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Risultati da 31 a 40 di 66
  1. #31
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    Un thread dello scorso anno, a tratti crudo, ma credo ancora utile per forumisti e guest.

    Guelfo Nero

  2. #32
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    Queste "illazioni" le ha pubblicate su un libro l'ex autista di Paolo VI. Perchè non schiumi nei suoi confronti, noi cosa c'entriamo?

  3. #33
    scemo del villaggio
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    Originally posted by Bellarmino
    Queste "illazioni" le ha pubblicate su un libro l'ex autista di Paolo VI. Perchè non schiumi nei suoi confronti, noi cosa c'entriamo?
    Bellegrandi non era l'"autista di Paolo VI", ma un membro della guardia d'onore pontificia o giù di lì. E' lui a raccontare le visite notturne di Carlini in vaticano e tante altri particolari. Non mi risulta sia mai stato querelato.

  4. #34
    scemo del villaggio
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    Originally posted by Dreyer
    Per me sono falsità belle e buone, e volgarità gratuite.

    NON TI RESTA CHE DENUNCIARE BELLEGRANDI. IO POSSO SOLO DIRE CHE L'AMICIZIA PARTICOLARE DI MONTINI-DEBENEDETTI CON CARLINI ERA NOTA FIN DAI TEMPI DI MILANO E MEZZA ITALIA NE RIDEVA: VOX POPULI...

    tanto più che- anche ammettendo l'omosessualità di Montini (il che non è chiaramente vero)- non si vede quale sia il male in sè se essa rimaneva in fieri e non si trasformava in atti contro natura.

    QUESTO LO SA IDDIO. DICIAMO CHE MONTINI RICEVEVA DI NASCOSTO CARLINI, DI NOTTE, PER PARLARE DI TEATRO...

    Inoltre, qualcuno sopra citava maldestramente come "prove" dell'omosessualità le ansie di rinnovamento attribuite a Polo VU.
    Eppure, Paolo VI fu un papa molto restauratore...è grazie a lui p. es. che si è messa in chiaro la questione degli antifecondativi e della contraccezione, solo accennata da Pio XII.

    e' VERO, FU "MOLTO RESTAURATORE": ABBATTè IL CATTOLICESIMO PER TORNARE AL GIUDAISMO.
    PIù SOPRA AGAPE HA RICORDATO COME L'OMOSESSUALITà DI MONTINI LO RENDESSE RICATTABILE E CHE CIò FU LA CAUSA DELL'ABROGAZIONE DEL DIVIETO ALLA CREMAZIONE (UNO DEI TANTI ATTI DI "RESTAURAZIONE"). L'"ANSIA DI RINNOVAMENTO" PUò ESSERE UN INDIZIO AGGIUNTIVO, NON CERTO "LA" PROVA.
    LA QUESTIONE DEGLI ANTIFECONDATIVI NON ERA STATA AFFRONTATA DA PIO XII PERCHé... AL SUO TEMPO NON C'ERANO ANCORA, MA LA DOTTRINA MORALE CATTOLICA è SEMPRE STATA CHIARA SUL TEMA. DIMENTICHI CHE I MODERNISTI, DOPO I DUE PASSI AVANTI, NE FANNO UNO INDIETRO.

    E poichè da sinistra accusarono Paolo VI di essere un reazionario e un retrivo...ecco che ciò conferma come in realtà fu un ottimo Papa.

    INSOMMA, PER ESSERE UN "OTTIMO PAPA" BASTA ESSERE CRITICATI DALLA SINISTRA... WOJTYLA, ALLORA, è UN FUORICLASSE...

    Fece alcuni errori, ma non certo gravi.

    NO NO, RIPETO, A PARTE LA DISTRUZIONE DELLA CHIESA, DELLA MESSA, DEL SACERDOZIO E DEI SACRAMENTI NON NE HA FATTI ALTRI, DI GRAVI.

