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Discussione: Riformisti su Marte

  1. #901
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    Pare che sul Corriere della sera, da un po' di tempo, è
    (era? Vediamo che farà Mieli)
    vietato nominare Eugenio Scalfari.
    Previti e Dell'Utri, la Fallaci e le Lecciso, persino Vespa sì.

    Scalfari no.
    Ordini superiori.
    Dev'essere per questo che, sul Corriere, ci scrivono tanti «liberali».

    Sono, costoro, una categoria curiosa.
    Vivono sotto un governo che, quotidianamente, calpesta, maciulla e irride i principi del liberalismo, ma loro, i «liberali», parlano d'altro.
    Nell'ultima settimana, mentre in America un ministro si dimetteva perchè non pagava i contributi alla colf, in Inghilterra un ministro si dimetteva per un permesso di soggiorno alla bambinaia dell'amica, in Danimarca un ministro si dimetteva per aver soggiornato al Ritz di Parigi a spese dello Stato;
    in Italia il premier veniva riconosciuto responsabile di aver corrotto un giudice
    (prescrizione),
    il suo braccio destro di averne corrotti almeno due
    (16 anni in primo grado),
    il suo braccio sinistro di essere alleato della mafia
    (9 anni in primo grado),
    ma la Santissima Trinità resta al suo posto.
    Anzi, Dell'Utri viene promosso capo dei mille volontari stipendiati di Forza Italia, detti anche la Silvien Jugend o i Figli del Biscione.
    E i nostri «liberali» zitti.

    Negli stessi giorni il capo dello Stato:
    respinge come otto volte incostituzionale la controriforma della giustizia,
    la maggioranza vara una legge che salva Previti mandando in prescrizione migliaia di reati,
    il premier infila nella finanziaria un codicillo che sana gli abusi nella sua villa in Sardegna,
    il sottosegretario Mantovano paragona la sentenza di Palermo alle «rappresaglie naziste»,
    la Lega sventola in Parlamento cartelli che danno del «nazista» al procuratore Papalia.

    E i nostri «liberali» zitti.
    Parlano d'altro; esattamente come i bananas di POL.

    Massimo Franco equipara la gravissima, eversiva legge Previti ai girotondi e a un normale battibecco fra la Bindi e Mastella: tre sintomi di «una politica malata», «ostaggio delle componenti estremiste».
    Tutto sullo stesso piano.
    Scrive proprio così:
    «non a caso sono rispuntati persino i girotondi».
    Dove quel «persino» indica che le pacifiche manifestazioni di protesta dei cittadini sono qualcosa di allarmante, patologico, «malato».
    Chi attenta e chi oppone pari sono.
    Lupo e agnello diventano entrambi colpevoli di una inesistente guerra per bande.

    Angelo Panebianco, anzichè censurare un governo che non fa altro che leggi incostituzionali e illegali, se la prende con «le reazioni soddisfatte dell'opposizione» al no di Ciampi alla controriforma Castelli: lasciano «trasparire la volontà di difendere a tutti i costi lo status quo».
    Ecco:
    per lui, «liberale», la Costituzione è lo status quo.
    Qualcosa di malato.
    Di qui l'invito ad abbandonare «l'interpretazione rigida del dettato costituzionale che attribuisce al Csm il monopolio assoluto sulle carriere dei magistrati».
    Un po' di creatività, suvvia.
    Basta con l'«interpretazione rigida».
    Per esempio:
    «l'obiettivo di Castelli di indebolire/ridimensionare il Csm non è di per sè sbagliato».
    È, infatti, incostituzionale.
    Ciampi l'ha respinto al mittente, ma che saranno mai la Costituzione e il capo dello Stato di fronte a un Panebianco?
    Ubi maior, minores cessant.

    Sdegnato per tanti silenzi e corbellerie, Claudio Magris manda al Corriere un'invettiva contro i continui scandali, invitando «gli uomini liberi e forti» di destra e sinistra a insorgere.
    L'invettiva finisce in un corsivo, non certo nell' editoriale.
    Magris usa termini ormai desueti per i «liberali» alle vongole.
    Chiama a raccolta i «galantuomini di animo non servile», in nome dell'onestà e dell'integrità,
    contro le «leggi indecenti»,
    la «degradazione civile»,
    il «pervertimento scandaloso che svilisce la Cosa pubblica, lo Stato, la Patria»,
    l'«immoralità e indegnità politica che disonora l'Italia»,
    la «sovversione»,
    l'«attentato alla civiltà».

    Gli risponde, a nome degli indecenti e degli immorali, il loro portavoce ufficiale:
    il sempre molto intelligente Giuliano Ferrara, in stereofonia con Piero Ostellino.
    Quest'ultimo sproloquia di concorso esterno in associazione mafiosa, che a suo dire esiste solo in Italia
    (falso: c'è anche negli Usa, e se negli altri paesi non c'è è perchè non c'è neppure la mafia)
    e «nessuno è mai riuscito a provarne l'esistenza»
    (falso: lo teorizzò Falcone nell'ordinanza del maxi-ter e ha già portato a decine di condanne definitive).
    Ferrara, sguazzando nella cloaca con la consueta voluttà, giustifica le leggi canaglia con la teoria della guerra per bande: da un lato i giudici che processano i politici ladri e mafiosi «con metodi non ortodossi»
    (quali?),
    dall'altro «il centrodestra che si batte per non esser piegato e sconfitto in processi che denuncia prevenuti, non imparziali».
    E chi decide se sono parziali o imparziali?
    Gli imputati, che fra l'altro gli pagano lo stipendio.

    Così la Grande Cozza non trova di meglio che riproporre una fantomatica «formula francese di inviolabilità della politica, a Parigi come a Roma».
    Peccato che a Parigi sia stato appena condannato Alain Juppè, delfino di Chirac, per finanziamenti illeciti infinitamente meno gravi della mafia e della corruzione giudiziaria, senz'alcuna inviolabilità.
    E peccato che a Parigi il ministro Strauss Kahane abbia avuto la carriera stroncata da uno scandaletto
    (seguito fra l'altro dall'assoluzione)
    che impallidisce dinanzi ai nostri, senz'alcuna inviolabilità.

