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  1. #11
    Il vero è un momento del falso
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    Originally posted by Dreyer
    Gesù predicava la lotta di classe?

    Siamo seri, su... laggiù è nata questa corrente perchè c'erano dittature militari ferocissime, come in Brasile, etc., e quindi l'unico modo per combatterle in un certo senso era essere a sinistra.
    Ma lo stesso dom Camara, uno dei principali esponenti della tdl, in un'intervista del 1974 alla Fallaci scrisse chiaramente che lui si considerava socialista in un senso ben definito, non certo come fautore nè dei regimi nè dell'ideologia marxista, la quale oltretutto è atea.
    E' nata certo per via delle feroci dittature,ma anche perchè queste dittature avevano tutte un indirizzo politico ed economico(=economia di rapina,neocoloniale) che andava realmente contro i dettami del cattolicesimo.

  2. #12
    Napoléon I
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    Originally posted by vlad84
    [B]Intendo dire che Gesù a mio avviso è stato precursore anche dell'idea di solidarietà a livello sociale;penso che il sistema economico presente nella società attuale va contro i principi dettati dal cristianesimo.
    Laq solidarietà sociale comunque non è affatto il socialismo. Esso è un sistema che divinizza il popolo, e come tale, è in totale antitesi con Cristo. Il fatto che esistano movimenti politici che abbiano avuto intuizioni buone, non significa che essi debbano avere Cristo come precursore. Il fascismo aveva caro il ruolo della famiglia come base della società. Anche Cristo ovviamente. Ma non possiamo dire che Gesù fu il precursore del fascismo!
    Il fatto è che il cristianesimo ha la sua dottrina, le ideologie, ne hanno più o meno tratto spunto.



    Non ha detto questo,ma è pensabile che anche lui volesse intendere che sovente la ricchezza è data dallo sfruttamento altrui.
    Ne dubito fortemente, poichè il concetto di sfruttamento è una categoria del pensiero marxista e socialista, ed è assolutamente anacronistica, se pensata per l'epoca di Gesù, in cui era assolutamente normale anche la schiavitù, e non era concepibile una società in cui ci fosse solidarietà tra le classi o quant'altro. Anzi nel mondo ebraico in particolare, la ricchezza era vista come benedizione di Dio, mentre la povertà era simbolica di lontananza da Dio....

  3. #13
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    Originally posted by Napoléon I
    Anzi nel mondo ebraico in particolare, la ricchezza era vista come benedizione di Dio, mentre la povertà era simbolica di lontananza da Dio....
    Mi sembra invece che Gesù non veda la ricchezza come benedizione:


    C'era un uomo ricco, che vestiva di porpora e di bisso e tutti i giorni banchettava lautamente. Un mendicante, di nome Lazzaro, giaceva alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi di quello che cadeva dalla mensa del ricco. Perfino i cani venivano a leccare le sue piaghe. Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli nel seno di Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto.
    Stando nell'inferno tra i tormenti, levò gli occhi e vide di lontano Abramo e Lazzaro accanto a lui. Allora gridando disse: Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell'acqua la punta del dito e bagnarmi la lingua, perché questa fiamma mi tortura. Ma Abramo rispose: Figlio, ricordati che hai ricevuto i tuoi beni durante la vita e Lazzaro parimenti i suoi mali; ora invece lui è consolato e tu sei in mezzo ai tormenti. Per di più, tra noi e voi è stabilito un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi non possono, né di costì si può attraversare fino a noi. E quegli replicò: Allora, padre, ti prego di mandarlo a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca, perché non vengano anch'essi in questo luogo di tormento. Ma Abramo rispose: Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro. E lui: No, padre Abramo, ma se qualcuno dai morti andrà da loro, si ravvedranno. Abramo rispose: Se non ascoltano Mosè e i Profeti, neanche se uno risuscitasse dai morti saranno persuasi".
    Dal Vangelo secondo Luca 16,19-31

