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    INNAMORARSI DELLA CHIESA
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    Wink Buon Compleanno ar....Cupolone

    ANNIVERSARIO

    Fra pochi mesi la Basilica di San Pietro compie 500 anni: era il 1506 quando Giulio II diede il via alla costruzione

    5 secoli di Cupolone



    L’edificio preesistente era gravemente danneggiato. Alla nuova opera collaborarono i più grandi artisti dell’epoca:
    da Bramante a Raffaello, da Michelangelo a Maderno e Bernini

    Di Marco Bussagli

    Mancano ormai poco più di sei mesi a quel fatidico 17 aprile, quando la Basilica di San Pietro in Vaticano compirà esattamente cinquecento anni. Fu in quel giorno del 1506, infatti, che papa Giulio II della Rovere scese nelle fondamenta della basilica costantiniana e, con uno stuolo di cardinali, si diresse alla base di quello che sarebbe divenuto l'attuale Pilastro della Veronica dove depositò la prima pietra. Con questo gesto il pontefice voleva rinnovare i fasti di Roma sotto la Croce di Cristo che, con quel pontificato, a buon bisogno, poteva diventare anche una spada. Il primo di tutti gli apostoli, quello sul quale Gesù aveva promesso di edificare la propria Chiesa, così, avrebbe avuto l'edificio più grande e maestoso del mondo cristiano, al centro del quale, nelle intenzioni del pontefice doveva esserci nientemeno che la propria tomba, da Papa della Rovere commissionata a Michelangelo.

    Insomma, quel che il pontefice aveva in mente era una sorta d'immenso mausoleo per San Pietro e per il suo più recente rappresentante. Intendiamoci bene, il San Pietro che aveva fatto costruire l'imperatore Costantino a cominciare dal 315 era un edificio altrettanto imponente. Si trattava, infatti, di un'immensa basilica a cinque navate, con un transetto a T, preceduta da un portico ugualmente grande, al centro del quale stava la celebre Pigna (quella stessa che oggi si trova nel cortile dei palazzi vaticani) dove i pellegrini posavano la mano al termine del loro viaggio.

    Un'idea di come fosse quel San Pietro possiamo farcela grazie a diverse testimonianze, a cominciare dai disegni di Giacomo Grimaldi (Biblioteca Apostolica vaticana, cod. Bar. 2733) che riprodusse l'edificio prima delle demolizioni volute da papa Giulio. Infatti, nonostante le cure costanti e le migliorie via via realizzate, come la loggia benedizionale voluta da Bonifacio VIII (1294-1303), la più importante chiesa della cristianità rischiava di rovinare al suolo. Fu Niccolò V (1447-1455) a decidere per il rif acimento che iniziò in maniera sistematica solo dal 1506. Lo schema seguito fu, in un primo tempo, quello della croce gammata di Gerusalemme progettato da Donato Bramante. L'idea, come è stato dimostrato, era quella di assimilare San Pietro alla Gerusalemme celeste sicché la pianta a croce greca aveva, negli spazi di risulta, quattro cappelle, più piccole, ma della stessa forma della prima che costituivano la traduzione muraria dell'emblema della città sacra per eccellenza. Dopo la scomparsa di Bramante nel 1514, si costituì una commissione d'architetti, diretti da Raffaello, e composta da lui stesso, da Giuliano da San Gallo e da Fra' Giocondo da Verona.

    Il nuovo progetto abbandonava la soluzione proposta da Bramante e abbracciava l'ipotesi di un pianta basilicale con pronao colonnato. A Raffaello, morto nel 1520, successero Antonio da San Gallo e Baldassarre Peruzzi che modificarono ulteriormente il progetto creando un edificio intermedio fra quelli proposti dagli altri due architetti. Si trattava, infatti, di una chiesa a croce greca che si allungava nel braccio occidentale grazie alla presenza di un'ulteriore cappella. Dell'opera è rimasto anche il suggestivo modello ligneo commissionato nel 1538 da Paolo III Farnese (1534-1549) e realizzato dal San Gallo che impiegò ben otto anni a fabbricarlo. Con la morte di San Gallo, Michelangelo è ufficialmente nominato architetto della Fabbrica di San Pietro. La nomina risale al 1° gennaio 1546 e la carica durerà fino alla scomparsa del grande artista.

    Con Michelangelo si arriva ad una soluzione, in parte, definitiva. Il grande toscano, infatti, riprende l'ipotesi bramantesca, ma semplificandola, le conferisce grande maestosità. La pianta è quella a croce greca, ma ora la cupola centrale acquista quel ruolo che ancor oggi tutti possiamo ammirare, nonostante le modifiche successive. Alla morte del Buonarroti si susseguirono Vignola, Ligorio, Giacomo della Porta e Domenico Fontana che eresse al centro di quella che sarebbe divenuta la piazza, l'obelisco. Fu Paolo V (1605-1621) ad obiettare che l'edificio, così com'era concepito, non sarebbe stata in grado di accogliere tutti i pellegrini che vi accorrevano.

    Il compito d'ampliarla fu dato a Carlo Maderno che aggiunse un innesto basilicale al corpo michelangiolesco. Il povero architetto ticinese subì per secoli le ingiurie di tutti per aver 'rovinato' il progetto del "divino", ma l'accusa è ingenerosa e l'opera di Maderno apre alla sensibilità barocca che poi Bernini trasfuse nella decorazione interna. Ultimo atto di questa lunghissima vicenda che intreccia fede e arte è il colonnato, voluto da Alessandro VII (1655-1667) per offrire temporaneo ricovero ai fedeli in attesa della benedizione. Bernini lo concepì - ricorda il fratello biografo - «come un abbraccio che doveva avere un triplice valore: per i cattolici per confermarli nella credenza; per gli eretici per riunirli nella Chiesa e per gli infedeli per illuminarli nella vera fede».

