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Risultati da 31 a 40 di 44
  1. #31
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    Originally posted by yurj
    a) Dario Fo e' un premio nobel, solo sentirlo parlare vale la pena.

    mi metto a piangere.


    Si vede che al mondo manca l'originalità e la fantasia, per ridursi a dare il Nobel a un pagliaccio!




  2. #32
    Veneta sempre itagliana mai
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    Originally posted by sosunturzos
    Si vede che al mondo manca l'originalità e la fantasia, per ridursi a dare il Nobel a un pagliaccio!



    M'inchino alla tua chiara, sincera e precisa sintesi

  3. #33
    Hanno assassinato Calipari
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    Originally posted by ARI6
    Ma se non sai nemmeno di che libro si tratta.
    Torna a discutere coi compagnucci in merito all'attualità della dialettica marxista, vai.
    Ari6, le accuse le hai tirate fuori tu, senza specificarle. Permetti che ti dica che non hai nessuna argomentazione a favore e che hai accusato una persona di mentire solo perche' hai letto alcuni stralci da un libro...

    Tu credi ai libri che parlano male di quelli che hanno avuto a che fare con la cattiveria degli Usa, questa e' la realta'. Ormai si possono scrivere libri completamente inventati e darli in pasto a persone come te, i creduloni mondiali.

    Vedi libro nero del Comunismo, i "centomilionidimorti"

  4. #34
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    Originally posted by yurj
    Ari6, le accuse le hai tirate fuori tu, senza specificarle. Permetti che ti dica che non hai nessuna argomentazione a favore e che hai accusato una persona di mentire solo perche' hai letto alcuni stralci da un libro...

    Tu credi ai libri che parlano male di quelli che hanno avuto a che fare con la cattiveria degli Usa, questa e' la realta'. Ormai si possono scrivere libri completamente inventati e darli in pasto a persone come te, i creduloni mondiali.

    Vedi libro nero del Comunismo, i "centomilionidimorti"
    Qualcuno avrebbe potuto anche darti ragione.
    ti sei sputtanato con l'ultima riga, con tanto di risatina.
    Ridi meno e fatti un esamino di coscienza, che stai difendendo i più grandi sterminatori di sempre.
    Quanto al libro sulla Menchu, saprò essere più preciso nei prossimi giorni.

  5. #35
    Hanno assassinato Calipari
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    Insomma, non sai un cazzo.

    Nei prossimi giorni cercherai trafelato di fare copia e incolla con le parti piu' "dure" del libro, con tanto di commenti e, magari, i Cubani di mezzo.

    Nel frattempo, chiedo a te, come ad Adc, di citarmi le fonti storiche del Libro Nero del Comunismo, compito che dopo due mesi lui non e' stato in grado di fare. Vediamo se tu sei piu' bravo.

    Se sei contro i regimi totalitari, non puoi permetterti di dire cose a vanvera.

  6. #36
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    Originally posted by yurj
    200.000 morti in Guatemala, una cazzata pazzesca?