    Ma, si sa; per il Platinette Barbuto, Parigi val bene una mazzetta.

    Greetings from Mars...

  2. #902
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    Il quasi ministro Urso, di An, è così sensibile che dispiace trattarlo come un Gasparri qualsiasi, ma neppure lui ha evitato di fare la solita paternale al conduttore di Ballarò, Floris.

    L’altra sera pretendeva che i presenti in studio fingessero di essere razzisti per non far sentire isolato il leghista Salvini, il quale, poveretto, non si è ancora ripreso dalla battaglia di Lepanto.
    (o dall'assedio di Vienna; si dice che abbia partecipato ad entrambi)

    Intanto il governucolo intende stabilire la quota di applausi dovuti, a prescindere, alla maggioranza.
    E chi si rifiuta, sarà denunciato per persecuzione di cristiani e sottrazione di consenso pubblico.
    Ma Urso e Salvini non sono altrettanto sensibili su tutti i temi.
    Perciò sono rimasti del tutto indifferenti di fronte a un filmato che mostrava le condizioni attuali dell’Iraq, dove i nostri soldati sono prigionieri di loro stessi e, avendo l’ordine di non uscire dalla base, non possono realizzare il piano di aiuti promessi.
    Perciò, Nassirija è ancora senz’acqua e non si sa dove siano finiti i 15 milioni stanziati per le condotte.

    Il ragionevole Urso ha spiegato:
    «È normale che il governo si preoccupi della sicurezza dei cittadini».

    Bravo!
    È per questo che non doveva mandarli in guerra.

    Greetings from Mars...

  3. #903
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    Predefinito Cavoli a merenda

    L’altra sera, a Elisir con Michele Mirabella, si parlava della tiroide e delle sue disfunzioni.
    A un certo punto, sul divanetto riservato a medici, paramedici e casi patologici, si è materializzato un virus di quelli incurabili:
    Bruno Vespa.


    L’insetto di Potta a Potta era lì nell’ambito della sua infaticabile tournée attraverso i programmi Rai
    (ma anche Mediaset e La7)
    per presentare la sua ultima fatica letteraria pubblicata dalla joint venture Eri (Rai)-Mondadori (Berlusconi):
    "Storia d’Italia da Mussolini a Berlusconi".
    Da duce a duce.

    L’idea di esibire l’Erodoto dell’Aquila in una trasmissione di medicina, fra un’unghia incarnita e un’emorroide, è senz’altro avvincente.
    Ma non è poi così originale.
    Che si sappia
    (Claudio Sabelli Fioretti, sul suo blog, sta censendo le comparsate vespiane),
    l’insetto è già riuscito ad autopromuoversi in meno di un mese 21 volte, in altrettanti programmi sulle sette reti nazionali.
    Nell’ordine:
    Rv7,
    Otto e mezzo,
    Batti e ribatti,
    Mattino in famiglia,
    L’isola dei famosi,
    Tg1,
    Tg2,
    Tg5,
    Studio Aperto,
    Dieci

    (su Sky, con Beppe Severgnini),
    Piazza grande,
    Domenica In,
    Telecamere,
    Italia sul 2,
    La vita in diretta con Michele Cucuzza,
    Italia che vai

    (Vespa che trovi),
    Tg2 Dribbling e Tg3 Sport
    (in veste di "tifoso juventino"),
    e infine la strepitosa tripletta di domenica scorsa, quando in rapida successione Vespa ha ronzato a:
    Quelli che il calcio,
    per poi planare su Elisir e infine posarsi nei pressi di Marzullo a Sottovoce.

    Prima domanda:
    "Quanto di bambino c’è in Bruno Vespa?".
    Risposta:
    "Tre quarti. Sono molto bambino".
    Una scena da presepe, salvo per il bambinello un po’ cresciuto e piuttosto facoltoso.

    Poi naturalmente c’è la radio, dove il Tacito d’Abruzzo è svolazzato tra Comunicattivo e
    (due volte in due settimane)
    "28 minuti" di Barbara Palombelli, riconoscente per le continue ospitate a Potta a Potta, dove distilla il suo illuminato sapere sul pigiama della mamma di Cogne, sulle gemelle Lecciso e su altri argomenti di bruciante attualità.
    Ormai scontato, a questo punto, che il Tucidide abruzzese infrangerà il record delle 25 marchette gratuite a reti unificate
    (per un totale di quasi tre ore),
    da lui stesso stabilito lo scorso anno.

    Quattro anni fa, quando la Rai "criminosa" dell’Ulivo astutamente moltiplicò Potta a Potta da una a quattro sere settimanali e Del Noce riuscì a promuovere un libro vespiano addirittura fra i pascoli di Linea Verde, un esperto calcolò in circa un miliardo e 200 milioni di lire all’anno il valore degli spottoni gratuiti
    (cioè a spese degli abbonati)
    riservati all’insetto e alle sue pubblicazioni gentilmente edite dall’attuale premier.
    Oggi la cifra
    (aggiunta ai 5 miliardi meno 30 lire di stipendio previsti dal suo nuovo contratto biennale, sfuggito per pochi spiccioli al controllo del consiglio d’amministrazione)
    va ritoccata verso l’alto.
    Anche perché la circumnavigazione insettivora degli studi Rai e Mediaset è destinata a proseguire durante le feste natalizie.

    Restano ancora da coltivare i pascoli incontaminati di:
    Protestantesimo,
    della Messa di Natale e
    del concerto di Capodanno
    , oltre alle previsioni del tempo e al segnale orario.
    L’attinenza del Sallustio portaportese con i vari programmi è del tutto secondario, come del resto quella di Potta a Potta con l’attualità politica.