  5. #35
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    Originally posted by franco damiani
    Bellegrandi non era l'"autista di Paolo VI", ma un membro della guardia d'onore pontificia o giù di lì. E' lui a raccontare le visite notturne di Carlini in vaticano e tante altri particolari. Non mi risulta sia mai stato querelato.
    Lessi che il Bellegrandi dichiarò di aver condotto l'auto di Paolo VI mentre questi era seduto sui sedili posteriori in compagnia del suo "lui". Che poi abitualmente egli non facesse l'autista di Paolo VI non penso cambi la sostanza.

  6. #36
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    Originally posted by Dreyer
    E' evidente che continuando così non si va da nessuna parte; visto dunque che damiani cita agape e sostiene che Paolo VI abolì il divieto di cremazione perchè ricattato ( ) allora egli può spiegarmi perchè la cremazione è stata proibita fino al 1963.


    Qui c'è il Documento pontificio sulla cremazione

    Dunque, mi si spieghi dov'è il problema teologico che vieta la cremazione.
    Io insisto per ribadire che non è questione di fede ma culturale; voi negate...spiegatemi il perchè.
    La cremazione era, ed è, usata dai massoni e dai materialisti (soprattutto in tempi passati) in ispregio alla dottrina cristiana della risurrezione dei corpi. Per questa ragione e per la tradizione, la Chiesa ne ha sempre condannato la pratica.
    Ricordo che fu vietata anche durante i secoli delle grandi pestilenze che ammorbarono l'Europa, prefendo ad essa la sepoltura dei cadaveri in fosse comuni.

  7. #37
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    Predefinito Aspetti religiosi connessi alla cremazione. Il pensiero della Chiesa Cattolica.

    Vi riporto stralci di un mio scritto sulla cremazione, di prossima pubblicazione su un'opera enciclopedica in autunno e di cui ho appena rivisto le bozze:

    Il culto dei morti (e la venerazione dei sepolcri), da secoli, è indissolubilmente connesso con il fenomeno religioso, tanto da potersi affermare che l’uno costituisce un indubbio risvolto dell’altro. Ne consegue che era più che naturale che esso venisse disciplinato dal diritto della Chiesa, continuando le tombe ad essere considerate, pur in epoca cristiana, res divini iuris (Palma).
    Nella mutata visione socioreligiosa, rispetto a quella romanopagana, era più che naturale che il sepolcro – comprendendo in tale dizione sia il luogo destinato al seppellimento sia il monumento destinato alla recordatio defuncti – fosse attratto nel monopolio della Chiesa, con una progressiva “confessionalizzazione” della materia.
    Addirittura le stesse questioni ereditarie divennero di competenza delle corti ecclesiastiche (Palma) ed il parroco, sovente, rivestiva le funzioni di redattore e conservatore dei testamenti (funzione della quale vi sono delle residualità, in presenza di determinate circostanze, nell’art. 609, 1° comma, c.c.). Anche le modalità di sepoltura non potevano non rientrare nell’ambito della disciplina ecclesiastica in quanto il bisogno spirituale della pietà dei defunti che i cimiteri sono chiamati a soddisfare, rappresentò per secoli, «finché la rivoluzione francese non mise in evidenza le esigenze dell’igiene pubblica, l’elemento fondamentale sul quale la Chiesa fondava l’egemonia» sugli stessi cimiteri (Clemente di San Luca).
    Con l’affermarsi del Cristianesimo quale religione di Stato od ufficiale, in effetti, «non raramente, i cadaveri dei pagani e dei cristiani, esclusi dalle exsequiae e dal coemeterium rimanevano insepolti» (Suchecki). L’attrazione in ambito ecclesiastico della sepoltura e relativa regolamentazione comportò, in altri termini, «l’esclusione dalla comunione dei fideles dei non cristiani, degli apostati, dei pubblici peccatori.
    Rispetto alla prassi romana, fondata sul libero esercizio della sepoltura da parte di chiunque, si sviluppò una tenace resistenza all’ammissione di non cattolici nei luoghi deputati al seppellimento» (Palma).
    Analogamente, la sepoltura era anche negata ai rapitori, agli scomunicati, agli omicidi, agli incestuosi ed agli autori di violenze su ecclesiastici (Palma), nonché ai profanatori di tombe, ai sacrileghi (Gaudemet) ed ai bambini morti senza esser stati battezzati (Gaudemet).
    Si riteneva, inoltre, che il luogo nel quale fosse stato inumato un infedele rimanesse profano, ed addirittura «si rendeva sconsacrato il luogo ove la sepoltura era attuata» (Palma).
    Tra le modalità di sepoltura ricordate, la filosofia, la teologia ed il Magistero della Chiesa, ispirandosi alla divina rivelazione contenuta nella Scrittura ed affermata dalla Tradizione, riprovarono l’antico costume dell’incinerazione dei cadaveri. Ciò in quanto se la credenza nell’immortalità dell’anima era (ed è) patrimonio pressoché comune di quasi tutte le confessioni religiose, era invece una specificità tutta cristiana la convinzione della resurrezione dei corpi, alla fine dei tempi, costituendo quest’idea uno degli aspetti più duri da accettare ed uno dei maggiori paradossi della fede in Cristo. Proprio su questo puntum saliens, sin dai primi tempi, il Cristianesimo registrò le maggiori ostilità, essendo considerata «folle e scandalosa», del tutto inconcepibile ed inaccettabile per la cultura ellenistica e poi, si potrebbe dire, per le altre culture “laiche” e “razionali”, l’idea di un generale levarsi dai sepolcri, anche per chi fosse già ridotto in polvere (cfr. Messori; Amerio):