    Che obrobrio... ma sai almeno perche' le hanno dato il Nobel?
    Resa famosa in tutto il mondo dal successo del suo libro e dal Premio Nobel assegnatole nel 1992, Rigoberta adesso è a capo della "Fondazione Rigoberta Menchu Túm" per i Diritti Umani e portavoce per la causa della "giustizia sociale e la pace." Purtroppo però tutto ciò è fiction politica: praticamente ogni cosa che ha scritto Rigoberta è una bugia. Si tratta inoltre di bugie non casuali o marginali, ma che riguardano gli avvenimenti e i fatti che stanno al centro della sua storia, e che sono state studiate appositamente per dar forma al suo contenuto e per creare una specifica leggenda politica. La leggenda comincia a pagina uno del testo di Rigoberta: "Quando diventai più grande, mio padre si pentì di non avermi mandato a scuola, dato che ero una ragazza capace di imparare molte cose. Ma mio padre mi ripeteva sempre: "Purtroppo, se ti mando a scuola, ti faranno dimenticare il tuo ceto sociale; faranno di te una ladina. E' questo che io non voglio per te, e per questo non ti mando. " Avrebbe potuto mandarmi a scuola quando avevo quattordici o quindici anni ma non lo poté fare perché sapeva quali sarebbero state le conseguenze: le idee che mi avrebbero istillato." Al lettore fiducioso, questo appare come una perfetta realizzazione del paradigma marxista, in cui le idee dominanti sono in realtà le idee del ceto dominante, che controlla l'istruzione. Ma in realtà, contrariamente alle proprie affermazioni, Rigoberta non era affatto analfabeta. Né suo padre si oppose alla sua istruzione perché temeva che le scuole l'avrebbero indottrinata nei valori della classe dominante dei ladinos. Secondo i suoi compagni di classe, i suoi insegnanti e i suoi parenti, Vincente Menchu mandò a scuola Rigoberta. Anzi, la mandò in due collegi privati di prestigio, gestiti da suore cattoliche, dove ebbe l'equivalente di un'istruzione borghese. (Con ironia significativa, è probabile che sia stato lì che è stata reclutata per la fede marxista e sia diventata portavoce per i guerriglieri comunisti.) Dato inoltre che Rigoberta era effettivamente via, in collegio, per quasi tutta la sua giovinezza, probabilmente sono falsi anche i suoi resoconti dettagliati su come lavorasse otto mesi all'anno sulle piantagioni del caffè e del cotone
    Sai yurj, i collegi cattolici sono tristemente famosi per sfornare spie che poi si fingono "comunistiterzomondisti"
    come Curcio o Sofri per esempio......

    Pare che dopo l'omicidio di Palme la Svezia sia diventata la casa di questi figuri....

  7. #37
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    Io, Rigoberta Menchù era entrato negli atenei d’America, consigliato o imposto nelle bibliografie e oggetto di centinaia di papers e tesi di laurea.
    Strano questo successo nel paese degli imperialisti.....

    Il fatto è che il suo personaggio è stato costruito dagli imperialisti per i creduloni come te.

  8. #38
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    E cosa avresti dimostrato, scusa? Se hai molti dubbi, nella tua vita, non prendertela con me. Se ha potuto studiare, e' stato "grazie" al fatto che parte della sua famiglia e' stata massacrata.

    Ancora oggi ci sono fosse comuni scoperte in Guateamala.

    Detto questo, a che "servirebbe" una leggenda inventata? Io soldi non ne tiro fuori e nessuno me ne ha chiesti.

    Dovresti avere piu' rispetto per chi e' morto, altro che "true fiction". *e di solito si riporta tutto, non solo la parte che comoda*

    ---


    La verità in rete diventa opinione
    lo strano caso di Rigoberta Menchù
    ©by Giorgio Banaudi