    Cronologia del palinsesto (politico) "pottapottiano":

    Condannano Previti e lui si occupa del Viagra,
    condannano Dell’Utri a Milano e lui parla di calcioscommesse,
    condannano Mannino e lui dibatte su Cogne,
    il centrosinistra vince 7 a 0 le suppletive e lui discetta dell’Isola dei famosi,
    l’Europa espelle Bottiglione col foglio di via e lui convoca Alba Parietti e alcuni malati in evidente stato comatoso per raccontare il loro risveglio dal coma,
    Ciampi boccia la controriforma giudiziaria di Castelli

    (datore di lavoro di sua moglie)
    e lui invita le Lecciso,
    condannano Dell’Utri a Palermo e prescrivono Berlusconi e lui ci illumina prima su Sanremo con Bonolis poi sul film di Boldi, De Sica e altri campioni del neorealismo.


    Più che Porta a Porta, dovrebbe chiamarsi "Cavoli a merenda".

    Anche il libro è in linea, fin dal sottotitolo:
    "1943 l’arresto del Duce, 2005 la sfida di Prodi".
    Come dire:
    "1815 il congresso di Vienna, 2004 il trapianto di Berlusconi".

    Il capolavoro è molto piaciuto ad Alberoni
    ("Un’opera che veramente mancava"),
    a Pigi Cerchiobattista
    ("un’essenzialità narrativa più marcata che nei precedenti libri")
    e al Riformista
    ("una monumentale storia d’Italia vista e raccontata molto da vicino e, va detto, molto molto bene").

    Un po’ meno agli storici veri, come Giovanni De Luna, che l’ha liquidato su Tuttolibri con un aggettivo
    ("accidentata ricostruzione").
    E ha segnalato alcuni formidabili svarioni, come la data del 25 luglio 1943 per il proclama badogliano "la guerra continua", che invece è dell’8 settembre.
    O come le spudorate "testimonianze" di Andreotti, che accompagna il viaggio di Vespa nella storia come Virgilio con Dante:
    a un certo punto ricorda il presunto "affetto" che gli mostrava Carlo Alberto Dalla Chiesa.
    Peccato che, nei suoi diari, il generale assassinato dalla mafia definisse la corrente andreottiana "la più inquinata della Sicilia".

    Se ne riparlerà nel prossimo Potta a Potta, con:
    Crepet,
    la Palombelli,
    Boldi,
    De Sica,
    le Lecciso e altri storici di vaglia.


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  4. #904
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    Predefinito Re: Cavoli a merenda

    GRANDE .... Come Sempre!!!!!
    Buon Natale !!!!

  5. #905
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    Predefinito Riformisti edizione speciale

    2004: il meglio del peggio

    La piaga del traffico.
    «In Iraq le elezioni regolari saranno la conseguenza di uno Stato ben funzionante. Ormai c'è una vita regolare, ci sono le scuole eccetera. Poi, certo, ci sono le cose che non funzionano. Ad esempio, i semafori a Baghdad non funzionano. Ogni tanto scende uno dalla macchina e si mette a dirigere il traffico»

    (Silvio Berlusconi, 30-9).

    Clamorosi sviluppi.
    «Vorrei qui ricordare l'attacco del comunismo alle Due Torri...»

    (Berlusconi a Washington, 21-5).

    Mohammed Curcio.
    «Siamo in Iraq per combattere le Brigate rosse»

    (Carlo Giovanardi, Porta a Porta, 14-12).

    Il comandante in capo.
    «Chi non salta interista è!»

    (Berlusconi fra i soldati a Nassiriya, 12-4).

    Littorio Feltri.
    «Se le due Simone fossero state mie figlie, le avrei prese a schiaffi»

    (Vittorio Feltri, Libero, 15-9).
    «Enzo Baldoni era un pirlacchione»
    (Feltri, Libero, 16-8).

    I ricchi piangono.
    «È più facile difendere i deboli o i potenti?».
    «I potenti hanno bisogno di molta solidarietà. Sono i più fragili davanti al giudice... Io non ho mai visto piangere un rapinatore. Ma ho visto piangere i ricchi e i potenti»

    (Gaetano Pecorella intervistato da Claudio Sabelli Fioretti, Sette, 15-4).

    Marlon Silvio.
    «Chi è? Marlon Brando. No, quello aveva il fisico, ma non spalle così larghe... Ha spalle da pallanuotista, come quelle di Eraldo Pizzo, il Caimano di Recco... Il ragazzino col fisico da Caimano è proprio lui, Silvio Berlusconi... Proprio un bel figliolo»

    (Fabrizio Gatti, Il Giornale, 20-10).

    Europeismo a posteriori.
    «Il ministro per gli Italiani nel mondo, on. Mirko Tremaglia, ha diffuso la seguente dichiarazione in merito alla bocciatura della candidatura di Rocco Buttiglione: “Purtroppo Buttiglione ha perso. Povera Europa: i culattoni sono in maggioranza”»

    (Ansa, 12-10).

    Sandro Fantozzi.
    «Scusi, Dottore, se parlo in sua presenza»

    (Sandro Bondi a Berlusconi nel racconto di Vittorio Sgarbi, 23-4).

    Astenersi stallieri.
    «Alla Fininvest assumevamo solo figli o nipoti di carabinieri e di campioni olimpionici»

    (Berlusconi, 28-9).

    Il nuovo Roosevelt.
    «L'Italia ha un eroe calmo e solido, un uomo dalla schiena dritta e dalla voce pacata... È Franco Frattini, il nostro giovane ministro degli Esteri... Ci ricorda Theodor Roosevelt»

    (Paolo Guzzanti, il Giornale, 20-4).

    Lampi di sincerità.
    «Io, su uno come me, non avrei scommesso una lira»

    (Roberto Calderoli, Corsera, 12-10).

    Waterclosed.
    «Sono convinto che il caso Mitrokhin sia più grave del Watergate e siamo solo all'inizio»

    (Paolo Guzzanti, Ansa, 15-12).

    Giulio Tramonti.
    «Dimettermi? Non ci penso. Faccio la mia partita come i piccoli giocatori di scacchi di periferia: una mossa alla volta, sempre attenti a non far saltare la scacchiera»

    (Giulio Tremonti, Repubblica, 3-7, due settimane prima di dimettersi).

    Dal diario di Rocco Frank.
    «Quel che è accaduto a me in Europa travalica anche le religioni. È come se un ebreo si fosse consegnato a un nazista e questi gli avesse detto: “Eccoti, ti abbiamo scovato”...»