    «Il Signore, nel suo giorno, richiamerà alla vita intera, in corpo e anima, tutti gli uomini e saprà riconoscere i suoi segnati dal segno misterioso del battesimo, senza che il fuoco, che ha incenerito i corpi, e il verde della natura, che li ha assorbiti, costituiscano un ostacolo alla sua onnipotenza. … La stessa persona che muore risorgerà. Non risorgerà una persona diversa da quella che era morta. C’è, dunque, una continuità»
    (Mucci).

    Di qui, l’antichissimo costume, accettato dalla Chiesa, di inumare o tumulare i defunti; costume che affondava le sue radici, in ultima analisi, nell’idea evangelica, ripresa da Paolo di Tarso e dai Padri della Chiesa, del seme interrato e del corpo seminato corruttibile che risorge incorruttibile (cfr. Gv 12, 24; 1 Cor 15, 3544; Agostino, De Civitate Dei, I, 13), imitando così la sepoltura di Gesù.
    È ben vero che l’Onnipotenza di Dio, secondo la teologia cristiana, può ben ricostruire un corpo ridotto in cenere (cfr. anche Panetta). Era indubbio tuttavia che l’ignizione del cadavere costituiva un chiaro segno contrario della resurrezione, un vero e proprio «antisegno» (Messori), eliminando tutta la simbolica e la forza evocativa insite nell’inumazione e nello stesso linguaggio utilizzato, sin dai primi tempi, dal Cristianesimo.
    Basti qui solo ricordare che il termine «cimitero» propriamente non rimanda ad una necropoli o «città dei morti» d’impronta pagana, bensì ad un semplice «dormitorio» (dal greco «koimáo», «dormire»), nel quale i corpi di coloro che «riposano in Dio» attendono la resurrezione finale in cui saranno anch’essi chiamati a partecipare pienamente alla vita di Cristo. Del resto, negli stessi Vangeli è sottolineato quest’ultimo aspetto, come nel caso del miracolo della resurrezione della figlia di Giairo, episodio nel quale Gesù suscita il sorriso di coloro che gli erano intorno allorché dichiara che la piccola figlia di Giairo «non è morta, ma dorme» (cfr. Mt. 9, 18-26; Mc 5, 21-43; Lc 8, 40-56).
    Il simbolismo dello stesso deporre il cadavere, affidandolo in una sorta di custodia e deposito alla terra, in attesa che possa restituirlo alla fine dei tempi, costituiva e costituisce tuttora un fattore di forte valenza figurativa e di impatto culturale. Spiega un autore:

    «Come si deposita in banca una somma di denaro con lo scopo di ritirarla con gli interessi maturati, così i cristiani hanno affidato e affidano i loro corpi alla terra, come deposito, in attesa e nella fede di esserne nuovamente rivestiti nel giorno che il Signore soltanto conosce. Nella cremazione e nella dispersione delle ceneri sembra invece esprimersi una simbologia che implica, nel contesto dell’attuale cultura, una concezione diversa della sorte dell’uomo»
    (Mucci).