    articolo pubblicato su Jesus, numero di marzo 2002

    Cosa si può nascondere dall’altra parte del monitor, delle parole, dei messaggi? La facilità con la quale oggi possiamo collegarci e ricercare notizie su qualunque tema o personaggio, convive con la supposizione che le cose lette, trovate e ricevute siano sempre giuste, fedeli, vere… ma ne siamo proprio sicuri? E possiamo fidarci degli strumenti che giorno dopo giorno stanno soppiantando le altre forme “antiche” del comunicare, meno rapide ma talvolta più affidabili? Ogni strumento ha le sue leggi e per quanto riguarda Internet siamo ancora in quella fase adolescenziale in cui gli equilibri faticano ad assestarsi. Sbattere unpo’ il naso talvolta può servire.
    Tutto parte dalla lettura occasionale di un trafiletto pubblicato su una rispettabile rivista, dedicata al mondo della scuola che, sotto il titolo “miti e realtà” riporta la vicenda di un antropologo americano, tale prof. David Stoll, docente presso l’università di Middlebury, volato in Guatemala per approfondire la conoscenza di Rigoberta Menchu. Era il 1992, proprio l’anno del conferimento del nobel per la pace alla piccola contadina centroamericana e il suo testo autobiografico “Io, Rigoberta Menchu” stava rapidamente diventando un classico, adottato da numerose università occidentali. La ricerca del reporter americano invece avvalorava un’ipotesi molto diversa, tendente a sminuire sistematicamente il personaggio della Menchu. Venivano smentiti numerosi elementi fondanti del libro, giungendo all’affermazione che si trattava di un’abile prodotto culturale della sinistra, una sorta di anello di congiunzione tra la teoria classista di Marx e la tradizione cristiano-popolare… A rincarare la dose scendeva in campo il New York Times e il suo articolista Horowitz www.salon.com/col/horo/1999/01/nc_11horo2.html che si prodigava nel chiarire i meccanismi con cui la sinistra aveva forgiato questa clamorosa montatura.
    La risposta fu immediata e scesero in campo, a confutare le numerose falsità rielaborate dall’antropologo, esponenti del Comitato di solidarietà con il popolo del Guatemala, di Sepulveda e, per concludere in autorevolezza, del docente universitario Arturo Taracena, che aveva ospitato la stessa Rigoberta durante il suo soggiorno parigino ed era stato collaboratore nella stesura del libro. Anche sul sito ufficiale (www.rigobertamenchu.org) comparve una confutazione precisa a queste tesi.
    Ma poi cosa può succedere in rete? Il tempo scorre ed alcune voci sembrano riemergere a distanza. Il trafiletto che mi ha spinto all’approfondimento era di gennaio; così ho cominciato a ricercare in rete per verificare le fonti ma, a sorpresa, ciò che emergeva con più insistenza erano proprio le voci a supporto dell’antropologo nordamericano. Nel panorama mondiale le pagine che trattavano di questo testo erano oltre 500 (su circa 12000 relative alla Menchù), persino il principale sito commerciale che vende libri on-line www.amazon.com ha spostato per un certo tempo la biografia di Rigoberta in una nuova sezione, intitolata “true fiction” (invenzioni vere). Restringendo la ricerca al nostro ambito italiano le cose si riducono e solo una pagina riporta la versione rielaborata sulla base del libro di Stoll, corredata con numerosi altri approfondimenti. Il fatto che questo testo sia poi contenuto in un messaggio della lista politica_cattolici@yahoogroups.com, ne riduce ulteriormente la visibilità, ma a quanto pare non ne limita la virulenza.
    Desta meraviglia il fatto che sia più facile incappare in questa versione che trovare gli elementi per chiarire l’accaduto e formarsi una opinione corretta. Persino sul sito della Menchu non sono più presenti le spiegazioni in merito a questa vicenda, dando forse per scontato che tutto sia risolto.
    L’ipotesi di una verità in costante divenire, che Orwell esorcizzava nel suo 1984, ci sembrava da tempo superata; siamo portati a credere che sia impossibile nasconderla, la verità. Eppure episodi come questo dovrebbero allarmarci. Siamo la prima generazione ad avere un accesso quasi illimitato alle informazioni, eppure inciampiamo nelle opinioni ad ogni passo. La memoria della rete è più lacunosa di quella delle persone che mi hanno fornito gli elementi validi per recuperare i contorni precisi della vicenda!
