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  1. #591
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    Prima la legge, poi i soldi
    Al processo contro Berlusconi e Craxi, i difensori del Cavaliere tentano di accreditare la ridicola tesi di soldi versati al produttore Tarak Ben Ammar per fantomatici diritti televisivi e cinematografici e poi finiti per errore sui conti di Craxi, che aveva in comune col produttore lo stesso avvocato. Ma il tribunale non ci crede e condanna sia Berlusconi sia Craxi.
    In appello, la difesa cambia registro e, in “via subordinata”, ammette i pagamenti a Craxi, ma come “dazione personale a favore di un partito politico”.
    Traduzione: se Berlusconi ha pagato Craxi, l’ha fatto con soldi suoi personali, non della società.
    Un modo come un altro per far scattare la non punibilità prevista in questi casi dalla legge sul finanziamento ai partiti.
    Ma nemmeno questa è la verità.
    Secondo i giudici d’appello, il leader del Polo è colpevole, ma prescritto.
    Come stabilirà la Cassazione, nella sentenza definitiva del 22 novembre 2000:
    “Le operazioni societarie e finanziarie prodromiche ai finanziamenti estero su estero dal conto intestato alla All Iberian al conto di transito Northern Holding furono realizzate in Italia dai vertici del gruppo Fininvest Spa, con il rilevante concorso di Berlusconi quale proprietario e presidente, da Foscale quale amministratore delegato, da Vanoni quale responsabile del settore estero”.
    Dunque All Iberian è in tutto e per tutto riferibile alla Fininvest di Berlusconi.
    Assolverlo nel merito?
    Nemmeno per sogno:
    “Non emerge dagli atti processuali l’estraneità dell’imputato”.
    Dunque, è responsabile, ma non piú punibile.
    Infatti, come già per le mazzette alla Guardia di finanza, viene “condannato al pagamento delle spese processuali”.

    Interessante la data dei versamenti di 21 miliardi a Craxi: 1990-1992, dopo la felice conclusione del lungo tira-e-molla della legge sul sistema televisivo, la Mammì, che anzichè stabilire tetti antitrust al monopolio berlusconiano, si limitava a fotografare il suo trust.
    Una legge fortissimamente voluta dal Caf di Craxi, Forlani e Andreotti. Al punto che, quando la sinistra Dc ritirò i suoi cinque ministri dal governo Andreotti per protesta, il divo Giulio li rimpiazzò nel giro di una notte.
    Poi, sui conti esteri di Craxi, cominciò la cascata di miliardi.
    (continua)

  2. #592
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    Che il Cavalier Mazzetta pagasse Craxi, e non solo Craxi, e i socialisti, e non solo i socialisti
    (lecitamente o illecitamente poco importa in questa sede)
    non lo dicono soltanto le sentenze della magistratura e i conti correnti delle banche svizzere.
    Lo disse lo stesso Craxi, in un memoriale del 23 ottobre 1993 consegnato ai pm di Milano e Torino qualche settimana dopo:
    «I maggiori gruppi economici dovrebbero dire la verità circa le pratiche seguite da tempo immemorabile e affrontare la realtà della situazione che si è creata, invece di nascondersi dietro un dito, come una parte di loro almeno continua a fare. Per quanto riguarda i privati mi riferisco evidentemente, innanzitutto, a grandi gruppi di importanza nazionale e internazionale, che in varie forme dirette e indirette hanno certamente finanziato o agevolato i partiti politici e, anche personalmente, esponenti della classe politica. Dalla Fiat all'Olivetti, dalla Montedison alla Fininvest».
    Parlare di concussione dei politici ai danni degl' imprenditori, almeno per i miliardi da Berlusconi a Craxi, sarebbe arduo: il rapporto che c'era fra i due non era quello fra l'estorsore e l'estorto, visto che Craxi era amico intimo di Berlusconi, festeggiava con lui i capodanni, andava con lui in vacanza, addirittura gli faceva da testimone di nozze.
    Ma, non c'erano soltanto Craxi e i socialisti.