    (Rocco Buttiglione, Il Tempo, 7-11).

    Penultimatum.
    «Non scappo ora perché è un momento delicato e perché Tremonti ci invita a rimanere. Ma per me la rappresentanza della metà degli italiani, che in questo Cda era costituito dal presidente, è importante come chi rappresenta la maggioranza. Mi dimetterò dopo le elezioni del 13 giugno»

    (Giorgio Rumi dopo le dimissioni della Annunziata, 11-5).

    C'è supposta per te.
    «La sorella di Tremonti mi ha raccontato che il fratello s'è comprato una macchinetta metti-supposte»

    (Elisabetta Gardini, neo-portavoce di FI, 19-9).

    Non si usa.
    «Non è nostra abitudine invitare indagati a Porta a Porta».

    (Bruno Vespa, 9-11).

    Prosindaco prosecco.
    "Bisogna arrestare le donne col burqa, perchè sotto quel velo non si sa mai se c'è un uomo o una donna"

    (Giancarlo Gentilini, prosindaco di Treviso, 24-9).

    Sherlock Cogne.
    "Il vero assassino di Emanuele Lorenzi è uno psicopatico di Cogne, l'abbiamo inchiodato con prove clamorose: foto, filmati, pedinamenti, testimonianze, sopralluoghi, analisi scientifiche, osservazioni psicologiche, frequentazioni, precedenti specifici, fatti terrificanti"

    (Giuseppe Gelsomino, investigatore dell'avv. Carlo Taormina, 28-7)

    Scuole alte/1.
    "L'intellighenzia di sinistra è gente che non ha mai combinato nulla nella vita e si erge a detentore del sapere. Travaglio mi ha dato dell'ignorante. Prima dell'università ho fatto il classico, traducendo il greco e il latino"

    (Roberto Castelli, La Padania, 7-8).

    Scuole alte/2.
    "Durante il processo, Dell'Utri leggeva 'Ossa di seppie'..."

    (Vincenzo Trantino, Planet, 14-12).

    In mutande da te.
    "Don Gianni, stai perdendo i pantaloni!"

    (Berlusconi a Baget Bozzo, 27-1).

    Nostradamus al Polo.
    "Forza Italia quelli del Triciclo li batterà da sola. Manterremo i voti delle politiche, cioè il 29.8%, dieci punti in più della sinistra prodiana"

    (Berlusconi in campagna elettorale, 15-2).
    "Perdere le elezioni? E' una ipotesi della irrealtà, e io non faccio commenti all'irreale"
    (Berlusconi, 25-5).
    "Prenderemo il 25%, anche di più. Siamo già nella Storia e continueremo a starci da protagonisti"
    (Berlusconi, 29-5).
    "Ombretta Colli ha fatto bene e farà ancora meglio nei prossimi cinque anni, perchè l'è una bela tusa e sa cantare"(Berlusconi, 24-5. Risultato: FI scende sotto il 20% e perde 4 milioni di voti. La Colli perde la Provincia di Milano).

    Scelte di vita.
    "Io non andrei alla Juve, sono scelte di vita. Rispetto la società, che colloco tra le prime cinque al mondo, ma a me non interessa andare lì"

    (Fabio Capello, 7-2).

    Congiuntivite bianconera.
    "Spero che i tifosi si divertino"

    (Lapo Elkann, 18-12).

    Qualche ritocco.
    "La riforma dell'ordinamento giudiziario scritta del governo è accettabile in alcune parti"

    (Francesco Rutelli, Corsera, 2-3).
    "Se andremo al governo non potremo scaraventare l'Italia in un terzo quinquennio di riforme che riformano riforme che avevano riformato altre riforme. Serviranno interventi selettivi per correggere e migliorare le attuali leggi"
    (Rutelli, Corsera, 3-8).

    Lessico familiare.
    "E' vero, ho detto rompicoglioni a Marco Biagi. Ma ovviamente non perchè questa frase fosse la mia opinione su di lui... Bisogna tener conto del lessico che purtroppo a volte si usa. Io non so se a lei è mai successo di dire di uno che è un rompicoglioni... A me qualche volta capitava anche con mio figlio"

    (Claudio Scajola, Magazine, 23-12).

    Unto e Bisunto.
    "Berlusconi è un dono di Dio epocale, non solo per il mio ospedale e per il Milan, ma anche per questo Paese. Grazie a te, Silvio, che porti la croce in questi tempi nel nostro caro Paese"

    (don Luigi Verzè, 15-5).

    Unto e Trisunto.
    "Nel '94 Berlusconi scese in campo su ispirazione dello Spirito Santo"

    (don Gianni Baget Bozzo, 27-1).

    I tre ladroni.
    "In Craxi ho visto la Croce del Signore"

    (Baget Bozzo, 27-1).

    Scene da un patrimonio.
    "Craxi è un patrimonio della Repubblica Italiana"

    (Marcello Pera sulla tomba di Hammamet, 19-1).

    Giurista per caso.
    "L'articolo 101 della Costituzione dice che la giustizia va amministrata in nome del popolo. Significa che i giudici devono interpretare il comune sentimento popolare"

    (Roberto Castelli, 15-11).

    Nessuna speranza.
    "Non si illudano. Berlusconi ci seppellirà tutti. E' tecnicamente quasi immortale. La sua vera età è di 55 anni"

    (Umberto Scapagnini, medico del Cavaliere e sindaco di Catania, Sette, 3-2).

    Soprattutto tirato.
    "Io il lifting non lo volevo fare, sono stato tirato dentro a farlo da mia moglie"

    (Silvio Berlusconi, 28-1).
    "Il lifting è stato un'idea sua"
    (Veronica Berlusconi, 30-1).

    Eventi soprannaturali.
    "Scende dall'alto, cioè dal presidente Berlusconi, la benedizione per la squadra di calcio olimpica"

    (Clemente J. Mimun, Tg1, 3-8).