    E intanto nell’immaginario collettivo personaggi ed eventi subiscono metamorfosi imprevedibili. La zizzania del dubbio cresce rigogliosa e non ci accorgiamo che per muoverci in questa dimensione inedita gli strumenti antichi non sono più sufficienti.
    * asterischidiKappa *
    tratto da Scuola e Didattica, ed. La Scuola, n. 9 - 15 gennaio 2002
    Miti e realtà
    Chi non conosce Rigoberta Menchù? Premio Nobel per la pace nel 1992 a soli 33 anni e ambasciatrice Onu, Rigoberta Menchù, autrice dei libro “Mi chiamo Rigoberta Menchù”, pubblicato in Italia da Giunti.
    David Stoll, professore dell'universdà di Middlebury, antropologo liberale, però, trovandosi nel villaggio della Menchù in Guatemala per ricerche di altro genere, aveva chiesto ai compaesani: «è questa la piazza dove Rigoberta vide morire bruciato vivo suo fratello?». La domanda, invece di suscitare il rispetto che il professore si sarebbe aspettato, suscitò uno scambio di sguardi ironici fra la gente dei posto. Mai conosciuto questo fratello bruciato vivo. Stoll, inizialmente incredulo, iniziò un'indagine che lo portò a intervistare 120 persone fra parenti, amici, insegnanti e compagni di classe dell'«Ambasciatrice dell'Onu”, in un lavoro durato una decina d'anni. Quando fu pubblicato, il New York Times mandò in Guatemala un reporter a controllare se quello che diceva Stoll era vero. Ne ricavò una conferma. Fu clamoroso. Non solo per via del Nobel, ma soprattutto perché “Mi chiamo Rigoberta Menchù” era entrato negli atenei d'America, consigliato o imposto nelle bibliografie e oggetto di centinaia di papers e tesi di laurea.
    Cosa contiene di tanto straordinario questo libro? E semplice: un esempio vero della spontanea lotta di classe teorizzata da Marx e mai rinvenuta nella vita reale. Non rivoluzioni studiate a tavolino e capeggiate dai figli della borghesia come Lenin e Marx, ma la vera epopea spontanea, con da una parte la classe dei privilegiati perfidi e predoni e dall'altra i contadini lavoratori analfabeti, sfruttati, spossessati, che si mantengono sempre però nobili. Peccato però che, come la poesia dell'Ossian, anche l'autobiografia della Menchù sia un coliage di frammenti di verità misti a invenzione.
    Rigoberta Menchù dipinge infatti la sua come una povera famiglia indigena che viveva ai margini di un paese da cui erano stati espulsi ai tempi dei conquistadores. Il padre Vicente viene presentato come impegnato in una battaglia eroica ma disperata per organizzare la resistenza contro i padroni, discendenti dei conquistadores, a difesa di un pezzetto di terra da coltivare. Di sé Rigoberta narra che, a causa dei duro lavoro nei campi, e della nobile diffidenza dei padre per la cultura borghese, le fu impedito di andare a scuola, per cui rimase analfabeta. La realtà invece è molto diversa. Non solo i Menchù non erano dei poveri senzaterra, ma Vicente Menchù era proprietario di oltre 2700 ettari di terreno. Rigoberta non trascorse la giovinezza a lavorare, 8 mesi l'anno, sulle piantagioni, ma frequentò due collegi prestigiosi, tenuti da suore cattoliche. E la lunga disputa per la terra, narrata come evento centrale dei libro, fu in realtà una contesa fra Vicente Menchù e i suoi parenti maya, capeggiati dallo zio della moglie, intorno alla proprietà di un piccolo appezzamento di soli 150 ettari. Ma il clamore suscitato dal libro-verità di Stoll è dovuto soprattutto al fatto che la Menchù si è imposta non come un mito dei marxismo, solidale con la guerriglia castrista, ma come testa di ponte della multicuituralità, messa a fianco ad Aristotele, Dante e Shakespeare a rendere politicamente corretti gli esami di “Civiltà occidentale”. Questo è il paradigma irrinunciabile che unisce postmarxisti, ambientalisti e, in modo quasi-ossimorico, anti-giobalizzatori itineranti, legati al nome di Seattie. Non a caso essi temono l'omologazione delle multinazionali, dei Wto e dei Fondo monetario, ma invocano di fatto quella delle Nazioni Unite. La multicuitura, che rivendica rispetto per il diverso, in realtà è cultura unica e obbligatoria, l'unica visione dei mondo permessa. Il suo principio dichiarato, l'inclusività, livella e relativizza gli usi e le idee di centinaia di milioni di persone e le mette sullo stesso piano degli usi e delle idee di ogni ”minoranza”,. Tutto ciò costituisce la spina dorsale dei movimento New Age.
    tratto da Scuola e Didattica, ed. La Scuola, n. 9 - 15 gennaio 2002