    Di qui anche la scarsa adesione alla pratica della cremazione da parte d’ampi strati di popolazione in Stati tradizionalmente cattolici, anche ai nostri giorni, nonostante la vasta adesione a tale pratica da parte di personaggi “famosi”, come, ad es., Carmelo Bene, Giuliana Nenni (figlia di Pietro), Pietro Valpreda, Franco Lucentini, Carlo Galante Garrone, Claudio Villa, Walter Chiari, Silvana Mangano, Enzo Tortora, Lina Volonghi, Elsa Morante, Goffredo Parise, Cesare Musatti, Gianni Versace, Michele Alboreto, Giorgio Strehler, Antonio Gramsci, Mia Martini, Luchino Visconti, Dino Buzzati, Fabrizio De André, Moana Pozzi e Renato Guttuso.
    Durante le prime persecuzioni, non a caso, i Cristiani, assai spesso, rischiavano la vita per seppellire i corpi delle vittime, sottraendoli alla furia ed all’odio distruttore dei pagani che, quale suprema onta, ne bruciavano i corpi e disperdevano le ceneri.
    Non desta pertanto meraviglia se un Padre della Chiesa, Tertulliano, definì la cremazione come «consuetudine atrocissima» e se un Concilio, convocato l’8 maggio 627 nella città di Toledo (III Concilio di Toledo), dichiarò la sepoltura dei defunti (mediante inumazione o tumulazione) come «ininterrotta e sempre praticata prassi della Chiesa» (cfr. Amerio). Carlo Magno, nel 785, con la conversione del re Sassone Witikingo, nel Capitulare Paderbrunnense per i Sassoni pagani, tra l’altro vietò, sotto pena di morte, il rito pagano della cremazione dei defunti (in PL 97, 145). La ragione di una tal pena risiedeva nel fatto che

    «con l’espansione missionaria si venne a contatto con popoli che praticavano ordinariamente la cremazione. A questi popoli, i missionari proponevano il funerale di rito cristiano. In questi luoghi, dove entrò la semplice inumazione, la cremazione sembrò fin da questo momento il rito caratteristico del paganesimo. Nei territori dove utilizzavano la cremazione si nota un cambiamento enorme delle strutture e delle consuetudini dal momento in cui fu acquisito il diritto alla libera espressione culturale rivendicata per i Cristiani»
    (Suchecki).

    Lungo il corso dei secoli, la Chiesa vigilò attentamente affinché fosse data ai defunti dignitosa sepoltura, tutelandone il culto, con le eccezioni surricordate.
    Sintomatica di questa tutela della pietas e delle pie intenzioni in materia fu la condanna ecclesiastica di un tipo particolare di cremazione. Durante l’epoca delle Crociate, in effetti, tra l’XI ed il XIII secolo, si venne affermando – essenzialmente per ragioni di praticità (analoghe per certi versi a quelle che avevano ispirato popolazioni guerresche come i Romani a praticare la cremazione) – la macabra consuetudine di fare a pezzi e cuocere, al fine di staccarne le carni, i cadaveri dei nobili e funzionari morti lontano dalle loro terre, specialmente durante spedizioni militari, per poter spedire (facilitando il trasporto) o seppellire i soli scheletri nei propri paesi. Era la c.d. pratica della scarnificazione (cfr. anche Suchecki). A tale trattamento furono sottoposti Federico Barbarossa nel 1167; San Luigi (Ludovico) IX, re di Francia, nel 1270; Filippo IV, re di Francia; Isabella d’Aragona, ed altri.
    Papa Bonifacio VIII, con una decretale del 21.2.1300, Detestandae feritatis abusum (in Extrav. Comm., De sepulturis, III, 6), condannò queste

    «“[Horribili] hic horror exprimunt” sevizie, prima di tutto perché esse sono contrarie all’antichissima tradizione cristiana ed umana, all’uso antico quanto lo stesso genere umano, e radicato nei giusti sentimenti di riverenza per il corpo umano. Per queste ragioni non merita d’essere approvato ed ammesso quell’abuso. La riverenza dovuta al corpo umano in quell’atto indegno si trasforma in odio verso di esso: “ne abusus praedicti saevitia ulterius corpora humana dilaceret, mentesque fidelium horrore commoveat […]”»
    (Suchecki).