    Tangente con patente
    Non è vero che il pool di Milano abbia cominciato a indagare sulla Fininvest dopo la «discesa in campo del Cavalier Menzogna».
    L'ingresso ufficiale del Biscione in Tangentopoli risale addirittura al 15 settembre 1992, sette mesi dopo l'arresto di Mario Chiesa.
    Quel giorno Augusto Rezzonico, già presidente delle Ferrovie Nord e poi senatore Dc, fa per la prima volta davanti al Di Pietro il nome della holding berlusconiana.
    Spiega che nel febbraio '92 Dc e Psi inseriscono nella legge istitutiva del nuovo codice della strada un emendamento per favorire la «Fininvest, gruppo Berlusconi, unica accreditata depositaria del know how tecnico necessario per la realizzazione» di un sistema di segnalazione elettronico per le autostrade, chiamato Auxilium: «un business valutabile in oltre 1.100 miliardi».
    «Noi della Dc
    - prosegue Rezzonico - aspettammo che qualcuno della Fininvest si facesse vivo (...) per quantificare tangibilmente in denaro il loro ringraziamento. Nessuno però si fece vivo».

    Poi, nel marzo 1992, Rezzonico viene finalmente contattato da un uomo Fininvest, il geometra Sergio Roncucci, ex consigliere comunale del Pci a Trezzano sul Naviglio e ora capo delle relazioni esterne dell'Edilnord:
    «Mi recai dal dottor Roncucci negli uffici Fininvest di via Paleocapa. Qui prima di tutto Roncucci mi ringraziò per la considerazione in cui la Fininvest era stata tenuta con l'inserimento dell' emendamento e mi confermò l'impegno della Fininvest a far fronte alle contribuzioni in favore della Dc per il piacere ricevuto».

    La vicenda non potrà però essere approfondita dal pool: Rezzonico infatti non sa o non vuole fornire altri particolari. Anche perchè, spiegano altri democristiani milanesi, i finanziamenti del Biscione ai partiti non sono frutto di accordi locali, ma di «accordi nazionali che passano sulle nostre teste».
    Accordi, si scoprirà poi, soprattutto con Craxi.
    Comprensibile che il 29 aprile '93, quando la Camera nega l'autorizzazione a procedere chiesta dal pool per quasi tutte le inchieste a carico del segretario socialista, Berlusconi accorra all'Hotel Raphael per festeggiare con l'amico e complice lo scampato pericolo.
    «Sono contento - dice il Cavaliere con lo champagne sotto il braccio - di questo voto della Camera, perchè sono da tempo amico ed estimatore di Craxi».
    E anche, ma lo si scoprirà in seguito, il principale finanziatore.
    (continua)

  3. #593
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    Miracoli del "rifomismo"

    A Milano l'anello di congiunzione fra i socialisti e i loro amici e nell'ex-Pci è un periodico più noto che diffuso, "Il Moderno", che fa capo al circolo migliorista Cir
    (Centro di Iniziativa Riformista),
    patrocinato dal deputato Gianni Cervetti e diretto da Lodovico Festa.
    Nato nel 1984 come mensile, il Moderno riscuote subito un travolgente insuccesso.
    Eppure continua a uscire, anzi si trasforma in settimanale.
    Nel '90 non raggiunge nemmeno le 500 copie vendute, ma i soldi non mancano mai.
    Nel 1998, per ripianare le perdite dei primi anni, viene costituita una nuova società editrice, la Moderno Srl, ai cui vertici siedono il comunista Sergio Soave e il socialista Claudio Dini, che è pure presidente della Metropolitana milanese.
    Tra i finanziatori e gli sponsor spiccano i maggiori gruppi di costruzioni che regnano sugli appalti milanesi:
    Torno, Ligresti, Acqua, Gavio, Belleli, Giorgio Troielli

    (prestanome di vari conti esteri di Craxi)
    e naturalmente la Fininvest.

    Ma i debiti si allargano e nel '90 nasce la Nuovo Moderno Srl, che vanta fra i soci Bruno Binasco
    (braccio destro di Gavio)
    e Angelo Simontacchi
    (Torno).
    I principali inserzionisti
    (senz'alcun ritorno pubblicitario, vista la diffusione clandestina della rivista)
    sono ancora Ligresti, Torno, Acqua e poi tre società berlusconiane:
    Fininvest, Mediolanum e Publitalia.