    Testa di cozza.
    "Mi sono stufato di stare sempre dalla parte della ragione e di avere sempre ragione"

    (Giuliano Ferrara, Il Foglio, 5-12).

    Buon RIinizio.

    Greetings from Mars...

  6. #906
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    Predefinito

    In Origine Postato da Djaspher
    "Non si illudano. Berlusconi ci seppellirà tutti. E' tecnicamente quasi immortale. La sua vera età è di 55 anni"

    (Umberto Scapagnini, medico del Cavaliere e sindaco di Catania, Sette, 3-2)


  7. #907
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    Dopo lunga meditazione, Mastella si è "ripreso la sua libertà", ma potrebbe mollarla se gli danno la Basilicata.

    Dice che è una "scelta morale", come conferma la presenza alla sua destra dell' on. Nuccio Cusumano, già arrestato e ora imputato a Palermo per gli appalti truccati dell'ospedale di Catania; e alla sua sinistra dell'europarlamentare Paolo Cirino Pomicino, condannato per la tangente Enimont e i fondi neri Eni.

    L'opposizione, anziché festeggiare la liberazione e pregustare i voti che guadagnerà senza lo Statista di Ceppaloni, si avventura in arditi calcoli di quanti ne avrebbe presi con lui.
    E il Polo prepara il vitello grasso
    (Ferrara, prudenzialmente, s'è dato alla macchia)
    per il rientro del figliuol prodigo alla casa del padre.
    Inviti in tal senso gli giungono da James Bondi
    ("Porte aperte a Udeur e Rutelli")
    e da Gasparri
    ("Tagli i ponti col centrosinistra e scelga la Cdl").

    Curiosamente, è scomparso d'improvviso dal gergo politichese il termine "ribaltone", che tanta fortuna aveva riscosso in passato, quando a voltar gabbana erano eletti nel Polo che passavano al centrosinistra.
    O semplicemente, come Bossi nel '94, si stufavano di tenere il sacco al Cavaliere e ai suoi coimputati.
    Fu proprio dieci anni fa, di questi giorni.
    Mozione di sfiducia di Lega, Ppi (Buttiglione) e Pds.
    Fine del Berlusconi I.

    Apriti cielo.
    "Bossi ladro, ricettatore di voti, personalità doppia, tripla e forse quadrupla, truffatore, traditore, Giuda!", strillò il Cavalier Disarcionato il 21 dicembre.
    "Imbroglioni politici e politici imbroglioni!", vomitò Ferrara, ignaro della Costituzione
    (i parlamentari sono "senza vincolo di mandato").

    Trascurava, il Platinette Barbuto, che grazie al ribaltone di un pugno di eletti nell'opposizione
    (fra i quali Tremonti e Grillo, passati al Polo in cambio di solide poltrone)
    il suo governo era passato al Senato, dov'era in minoranza.
    Parlò persino Giovanardi:
    "Ci stanno sfilando il portafoglio dalla tasca".
    Per Berlusconi l'unica strada erano le elezioni, perché "solo gli italiani decidono chi governa e chi fa l'opposizione. Lo impone la legge elettorale maggioritaria, nata dal referendum del '93. Tradire quel principio significa delegittimare il Parlamento, seminare sfiducia nelle istituzioni e produrre una ferita devastante nel corpo politico. La mia intransigenza è civile e morale, prima che politica. Non difendo nessuna poltrona, ma il Parlamento e la Costituzione. Una scelta di civiltà e di democrazia",
    mentre Bossi "rinnega e tradisce i suoi elettori, espropriandone la volontà politica e trasportandola nel campo avversario. Il suo mandato parlamentare diventa carta straccia, un inganno che carpisce la buona fede dei cittadini, un furto con scasso per sete di potere".
    Insomma, "i nostri voti vengono rubati e svenduti con un'operazione di trasformismo".
    Come dire:
    "Cari elettori, le elezioni non contano un bel niente".

    È un vero peccato che quell'incrollabile intransigenza morale, quel morboso affetto per la Costituzione si affievoliscano un tantino ora che si tratta di incamerare gli eventuali voti di Mastella.
    A meno che non si stabilisca che gli elettori vengono "truffati", "rapinati", "scippati" solo quando mandano qualcuno al governo e se lo ritrovano all'opposizione, e non viceversa.
    Ma questo parve escluderlo lo stesso Cavalier Autosmentito nella fatwa del 21 dicembre '94:
    "La sovranità appartiene al popolo e nessuno ha il diritto di portargliela via. Chiunque operi contro la volontà libera degli elettori, per qualunque motivo e in qualunque momento, offende lo spirito e l'anima della Costituzione democratica, lacera la materia stessa di cui è fatto il patto che unisce i cittadini, taglia le radici stesse da cui questo patto si alimenta".
    Disse proprio "chiunque", "per qualunque motivo e in qualunque momento".
    Citò persino Maritain, Lincoln, Sturzo, Calamandrei, Terracini e La Malfa (Ugo), peraltro ignari e incolpevoli di tutto.
    Fini completò l'opera annunciando:
    "Con Bossi non prenderemo neanche un caffè".
    Gasparri propose Sergio Cusani come leader ideale del ribaltone:
    "Cusani è il distributore di mazzette sia ai vecchi bastioni della partitocrazia tipo Pci-Pds e Dc-Ppi, sia della Lega. È l'uomo che può unire i vecchi truffatori ai nuovi percettori di mazzette, sarebbe il simbolo migliore del ribaltone".

    La parola "ribaltone" si riaffacciò nell'ottobre '98 quando, rovesciato il governo Prodi, arrivò D'Alema coi voti dell'Udeur (Cossiga-Mastella-Buttiglione).
    "Non è più una democrazia", sentenziò il Cavalier Monopolio, ma "un regime" con un "governo senza legittimità, non voluto nè votato dagl'italiani".
    Frattini e Gasparri partorirono una legge "anti-ribaltoni", anche perché le giunte di Sicilia e Calabria cambiarono colore con la transumanza del'Udr.
    "Giunte truffa, immorali, antidemocratiche", tuonò il Cavalier Censura, "frutto della solita doppiezza comunista".