    È l'abbraccio di Pietro che porta verso il Cristo.

    www.avvenire.it

    **************************


    Fraternamente Caterina
    Laica Domenicana

  2. #2
    INNAMORARSI DELLA CHIESA
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    Un cristiano a Roma

    L’attore più caro agli italiani racconta la Roma della sua infanzia, il suo primo Giubileo, gli insegnamenti del catechismo, il suo rapporto con la fede e la confessione. E come, negli anni, i romani hanno guardato al “cupolone” di San Pietro. Intervista


    di Roberto Rotondo




    In queste pagine Alberto Sordi a Roma. Qui sopra, a piazza San Pietro. Nell’intervista l’attore ricorda quando vide la piazza per la prima volta, all’età di quattro anni



    «Avevo quattro anni quando vidi per la prima volta San Pietro e fu proprio per il Giubileo del 1925. Ero in compagnia di mio padre, venivamo da Trastevere, dove ero nato in via San Cosimato e dove vivevo con la mia famiglia. Arrivammo percorrendo i vicoli, che poi furono distrutti, di Borgo Pio: un ammasso di casupole, piazzette, stradine. Poi, dietro l’ultimo muro di una casa che si aprì come un sipario, vidi questa immensa piazza. Il colonnato del Bernini, la cupola. Un colpo di scena da rimanere a bocca aperta. Ecco, quello che ricordo di più di quel Giubileo fu questa sorpresa». Sorride, Alberto Sordi, e non c’è nostalgia stucchevole nel suo racconto. È l’attore più caro agli italiani, quello che ne ha saputo raccontare la storia, i vizi, i pregi e i difetti meglio di tanti professori e intellettuali. Gli si spalancano gli occhi mentre ricorda: è un bambino di settantanove anni per come si entusiasma. «C’è la Roma dei Cesari e del Colosseo, quella dei papi e quella di Alberto Sordi. E prima ancora quella di Trilussa e di Petrolini», ha scritto Enzo Biagi. A giugno Sordi sarà nominato sindaco di Roma per un giorno, quello del suo ottantesimo compleanno, ma come per ogni vero “romano de Roma”, città che ha visto l’ascesa e il declino di papi, re e imperatori, le onoreficenze e le cariche sono sempre molto relative. Sic transit gloria mundi. Basta guardare sulle pareti del suo studio nei pressi di via Veneto (dove ci ha accolto come fossimo di famiglia, cortese ma senza tante inutili cerimonie): si sprecano premi e riconoscimenti avuti nella sua lunga carriera. Insieme alla carica di governatore onorario di Kansas City, ricevuta dalle mani del presidente americano Truman (tanta gloria fu per il successo dello spavaldo Nando Moriconi di Un americano a Roma) e ai premi di tanti festival internazionali, ci sono le targhe-ricordo di semplici gruppi di ammiratori, di serate in piccoli paesi, di amici. Dal Sordi “cattolico, apostolico, romano”, che ha visto passare tanta acqua sotto i ponti del Tevere, vogliamo farci dire come erano vissuti i giubilei del passato dal popolo, e alcune impressioni sull’Anno Santo che stiamo vivendo. Fa subito una premessa: «Noi abbiamo avuto il privilegio di nascere a Roma, e io l’ho praticata come si dovrebbe, perché Roma non è una città come le altre. È un grande museo, un salotto da attraversare in punta di piedi. I potenti che non l’hanno capito hanno prima portato qui tanti ministeri e poi l’hanno trasformata in una città industrializzata… Poi è arrivata tanta gente da fuori… Con la città è cambiato anche il modo di vivere la romanità. Ma quello di un tempo era senza dubbio il più vero».

    Com’era la vita a Roma nel 1925, anno del primo Giubileo di Pio XI?

    ALBERTO SORDI: Roma allora contava seicentomila abitanti e a Trastevere c’era la tipica atmosfera di un paese. La ricordo come un’isola felice piena di calore. Ci conoscevamo tutti e se a qualcuno capitava qualcosa di bello, era una gioia per tutti; se al contrario qualcuno viveva qualche dolore, aveva intorno tanta gente affettuosa. La vita cominciava all’alba e proseguiva fino a sera in un susseguirsi di avvenimenti e di appuntamenti ben precisi a cui nessuno poteva mancare. La festa del Carmine o quella dell’Immacolata Concezione, per esempio, con l’affluire disordinato e rumoroso dei devoti, per noi bambini erano sempre sinonimo di allegria. E poi c’era l’appuntamento fisso del sabato da Pasquino, una latteria-bar che faceva i maritozzi con la panna e “lo squaglio” di cioccolata. Per noi bambini tutto era stupore, tutto era motivo di curiosità e di commento. Ai nostri occhi ogni piccola cosa che accadeva assumeva un fascino particolare.

    Forse era proprio l’essere un bambino che le faceva vedere tutto così…

    SORDI: No, non credo. Semplicemente si viveva in maniera più umana. Ad esempio, per gli adulti il rapporto con la propria condizione sociale era più sereno. C’era la povertà ma c’era anche uno spirito di adattamento, un rispetto diverso gli uni per gli altri. Pensi che il “monnezzaro de Trastevere”, il signor Armando, era il primo attore del Teatro La Marmora, dove la domenica si andava a vedere drammoni tipo: Il padrone delle ferriere, Le due orfanelle, I miserabili. Ogni giorno lui si faceva anche sei piani di scale su e giù nei palazzi, con il sacco sulle spalle, strillando: «Monnezza!!». E quando si apriva la porta si diceva: «Oh, signor Armando, buongiorno, ecco ’a monnezza… E che ci prepara domenica?». E Armando rispondeva: «Il padrone delle ferriere». «Ah, grande! Complimenti, signor Armando, bravo». E questo era “er monnezzaro”! Oggi, anche se li chiamiamo “operatori ecologici” per non offenderli, nessuno vuol fare questo lavoro perché si sente declassato. La dignità, la considerazione allora erano un’altra cosa.

    Questi sono anche gli anni della sua prima educazione cattolica in famiglia. Cosa ricorda?

    SORDI: Il mio rapporto con il Padreterno si basa proprio sull’educazione che fin da piccolo i miei genitori mi hanno dato così come mi hanno insegnato a camminare e a parlare. Mi ritengo un uomo fortunato per questo. Mia madre era una donna rassicurante e affettuosa ma anche decisa. Seguiva alla lettera gli insegnamenti della Chiesa cattolica: era praticante convinta e si adoperava per gli altri tanto da farsi benvolere da tutto il quartiere. Era maestra elementare, anche se smise appena cominciò ad avere figli. Io la vedevo come la Madonna, senza peccato: per questo cercavo di preservarla da ogni dolore raccontandole, a volte, pietose bugie. Anche se lei mi vedeva come un angioletto, io avevo una predisposizione a tutto ciò che era proibito, e i pasticci me li andavo a cercare.

    E i suoi primi contatti con la Chiesa?

    SORDI: Ho cominciato da piccolo a frequentare il circolo cattolico della mia zona, e tutto quello che ho assimilato con il catechismo anche oggi lo metto in pratica giorno per giorno. Da allora non ho mai provato il minimo ripensamento: vado a messa, mi confesso, prego ogni giorno, credo nei dogmi e non li discuto. È bello credere, e non si crede facendo tanti ragionamenti: io sono cristiano, la vita mi ha sempre più convinto che il cristianesimo è vero. Che bisogno c’è di ragionarci su?