    Che interesse hanno questi colossi a sponsorizzare, anche con generosi acquisti di spazi pubblicitari, una rivista praticamente invisibile?

    Lo spiega Binasco, a verbale, davanti a Di Pietro:
    «L'interesse a mantenere un buon rapporto con il partito nell'area milanese e ingraziarsi quindi le strutture del Pci».
    Una forma di finanziamento occulto e indiretto al partito, anzi alla corrente migliorista.
    Anche da parte del futuro campione dell'anticomunismo, Silvio Berlusconi.

    Il pool di Milano indaga Cervetti, Festa
    (futuro condirettore del Foglio di Giuliano Ferrara),
    Soave, nonchè gl'imprenditori-finanziatori per false fatturazioni e finanziamento illecito.
    Ma nel '96 il tribunale assolve tutti, non perchè i fatti non siano provati, ma perchè foraggiare un giornale "vicino" ma non appartenente tout court a un partito non costituisce reato.
    La procura ricorre in Cassazione, che nel '98 le dà ragione:
    «Il finanziamento da parte della grande imprenditoria - si legge nella sentenza dei supremi giudici - si traduceva in finanziamento illecito al Pci-Pds milanese, corrente migliorista»; il Moderno era il «destinatario fittizio del finanziamento», essendo una «articolazione politico-organizzativa del partito, con tutte le implicazioni e conseguenze che ne derivano» per la violazione della legge.
    Il nuovo processo al Moderno, però, non si celebrerà mai: nel frattempo i reati sono caduti in prescrizione.
    (continua)

  4. #594
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    Un Biscione mezzo rosso

    La shopville "Le Gru" di Grugliasco, alle porte di Torino, è il più grande centro commerciale d'Italia. E sorge in uno dei comuni più "rossi" d'Italia. Una joint venture italo francese fra il gruppo parigino "Trema" e l'italiano Standa-Euromercato, cioè Fininvest, che ha affidato la costruzione dell'opera a due coop rosse, la torinese Antonelliana e l'emiliana Coopsette riunite nel consorzio Galileo Srl. Nel 1993 la Procura di Torino fa arrestare per tangenti il sindaco Pds di Grugliasco Domenico Bernardi, l'ex sindaco Pci Angelo Ferrara, oltre a vari amministratori e politici Dc e Psi. I due sindaci confessano.
    Ma le uniche mazzette dimostrate arrivano dalla Trema. Confalonieri e Berlusconi, sentiti come testimoni, negano di aver mai pagato politici.
    Fra gli indagati ci sono sia Primo Greganti, l'uomo delle tangenti rosse a Torino, e il suo amico Aldo Brancher, numero due della Fininvest comunicazioni al fianco di Confalonieri e futuro deputato di Forza Italia e sottosegretario alle Riforme nel secondo governo Berlusconi.
    Il primo ha seguito l'affare Le Gru in stretto contatto da un lato con le coop, dall'altro con la Standa in stretto contatto con Brancher.
    Emerge, fra i due, un rapporto che definire privilegiato è dire poco. Il Compagno G e l'uomo del Cavaliere lavorano spalla a spalla, discutono affari, concludono operazioni immobiliari.

    Brancher fornisce a Greganti pure un telefono cellulare.
    Racconta a verbale Mary Daniel Puhl, allora collaboratrice e compagna di Brancher:
    «Brancher mi accennò al fatto che parte degli uffici romani della Promogolden (la società di Brancher, ndr) dovevano essere messi a disposizione di Greganti, per cui successivamente firmai una delega indirizzata alla Sip di Roma per l'acquisto e l'uso di un telefono cellulare al Greganti stesso».
    I due, insomma, sono quasi soci.
    Ma negano di aver commesso reati: Brancher sostiene che l'attività della Promogolden non c'entra nulla con la Fininvest, mentre Graganti ammette di essersi interessato al reperimento di aree per centri commerciali in Piemonte da offrire al gruppo Fininvest, ma di averlo fatto in proprio, attraverso la sua società Lubar, e non per conto del partito. Entrambi verranno prosciolti.
    Resta il fatto che le aree prescelte per gli ipermercati Standa rientrano regolarmente in comuni amministrati da giunte rosse.
    (continua)