  4. #14
    Napoléon I
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    Originally posted by uva bianca Mi sembra invece che Gesù non veda la ricchezza come benedizione:
    La ricchezza è vista negativamente solo se concepita come fine, e non come mezzo per arrivare a Dio. Al contrario non sarebbe peccato in se la ricchezza, ma l'idolatria, dell'uomo che adora il denaro al posto di Dio. La ricchezza è un dono, grazie al quale si può fare la volontà di Dio, verso sè stessi ed anche verso i fratelli.
    Parimenti la povertà, come anche la malattia, il dolore, ecc. sono dei mezzi che permettono una mortificazione del corpo, e una maggiore vicinanza con Dio, grazie alla constatazione della miseria umana e della grandezza di Dio.
    La povertà in sè non è un merito. E' un dono, come la ricchezza, che chiama a viverla in senso cristiano.
    Anche la povertà può essere vissuta male, e non porta a Dio, anzi porta a bestemmiarlo, ed è fonte di perdizione per lo sciagurato che con la sua malvagità offende Dio del dono che gli ha fatto.

    Non è l'entità patrimoniale a portare in cielo (e la chiesa lo ha sempre affermato, mentre i movimenti ereticali erano soliti negare ciò), altrimenti santi come s.Luigi dei francesi, S.Luigi Gonzaga, il b. Amedeo IX, e tre quarti del Martirologio, sarebbero finti santi, perchè ricchi.

  5. #15
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    aggiungo i tanti Re ed Imperatori santi

  6. #16
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    Sostenere che la teologia della liberazione è eretica mi sembra per lo meno fuorviante.
    Lo stesso Documento della Congregazione per la Dottrina della Fede Istruzione su alcuni aspetti della "Teologia della Liberazione" del 6 agosto 1984 dichiara che esiste un'autentica "teologia della liberazione", quella che è radicata nella Parola di Dio, debitamente interpretata e che storicamente "le teologie della liberazione" presentano posizioni teologiche diverse; le loro frontiere dottrinali non sono ben definite. Il documento riconosce il merito quindi ai “teologi della liberazione” di aver rivolto l’attenzione all’aspetto liberatore del messaggio biblico. Ma condanna quei “teologi della liberazione” che attribuiscono un ruolo marginale alla fede, alla trascendenza, alla coscienza personale, subordinandole nella loro predicazione alle dinamiche sociali. Buona parte del documento è dedicata a mostrare l’incompatibilità tra cristianesimo e marxismo. Incompatibilità che, secondo la Congregazione, renderebbe deprecabile pure il semplice riferirsi a categorie marxiane nell’analisi socioeconomica.
    D’altra parte J. R. Redigor, già docente di teologia alla Pontificia Università Salesiana di Roma, in “La Teologia della Liberazione” (ed. Datanews) scrive che i teologi della liberazione affermano che il marxismo non è mai stato il centro della loro teologia. Il suo centro è stato sempre il povero (…) si può parlare di socialismo come riferimento ideale, alternativo sia al capitalismo sia alla realizzazione sovietica del socialismo (p.14) e Se è vero che il socialismo ha fallito in Europa, non è meno vero che il capitalismo sta fallendo nel Sud, dove ha abbandonato nella miseria i due terzi dell’umanità, sia rispetto al diffondersi della crisi ecologica (pp. 16 e 17)
    Di Marx don Helder Camara disse in un’intervista alla Fallaci (Intervista con la storia, BUR): non sono d’accordo con le sue conclusioni ma sono d’accordo con la sua analisi della società capitalista. (…) è un errore prendere alla lettera Marx, Marx va utilizzato tenendo presente che la sua analisi è di un secolo fa.”
    La Congregazione nel 1984 ha condannato il totalitarismo insito nel marxismo, nel senso che il marxismo ha una visione totalizzante della realtà (fondata sul materialismo storico) e ha dato vita a regimi totalitari. Per Redigor la t. della l. ha superato la fase in cui il marxismo era l’unico metodo di analisi della realtà: attualmente pone l’attenzione non solo alle discriminazioni “di classe”, ma anche a quelle di genere, etniche, culturali… Non solo non è totalitaria, ma sostiene un pluralismo delle culture con le loro differenze e un cristianesimo policentrico.
    Contrariamente all’universalismo eurocentrico, la t. della l. “relativizza le realtà storiche e impedisce ogni feticismo e idolatria”. (p. 21)
    La Teologia della Liberazione è “ la prima teologia della periferia, del Sud del mondo. Infatti le altre teologie presenti nell’America Latina dalla Conquista fino a oggi, sono state importate e imposte dall’alto, dal centro, dalle Chiese legate al Nord colonizzatore”(p.8). Sia chiaro comunque che per il teologo della liberazione Redigor L’evento di Gesù Cristo è l’evento fondamentale del cristianesimo che trascende ogni sua formulazione storica. Insomma, per lui non vale il principio per cui l’unica fonte di verità è la lotta delle classi oppresse (di questo è accusata la teologia della liberazione da Istruzione su alcuni aspetti della "Teologia della Liberazione"). Il paradigma deduttivo (vedere-giudicare-agire) non mette in discussione Gesù Cristo e, nella pratica della t. della l., neanche i dogmi fondamentali del cattolicesimo. Certo è che delegittima il romacentrismo.
    Su i due documenti del Vaticano “Istruzione su alcuni aspetti delle teologia della liberazione” (settembre 1984) e “Istruzione su libertà cristiana e liberazione” (marzo 1986) Redigor scrive che Il secondo documento tentava di ammorbidire e in parte correggere la dura condanna espressa dal primo. In aprile il cardinale Bernardin Gantin portò la “Lettera alla Conferenza episcopale brasiliana”, siglata da Giovanni Paolo II il 9 aprile 1986, nella quale papa Woytila diceva all’episcopato brasiliano che “la teologia della liberazione non solo è conveniente ma utile e necessaria”.