    Eppure lei non è mai stato quello che si dice un “bacchettone”, e la sua vita non è stata quella di una “dama di san Vincenzo”…

    SORDI: (ridendo) Certo non mi ritengo un santo, ma per questo c’è la confessione… La nostra pratica religiosa è sempre accompagnata dalla confessione: vieni perdonato dal prete, poi ricadi nello stesso peccato e torni a confessarti facendo il proposito di non ricaderci più. E stai di nuovo come un santo. L’importante è essere sinceri e non barare con il Padreterno. Tanto, dove non arrivo io arriva lui! Questo è quello che mi insegnavano al catechismo, ed erano anni in cui anche se andavi a vedere uno spettacolo di rivista dovevi poi confessarti…
    Tornando a quando ero un bambino, ricordo che andavo spesso a fare il chierichetto a Santa Maria in Trastevere (dove una volta fui benedetto dopo essere uscito indenne da sotto le ruote di un furgone che mi aveva investito). Avevo sei anni, ma già vivevo nei miei sogni d’artista, e il fatto che volevo fare l’attore era noto a tutto il quartiere. Non riuscivo a resistere alla smania di comparire, di esibirmi, e lo facevo anche servendo la messa. Immaginavo che i fedeli in preghiera fossero il mio pubblico: agitavo l’incensiere, facevo piroette e cantavo a voce altissima; e ogni tanto il parroco scendeva dall’altare e diceva: «Ma che sta’ a fa’?». E volavano sonori schiaffoni, con la gente che rideva. Poi in sagrestia chiedevo perdono, ma il parroco mi diceva: «Ma che perdono e perdono, guarda che non stai mica sul palcoscenico. E vabbé che voi diventà n’attore… ma io la messa nun te la faccio più servì». I preti ci hanno insegnato tutto, la socializzazione, l’equilibrio tra il bene e il male, il piacere del perdono dopo uno strappo alle regole. Certo, oggi è tutto cambiato: la messa non è più in latino, ci sono le chitarre in chiesa, il prete dice messa rivolto ai fedeli come se si esibisse davanti al pubblico… j’ avessi dato io l’idea?
    Non mi ritengo certo un santo, ma per questo c’è la confessione… E stai di nuovo come un santo. L’importante è essere sinceri


    A proposito di spettacolarizzazione. Cosa ne pensa dell’inizio del Giubileo del 2000?

    SORDI: Ripensando ai giubiei del passato, che erano solo eventi religiosi e non un pretesto per altro, un certo effetto me l’ha fatto… Ma d’altra parte ormai è un avvenimento solo quello che va in televisione. Siamo diventati una società esibizionista per effetto del piccolo schermo. Vedi la gente comune che si esibisce e saluta felice nella telecamera con la smania di uscire dall’anonimato e di mettersi in mostra in ogni occasione. E anche se non ci sono le telecamere, la gente va dove c’è la folla, perché pensa che quello e solo quello sia l’evento. Fanno code sulle autostrade, vanno ad ammucchiarsi sulle spiagge, e i giovani vanno ai concerti, a sentire uno che non si capisce che dice quando canta, solo perché lì si ritrovano in centomila. Così anche la Chiesa può peccare di esibizionismo, di leggerezza, come quando è ossessionata dal problema di catturare il consenso dei giovani.


    Come è cambiato in tutti questi anni il rapporto dei romani con il “cupolone”?

    SORDI: La Chiesa in questa città è sempre stata importante. E il degrado di Roma ha coinvolto anche la Chiesa. Noi romani ci siamo sempre sentiti più sudditi del papa che dei re o di Mussolini, che non a caso ha subito fatto un concordato. Ci siamo sempre sentiti sudditi di una grande monarchia, orgogliosi del fatto che il papa ce l’avevamo solo noi. In questo abbiamo anche un po’ influenzato il resto del Paese.


    Il romano, a volte anche nei suoi film, è stato dipinto come un cinico, un disincantato, un indolente. Con che atteggiamento i romani accoglievano i pellegrini di tante nazioni durante l’anno giubilare?

    SORDI: Cinico non direi. È più l’aria di chi ne ha viste tante. L’indolenza è una filosofia che raccomando a tutti: oggi il cittadino romano non esiste più, siamo presi da una vita convulsa, tutti vanno di fretta. A Roma un tempo, se uno passava di corsa, lo prendevano, lo sbattevano contro una porta e gli dicevano: «’Ndo’ scappi?». Perché a Roma, se correvi come un matto, poteva voler dire solo che scappavi. Ma l’indolenza era anche un aspetto della voglia di ragionare sulle cose, di non accettare tutto in maniera ottusa, di non seguire le mode. Oggi non riflettiamo più sulle nostre azioni, trasgrediamo o commettiamo delle crudeltà anche per mancanza di riflessione. Una volta anche solo il fatto di andare a piedi, di salutarsi, di sentirsi parte di una società, aiutava a essere più umani. Arrivando alla sua domanda, c’è poco da dire: il Giubileo noi romani l’abbiamo vissuto sempre con un certo atteggiamento da padroni di casa, da eredi di una città unica, con orgoglio.


    Lei ha accennato al fatto che i preti le hanno insegnato tutto… Ci sono diversi rappresentanti del clero tra i suoi tanti personaggi, qualcuno buono e pio, qualcuno molto meno…