  5. #595
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    Peppone e Don Aldo

    Oltrechè della Procura di Torino, Brancher è pure cliente di quella di Milano, che il 18 giugno 1993 lo fa arrestare e condurre a San Vittore, dove sconterà tutti e tre i mesi di custodia cautelare.
    Senz'aprire bocca.
    Ex prete paolino, Brancher ha aperto il primo ufficio pubblicità di Famiglia Cristiana a Milano e ha fatto della rivista cattolica un giornale ricco e prospero. Poi però s'è scontrato col direttore, don Leonardo Zega, poco amante di certe disinvolture.
    E, complice l'amore, ha gettato la tonaca per indossare la livrea del Biscione: prima alla concessionaria Publitalia con Dell'Utri, poi alla Fininvest Comunicazioni al fianco di Confalonieri, che gli ha affidato i "progetti speciali", cioè i rapporti con i partiti per gli spot elettorali sulle reti del gruppo.

    Nei tre mesi passati in cella, più volte visitato dal pool, Brancher non dice una parola e si guadagna l'appellativo di "Greganti della Fininvest".
    «Quand'era a San Vittore -racconterà Berlusconi- io e Confalonieri giravamo intorno al carcere per metterci in comunicazione con lui».
    Telepatia perfettamente riuscita.

    Brancher è accusato di aver versato 300 milioni al Psi e altri 300 a Giovanni Marone, il segretario dell'ex ministro della Sanità Francesco de Lorenzo (Pli), per poter piazzare sulle reti Fininvest gli spot della grande campagna pubblicitaria contro l'Aids, finanziata dal ministero con 30 miliardi all'anno.
    «Brancher - racconta Marone - prima venne da me a nome della Fininvest per raccomandarsi che alla Fininvest venisse riservata una maggiore fetta di pubblicità nelle campagne anti-Aids. E quando questo privilegio fu certamente realizzato, ritornò per mostrarmi un segno significativo di riconoscenza pagando 300 milioni in due rate».
    Ma, dinanzi ai magistrati, Brancher si assume ogni responsabilità, senza inguaiare nessuno dei vertici Fininvest.
    Sostiene di aver agito in proprio anche stavolta, per gl'interessi della sua società Promogolden e non per quelli del Biscione.
    Per questo verrà comunque condannato in primo e secondo grado a 2 anni e 8 mesi di reclusione per finanziamento illecito e falso in bilancio.
    Che, all'epoca, era ancora reato.
    (continua)

  6. #596
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    Veniamo ai giorni nostri

    Silvio Berlusconi è un corruttore di giudici impunito grazie al passare del tempo.
    Questo, in soldoni, si ricava dal dispositivo della sentenza Sme-Ariosto, metà di prescrizione metà di assoluzione.

    Cominciamo dalla parte delle accuse cancellate dall’assoluzione
    (sia pure con la formula dubitativa dell’articolo 530 comma 2).
    Nel 1986 il tribunale di Roma presieduto da Filippo Verde annulla il precontratto Prodi-De Benedetti per la privatizzazione della Sme.
    Il tribunale dà partita vinta alla manovra puramente ostruzionistica di Berlusconi, Barilla e Ferrero ordinata da Craxi.
    Le sue conclusioni
    (anche se non le sue motivazioni)
    sono poi sostanzialmente confermate dalla Corte d’appello e dalla Cassazione, che sentenzia definitivamente in camera di consiglio il 23 giugno 1988 e deposita la motivazione il 19 luglio dello stesso anno.
    Mentre la Cassazione è riunita per decidere, il 2 maggio ‘88, Pietro Barilla bonifica estero su estero 750 milioni su un conto di Attilio Pacifico, avvocato vicino a Previti e a Berlusconi, che Barilla neppure conosce.
    Pacifico preleva il denaro in contanti e lo porta in Italia.
    Secondo la Procura di Milano, dopo la pronuncia della Cassazione, consegna almeno 200 milioni a Verde in cambio della sua sentenza che è appena divenuta definitiva; ma secondo il Tribunale quel pagamento brevi manu non è provato, e Verde viene assolto in primo grado lo scorso anno.
    Il 26 luglio, Barilla riapre il rubinetto svizzero e accredita un altro miliardo su un conto di Pacifico.
    Il quale la gira in parte a Previti (850 milioni), in parte al giudice Renato Squillante (100 milioni), e il resto (50 milioni) lo tiene per sé.
    Per questo triplice versamento, lo scorso anno Pacifico, Previti e Squillante sono stati condannati per corruzione.
    D’altronde:
    perché mai il socio di Berlusconi nell’affare Sme dovrebbe pagare un miliardo e 750 milioni a due avvocati di Berlusconi e un giudice di Roma che neppure conosce, se nella causa Sme fosse tutto regolare?
    Mistero.
    Vedremo le motivazioni.