    Tale usanza era ispirata da un’errata nozione di pietà. Per questa ragione era comminata la grave pena della scomunica, riservata alla Sede Apostolica, per chiunque avesse arrecato perturbazione e danno al corpo dei defunti (Suchecki. Cfr. Sguerzo).

  8. #38
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    Predefinito Gli interventi del Magistero e le condanne canoniche della cremazione

    Nei secoli successivi, sino al XVIII-XIX sec., non ci furono più interventi ufficiali da parte della Suprema Autorità della Chiesa. Si dovette attendere il secolo dei Lumi per veder riaffiorare l’idea della cremazione, sostenuta, da un lato, per ragioni d’igiene e, dall’altro, per motivazioni areligiose, in odio e disprezzo alla religione cattolica (cfr. Sozzi e Porset).
    Intento principale di questa corrente filosofica – che troverà pratica attuazione durante gli anni della Rivoluzione francese e di Napoleone – era quello di “laicizzare” o, più correttamente, “scristianizzare” l’Europa, sostituendo al culto cattolico un vago deismo, fondato sulla Dea Ragione e sull’Essere Supremo. In quegli anni tormentati, numerose furono le proposte per l’introduzione in Francia della cremazione. Soltanto però nel 1887 tale modalità di sepoltura entrò nell’ordinamento francese. Ciò lo si comprende perché, in quegli anni, la Francia viveva sotto la Terza Repubblica che, braccio secolare della massoneria più anticlericale, si richiamava ossessivamente all’eredità rivoluzionaria.
    L’art. 3 della l. 15.11.1887, infatti, permise a chiunque di regolare le modalità della propria sepoltura, intendendo con tale espressione non soltanto l’inumazione, ma anche la cremazione. Alla legge fu data attuazione con il decreto 27.4.1889. Dalla Francia, comunque, questo crogiuolo di idee ed iniziative legislative pro cremazione si estesero in tutt’Europa: dalla Germania, all’Italia, al Regno Unito (cfr. Suchecki).
    La Chiesa, da parte sua, pur non facendo della materia oggetto di verità di fede e pur non ritenendo, a stretto rigore, la cremazione contraria alla Divina Rivelazione, non mancò di pronunciarsi negativamente sulla suddetta modalità di sepoltura, in quanto proposta in odio alla fede (cfr. Sguerzo).
    A tal riguardo, l’allora Sacra Congregazione della Romana e Universale Inquisizione, con proprio decreto Quoad cadaverum cremationes del 19.5.1886 (in ASS, XIX[1886], 46, nonché in Denzinger, n. 3188), rispose a due quesiti: se fosse lecito per i fedeli, da un lato, iscriversi a società per la cremazione e se fosse altresì consentito ai fedeli assentire alla cremazione del cadavere proprio o dei parenti. Ad entrambi i quesiti fu data risposta negativa, con la precisazione, riguardo al primo, che «se si tratta di associazioni affiliate alla setta massonica, si incorre nelle pene comminate contro di questa».
    Nella clausola di approvazione del decreto, il Pontefice allora regnante, Leone XIII, invitava gli Ordinari a trasmettere ai fedeli della propria circoscrizione ecclesiastica la dottrina tradizionale della Chiesa, onde evitare l’abuso della cremazione dei cadaveri (Suchecki).
    La stessa Congregazione tornò a pronunciarsi sull’argomento con decr. 15.12.1886, Quoad corporum creamationem (in ASS, XXV [1892-1893], 63, nonché in Denzinger, n. 3195-3196), ripubblicato tre anni dopo con un titolo diverso (decr Quoad cremationem aliena voluntate peractam, in ASS, XXIX [1896-1897], 642). In questo caso, il Dicastero pontificio precisò che, qualora si tratti di corpi di persone che, non per loro volontà, ma per volontà altrui, sono stati cremati, evitato lo scandalo, fosse lecito utilizzare i riti prescritti per la sepoltura ecclesiastica ed i suffragi in chiesa, non però sino al luogo di cremazione. Si aggiungeva, inoltre, che lo scandalo potesse essere rimosso rendendo noto che la cremazione non era stata scelta di propria volontà dal defunto, ma da altri. Si ribadiva, infine, che qualora, invece, la cremazione fosse stata scelta di propria volontà ed il soggetto avesse perseverato in essa in modo certo e notorio, in tal caso avrebbe dovuto negarsi la sepoltura ecclesiastica. Nei casi particolari e dubbi, in ogni caso, si doveva consultare l’Ordinario del luogo (cfr. Suchecki).