    SORDI: Ho sempre desiderato far vedere gli uomini come sono nella realtà, con tutti i loro difetti ma anche con i loro pochi pregi, sempre con una certa bonarietà. Comunque, grazie al mio spirito di osservazione, nella fede e nella Chiesa ho trovato anche un modo per sorridere e far sorridere. Uno dei miei primi personaggi era il “compagnuccio della parrocchietta”. Era il 1948: nasceva l’Italia democristiana. Questo era un cocco di mamma tutto casa e chiesa, che in nome della bontà faceva i propri interessi e si infilava dappertutto. Rappresentava un tipo umano che vedevo crescere. Ma sono due i preti più importanti che ho rappresentato: quello di Contestazione generale (del 1970) e il monsignore di Quelle strane occasioni (del 1976). Il primo era un sacerdote “ignorante” nel senso evangelico: un semplice che viveva in un paese arroccato, semideserto, dove c’erano solo una sessantina di vecchie, pure cattive, che scrivevano lettere anonime contro di lui accusandolo di avere una relazione con la cassiera di un bar. E questo soltanto perché lui, poverino, entrava nel bar solo per andarsi a scaldare vicino a una stufetta. Alla fine del film, dopo aver scoperto il mondo esterno attraverso l’incontro con un prete protestante, moderno, che girava in Mercedes ed era pure sposato, viene chiamato dal suo vescovo. Lui, che tra l’altro era rimasto l’unico a vestirsi ancora con la tonaca, si preoccupa che volessero punirlo dopo le ingiuste lettere anonime. Il vescovo, invece, indifferente a tutto ciò, vuole solo dirgli che intende chiudere la sua chiesetta e chiedergli dove vuole essere trasferito. A quel punto il povero prete gli risponde: «Vorrei andare in una grande città, vorrei rendermi anche utile, magari lavorare. E siccome poi sono solo – è morta mamma e m’è zompata pure la stufetta del gas dove mi cucinavo – vorrei vestire un po’ più ordinato e pulito: mi vorrei fare quei vestiti col collettino bianco. E poi, siccome mi sento tanto solo, me vorrei pure sposà». Un personaggio a cui voglio molto bene, che faceva sorridere e commuovere per la sua ingenuità. L’altro è il prete di Quelle strane occasioni: freddo, calcolatore, un monsignore con tanto di calze rosse, che rimane chiuso in ascensore con la santarellina di turno, la Sandrelli. E il monsignore, con la scusa che non siamo padroni del nostro libero arbitrio, le “zompa” addosso. Alla fine, è pure convinto di non aver peccato! Tanto che le lascia il suo biglietto da visita! Certo, non tutti i preti erano e sono così, però erano storie che facevano pensare, che rispecchiavano dei fenomeni, dei cambiamenti che avvenivano nella Chiesa e nella società.


    E la Chiesa di oggi, che personaggi potrebbe ispirarle?

    SORDI: In realtà, la Chiesa di oggi offre pochi spunti. Un po’ perché i preti tendono a mimetizzarsi, vivono e vestono come laici e si vergognano di mettersi anche una crocetta sul maglione (così non c’è da stupirsi se finisce che il semplice fedele poi si vergogna pure a farsi il segno della croce in pubblico); un po’ perché la gente identifica la Chiesa solo con il Papa… non ci sono altre figure conosciute. Questo Papa fa sì che tutto si concentri su di lui e, non che reciti, ma ha una parte non facile. È stato provato da “un sacco de disgrazie”: gli hanno sparato, poi è cascato, poi quelli che non gli hanno accomodato bene le cose… insomma, è ridotto un ammasso di ossa. Era uno che una volta si tuffava nella piscina, andava a nuotare… voleva somigliare, come uomo, a quelli che praticano sport e che si mantengono in forma, poi invece è stato provato da un sacco di disgrazie. E malgrado questo continua. Ha aperto la Porta Santa piano piano, e, rappresentando la sofferenza, alcune sue espressioni sono arrivate a toccare di più i nostri sentimenti. D’altronde, ci sentiamo orgogliosi di aver conosciuto un uomo che rappresenta il papa così. Ha smentito il detto romano “sto come un papa”, che certo non si riferisce a lui, poveraccio…

    Tra i papi qual è quello a cui è più affezionato?

    SORDI: Giovanni XXIII. Avevo conosciuto Roncalli quando era patriarca di Venezia, dove andavo in occasione della Mostra del cinema. Fin da allora lo ricordo come una persona molto gentile. Era un Papa a cui tutti i romani si erano affezionati, come ad un buon parroco.

    ************************
    http://www.30giorni.it/it/articolo.asp?id=8855
    Fraternamente Caterina
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  3. #3
    INNAMORARSI DELLA CHIESA
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    Fraternamente Caterina
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  4. #4
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    La storia di come si è sviluppato il modello di San Pietro Basilica

    Per lungo tempo fu luogo comune ritenere che la basilica medioevale di San Pietro in Vaticano fosse stata abbattuta a causa delle sue miserevoli condizioni statiche. In realtà, a minarne le fondamenta e ad affrettarne la fine non furono la vecchiaia e il fatto, come si credeva, che fosse stata costruita in fretta e su terreno instabile, bensì lo spirito e le aspirazioni dei tempi mutati. [...]
    Fu l'indomito Giulio II della Rovere a decretare la demolizione dell'immenso complesso e ad affidare il progetto della nuova basilica a Donato Bramante, l'architetto che, allora forse più d'ogni altro, conosceva i segreti delle antiche tecniche di edificazione. [...]

    Alla morte di Giulio II, avvenuta il 21 febbraio 1513, seguì l'11 marzo dell'anno successivo, quella del Bramante.
    Della nuova basilica erano stati innalzati i quattro giganteschi piloni e girati i quattro grandi archi che dovevano sostenere la cupola; era stato quasi compiuto il braccio di croce occidentale ed era stato iniziato quello meridionale.
    I vent'anni che seguirono la morte del Bramante furono di non facile pontificato.
    I lavori della fabbrica del nuovo San Pietro si arrestarono e perfino il progetto dell'architetto urbinate fu messo in discussione dallo stesso successore di lui, Raffaello, al quale, nella circostanza, erano stati affiancati Giuliano da Sangallo e Fra Giocondo da Verona. Dopo le tristi vicende del "sacco di Roma", nel 1527, che ridussero il papato in spaventevole miseria, si temette per la prosecuzione dei lavori della basilica, ma nel 1534 salì sulla cattedra di San Pietro Paolo III Farnese. [...]



    Nel 1536 riconfermò nella carica di Architetto Capo della Fabbrica di San Pietro Antonio Cordini, detto comunemente Antonio da Sangallo il Giovane, e gli diede ordine di preparare un nuovo progetto e di attendere, nel frattempo, al restauro e al consolidamento delle fondazioni e delle altre strutture bramantesche; queste, esposte alle intemperie e prive delle mura che avrebbero dovuto sostenerle, presentavano già lesioni, così gravi da far disperare della costruzione della cupola e del resto del tempio.

    Solo tre anni più tardi Antonio da Sangallo, che il Vasari definì "Eccellentissimo architettore, che merita non meno di essere lodato e celebrato come le sue opere ne dimostrano, che qualsivoglia altro architettore antico e moderno", perfezionò il progetto da cui si sarebbe potuto realizzare un modello, cioè uno strumento attraverso il quale la committenza e le maestranze, necessariamente in una scala ridotta rispetto al vero, avrebbero potuto vedere, comprendere e dimensionare le idee e le volontà dell'architetto. Il modello ligneo, che Antonio da Sangallo volle fosse realizzato nel rapporto di l0 circa, perché ogni particolare fosse pienamente leggibile, fu iniziato nel luglio del 1539, dopo che la Congregazione della Fabbrica di San Pietro aveva decretato, in data 27 giugno, "... che gli Architetti non siano soddisfatti dei loro salari sino a che non sia incominciato ... ".