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    qui c'e' tutto il libro di Stoll:

    http://www.nodulo.org/bib/stoll/rmg.htm (spagnolo)

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    La Menchu su Stoll (spagnolo)

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    Declaraciones de Rigoberta Menchú
    Publicadas en "El País", 24 de enero de 1999

    "Tengo un hermano Nicolás primero, que es el que murió, y otro Nicolás segundo, que vive. Eso es muy normal en Guatemala, que en nuestras familias se repitan los nombres. [...] Stoll se supone que que es un antropólogo que ha estudiado la cosmovisión indígena. Y eso, la repetición de nombres, es una generalidad en el mundo maya. [...] Un investigador tiene que entender esa lógica y decir que en una misma familia hay tres o cuatro miembros que se llaman igual. [...] Tengo dos hermanos Nicolases. Si hubieran estado los dos vivos, tendríamos que hablar del Nicolás grande y el Nicolás chiquito. Murió el Nicolás grande, el mayor, el primer hijo de mi madre."

    "Mi madre vio el asesinato de mi hermano Patrocinio. ¿Cómo iba a testificar, si a muchos de los testigos los han matado para que no hablen? Es la práctica en Guatemala. Eso es una verdad, es la verdad de mi madre. Y si yo creo a Stoll o a mi madre, es obvio que creo a mi madre. La muerte de Patrocinio me la contó mi madre. Ella fue a ver todos los rostro de todos los cadáveres que se producían en la zona, tratando todavía de dudar eso, que aquel muchacho hubiera muerto. Ella no quería creerlo, y más bien tenía que ir a ver cada muerto si acaso existía la esperanza de que no fuera él. Yo puedo decir que si mi hermano no fue ese muchacho, y que fue una fantasía de una madre loca buscando a su hijo en cada panteón, que fue una fantasía de mi madre. Que me enseñen dónde está la fosa común donde está enterrado. Si alguien me entrega su cuerpo cambiaré mi punto de vista. Mi verdad es que Patrocinio fue quemado vivo."

    "Reconozco, porque no lo digo en el libro ("Me llamo Rigoberta Menchú y así me nació la conciencia"), que había sido sirvienta en el [colegio] belga [...] Se les olvidó preguntar qué hacía. Era sirvienta por doce quetzales al mes. Teníamos dos clases por semana, tres horas cada día. No estudiábamos con el resto de las alumnas, teníamos una maestra contratada para que nos diera alfabetización; después costura y cocina, los sábados y domingos. Lo llamaban educación para el hogar. Nuestra obligación era limpiar antes de la alfabetización y, después de eso, limpiar hasta las once de la noche."

    "A los que me reprochan asumir experiencias ajenas como propias no les puedo obligar a entender. Todo, para mí, lo que fue historia de mi comunidad es mi propia historia. [...] Yo soy producto de una comunidad."

    ---



    "Rigoberta", Manuel Vázquez Montalbán
    Publicada en "El País", 11 de enero de 1999

    La campaña de deslegitimación del indigenismo político en América Latina tiene diferentes plataformas de actuación: se asesina a monseñor Gerardi, autor de un informe con nombres y apellidos sobre la represión militar, o se busca desacreditar al obispo de San Cristóbal de las Casas, Samuel Ruiz, y al subcomandante Marcos, mediante calumnias o escritos al servicio de la "modernidad" agredida o cuestionada por el indigenismo. Ahora le toca a Rigoberta Menchú. Ya se trató de rebajar su estatura moral y política con el argumento de que "Me llamo Rigoberta Menchú" se debía más al talento publicista de Elisabeth Burgos, la escribidora, que a la dramática biografía de Rigoberta.

    Ahora, el "New York Times" da cauce a las averiguaciones del antropólogo Stoll, que señala exageraciones y omisiones en las confesiones autogiográficas de Rigoberta; por ejemplo, es cierto que a su padre lo quemaron vivo en el asalto a la Embajada de España, que ella misma tuvo que exiliarse cuando era casi una niña y que su hermano fue asesinado por los militares, ¡ah!, pero no quemado vivo, solamente baleado.