    Purtroppo del secondo documento ho trovato solo la versione in inglese e della lettera niente.
    Saluti
    F.

  7. #17
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    Originally posted by Franzele
    i due documenti del Vaticano “Istruzione su alcuni aspetti delle teologia della liberazione” (settembre 1984) e “Istruzione su libertà cristiana e liberazione” (marzo 1986)[

    Purtroppo del secondo documento ho trovato solo la versione in inglese e della lettera niente.
    Saluti
    F.
    guarda se ti interessa forse è questoqui

  8. #18
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    Originally posted by uva bianca
    guarda se ti interessa forse è questoqui
    Grazie

  9. #19
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    Exclamation posto ora alcuni articoli provenienti da un dossier del mensile POPOLI sulla TdL

    Che fine ha fatto la teologia della liberazione

    È stato senza dubbio uno dei fenomeni più discussi nella Chiesa post-conciliare: il successo della teologia della liberazione, negli anni Settanta, ha provocato in pari misura entusiasmi e polemiche, speranze e tensioni. In questo Dossier, con l’aiuto di testimoni d’eccezione, cerchiamo di capire cosa è rimasto oggi di questa «corrente» teologica, quali sono le sue nuove frontiere, quali i bisogni a cui ha cercato e cerca di rispondere, per servire la Chiesa e l’umanità in modo rinnovato.

    La teologia della liberazione (Tdl) ha trovato terreno fertile soprattutto in America Latina. Di fronte alle enormi necessità e disuguaglianze di cui soffre il continente, si è avvertita vivamente la sfida di fondo: come testimoniare il Vangelo nella storia martoriata del popolo latinoamericano? Come tradurre la speranza cristiana in impegno militante di liberazione dall’oppressione e dalla miseria?
    La prima spinta alla elaborazione di una Tdl venne dalla II Conferenza Generale dell’Episcopato Latinoamericano a Medellín (Colombia), nel 1968.