    Lungo 736 cm, largo 602 cm e alto 468 cm, il modello venne ultimato verso la fine del 1546, poco dopo la morte dello stesso Sangallo, avvenuta il 3 agosto di quell'anno.

    Il lavoro fu eseguito da maestranze dirette dall'architetto Antonio Labacco, stretto collaboratore del Sangallo, in un locale opportunamente allestito a ovest del muro divisorio di Paolo 111, che separava il cantiere della nuova basilica da quanto ancora rimaneva della chiesa medioevale. Alla realizzazione della struttura del modello presero parte, oltre al menzionato Labacco, mastro Guidetto, mastro Bernardo e mastro Paolo, falegnami, mentre gli elementi architettonici e decorativi furono commissionati a tornitori e intagliatori esterni. Per la supervisione il Sangallo ebbe 1000 scudi.

    L'interno, che necessariamente doveva tener conto delle preesistenze, è a croce greca inscritta, come risulta dalla disposizione delle quattro braccia uguali, terminanti con absidi. All'esterno il modello si presenta invece a croce latina per il corpo aggiuntovi, unito al vestibolo e fiancheggiato dai due campanili.

    La cupola, irta di cuspidi, è a due ordini di colonne e appare più slanciata di quella a un solo ordine ideata dal Bramante.

    Il modello, che costò oltre 6000 scudi, fu aspramente criticato da Michelangelo, che il 2 dicembre 1546 visitò San Pietro, entrò nel modello del Sangallo e, nonostante il parere contrario del deputato della Fabbrica, Giovanni Arborino, ordinò la sospensione immediata dei lavori della basilica.

    Così, poco dopo il prepotente ingresso di Michelangelo alla Fabbrica, il progetto di Antonio da Sangallo fu abbandonato e il modello venne rapidamente rimosso dalla tribuna e altrove collocato in prossimità della "lumacha", in uno degli stanzoni con volta a cupola, detti ottagoni, la cui costruzione si deve proprio allo stesso Sangallo, e precisamente nell'ottagono corrispondente all'odierno altare di San Basilio.

    In seguito il modello fu trasportato, fuori dall'ambito della basilica, in una sala del Belvedere, da dove tornò nuovamente in basilica, in un altro ottagono; per l'esattezza in quello corrispondente all'altare della Trasfigurazione.

    Nel 1925 venne smontato un'altra volta ancora, per essere collocato nella sala "D" del Museo Petriano, chiuso il quale fece ritorno in basilica per essere ricomposto in un altro ottagono, quello in corrispondenza all'altare della "Bugia".

    Tanti rovinosi spostamenti e vicissitudini furono la causa di non pochi danni, ai quali tentarono di porre rimedio Clemente XI Albani, che nel 1704 fece intraprendere- un accurato restauro, e Leone XI Della Genga, nel 1825. In quest'ultima circostanza fu l'architetto Giuseppe Valadier a soprintendere ai lavori.


    --------------------------------------------------------------------------------
    Pierluigi Silvan, 1994
    Fraternamente Caterina
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  5. #5
    Quo usque tandem???
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    Bellissima Roma!
    Ci sono stato una volta sola e ci tornerei adesso!

  6. #6
    Roscetta
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    Originally posted by Paperinik82
    Bellissima Roma!
    Ci sono stato una volta sola e ci tornerei adesso!



    eh si Roma è Roma........

  7. #7
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    (Roscè....e per questo ho postato dalle parole di Albertone, l'amore per questa Città)

    A seguire i vari modelli del "progetto" per San Pietro.....


    Alessandro Cesati detto il Grechetto

    Medaglia di papa Paolo III
    verso: modello per San Pietro
    di Antonio da Sangallo
    1546
    Firenze, Museo Nazionale del Bargello
    inv. n. I 6266 P.I. 405 Cat. n. 369

    *****************************



    Antonio da Sangallo il Giovane

    Modello ligneo del progetto
    per San Pietro
    la facciata
    Vaticano, Fabbrica di San Pietro
    Cat. n. 346

    ********************************



    Antonio da Sangallo il Giovane

    Modello ligneo del progetto
    di San Pietro
    veduta interna dell'abside
    Vaticano, Fabbrica di San Pietro
    Cat. n. 346

    ********************************
    Fraternamente Caterina
    Laica Domenicana

  8. #8
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    Arrow La Basilica nel 1450 prima dell'incendio

    Fraternamente Caterina
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  9. #9
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    29 GIUGNO: SS. PIETRO E PAOLO




    Roma festeggia il 29 giugno di ogni anno i Santi Pietro e Paolo, suoi patroni primari. Speciali cerimonie si svolgono in tutte le chiese cittadine, soprattutto in quelle intitolate ai Principi degli Apostoli


    Secondo un’antica e consolidata memoria in Via Ostiense, tra gli odierni numeri civici 106 e 108 e a circa trecento metri dalla Basilica di S. Paolo fuori le mura, avvenne l’ultimo fraterno saluto tra Pietro e Paolo, separati, per essere avviati al martirio.

    San Pietro venne condotto nell’antico circo neroniano che all’epoca insisteva dove ora è Piazza San Pietro, per essere crocifisso a testa in giù; il suo corpo fu composto dai discepoli e seppellito in una tomba in piena terra in quella zona.

    La povertà della sepoltura faceva molto contrasto con le tombe dei pagani, anch’esse presenti in quell’area sepolcrale.

    In seguito, sull’umile tomba sorse un’edicola, poi, l’Imperatore Costatino, agli inizi del IV secolo d. C., fece costruire una basilica imponente a cinque navate che, purtroppo andò distrutta nel periodo medievale.

    Fu ricostruita più volte fino al Rinascimento dove artisti insigni furono incaricati del progetto sia di ricostruzione: Maderno, sia di ristrutturazione e arricchimento (cupola): Michelangelo, sia di ampliamento (colonnato): Bernini.

    La tomba di Pietro è giù a 14 metri sotto l’Altare della Confessione; i vari edifici sacri che si sono susseguiti nei secoli, uno sull’altro, insistono su quella tomba quasi a voler confermare le parole del Cristo:"Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa".


    Contemporaneamente alla costruzione della Basilica di San Pietro, Costatino fece erigere anche quella di San Paolo che venne distrutta da un pauroso incendio nel 1823; la Basilica esistente oggi è una ricostruzione eseguita quasi subito dopo l’incendio.

    Poiché doveva venire eretta esattamente sul sepolcro dell’Apostolo,e siccome questo, secondo le antiche concezioni, non poteva essere traslato, la chiesa dovette essere costruita molto lontana dalla città, ed è per questo che venne chiamata: "San Paolo fuori le mura".