    Mezzo miliardo che puzza

    Eccoci alla parte chiusa con la prescrizione.
    È il cuore del processo.
    Riguarda la corruzione sistematica, a prescindere da questa o quella sentenza, dell’ex capo dei Gip di Roma Renato Squillante, considerato dall’accusa e dal Tribunale di Milano “stabilmente a libro paga della Fininvest” per tutte le esigenze del gruppo.
    Come dimostra il bonifico di 434.434 dollari (500 milioni di lire tondi tondi) che il 6 marzo 1991 parte dai conti svizzeri della Fininvest, approda in poche ore al conto Mercier di Cesare Previti e di lì viene bonificato (stessa cifra al dettaglio) al conto Rowena di Squillante.
    Anche per questo bonifico, Previti e Squillante sono stati condannati (rispettivamente a 5 e a 6 anni) dal Tribunale di Milano un anno fa.
    Per corruzione.

    Berlusconi, nel frattempo, se l’era svignata grazie al Lodo Maccanico.
    Ecco, in sintesi, gli argomenti dell’accusa.

    1)
    È documentalmente provato che Berlusconi e Squillante si conoscevano ed erano in ottimi rapporti. Berlusconi dice di non aver avuto alcun motivo di corrompere Squillante, visto che il giudice non s’era mai occupato di lui né della Fininvest. Ma è una bugia. I pm Colombo e Boccassini scoprono che nel 1985 Squillante, giudice istruttore a Roma, ha assolto Berlusconi e il padre di Previti, difesi da Cesare Previti, in un’inchiesta su una selva di antenne abusive disseminate per il Lazio dalla Fininvest e da altre emittenti commerciali.
    2)
    Il denaro versato estero su estero a Squillante proveniva da conti della Fininvest non dichiarati al fisco e facenti capo a società off-shore (comparto All Iberian) occultate nei bilanci del gruppo. All Iberian, società con sede nelle Isole britanniche del Canale, ha come “beneficiario” Giancarlo Foscale, cugino di Berlusconi, e il conto omonimo in svizzera è stato aperto dalla moglie di Foscale, Candia Camaggi, cittadina svizzera e responsabile della Fininvest Service di Massagno. Sui conti All Iberian, come su quelli denominati Polifemo e Ferrido, opera il cassiere centrale della Fininvest, Giuseppino Scabini.
    3)
    All Iberian è stata alimentata principalmente con tre sistemi: con i bonifici della lussemburghese Silvio Berlusconi Finanziaria e, dall’aprile 1991, con svariati miliardi in contanti versati dalla Diba Cambi di Lugano. In questo caso il denaro proveniva da due diverse operazioni effettuate grazie alla Fiduciaria Orefici di Milano. La prima è la cosiddetta operazione Bica Rovares, condotta dal gruppo Berlusconi con Renato Della Valle (immobiliarista suo amico e socio), che frutta una ventina di miliardi. La seconda è collegata al “Mandato 500”: un mandato personale di Silvio Berlusconi aperto presso la Fiduciaria Orefici e utilizzato per acquistare 91 miliardi in Cct. Questi titoli di Stato vengono monetizzati a San Marino e il denaro contante viene consegnato a Milano 2 al cassiere Scabini. Parte di questi soldi (circa 18 miliardi) finiscono, in contanti, sui conti esteri del comparto All Iberian. A portarli in Svizzera provvede lo spallone Alfred Bossert, con trasporti di 495 milioni alla volta alla Diba Cambi di Lugano. Insomma, i conti esteri di All Iberian dai quali partono i versamenti ai giudici (ma anche 21 miliardi a Craxi) sono alimentati da denaro della Fininvest e da fondi personali di Silvio Berlusconi. Per difendere il Cavaliere dall’accusa di finanziamento illecito a Craxi, nel processo d’appello All Iberian, i difensori sostengono che quei fondi “provengono dal patrimonio personale di Berlusconi”. Un autogol clamoroso, in vista del processo per corruzione. Se i soldi passati da Previti a Squillante provengono dal “patrimonio personale” del Cavaliere, come può il Cavaliere non saperne nulla?