    Deve saperne qualcosa l'ex comunista ora forzista Sandro Bondi.
    Anche lui nemico acerrimo dei ribaltoni (altrui), ha definito D'Alema "uomo dei colpi di palazzo, dei trasformismi, dei ribaltoni, dello sgambetto a Prodi, rappresentante tipico del cinismo politico e dell'immoralità"
    (2-10-2003);
    e Scalfaro, per i fatti del '94, addirittura "perfido e ipocrita"
    (6-5-2004).
    Ora, riavutosi, apre le porte a Mastella.

    La solita doppiezza comunista.

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  8. #908
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    Si è chiuso in Cassazione il processo Andreotti, dopo dieci anni di calvario.

    Calvario, ovviamente, per i magistrati di Palermo che, in ossequio alla Costituzione e al Codice penale, hanno doverosamente processato il senatore a vita.
    Ora è il momento delle scuse:
    ai magistrati di Palermo, s'intende, per l'onda anomala
    (o forse «normale»)
    di calunnie e falsità che li ha travolti per dieci anni, fra i silenzi di chi doveva parlare e le panzane di chi doveva tacere.

    Insufficienza di prove gabellata per «formula piena»,
    prescrizione spacciata per assoluzione,
    delitti gravissimi ridotti a generiche «responsabilità politiche»
    (che poi nessuno, salvo i radicali, ha mai contestato al responsabile).

    Ora sappiamo dalla Suprema Corte di Cassazione che la sentenza della Corte d'appello di Palermo - Andreotti colpevole di associazione per delinquere con Cosa Nostra fino alla primavera 1980, insufficienza di prove dall''81 al '93 - non era ambigua né contraddittoria né cerchiobottista.
    Era «esaustiva», «logica», «razionale», «argomentata», «dimostrativa degli apprezzamenti di merito»: cioè dei fatti portati dall'accusa, in base ai pentiti e ai riscontri, dunque «non censurabile sotto il profilo della motivazione», ergo definitivamente confermata.

    Chi
    (un nome a caso, Berlusconi)
    ne aveva dedotto che i Giudici sono «matti», «antropologicamente diversi dalla razza umana», dovrebbe farsi visitare da uno bravo.
    E chi vaneggiava di «assoluzione», «fine del calvario», «bocciatura dei teoremi», «confessione della Procura» dovrebbe cambiare mestiere.
    O almeno leggersi le sentenze prima di commentarle.

    Il presidente dell'Antimafia Roberto Centaro, autore della relazione in cui si affermava che l'appello «ha malamente sbugiardato i teoremi d'accusa», dovrebbe avere la decenza di dimettersi.
    Un po' di silenzio farebbe bene al rutelliano Beppe Fioroni
    («Andreotti esce a testa alta da accuse infamanti»);
    al verde Paolo Cento
    (che aveva zittito Caselli, reo di aver citato la sentenza di prescrizione confermata dalla Cassazione e per questo trascinato da Forza Italia dinanzi al Csm: «Intervento inopportuno perché il processo si è chiuso con l'assoluzione»);
    a Enrico Buemi dello Sdi
    («Caselli si arrampica sugli specchi per difendere quel che ha fatto. Il processo Andreotti nasce da una pericolosissima confusione tra responsabilità politiche e penali che attivano processi mostruosi come questo»);
    a Ottaviano Del Turco (Sdi), degno predecessore di Centaro
    («Non capisco perché una parte della sinistra continui a sottoscrivere una storia d'Italia come se fosse stata governata per 50 anni da mafiosi e piduisti»);
    e a Emanuele Macaluso, che ridacchiava su Andreotti mafioso fino all'80 e vaneggiava di eventuali «responsabilità politiche, non penali».

    Ora la Cassazione conferma che le responsabilità penali c'erano, consacrando per sempre il verdetto che dichiara Andreotti colpevole di «partecipazione all'associazione per delinquere»
    (non concorso esterno, peggio)
    fino al 1980.

    La garrula avvocatessa Giulia Bongiorno ha perso anche in Cassazione
    (rigettato il suo ricorso, condannato il suo cliente alle spese processuali),
    ma continua a strillare che ha vinto lei:
    «Un netto miglioramento della precedente sentenza, con dubbi e perplessità in merito ai presunti incontri».
    Forse ha letto un'altra sentenza: questa critica addirittura i giudici d'appello per aver accreditato troppo generosamente il «recesso» di Andreotti dalla mafia in assenza di «fatti positivi».

    Stupisce il commento dell'avvocato Coppi, non degno di una persona seria come lui:
    «I pentiti accusano Andreotti guardacaso dopo la morte di Falcone, che li avrebbe arrestati per calunnia».
    Falcone che arresta Buscetta e Mannoia è difficile immaginarlo, anche perché gli avevano sempre detto la verità
    (Buscetta aveva anticipato nel 1983 le accuse contro Andreotti a Dick Martin, il pm di New York che aveva lavorato con Falcone sulla Pizza Connection).

    Ma dopo la mazzata della Cassazione i professionisti della disinformafia tacciono imbarazzati.
    Resiste, ottuso e solitario come il palo della banda dell'Ortica, il senatore Fragalà (An):
    «La sentenza dimostra la natura politica e strumentale dell'indagine avviata da Caselli che pretendeva di riscrivere la “vera storia d'Italia” con l'inchiostro rosso del pregiudizio e dell'interesse di parte».
    Lo smentisce persino il Giornale che, essendo Lino Jannuzzi chiuso per ferie, si affida a una giornalista, Anna Maria Greco, che le sentenze le sa leggere:
    «Dunque la sentenza si basava su fatti concreti che provano i legami, fino al 1980, dell'ex statista Dc con Cosa Nostra… Al centro c'è l'incontro di Andreotti con il boss Stefano Bontate».

    Tace anche Bruno Vespa, che s'è appena fatto dettare la storia d'Italia da Andreotti
    (a quando una storia della "mafia vista da vicino", a quattro mani?).
    Giuliano Ferrara, che ancora venti giorni fa inseriva Andreotti fra i martiri dei «fallimenti di Caselli», se la cava con quattro righe quattro sul Foglio.