    L’eredità di Medellín
    Fu Medellín a insistere sul concetto e sul termine di «liberazione», esortando a leggere il Concilio Vaticano II nella prospettiva dei poveri. Si cominciò, così, a ripensare la fede a partire dalla situazione di oppressione. All’inizio non si pensava a una vera e propria elaborazione sistematica, quale poi si ebbe con il volume di Gustavo Gutiérrez La teologia della liberazione (1974); ci si preoccupò invece di illuminare con il Vangelo la drammatica situazione dell’America Latina, caso per caso. Ciò spiega perché la Tdl si presenta all’origine come un metodo di lettura sociologica delle diverse situazioni, e come ricerca di soluzioni politiche per uscire da condizioni di vita inique e disumane.
    Proseguendo su questa strada, alcuni teologi giunsero presto sia alla critica radicale del capitalismo (scorgendovi l’origine dello sfruttamento dei poveri), sia al rifiuto di ogni tentativo di «sviluppo dal volto umano», perché - si teorizzò - ogni ipotesi di riforma graduale si è sempre dimostrata irrealistica e vana; se si vogliono davvero cambiare le cose - si concludeva -, non resta che la via rivoluzionaria. Da questa premessa all’incontro con il marxismo, per alcuni teologi, il passo fu breve: essi non esitarono ad assumerne il «metodo», pur affermando di non condividerne l’ideologia materialistica. La stessa Parola di Dio fu letta e interpretata in chiave «politica».
    Di fatto, il dibattito sulla Tdl, lasciato a se stesso, condusse a confusioni, deviazioni ed errori. Nell’ansia legittima di trovare nel Vangelo una risposta alle situazioni inaccettabili di ingiustizia e di povertà che affliggevano il continente, alcuni teologi finirono col ridurre il messaggio evangelico a politica, la figura e la missione di Cristo a quelle di un rivoluzionario guerrigliero, non già immolato liberamente per la salvezza dell’umanità, ma vittima involontaria del potere politico

    Gli interventi del Magistero
    Ci sarebbero voluti dieci anni prima di arrivare all’auspicato chiarimento. Questo venne grazie ad alcuni importanti interventi del Magistero della Chiesa: l’esortazione apostolica Evangelii nuntiandi di Paolo VI (1975), la III Conferenza generale dell’episcopato latinoamericano a Puebla (1979) e le due istruzioni della Congregazione per la Dottrina della Fede: Su alcuni aspetti della «teologia della liberazione» (1984) e Su libertà cristiana e liberazione (1986).
    In sostanza, la Chiesa non ha condannato esplicitamente né l’una o l’altra corrente, né l’uno o l’altro autore. Essa si è limitata a scartare le interpretazioni errate, derivanti o dall’accettazione acritica dell’analisi marxista o da una ermeneutica biblica viziata di razionalismo. Nello stesso tempo, si è impegnata a promuovere positivamente una concezione autentica della Tdl, fondandola su una sana cristologia, sulla ecclesiologia del Concilio e su una antropologia integrale.