    4)
    Vediamo nel dettaglio la provenienza del bonifico Fininvest (Berlusconi)-Previti-Squillante.
    Il 1 marzo, un venerdì, il conto Polifemo gestito da Scabini riceve dalla Diba Cambi un accredito di 316 milioni e 800 mila lire. Il denaro è arrivato in Svizzera per contanti quattro giorni prima, il 26 febbraio, direttamente da Palazzo Donatello di Milano 2 (sede Fininvest) tramite gli spalloni di Bossert. Il lunedì successivo, 4 marzo, quei 316 milioni e rotti permettono a Polifemo di disporre il bonifico di mezzo miliardo a Ferrido (sempre All Iberian, cioÈ Fininvest estera occulta), dando il via alla trafila che, tramite Previti, approda al conto di destinazione finale: quello di Squillante. Nella “rubrica” in lire del conto Polifemo, infatti, il 1 marzo 1991 non ci sono fondi. Solo grazie al denaro fresco giunto da Milano2 si può dare il via all’operazione. Il bonifico di mezzo miliardo manda però momentaneamente in rosso Polifemo, che va sotto di 183 milioni 203 mila lire. Il buco verrà ripianato due giorni dopo grazie a un acredito di molto superiore al fabbisogno, proveniente da All Iberian: 6 miliardi e 100 milioni. Polifemo gira due miliardi a Previti e dall’8 febbraio al 25 marzo ’91 bonifica dieci miliardi a Craxi. Nello stesso periodo Previti riceve un’altra provvista (2,7 miliardi) che utilizza in parte per girare a Pacifico i soldi necessari (425 milioni) per comprare la sentenza del giudice Vittorio Metta che regala a Berlusconi la Mondadori con famigerata sentenza sul Lodo. Altro affare che sta molto a cuore a Craxi. Nella primavera ’91, dunque, la Fininvest di Berlusconi completa l’occupazione dei media e paga gli avvocati e i giudici che lo hanno aiutato. La sequenza temporale è impressionante. Il quattordici febbraio ’91 Previti paga 425 milioni al giudice Metta tramite Pacifico. Il sei marzo ’91 bonifica 500 milioni a Squillante. Il sedici aprile ’91, ancora tramite Pacifico, dirotta 500 milioni sul conto «master 811» di Filippo Verde (poi assolto.
    Sempre con fondi della Fininvest.

    (continua)

  7. #597
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    Le bugie del Cavaliere

    Come si difende Berlusconi?
    Non potendo negare quel versamento miliardario a Previti in barba al fisco, si spiega così:
    «normalissime parcelle professionali.
    Previti ha depositato una ingente documentazione a testimonianza della grande attività svolta per conto della Fininvest in Francia, in Spagna, in Germania».


    Peccato che quella «ingente documentazione» non sia mai stata consegnata al Tribunale.
    Nemmeno un pezzo di carta che dimostri quella «intensissima attività professionale» dell’avvocato all’estero.
    Sentiti sul punto, i dirigenti Fininvest balbettano e incespicano, sputando sempre controversie legali estere in Francia, Spagna e Svizzera
    (della Germania di cui favoleggia il Cavaliere, nessuna traccia)
    successive di mesi o di anni al marzo 1991.