    Per molto meno, all'estero, i giornalisti si dimettono e si danno all'ippica.
    In un gruppo così prodigo di cavalieri e stallieri, non mancano le chances.

    Greetings from Mars...

  9. #909
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    Predefinito Ultime dall'annus orribilis

    Mentre il ducetto di Arcore intratteneva la stampa di regime con una barzelletta di quattro ore
    («Siamo avanti rispetto alla signora Thatcher… Sono entrato in politica per ragioni morali e spirituali…»),
    poco prima dell’attentato alle parti basse
    (un orecchio),
    le veline sistemate nelle varie istituzioni davano gli ultimi ritocchi al regime occupando quei pochi, minuscoli centri di controllo rimasti autonomi.

    Il Gran Consiglio dei Ministri aboliva di fatto il Csm prorogando di sei mesi, con apposito decreto, il Procuratore nazionale antimafia Piero Luigi Vigna.
    Il decreto s'intitola umoristicamente «Disposizioni per assicurare la funzionalità degli enti locali e il differimento di termini previsti da disposizioni legislative vigenti», e prevede fra l'altro:
    la «liberalizzazione dell'accesso al mercato dell'autotrasporto per conto terzi» e il «finanziamento provvisorio delle regioni».
    I decreti, ai tempi della democrazia, erano provvedimenti eccezionali di assoluta «necessità e urgenza».
    Ma per la Superprocura non c'è alcuna esigenza di proroga: il decreto sproloquia di «assicurare il contrasto alla criminalità», mentre la Superprocura non contrasta un bel nulla, avendo poteri di semplice coordinamento; e delira di «evitare il periodo di probabile vacanza dell'ufficio», mentre il Csm ha già bandito il concorso per la successione di Vigna.

    La sola necessità e la sola urgenza sono quelle del clan Berlusconi-Dell'Utri-fu Mangano di sbarrare la strada a Gian Carlo Caselli
    (che fra sei mesi, per motivi di età, non potrà più coprire la Superprocura per i 4 anni previsti dalla legge)
    e spianarla a qualche procuratore gradito al governo.
    Meglio evitare che un pericoloso simbolo dell'antimafia si occupi di mafia.
    Ma è stupefacente che Vigna accetti questa mortificante strumentalizzazione del suo nome, e che nessuno trovi nulla da ridire su un governo che ora proroga, e magari domani revocherà, un magistrato invadendo un campo che, ai tempi della democrazia, era riservata non al governo, ma all'autogoverno.
    Sarebbe curioso se Ciampi, che fra l'altro presiede il Csm, firmasse una simile porcheria, che fra l'altro porta il suo nome
    (decreto del Presidente della Repubblica).

    Restava da sistemare l'Authority dell'Antitrust, che in futuro dovrà pure vigilare sull'attuazione della legge sul conflitto d'interessi.
    Qui, all'uopo, gli aiutanti di campo Pera e Casini hanno spedito l'ex sindaco trombato di Bologna Giorgio Guazzaloca e l'emissario forzista nell'altra Authority, quella delle Telecomunicazioni, Antonio Pilati.
    Il secondo, essendo il vero autore della cosiddetta legge Gasparri, s'è guadagnato meriti imperituri presso la Real Casa: con un gran tocco di eleganza, chi ha consacrato il trust e il conflitto d'interessi ora si occuperà di antitrust e di lotta ai conflitti d'interessi.
    Anche Guazzaloca, per motivi opposti, è l'uomo giusto al posto giusto: essendo un ex macellaio, capisce di antitrust come di fisica nucleare.
    Però è bolognese come Casini, anzi suo grande amico.
    E Casini, si sa, è uomo di vaste amicizie: ultimamente si era scoperto amico pure di Marcello Dell'Utri, alla vigilia della sua condanna a 9 anni per mafia.
    Ecco, il fatto che abbia scelto Guazzaloca vuol dire che ci è andata bene.

    Ora si attende la nomina del nuovo presidente dell'altra Autority, quella delle Telecomunicazioni.
    La farà il premier
    (sì, il controllato nomina il controllore, così è tutto più chiaro)
    in una rosa che comprende:
    il ministro berlusconiano Marzano,
    l'ex ministro berlusconiano Mazzella
    il segretario generale di Palazzo Chigi, Catricalà.

    Ma non si vede perché escludere a priori candidati autorevoli come Confalonieri
    (candidato pure a sindaco di Milano)
    o Piersilvio detto Dudi
    (candidato pure alla presidenza del Milan dopo la dolorosa rinuncia paterna).

    Poi c'è quello che i cinegiornali chiamano «completamento della squadra di governo», resosi improvvisamente necessario dopo quattro anni.
    Un'imbarcata di 3 viceministri e 11 sottosegretari: tutti «meritevoli», assicura il ducetto.
    Fra i più meritevoli, si segnala il Vitali che s'è immolato prestando il suo nome all'innominabile legge salva-Previti
    (alla Giustizia, dunque);
    il Saponara, che è l'avvocato di Previti
    (pertanto agli Interni);
    lo Stefani che insultò i turisti tedeschi come «specialisti in gare di rutti»
    (ergo, all'Ambiente, così potrà insultare anche le piante e gli animali);
    un ex craxiano che per giunta si chiama Ricevuto
    (naturalmente alle Infrastrutture);
    e infine il Gobbo, discepolo del razzista Gentilini
    (alle Riforme Istituzionali, si capisce).
    Resta da sistemare il cognato di Cuffaro, che ha ben meritato mandando all'ospedale il comunista Francesco Forgione, reo di raccogliere firme contro il governatore imputato:
    ma si troverà un posto anche per lui, magari alla Sanità, o alla Giustizia.

    Completa l'opera il sottosegretario Gianni Letta, confermando il «segreto di Stato per la pianificazione nazionale antiterrorismo» sui lavori abusivi a Villa La Certosa, appena sanata con emendamento alla Finanziaria e presto ribattezzata Villa Torlonia.
    «L'area -informa Letta- sarà inaccessibile perché sede alternativa di massima sicurezza per l'incolumità del premier, dei suoi familiari e collaboratori».