    La ofensiva contra la Menchú apunta a la descalificación de la reconversión de la guerrilla en movimiento político con posibilidades de llegar al poder en Guatemala, porque se acusa a la premio Nobel de no denunciar suficientemente los crímenes guerilleros. Dante Liano, escritor guatermalteco, colaborador con Gianni Minà y Rigoberta en la redacción de "Rigoberta Menchú, la nieta de los mayas", ha lanzado al mundo entero, desde Italia, un formidable alegato de denuncia contra el frente antropológico-pijoliberal antiindigenista. Cuando entrevisté a Rigoberta para "Y Dios entró en La Habana" percibí que estaba ante una convincente analista política que casi todo lo aprendió defendiéndose de los militares, de los paramilitares, de algunos antropólogos y de los intelectuales de izquierda que piden perdón por haberlo sido.

    ---

    Rigoberta Mench, is Truth Stranger than Testimonial?

    by Diane Nelson (Lewis and Clark) for the Guatemala Scholars Network

    We write as scholars who have worked in Guatemala for many years, because we are concerned with the way David Stoll's book I, Rigoberta Menchú, the Story of All Poor Guatemalans is entering the popular imaginary. This is not a book review nor is it an ad hominem denunciation of Dr. David Stoll. It is an attempt to contextualize some of the debate.

    First of all, Rigoberta Menchú Tum was not awarded the Nobel Peace Prize, dozens of honorary doctorates, or the world's attention because she saw her brother killed by the Guatemalan army, or because her father sued someone over land, or because she is completely self-taught. She did not win these accolades because she was very poor, or because her mother, father, and brother were killed by the Guatemalan army--facts which are not disputed by Dr. Stoll. She has been acknowledged globally because she experienced these things and they did not break her. Instead they made her a political activist struggling on college campuses, in church basements, in refugee camps from Chiapas to Thailand, in the United Nations, and in the battered justice system of Guatemala for the human rights.

    Second, it is essential to keep in mind the context that produced her book I, Rigoberta Menchú. Since before Theodor Adorno asked how there could be poetry after Auschwitz, people have struggled with how to represent holocausts. Ms. Menchú's book is such a struggle, created in collaboration with several people including members of the Campesino Unity Committee (CUC), the popular organization of which she was a member. In l982 when she gave the interviews which became the book, the army was massacring entire villages and a whole generation of church workers, Mayan shamans, community leaders, development technicians, university professors and students, rural teachers, the whole human infrastructure of community and knowledges. But in world opinion it was what Beatriz Manz of UC-Berkeley calls "a hidden war." Ms. Menchú, barely 20 years old, had to make these unthinkable experiences real enough for an international audience to understand why some people had taken up arms, and to mobilize to end the killings. Neither she nor CUC had many resources. As when she won the Nobel, she was living in the basement of a convent in Mexico City, without even a telephone line to call her own. It is an explicitly political book, seizing hold of memory in a moment of extreme danger. It was a political, dichotomizing time, people were either for or against the Army. In a country with 23 languages and many different experiences of the aftermath of the war, it is not surprising that there are, Rashomon-like, many different memories. Now, from a safe distance of 15 years, with the privilege of well-funded North American researchers, this is not to say we should not think critically about the long-term effects of this struggle. But just as Ms. Menchú's testimonial was a political intervention embedded in a particular moment, it is also a political act to dismiss the context in which her text was produced, and it is political to ignore all the work she has done since then. (Visiting her last summer, one GSN member asked about the Stoll controversy. She sighed, tired from a year of health problems, from her work to indict Guatemalan soldiers who killed 14 Mayan refugees, and from organizing a conference of indigenous mayors that week. "Why has that man spent 10 years of his life going after me?" she asked. "I can't respond, there's too much important work to do." She has since given several interviews and we urge NACLA readers to find them on the Web.) Dr. Stoll's book rightly asks us to question why we put certain people on a pedestal, but we must also question the political stakes in undermining the credibility of Ms. Menchú. Will it support the struggles of indigenous and poor peoples?