    Datato ottobre ’91 in Francia, estate ’91 in Spagna, addirittura 1992 in Svizzera.
    Ma Previti riceve quei soldi nel marzo-aprile ’91 molto prima dunque non erano parcelle.
    E, d’altronde:
    se quei soldi - come dice la difesa berlusconiana - erano «patrimonio personale di Berlusconi», che c’entrano con le parcelle?
    Berlusconi pagava le parcelle agli avvocati del gruppo, per le cause estere del gruppo, di tasca propria?

    Ridicolo.

    Berlusconi sostiene che lui con quei conti
    (dove giravano i suoi fondi personali)
    non c’entra: li gestivano gli amministratori finanziari, Livio Gironi in testa.
    Strano:
    nel 1995, quando l’avvocato Vittorio Dotti chiede un anticipo di parcella di soli 500 milioni, Gironi chiama Berlusconi per avere l’autorizzazione.
    Per i miliardi a Previti e a Craxi, invece, no?

    Assurdo.

    Ultima perla.
    Dice Berlusconi che «da uno di quei conti vengono effettuati da Fininvest una serie di acconti ai vari studi legali del gruppo, fra cui lo studio Previti».
    Ma altri studi non ne risultano:
    Polifemo finanzia solo l’avvocato Previti.

    E Bettino Craxi.
    Anche Craxi era un legale del gruppo Fininvest?

  8. #598
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    Trucchi per salvare Previti
    La riduzione della prescrizione abbinata al pacchetto anticriminalità per Napoli

    Luana Benini
    ROMA
    A tambur battente il centrodestra ha scoperto le carte.
    E questa volta nella Casa sono tutti d’accordo, anche gli udiccini. Prima di venerdì vogliono fare approvare dall’aula la legge Cirielli-Vitali sulla recidiva, che è diventata una legge contenitore della norma salva-Previti e del cosiddetto «pacchetto Napoli», le norme anticriminalità per fronteggiare l’emergenza napoletana.

    Con la tecnica degli emendamenti alla Cirielli-Vitali, un «treno già in corsa»
    (l’espressione è dello stesso ministro della Giustizia Castelli: NdMrB.)
    si abbassa il tempo della prescrizione dei reati in modo da mettere al sicuro Cesare Previti.
    Al tempo stesso, in modo strumentale, [B]si aggiunge il pacchetto Napoli
    (aumenta le pene previste dal 416 bis e le collega alla normativa sulla recidiva).

    Così al centrosinistra, che già si prepara al fuoco di sbarramento sulla norma salva-Previti, si potrà sempre rimproverare di essersi opposto a una legge che prevede norme più rigide contro la criminalità.
    Nel merito, poi, commenta il diessino Vincenzo Siniscalchi, «il pacchetto Napoli è pura ipocrisia: un inasprimento generalizzato di pene che in Italia sono già forti, norme inutili che stravolgono per ragioni propagandistiche le vere esigenze della giustizia penale».

    La cosa più rilevante è che, con la scusa di inasprire norme per i recidivi e di fronteggiare l’emergenza camorra, il Polo vuole portarsi a casa la prescrizione facile per Previti.
    Da una parte misure eccezionali per mettere a posto la coscienza, dall’altra lo scandalo di norme che intervengono sui processi in corso.
    E non è escluso che all’ultim’ora venga fuori un altro emendamento al pacchetto Napoli per cancellare il reato di concorso esterno in associazione mafiosa che mette al sicuro anche Dell’Utri.

    È curiosa l’unanimità del Polo.
    L’Udc ha smesso di strillare contro la norma salva-Previti che fino a poco fa definiva una «amnistia mascherata» e il ministro dell’Interno Pisanu, che fino a poco tempo fa minacciava cose turche se Castelli avesse osato inserire il «pacchetto Napoli» nella Cirielli, ha smesso improvvisamente di mettere i bastoni fra le ruote.
    Siamo dunque a una nuova stretta.
    «Vedo che si sta per aprire - afferma il capogruppo ds in commissione Antimafia Giuseppe Lumia - una nuova stagione di leggi vergogna».
    E su questo la Cdl marcia compatta.