    Secondo la tradizione Pietro e Paolo furono entrambi rinchiusi nel Carcere Mamertino, ai piedi del Campidoglio, dove Pietro riuscì a convertire i suoi carcerieri e li battezzò, ma non essendovi acqua in quell’ambiente ipogeo, batté sul terreno e sgorgò una fontanella, che esiste ancora.


    San Paolo venne condotto "ad aquas salvias", nell’attuale zona delle Tre Fontane, sulla Via Laurentina, per essere decapitato; essendo un cittadino romano fu portato, dunque, fino al luogo del martirio e la storia ci tramanda che la sua testa avrebbe battuto tre volte al suolo facendo scaturire, ad ogni caduta, una fonte miracolosa; l’episodio assegnò il nome al luogo e alla chiesa sorta in onore dell’Apostolo.


    Nel punto dove avvenne l’ultimo saluto, fu , in seguito, eretta una cappella, poi una chiesetta, detta della "Separazione", sopravvisse fino al novecento; oggi, esiste una lapide posata nel corso dell’Anno Santo 1975 che contiene in pochissime parole il ricordo dell’avvenimento:

    "Nei pressi di questo sito

    una devota cappellina

    in onore del Santissimo Crocifisso

    demolita agli albori del secolo XX

    per l’allargamento della Via Ostiense

    segnava il luogo

    dove secondo una pia tradizione

    i Principi degli Apostoli Pietro e Paolo

    vennero separati nell’avvio

    al glorioso martirio"

    A coronamento di questa lapide un semplice bassorilievo rammenta i due Apostoli nell’atto dell’estremo abbraccio.


    Nella ricorrenza del 29 giugno vengono celebrati solenni riti e, in particolare a San Pietro, il Santo Padre imporrà il "Pallio" ad alcuni vescovi simboleggiando così l’unione del supremo Pastore della Chiesa Universale con i più alti capi delle chiese locali.

    Il Pallio è una stola di lana bianca riservata, oltre che al Papa stesso, ai patriarchi, ai vescovi e ai metropoliti.

    Alla confezione del pallio concorre anche la lana di due agnellini bianchi che il giorno 21 gennaio di ogni anno vengono benedetti nella Chiesa di S. Agnese (la benedizione è attestata dalla metà del secolo XV) e la loro tosatura concorrerà alla confezione dei sacro pallio da donare al Papa.


    Un’altra tradizione che si rinnova annualmente per la ricorrenza del 29 giugno è il bacio del piede della grande statua di bronzo di San Pietro situata nella navata centrale dell’omonima basilica.

    Per l’occasione la statua sarà vestita con il "piviale" rosso (paramento sacro a forma di mantello).


    Sempre come commemorazione della festa dei patroni romani è la processione che si svolge per le strade, all’imbrunire; in corteo sono recate le catene di San Paolo, una reliquia conservata presso la basilica ostiense e che consta di 14 anelli di ferro.
    Fraternamente Caterina
    Laica Domenicana

  10. #10
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    Predefinito Sotto il Cupolone "dorme" Pietro

    LA TOMBA DI PIETRO



    Nel 64 dopo Cristo Roma fu colpita da un disastroso incendio. Non era la prima volta che Roma era colpita da un incendio. Bisogna anzi dire che erano frequenti, sia per l’uso quotidiano delle lampade ad olio, sia per la stretta vicinanza degli edifici che formavano un dedalo di vicoli, sia per l’abbondante uso del legno per costruirli. Ma questo incendio fu di proporzioni enormi. Si sparse la voce che era stato lo stesso Nerone a provocarlo: qualcuno diceva di aver visto i suoi domestici appiccare il fuoco. Ma Nerone riversò la colpa sui cristiani, dicendo che erano loro gli incendiari, e che per questo grave delitto andavano puniti. E così avvenne. Per molti mesi si scatenò una vera caccia ai cristiani. Le conseguenze furono drammatiche. Molti cristiani furono arrestati e condannati a morte. Molte esecuzioni, a quel tempo, avvenivano proprio nei circhi, come nel circo privato di Nerone, ma non nel Colosseo, come solitamente si pensa, perché ancora non esisteva. Erano esecuzioni cruente.

    Durante le persecuzioni di Nerone si calcola che molte decine di cristiani furono uccisi nel suo circo privato che 2000 anni fa era stato edificato proprio in corrispondenza dell’area dove oggi sorge la Basilica (in proposito vedi scheda-link sulla Basilica di S. Pietro) o crocifissi nelle immediate vicinanze. Fu proprio nel corso di questi eccidi che ebbe luogo la crocifissione dell’Apostolo Pietro: a testa in giù, come lui stesso avrebbe chiesto, non ritenendosi degno di subire lo stesso supplizio di Gesù. Erano passati oltre 30 anni dalla morte del Cristo e secondo certi calcoli Pietro a quell’epoca doveva avere tra i 60 e i 70 anni: il martirio della croce pose fine anche alla sua vita.

    Di solito i corpi dei suppliziati erano restituiti alle famiglie. E forse le spoglie di Pietro furono recuperate da un piccolo gruppo di cristiani che con il favore della notte lo seppellì, probabilmente non lontano dal luogo del suo martirio. La tomba a quei tempi era molto semplice. Una fossa nella nuda terra accoglie i resti mortali dell’Apostolo. Dopo averla ricoperta forse, la sepoltura, in un prima sistemazione, viene contrassegnata da grandi tegole sistemate come il tetto di una capanna. Un modo probabilmente per riconoscere un punto che, nei millenni, diventerà sacro per l’intera comunità cristiana. Scavi archeologici sembrano confermare questa ipotesi. Poco distante dal circo di Nerone passava infatti una via consolare, la via Cornelia che portava in Etruria. E le necropoli si trovavano lungo le vie consolari. L’Apostolo Pietro dunque venne probabilmente sepolto nella necropoli della via Cornelia.

    S. Pietro quindi è stato sepolto qui? Secondo la tradizione infatti i costruttori della Basilica collocarono l’altare in quel punto proprio perché si sarebbe così venuto a trovare esattamente sopra la tomba di San Pietro: un piccolo monumento che è il cuore dell’intera basilica di San Pietro. In base alla ricostruzione fatta dagli archeologi, ecco come doveva apparire.
    Doveva essere una piccola edicola, molto semplice, con due colonnine, una lastra di marmo e una nicchia scavata nel muro intonacato di rosso cui era appoggiata. A livello della terra, un’altra lastra, come il chiusino di una tomba. Ma era la tomba di San Pietro?