    Che ne è oggi della Tdl?
    a) L’espressione «teologia della liberazione» è da ritenere pienamente valida: «È un invito ai teologi ad approfondire certi temi biblici essenziali, con la sollecitudine richiesta dai gravi e urgenti problemi posti alla Chiesa dall’aspirazione contemporanea alla liberazione e dai movimenti di liberazione che a essa fanno eco» (Su alcuni aspetti della «teologia della liberazione», par. IV, 1).
    b) Se bene intesa, la Tdl può offrire luce e orientamenti importanti all’impegno temporale e politico dei cristiani, non solo in America Latina, ma in tutto il mondo. Lo ha ribadito lo stesso Giovanni Paolo II, in un discorso del 21 febbraio 1979, in concomitanza con la chiusura dell’Assemblea di Puebla: «La teologia della liberazione - ha detto - viene spesso collegata (qualche volta troppo esclusivamente) con l’America Latina […]. Solo i contesti sono diversi, ma la realtà stessa della liberazione “a cui Cristo ci ha liberati” è universale. Il compito della teologia della liberazione è di ritrovare il suo vero significato nei diversi e concreti contesti storici e contemporanei» (Osservatore Romano, 22 febbraio 1979).
    c) Infine, è importante che la riflessione teologica sulla liberazione prosegua e non venga tradita o depauperata della sua ricchezza. Quindi occorre respingere con fermezza ogni tentativo di strumentalizzare gli interventi del Magistero, presentandoli come una condanna di tanti cristiani generosi che, mossi da sincero spirito evangelico, intendono compiere e vivere l’opzione preferenziale per i poveri; né, tanto meno, quegli interventi possono servire di pretesto per coprire la pigrizia o l’indifferenza di quei cristiani pavidi che, di fronte al dramma della povertà, dell’ingiustizia e dell’oppressione dei deboli, preferiscono chiudersi nel loro egoismo e in un atteggiamento di colpevole neutralità.

    Bartolomeo Sorge S.I.


    tratto da POPOLI


  10. #20
    memoria storica
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    La memoria, il presente
    Dom Paulo Arns: «La liberazione, essenza del Vangelo»
    Il cardinale Arns, per 28 anni arcivescovo di San Paolo, uno dei pastori più amati e più rappresentativi dell’intera Chiesa latinoamericana, ha sempre sostenuto la teologia della liberazione. Seppure in pensione da sette anni, non cessa di stare vicino al suo gregge e difende con decisione il contributo che questa corrente teologica può dare alla Chiesa e alla società di oggi.

    Un semplice convento in mezzo al traffico e ai grattacieli della maggiore metropoli brasiliana, il crocifisso di san Francesco all’entrata, rumori e odori di una cucina che sta chiudendo. Siamo a San Paolo, il cuore economico del Brasile, 17 milioni di abitanti sparsi tra lussuosi palazzi sempre più blindati e favelas sempre più estese. È questo il mondo che vive nel cuore e nella mente di dom Paulo Evaristo Arns, arcivescovo della diocesi paulista per 28 anni. In pensione per raggiunti limiti di età dal 1998, il cardinale parla ancora oggi tutti i giorni alla sua gente, attraverso la radio cattolica Nove de Julho, con interviste ai giornali, scrivendo libri e saggi a getto continuo e, soprattutto, ricevendo i fedeli tra le mura del convento.



    Cardinale Arns, cosa è rimasto oggi della teologia della liberazione? Molti la ritengono morta, altri superata, altri ancora dicono che è solo in fase di trasformazione.
    La teologia della liberazione non è morta. Meglio, non può morire, perché la liberazione dal male, in qualsiasi forma esso si presenti, anche come fame, violenza, povertà, è l’essenza del messaggio evangelico, è il senso della venuta di Cristo. La teologia della liberazione vive nei cuori di tutti coloro che cercano la giustizia, non solo nella teoria, ma come modello di sviluppo; vive nel cuore dei laici e nei cuori dei consacrati, come strada da seguire nella pastorale parrocchiale e in quella diocesana. Certo, oggi pare giacere sotto braci quasi spente, pare aver perso la sua vitalità, la sua carica di speranza. Semplicemente sta cercando nuove vie, meno legate alla politica e più all’impegno sociale e personale, all’identità di ogni persona e di ogni comunità.

    Come riaccendere queste braci?
    Occorre ripartire dai giovani, abituarli a un rapporto diretto con le Sacre Scritture, con il messaggio rivoluzionario del Vangelo, con il volto vivo di Cristo che si incarna ogni giorno attorno a noi. Occorre capire chi sono i poveri oggi, chi non ha pane e chi non ha speranza, persone schiacciate nel corpo e nell’anima da un’ideologia e un modello di vita che appiattisce e uniforma i desideri e le prospettive. Credo che la teologia della liberazione sarà sempre un ponte tra presente e futuro, perché dà fiducia al cambiamento, alla lotta per la dignità umana.