    Il medesimo interrogativo fu nuovamente posto alla Sacra Congregazione del Sant'Uffizio negli anni ’30 del ‘900 da un vescovo locale. In special modo si domandavano lumi circa il modo di procedere nel caso in cui la cremazione non fosse stata scelta dal defunto, ma da altri. La predetta S. Congregazione, con responso del 14.4.1930 (cfr. Dalpiaz; Suchecki), ribadì che, evitato lo scandalo e fatto noto che la scelta di cremare non fosse stata compiuta dal defunto ma da altri, in tal caso non avrebbero potuto negarsi le esequie ecclesiastiche.
    Un secondo interrogativo era stato posto, sempre alla S. Congregazione R. U. Inquisizione, dall’arcivescovo di Friburgo nel 1892. In effetti, le pene canoniche stabilite dalla Suprema Autorità suscitavano i dubbi di quei sacerdoti chiamati ad amministrare i sacramenti ed a celebrare celebrazioni eucaristiche di suffragio per persone che sceglievano la cremazione. A ciò si aggiungeva un ulteriore interrogativo: se cioè se fosse lecito per un fedele collaborare alla cremazione dei cadaveri, come nel caso di medici necroscopi o funzionari od operai addetti al forno crematorio e se fosse lecito amministrare i sacramenti a tutti questi soggetti se da tale attività non vogliono o non possono desistere.
    La Congregazione, con proprio responso 27.7.1892 (in Denzinger, nn. 3276-3279), precisò che a coloro i quali, una volta ammoniti, non avessero ritrattato la disposizione della cremazione del loro corpo, non venisse accordato il conforto dei sacramenti, evitato comunque lo scandalo. Parimenti, per quanto riguardava l’applicazione del sacrificio eucaristico in suffragio dei fedeli defunti, i cui corpi «sono stati cremati non senza loro colpa», il Dicastero pontificio rispose negativamente «per quanto riguarda l’applicazione pubblica della messa», ma affermativamente circa l’applicazione privata. In merito alla seconda parte dei quesiti, e cioè se fosse lecita la collaborazione di cattolici alla cremazione, fu risposto che, in linea di principio, non era mai lecita siffatta collaborazione, ma che tuttavia talvolta poteva tollerarsi una «collaborazione materiale», purché essa non fosse considerata come un segno di protesta della setta massonica, non esprimesse un rifiuto della dottrina cattolica o che i soggetti predetti fossero stati chiamati a collaborare in disprezzo della religione cattolica, fermo restando, comunque, che chiunque avesse collaborato alla cremazione doveva essere pur sempre ammonito.
    Quest’applicazione rigorosa dei precetti del S. Uffizio portò a ritenere che non fosse possibile rifiutare i sacramenti ed i sacramentali a coloro che avessero optato per la cremazione per ragioni diverse da motivi antireligiosi, come ragioni d’igiene, di progresso, ecc. (Così Suchecki).
    Le disposizioni sinora esaminate furono tutte inserite puntualmente nella codificazione pianobenedettina del 1917.
    Innanzitutto, venivano in rilievo i cann. 1203 e 1204, disciplinanti la sepoltura ecclesiastica.
    Il can. 1203 § 1 esordiva imponendo la sepoltura dei corpi dei defunti e riprovando la violenta distruzione con il fuoco del cadavere:

    «Fidelium defunctorum corpora sepelienda sunt, reprobata eorundem crematione».