    In realtà, San Pietro venne probabilmente sepolto nella terra nuda tra il 64 e il 67 d.C. Questa edicola, invece, sarebbe stata eretta sopra la tomba molto più tardi, nel 160 d.C. circa, cioè addirittura quasi 100 anni dopo, in rimembranza del suo sacrificio. E’ possibile che la memoria precisa del sito abbia potuto essere tramandata da una generazione all’altra per un tempo così lungo? C’è un fattore importante che si tende spesso a dimenticare: la forza della tradizione orale, assai diffusa in passato, che in casi come questi poteva essere molto efficace.
    Gli scavi dunque hanno riportato alla luce una serie di ritrovamenti che mostrano un lunga continuità nella venerazione di questo luogo situato proprio sotto l’altare della Basilica. Una sequenza di altari, monumenti ed edicole che coprono quasi 2000 anni di storia, anche se non tutto è stato spiegato e certe questioni rimangono aperte.


    GLI SCAVI

    Saxa loquuntur: “Le pietre parlano”.
    Furono queste le parole di Pio XII quando nel 1942 annunciò per la prima volta gli scavi vaticani.

    Dagli scavi condotti è stata rilevata una necropoli intesa come “città dei morti”, importante cimitero pagano.
    Infatti per la costruzione della Basilica Vaticana l’imperatore Costantino dovette autorizzare la copertura della necropoli e spogliare le famiglie dei mausolei che appartenevano loro.
    La necropoli che si sviluppò nel corso del II-III d.C., probabilmente lungo la via Cornelia, si svolgeva su un percorso da est a ovest. Il colle vaticano era tagliato al centro dal Tevere che con la sua piena rendeva poco abitabili i piedi del colle e i pendii erano utilizzati invece per le coltivazioni e le sepolture. Percorrendo la strada da est a ovest si poteva osservare sulla sinistra il circo di Nerone e a destra i mausolei.

    Questi erano decorati con stucchi, pitture e mosaici poiché originariamente appartenevano alle famiglie aristocratiche pagane; in seguito poi divennero cristiani, o perché comprati da questi ultimi, o perché appartenevano a famiglie pagane convertitesi al cristianesimo. Tutti questi mausolei formavano un complesso architettonico, che si addossava intorno ad un’area definita dagli archeologi CAMPO P. Dunque questo spazio insieme al contiguo campo Q, costituiscono indiscutibilmente delle aree per l’inumazione. Il campo P accoglie oggi la tomba di Pietro, una parte del muro rosso che integrava il Trofeo di Gaio, in compenso il muro G che molto probabilmente conteneva le reliquie di San Pietro.

    Il muro rosso chiamato così per il suo originario colore, oggi è piuttosto pallido e sbiadito.
    Per la destinazione iniziale, il muro rosso è semplicemente un muro di sostegno che delimita un passaggio in pendenza il CLIVUS, nel luogo in cui non c’era un mausoleo per fiancheggiarlo.
    Nonostante ciò rivela particolarità molto curiose: innanzitutto sottoterra dove, a un certo punto, la muratura si innalza al di sopra di qualche cosa che rispetta. Infatti non corre dritta, ma mostra una interruzione, una specie di nicchia che tende ad aggirare un angolo per non sovrastarlo. Questa nicchia è chiamata n1. Su di essa, ad un livello superiore si eleva una seconda nicchia n2, sempre nel Muro Rosso, meno irregolare della precedente.


    La “NICCHIA N2” ,si trovava proprio al di sopra del livello del suolo.
    Un’altra nicchia, n3, si trovava più in alto, separata dalla n2 da una placca di travertino orizzontale della quale restano le inserzioni nel MURO ROSSO che era sostenuta da due colonnette, pure poggianti su una base di travertino, e sormontata in alto da un’edicola.
    Le tombe che hanno preceduto il MURO ROSSO, si inseriscono in un sistema ortogonale leggermente diverso nel quale rientrano i due muretti sovrapposti m1 e m2, che delimitano a sud la nicchia n1.

    Molto probabilmente questa è la risistemazione di una tomba anteriore che altera la struttura del MURO ROSSO, ma che quest’ultimo conserva, proprio con l’interruzione n1, di cui abbiamo parlato.
    Questa struttura è chiamata TROFEO DI GAIO, poiché si riconosce in essa il trofeo dell’apostolo Pietro additato da Gaio a Proclo.
    Il TROFEO DI GAIO, ricopre uno spazio anticamente svuotato e invaso, poi, dal terreno circostante.

    C’erano molte ossa disperse mischiate alla terra, sia sotto il muro rosso, nel fondo della nicchia n1, che in altre parti del Campo P.
    L’esplorazione del Campo P dunque, ha svelato un certo numero di sepolture. Tra i sepolcri più antichi, tre risalgono a prima della metà del II sec; furono indicati da tre lettere greche: g, q, h. Il sepolcro g è il più profondo e si trova a sud degli altri, dove il livello del suolo era più basso: è una tomba di un fanciullo. Ad ovest il MURO ROSSO passa al di sopra di essa.
    Il sepolcro h si trova a meno di un metro davanti al muro rosso di fronte alle nicchie che lo invadono; passando sotto h a ovest , e nella stessa direzione del sepolcro g, il sepolcro q è un inumazione in piena regola, sormontato dalla pietra tombale che sosteneva le colonnette del trofeo di Gaio.

    Questi tre sepolcri, come i muretti m1 e m2 , si iscrivono nel sistema ortogonale anteriore al MURO ROSSO e lasciano uno spazio vuoto davanti ad esso. E questo spazio è appunto il luogo privilegiato a partire dal quale sono state concepite le sistemazioni successive che portarono alla basilica che conosciamo oggi.

    Appoggiate alle fondazioni del MURO ROSSO e in parte sopra le tombe q e i (iota), troviamo quelle di un altro muro: il Muro G.
    Si tratta di un muro tozzo, elevato in un secondo tempo, perpendicolarmente al, MURO ROSSO.
    Su questo intonaco, ci sono numerosissimi graffiti di visitatori che vi hanno inciso sopra i loro nomi accompagnati spesso da esclamazioni.

    È molto probabile che l’interno del muro G , sia stato scavato e sistemato per contenere le reliquie di San Pietro, all’epoca in cui si costruiva la prima sontuosa basilica.
    Per quanto riguarda le ossa umane provenienti dalla sistemazione interna del muro G, da studi condotti dal Professor Correnti si è potuto capire che queste appartengono ad un solo individuo, di esse però, nessuna è integra, se si eccettuano la rotula sinistra, due ossa del polso sinistro e due falangi basali delle dita della mano sinistra.

