Prete querelato per abuso di credulità popolare
A processo per Gesù
Roberto Beretta
«Processo a Gesù. La S. V. è invitata all'evento». In quanti giornalisti siamo stati inondati nei giorni scorsi da e-mail come questa? Sic e completo di maiuscole: «Cristo non è mai esistito: afferma Luigi Cascioli. Giornalisti, storici e interessati sono invitati a partecipare al Processo per Querela presentata contro un parroco per "abuso della credulità popolare" e "scambio di persona". Udienza venerdì 29 aprile al Tribunale di Viterbo ore 9:00». Va be', il solito esaltato: sarebbe facile liquidare la missiva con un clic. Ma qualcosa trattiene. Forse l'eterogeneo miscuglio tra lo stile astrattamente formale della «Signoria Vostra, ore 9 zero zero» (fosse nato un secolo fa, il signor Cascioli avrebbe certo inviato ai giornalisti un cartoncino in corsivo svolazzante e sfidato il suo parroco a duello...) e la passione invece umanissima che da due millenni circonda l'esistenza di un certo Gesù di Nazaret. Forse trattiene la stranezza, insieme bizzarra e molto seria, di chi - facendosi indubbia pubblicità, ma anche ammantandosi di ridicolo - ritiene di risolvere sub iudice ciò che ogni comune sentire ha semmai riservato al foro interno. Più ancora: la provocazione paradossale di chi, anziché querelare per le consuete beghe di denaro o di delitti, accede alla giustizia denunciando una presunta «Favola di Cristo». Perché questo chiede il Cascioli: che una corte di Stato, con tanto di Gip e di toghe, di sentenza e di marche da bollo appiccicate sopra, stabilisca come un certo Palestinese di 2000 anni fa non solo non fu il Figlio di Dio che si proclamò; non solo mancò di risorgere dopo essere morto in croce; ma neppure esistette: «In nome del popolo italiano», due colpi di martello, la seduta è tolta... Fosse - quella intrigante e misteriosa di un Uomo proclamatosi Messia - vicenda da risolvere alla spiccia e per sempre, su istanza di un tale Cascioli Luigi da Viterbo... Ci hanno sudato sopra generazioni di intelligenze (e, se il querelante ce lo co ncede, anche più agguerrite della sua), e indagato, e combattuto, e scritto, e magari pianto o pregato. Non so. Ma entrassimo nella tonaca incolpevole di don Enrico Righi, il parroco di Bagnoregio iscritto - dettaglia sempre Cascioli - nel Registro degli indagati per i reati di cui all'articolo 661 e articolo 494 del Codice penale, potremmo andarne fieri: subire un processo in nome e per conto di Gesù, invece che sulle miserie per cui in genere gli uomini finiscono in lite, è onore, non certo onta. Alla fine, quale che sia la sentenza emessa dalla corte di Viterbo (recherà appeso sopra di sé quel Medesimo che le si chiede di cancellare dall'anagrafe della storia), credere o negare la «favola di Cristo» è sempre permesso a chiunque, né esiste ampia facoltà di prova che annulli - da una parte o dall'altra - l'eterno tiro alla fune della personale libertà tra le ragioni pro o contro il Nazareno. Pascal la chiamava «scommessa». Noi, vincesse il Cascioli, non abbiamo neppure bisogno di ricorrere in appello.
Avvenire - 29 aprile 2005