    «Rinunci alla prescrizione e punti a una assoluzione convincente» consigliava ieri Rutelli al premier. E aggiungeva: «La sensibilità civile e politica di Berlusconi è assai diversa da quella di molti di noi che trovandosi in una situazione come la sua, non vi resterebbero un minuto di più». Questione di stile. Del padrone di casa e degli inquilini.
    Tutto ruota intorno all’emendamento salva-Previti, rimodulato dal forzista Vitali.
    Che ridisegna la normativa sulla prescrizione.
    Fissa una norma generale secondo la quale per tutti i reati la prescrizione viene abbassata.
    Poi stabilisce un conteggio diverso a seconda che l’imputato sia incensurato, recidivo o criminale di professione.
    «Per gli incensurati - spiega lo stesso Vitali - il termine della prescrizione si calcola sommando il massimo della pena più un quarto, per i recidivi il massimo della pena più la metà e per gli abituali o professionali il massimo della pena più due terzi».

    Con una perla, individuata da Giuseppe Fanfani, Dl:
    "È vero che i reati gravi e di mafia restano fuori dall’abbassamento generalizzato ma corruzione e concussione rientrano nello scaglione più basso. Così un incensurato accusato di corruzione in atti giudiziari che oggi deve aspettare 15 anni per la prescrizione, domani ne dovrà aspettare solo 10."

  9. #599
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    Sconvolgono i lavori del Parlamento per salvare Previti dalla prigione
    di Simone Collini

    Prosegue lo scontro tra maggioranza e opposizione sul decreto salva-Previti.
    La destra impone di discutere della legge Cirielli, dopo il tentato blitz della maggioranza che ha lasciato solo 25 minuti di tempo per discutere un'enormità di emendamenti e l'abbandono dell'opposizione del comitato dei Nove.
    Il ministro Castelli attacca:
    «La sinistra vuole tutti fuori e Previti dentro».
    E la maggioranza inverte l'ordine del giorno alla Camera per approvare in fretta la legge che in apparenza vara il pacchetto-Napoli e in sostanza rende sempre più veloce la prescrizione dei reati, anche dei più gravi.
    L’opposizione: un’amnistia mascherata.

    (articolo)

  10. #600
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    Predefinito

    Un paese ad personam
    di EZIO MAURO
    C'È un'emergenza crimine nel Paese che preoccupa i cittadini, e che dovrebbe impegnare in prima linea il governo, con la sua cultura propagandistica da "tolleranza zero". No. In piena emergenza, Forza Italia si trasforma ancora una volta in un manipolo aziendale per la tutela degli interessi personali di Cesare Previti, che incatena ai suoi destini la decenza di un partito, di una maggioranza parlamentare, di una coalizione, del governo: e purtroppo dell'Italia.

    La Casa delle Libertà oggi prova in Parlamento a liberare ad ogni costo Cesare Previti, già condannato due volte per corruzione. Non potendo più fermare i suoi giudici né camuffare il reato, si tenta di renderlo impunibile. Come? Semplice. Si costruisce un fittizio "pacchetto anticrimine" per fingere di legiferare nell'interesse del Paese, e nel pacchetto si inserisce una norma che abbatte i tempi di prescrizione per molti reati pesanti come l'usura, il furto aggravato, l'incendio doloso, ma soprattutto la corruzione. Consentendo a Previti di trovare la strada su misura per evitare il suo giudice, a Berlusconi e a Dell'Utri di non ricorrere nemmeno in appello.

    Che dire? Due cose soltanto. Queste vicende possono compiersi solo in un Paese pronto a tutto, dove una vera e propria complicità intellettuale permette che il reato criminale riduca la politica a servaggio, per cambiare in Parlamento la sua natura. Un processo alchemico scellerato, che deforma lo Stato di diritto e dimostra la falsità del teorema che voleva Berlusconi "costretto" alle leggi ad personam. Ora che è stato prosciolto, le leggi ad personam continuano, per quei soci-padroni capaci di tenere in ostaggio il lato più oscuro di un uomo che dovrebbe governare l'Italia, e la umilia con un Parlamento asservito.
    (15 dicembre 2004)

 

 
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