    Il sesso, è maschile, di età “senile”, tra i sessanta e i settanta anni, di corporatura chiaramente robusta, e alcune ossa che presentavano sulla superficie esterna piccole zone colorate.
    Tutte queste osservazioni ci fanno presumere che l’individuo, in origine, fu inumato e che le aree colorate non fossero altro che i colori delle stoffe in cui il cadavere fu avvolto.

    Comunque le ossa dei piedi mancano totalmente, il che potrebbe significare che la tomba è stata tagliata prima di essere sostituita, forse da una tomba posteriore.
    Proprio perché il muro G fu rispettosamente conservato e incorporato nella memoria costantiniana, sembra difficile mettere in dubbio l’interesse dei resti che vi furono ritrovati. Nessun elemento al contrario ha invalidato la logica appartenenza allo scheletro di San Pietro. Gli storici hanno formulato varie ipotesi sulla base di alcune testimonianze:
    - nel III sec. il culto è attestato “ad catacumbas”;
    - nel IV sec. è testimonianza l’Iscrizione Damasiana di San Sebastiano che dice: “Tu devi sapere che qui prima hanno abitato i santi, tu che cerchi i nomi di Pietro e Paolo;
    - nella metà del III sec. troviamo i graffiti della Triclia, sala dei banchetti funebri della memoria apostolica di Pietro e Paolo, “ad catacumbas”;
    - nel IV sec. la Depositio Martyrum, il martirologio della chiesa romana che dice “Petri in Catacumbas e Pauli in Ostiense”.
    - nel IV sec. c’è anche il calendario di San Girolamo (347-419) che attesta: “Petri in Vaticano, Pauli in via Ostiense, utriusque in catacumbas Tusco et Basso consulibus”. La celebrazione di Paolo ha sempre luogo nell’ostiense, quella di Pietro invece in catacumbas nel primo, nel secondo in Vaticano. Sempre nel IV sec troviamo anche l’editto di Milano (313) e la costruzione della basilica ad opera del papa Silvestro in Vaticano;
    - nel V sec. abbiamo il Liber Pontificalis, la cui prima redazione si ha nel 530 circa. In questo si
    - possono trovare notizie interessanti nella vita di San Anacleto, Papa dal 78 all’88: “edificò e decorò la memoria del beato Pietro” e di Papa Cornelio (251-252) “fece trasportare le reliquie da ad catacumbas in Vaticano” .
    - Gregorio Magno (540-604) parla invece di reliquie portate prima ad catacumbas, subito dopo (64 - 68) in Vaticano.

    UNA BREVE LETTURA DEI SEGNI E DEI SIMBOLI (i graffiti)

    Il disegno mistico per eccellenza era il pesce, perché in greco si dice icquV che è l’acrostico di IesuV, CrisoV, Qeou, Uios, Swthr.
    Per la simbologia pittorica, trovate sui muri attorno alla Tomba di Pietro, abbiamo molti graffiti svolti a più riprese:
    L’agnello ,simbolo di Gesù, agnello immolato per la salvezza dell’umanità.
    Il circolo , simbolo di eternità.
    L’orante che rappresenta l’anima del defunto che prega, mentre la colomba è l’anima che è volata o deve volare, questa spesso, porta un ramoscello d’ulivo simbolo della pace.
    Il vaso e la botte sono simboli della pratica del rito del refrigerium , libagioni che risollevavano l’anima e la conducevano alla vita eterna.
    Il banchetto è l’agape, cioè un banchetto mistico davanti alla tomba del defunto .
    Il faro e la lucerna sono simboli della luce divina che guida il navigante (l’anima).
    La bilancia , simbolo del giudizio di Dio.
    La zappa, l’ascia e il martello sono gli strumenti per costruire la croce e ricordano il martirio di Cristo.
    La lepre, il cavallo e l’uccello rappresentano il volo dell’anima in cielo, in quanto animali veloci.
    L’ancora , simbolo della salvezza, salvezza della croce, cioè salvezza in Cristo.
    L’uva , un simbolo pagano e indica il vino dell’eucarestia.
    Per quanto riguarda la simbologia alfabetica abbiamo invece:
    a e w indicano rispettivamente l’inizio e la fine della vita , infatti compaiono già nell’Apocalisse di Giovanni e in Isaia.
    CO indica la corona delle anime pie.
    La D è deus e cioè Dio.
    La E è il simbolo dell’Eden , che viene spesso rappresentata con ramificazioni dalle stanghette della lettera stessa , che richiamano i rami del giardino .
    La F indica il Figlio.
    La I, Iesus = Gesù.
    Il C, Cristos=Cristo.
    La M, Maria.
    La L, la luce e quindi Cristo.
    Il K,da kejalh=capo, inteso come principio.
    La N, nikh ossia vittoria.
    La O latina che riprende l’w greca=fine.
    La P è la pace (pax), ( per la Guarducci, è Pietro).
    La Q, quiete.
    La RE è la resurrezione.
    La S è la salute.
    La U è ugeia.
    La V è la vita.
    La W è il segno augurale di vita.

    Nel muro G, i simboli sono intrecciati perché si vuole dare un ulteriore significato mistico.

    GLI STUDIOSI NON PONGONO PIU' DUBBI:

    Presso la tomba di S.Pietro in Vaticano, sotto l'Altare principale della Confessione, sotto la grande Cupola, sono stati ritrovati veri graffiti, incisi alla fine del III secolo, di cui uno porta unito ai monogrammi di Cristo e Pietro: "Ch e Pe"; il nome intero "MARIA", sormontato dall'acclamazione "NICA" traslazione latina che vuol dire "vittoria".

    Queste informazioni sono importanti per constatare come già un secolo prima della definizione del dogma della divina maternità di Maria, sancita ad Efeso nel 431, a Roma Maria è già venerata e associata a Cristo e a Pietro, nella medisima acclamazione di "vittoria".

    Sempre databili al III secolo, sono stati rinvenuti nei cimiteri di Priscilla e di Pretestao su tegole e lapidi, dipinta una grande "M", accanto ad una croce, ed altre accanto al nome di Maria "MA", unito al simbolo di Cristo "X"...è qui evidente lo scopo di associare la protezione di Cristo con la mediazione della Madre.
    Già nelle Catacombe si trovano affreschi mariani, il più antico è in quelle di Priscilla, dove dominano la scena dell'Annunciazione e datata alla fine del II secolo, e quella dell'adorazione dei Re Magi sempre dello stesso periodo.

    *****************************
    Fraternamente Caterina
    Laica Domenicana

 

 
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