma fatta su misura per Giancarlo Caselli.

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