    We are also disturbed by the reductionism of much of the coverage. One doesn't have to be a post-modernist to know that the binary of true or not true may not always be clear cut, and may actually impoverish our understanding of complex realities. There are truths in the story a woman tells about searching for a disappeared child that are not contained in the aggregates reported by Amnesty International, which are also true. It is probably true that Ms. Menchú's family was involved in internecine struggles over land, but it is no less true (as the United States Agency for International Development denounced in the late l970s) that Guatemala has one of the most unequal land distributions in the hemisphere. Does the obsessive personalizing of the coverage simply obscure the larger question of why there was not enough land to live on? It is also true that thousands of children die every year in Guatemala from pesticide inhalation and malnutrition, a "truth" which the United Nations Development Program describes in detail in its l998 report on Guatemala. Reducing such truths to an individual issue especially as Ms. Menchú makes it clear she is trying to tell a larger story is obscurantist and de-historicizing.

    We also wonder why this story has merited front-page coverage in major news outlets when the findings of the Catholic Church's truth commission were not. Nor was the assassination of Bishop Juan Gerardi in April l998, two days after he presented those findings. We hope that the findings of the United Nations Commission on Historic Memory, which is due out soon, will receive the same attention the Stoll book has
    . We are also saddened to hear the feeling of betrayal expressed by many people at Dr. Stoll's "revelations" (although the central points of Ms. Menchú's book that her family was killed by the army, and details of her emergence as an activist are not questioned). Colleagues say they have to take down their posters and stop teaching Ms. Menchú's testimonial. But, as Kay Warren of Harvard University says, this controvery should only make the book more interesting to teach. With Mr. Stoll, we want to ask what is at stake when we romanticize someone like Ms. Menchú, why is it so hard to find that she is human?

    However, we are not sure such feelings are accidental and we are concerned at the implicit, if unconscious, message of much of this coverage. Behind the concern with "objective facts" lies a moralizing tale that situates well intentioned but nave North Americans as the victims of a pre-meditated deception carried out by Ms. Menchú and through her, the Guatemalan popular movement. Any guilt felt at the US government's role in the coup against Guatemala's democratically elected government (l954) or decades of backing the counterinsurgency state are assuaged because, according to the news coverage we are the victims, the dupes of a shrewd and unscrupulous manipulator. We now have the true testimony to save us from Rigoberta, who in this tale become the "Indian giver." This is the story we want to contest because Ms. Menchú is also being used as a weapon in wars within the United States, around multiculturalism, affirmative action and who will get to represent experience those who lived it, or "objective" outsiders who arrive in the aftermath? These may seem like academic debates but they have painful, material consequences for Ms. Menchú and many others.

    Ms. Menchú is not a martyr or a saint. She is a seasoned activist who has pressured for indigenous and human rights around the world. Her two books (I, Rigoberta Menchú and Crossing Borders) are about an individual experiencing historic processes war, exile, loss, and reconstruction. She asks us to think critically about violence, United States' complicity, our own war economy and its effects on foreign policy, and about her. Guatemalans are working to implement the peace treaty signed in December l996, deal with the findings of the Catholic Church and the United Nations Truth Commissions, and to rebuild from the physical and human damage of thirty-five years of civil war (compounded by the destruction of Hurricane Mitch). We must think critically about how best we can support this work.

    ---

    Riassumendo, Stoll contesta dei fatti e da questo assume, *religiosamente*, che "i comunisti sono falsi", ignorando completamente il genocidio in Guatemala. Stoll cerca di girare la frittata dicendo che i massacri sono dovuti alla violenza della repressione contro i "guerriglieri marxisti", etc etc etc

    Diane Nelson invece riporta la questione, secondo me, al reale motivo del Nobel della Menchu da un lato, dall'altro la stessa Menchu risponde a Stoll su quanto riporta.

    Stoll alla fin fine, e' come chi vuole trovare l'ebreo cattivo o falso in mezzo ad

    Diane Nelson invece ci dice che nessuno ha mai messo in discussione il fatto che la Menchu, con mezza famiglia assassinata, esecuzioni sommarie, sia riuscita semplicemente chiedendo giustizia, attenzione per la tragedia del suo popolo.

    Vi invito a leggere il libro della Menchu e a paragonarlo con il periodo di guerra che stiamo vivendo. Mostra come nell'uomo la pace sia una vera alternativa alla vendetta, la giustizia una vera alternativa alle dittature.

    Piu' rispetto, soprattutto quando si copia e incolla dal Web...