    Una specie di Hammamet.

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  10. #910
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    Anche noi ci associamo allo sdegno delle alte cariche dello Stato, e anche di quelle medio-basse, per il vile attentato a Sua Eccellenza il Cavalier Silvio Bugiardoni, tanto più proditorio in quanto l'ha colto mentre era impegnato nella battaglia della grana
    (la sua),
    fortunatamente vinta.

    Analoga riprovazione esprimiamo per le indegne catene di sms che attraversano i cellulari di tutt'Italia irridendo l'augusto ferito che lotta fra la vita e il lifting; o indicendo gare di solidarietà per procurare un nuovo cavalletto all'Enrico Toti mantovano; o addirittura raccogliendo fondi «per un povero treppiedi aggredito da un lifting».
    Pseudoumorismo disfattista e antipatriottico, che va stroncato sul nascere, proprio ora che dopo cinquant'anni il sole è tornato a splendere sui colli fatali di Roma.

    Bene fa Sua Eccellenza Roberto Calderoli, stretto nella virile camicia verde, a stigmatizzare come «vomitevole» la scarcerazione dell'attentatore, non a caso proveniente da Mantova, sede di un sedicente Controfestival della Canzone organizzato un anno fa da tale Dalla Chiesa Fernando e altri sovversivi in contrapposizione al Festival di Sanremo, gloria e orgoglio del belcanto nazionale.
    Bene fanno i Cinegiornali a dare per colpevole il lanciatore di cavalletti: la presunzione d'innocenza, anche in caso di condanna definitiva, vale solo per le Loro Eccellenze Dell'Utri e Previti.
    Per i paria, niente pastoie da rammolliti come indagini, rinvio a giudizio, processo, appello e Cassazione: colpevoli subito, per definizione.
    E subito in galera.

    Qualcuno dirà: ma questo non è il governo che l'estate scorsa, per bocca di Sua Eccellenza Giovanardi, voleva abrogare la custodia cautelare perché «è barbaro arrestare uno prima del processo»?
    Certo: ma si parlava di un politico tangentaro, mica di un lanciatore di cavalletti.
    Altri obietteranno:
    mica si possono arrestare tutti gli aggressori, per un reato perseguibile a querela: infatti, per quel tipo di delitto, non si arresta mai nessuno.
    Se scattassero le manette a ogni rissa, zuffa, scazzottata, lite di condominio, altro che sovraffollamento delle carceri!
    La soluzione è chiara e impegnativa per tutti:
    se l'aggredito è un'Eccellenza, l'aggressore va in galera; se l'aggressore è un'Eccellenza, un parente o un amico di un'Eccellenza, l'aggredito si ritenga fortunato di essere vivo e a piede libero.

    Quando Sua Eccellenza Fabrizio Del Noce sfasciò un microfono sul naso dell'inviato di Striscia la notizia Valerio Staffelli, mandandolo al pronto soccorso, nessuno si sognò di arrestarlo: eppure c'era la prova televisiva.
    E alla vigilia di Natale, quando il cognato di Sua Eccellenza Salvatore Cuffaro, accompagnato da tre amici degli amici, pestò a sangue e spedì all'ospedale il deputato regionale Francesco Forgione che raccoglieva firme contro Sua Eccellenza Cuffaro, urlandogli «Attenti, sappiamo dove abiti», la questura ne coprì l'identità e lo rilasciò immantinente.

    Il facinoroso mantovano, invece, merita i ferri e una pena esemplare, senz'attenuanti generiche: casomai dovesse invocarle in quanto incensurato, esse gli andranno negate, a costo di emendare la legge Salvapreviti con un'esenzione speciale per i lanciatori di cavalletti a premier in carica.
    I fatti a suo carico sono inequivocabili.
    Informato dalla direzione strategica del Partito dell'Odio sulla statura non eccelsa del Ducetto, egli afferrava un cavalletto di un metro e colpiva la vittima in ciò che ha di più caro: la zona retroauricolare, punto di intersezione fra il lifting e il trapianto bulbare.
    Anni di restauri e grandi opere vanificati in pochi secondi.
    Tutto da rifare.
    Squadre di stuccatori, decoratori e imbianchini son tornate sul luogo del relitto, profittando degli ultimi giorni del condono edilizio, per riaprire il cantiere armati di bigodi, pialle, tiranti e cemento armato.
    Presente anche Sua Eccellenza Lunardi, per eventuali trafori.

    Intanto andranno rafforzate le misure di sicurezza intorno al Ducetto: fino all'altro giorno pareva impossibile perforare lo scudo umano del suo «servizio segreto», sessanta armadi a quattro ante che lo foderano da ogni lato, pronti a gettarsi al salvamento, impacchettarlo e paracadutarlo nel tunnel-bunker di Villa La Certosa, appositamente coperto da segreto di Stato.
    Per non parlare del sagace poliziotto di quartiere che sicuramente stazionava in piazza Navona travestito da putto della fontana.
    Ecco: a sgominarli è bastato un cavalletto.

    D'altronde non tutti gli attentati sono uguali.
    Sono a misura di statista.
    Per il Duce, Reagan e il Papa, le pistolettate.
    Per Arafat, forse, il veleno.
    Per Yushenko, la diossina.
    Per Bush, un salatino.
    Per Berlusconi e il suo regime mediatico, il treppiedi di una telecamera.


    Ora la falla nel Security Sistem va rapidamente rammendata prima che il Partito dell'Odio torni in azione.
    Perché ci riproveranno, questo è sicuro.
    Con armi ancor più odiose e letali, vietate dalla Convenzione di Ginevra.
    Tenteranno di sfracellarlo giù da un marciapiede.
    Gli urleranno «Arriva Ilda!» da dietro l'angolo.
    Gli spediranno lettere anonime con la notizia che Previti e Dell'Utri collaborano con la giustizia.


    E, se ancora non bastasse, lo finiranno con l'ultima prolusione di Adornato alla Fondazione Liberal, integrale e con testo italiano a fronte.

    Greetings from Mars...

 

 
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