    In pratica, come è possibile dare nuovo slancio a questo messaggio innovatore?
    Dobbiamo promuovere un nuovo modello di Chiesa, che vuol dire stimolare la partecipazione attiva di tutti i fedeli, attraverso una condivisione non solo spirituale ma anche materiale, creare comunità più coese e solidali, unite dalla lettura in comune della Bibbia e dalla preghiera collettiva, valorizzare l’apostolato dei laici, preparandoli a partecipare in modo attivo alla vita ecclesiale. Infine, dare spazio al dialogo ecumenico, interreligioso e interculturale; esso può infatti aiutare a individuare strategie comuni per perseguire una liberazione economica, politica, culturale di tutti gli oppressi. La teologia della liberazione sempre leggerà la Bibbia con gli occhi e il cuore dei più poveri, di qualsiasi Paese e credo essi siano.

    Che rapporto sussiste oggi fra teologia della liberazione e politica attiva?
    Questa teologia, sin dalla sue origini, ha sottolineato l’importanza di contestualizzare la dottrina sociale della Chiesa; tutti i teologi hanno più volte ribadito che è anche compito delle singole comunità analizzare la realtà socio-politica della propria nazione, leggendola alla luce del Vangelo e impegnandosi per la sua trasformazione. Dopo gli anni dell’opposizione rispetto ai Governi, oggi la teologia della liberazione ha il compito di suggerire strade alternative nella gestione del pubblico e del privato; per questo motivo molti in Brasile si sono coinvolti con il governo Lula, nella speranza che un esecutivo guidato dal Partito dei Lavoratori fosse in grado di attuare politiche sociali più radicali. L’uscita dal Governo di Frei Betto (noto teologo della liberazione, impegnato nel Progetto «Fame zero» voluto da Lula, ndr), pur non essendo un rifiuto in toto di questo esecutivo, è una presa d’atto: il Governo è ancora molto condizionato da vecchie lobby nazionali e internazionali, ragion per cui per un teologo della liberazione è oggi più saggio fornire un supporto dall’esterno.

    Riguardo invece ai rapporti con la Chiesa gerarchica, qual è stata e qual è la Sua personale esperienza?
    Il rapporto con la Curia romana è sempre stato teso perché essa non mi perdonò mai l’aperto appoggio alla teologia della liberazione, considerata non come un approccio radicale al messaggio biblico, bensì quasi come una pericolosa eresia. Fui sempre ritenuto pericolosamente estremista perché difendevo i diritti di tutto il popolo, senza distinzione di religione, ideologia, classe economica. Credo ancora oggi che è anche attraverso la dignità umana che si manifesta l’amore divino, una dignità che la Chiesa deve perseguire anche attraverso la decentralizzazione, apprendendo a rispettare le differenze, a valorizzare lo spirito latinoamericano, lo spirito africano e quello asiatico.
    Differente è invece stato il rapporto con i pontefici, i quali - l’ho capito con gli anni - mai si identificano appieno con la propria curia. Paolo VI per me è stato un modello, segno che la Chiesa può e deve rivolgere lo sguardo al contesto storico in cui vive; egli era davvero ispirato dallo Spirito Santo. Di Giovanni Paolo I ho apprezzato la capacità di esternare i sentimenti, di provare empatia immediata con tutti coloro che si trovavano al suo fianco. Perfetta sintonia sento oggi con Giovanni Paolo II, con cui condivido l’impegno per la giustizia e la lotta contro tutti i regimi totalitari, fascisti o comunisti, di tipo politico o economico. E poi, con Giovanni Paolo II posso parlare in tedesco, il che mi fa sentire a casa perché ravviva le mie antiche origini germaniche.

    Laura Fantozzi

    tratto da POPOLI

 

 
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