  9. #39
    Hanno assassinato Calipari
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    Vorrei ricordare che il termine "desaparecidos", fu inentato proprio in Guatemala, 1954.

    ---

    Opinion: Rigoberta Menchu & The Media

    Anthropologist David Stoll's recent book questioning sections of Guatemalan Nobel Peace Prize-winner Rigoberta Menchu's memoir I Rigoberta Menchu attracted broad and almost jubilant attention in the U.S. media. Stoll alleges that some incidents described by Menchu were exaggerated or were outright misstatements. Menchu insists that where her recollections differed from those of others in her community, she was not lying, but merely relating stories which had been told to her by her family. Stoll's attempt at debunking received front page treatment in the New York Times and other powerhouses of the American press. Conservative columnists like John Leo seemed overjoyed at the opportunity to place Ms. Menchu in the dock for her alleged prevarications.

    I have no beef with Stoll. Menchu is a public figure and her life is subject to examination. I do question the extensive coverage given this story by our country's press. When Guatemala's legal government was overthrown in 1954 by a CIA-backed coup, the press endorsed U.S. actions. When the Guatemalan military virtually invented the term "disappeared" during the 1960s by abducting and then secretly executing opponents of the dictatorship, the press prattled on about the improving investment climate in the country. When the military began to make war on the indigenous communities during the 1970s, scant mention was made on the nightly news of the atrocities being committed in the name of "anti-communism".

    The UN Truth Commission's recent report confirms that during the 1980s repression against Rigoberta Menchu's people became genocide. Why did it take the major media until February 1999 to report that? Why was the criticism of an indigenous woman's memoir the first major story on Guatemalan human rights that many news outlets ever carried? Why was the U.S. role in excusing genocide and supporting an outlaw military regime not examined until more than fifteen years after the fact? Rigoberta Menchu must account for the veracity of her story. The U.S. media's coverage must be held to the same standard. Menchu's excuse, that she was only relating stories she heard from others, was scorned by many commentators. What about the media's response that it was simply reporting what it had been told by the U.S. State Department when it failed to cover the thirty years of horror in Guatemala?

    -Pat Young


    ----

    Se combatti per i diritti umani, cercheranno nella spazzatura per calunniarti. E i giornalisti "boccaloni", i campioni dell'anticomunismo, per cui si puo' uccidere centinaia di migliaia di persone impunemente, saranno li' pronti a ripetere decine di volte al giorno le calunnie, per farle diventare verita' ai piu'.

    Nota: l'80% degli Statunitensi crede che l'Iraq sia responsabile per gli attacchi dell'11 Settembre. La stessa percentuale non sa dov'e' l'Iraq sulla cartina geografica.

  10. #40
    Hanno assassinato Calipari
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    http://www.geocities.com/sararabmonti/criticastoll.htm

    riporta un'analisi dettagliata della controversia Stoll - Menchu

    In particolare:

    "Citando al escritor Dante Liano, comenta Galeano que Stoll no ha consultado los archivos de los militares guatemaltecos. Se pregunta Dante Liano: En su libro invoca [Stoll] testigos y archivos.¿Qué archivos hay sobre la guerra reciente?¿Le abrió sus archivos el ejército? Y reflexiona sobre estas preguntas Galeano sugiriendo estas referencias: Hace poco tiempo, el diputado Barrios Klee intentó consultar esos archivos, y apareció con un tiro en la cabeza. El obispo Juan Gerardi, que también lo había intentado, terminó con el cráneo partido a golpes de piedra ."

    Credo non sia necessario tradurre le atrocita' comminate a chi ha tentato di avere verita'.

    Il libro di Stoll fa parte di quel filone che ribatte sul dubbio in pochi fatti tante volte, in modo da indurre il lettore a credere a tutto il resto del libro, cioe' che il Guatemala era pacifico e gli indigeni vivevano felici e contenti e che poi sono arrivati i comunisti a "rompere" questo gioioso equilibrio.

    Ricordo solo che agli inizi del 900', un padrone di un "negro" era tenuto per legge a nutrirlo e assocurarsi che non morisse. Per un indigeno maya, no.

 

 
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