    La categoricità del divieto faceva sì che una volontà espressa, in un contratto o testamento o altro atto, di voler essere cremati fosse da considerare giuridicamente illecita e, come tale, non apposta (can. 1203 § 2):

    «Si quis quovis modo mandaverit ut corpus suum cremetur, illicitum est hanc exsequi voluntatem; quae si adiecta fuerit contractui, testamento aut alii cuilibet actui, tanquam non adiecta habeatur».

    Viene affermato, riguardo a tali due disposizioni, che:

    «Questa disciplina molto severa contraria alla cremazione è stata presentata in punti molto chiari. I decreti di condanna della cremazione da parte del S. Ufficio, emanati in seguito alla diffusione del “Movimento per la cremazione” sostenuto ed appoggiato da varie società massoniche, restano tuttavia in pieno vigore, assieme alle disposizioni del Codice, ove la cremazione è voluta e intesa da persone o ambienti come espressione sensibile e simbolica antireligiosa, specie della non esistenza dell’aldilà, della negazione dell’immortalità dell’anima e della resurrezione dei corpi, come professione esplicita di materialismo, come significato di estrema ostilità alla fede cristiana, di assoluto rifiuto di ogni forma di conforto religioso e di suffragio.
    In questo divieto perde la sua forza il contratto, testamento o qualunque altro atto con cui una persona ordina che il suo corpo venga cremato. Questo tipo di divieto viola la volontà del defunto, rendendola e nello stesso tempo considerandola come illecita: “illicitum est hanc exsequi voluntatem”. Tuttavia, l’esecuzione della volontà del defunto è considerata e trattata come non posta: “tanquam non adiecta habeatur”»
    (Suchecki).

    Il can. 1204 forniva una definizione di «sepoltura ecclesiastica» conforme alla Tradizione della Chiesa cattolica (cfr. Bernardini):

    «Sepultura ecclesiastica consistit in cadaveris translatione ad ecclesiam, exsequiis super illud in eadem celebratis, illius depositione in loco legitime deputato fidelibus defunctis condendis».

    Il successivo can. 1240 § 1, negava la sepoltura ecclesiastica a coloro che, senza mostrare alcun segno di pentimento in punto di morte, si fossero resi colpevoli di determinati delitti canonici. Tra questi erano privati della sepoltura ecclesiastica, oltre ai c.d. peccatori manifesti (can. 1240 § 1 n. 6), coloro «qui mandaverint suum corpus cremationi tradi» (can. 1240 § 1 n. 5). Si trattava di una vera e propria pena canonica, che il Codex del 1917 annoverava tra le c.d. pene vendicative (cfr. can. 2291).
    In ogni caso, la disposizione del legislatore canonico di cui al can. 1240 § 1 andava interpretata secondo quanto indicato dalla risposta della Pontificia Commissione per l’interpretazione autentica del codice del 10.11.1925 (in AAS, XVII[1925], 583), in base alla quale, anche se la volontà espressa da colui che avesse disposto la cremazione del proprio cadavere non avesse trovato esecuzione, doveva negarsi al defunto la sepoltura ecclesiastica.
    L’istruzione De crematione cadaverum dell’allora Sacra Congregazione del Sant'Uffizio del 19.6.1926 (in AAS, XVIII[1926], 282, ed in Denzinger, n. 3680) riassumeva la posizione della Chiesa cattolica in materia di cremazione, riprovando il «barbarum hunc morem» di cremare i cadaveri, da parte di alcuni cattolici, sotto il pretesto del progresso civile della scienza, per la salvaguardia della salute, ecc., dato che, con la combustione dei corpi, si esprimeva comunque una convinzione contraria all’insegnamento di un’esistenza oltremondana e della resurrezione dei corpi. Ciononostante, pur ribadendo tutte le precedenti condanne, si chiariva che la cremazione, in sé, non era da ritenersi pratica intrinsecamente negativa e che, anzi, in particolari circostanze ben potessero esistere ragioni di bene pubblico che suggerivano di praticare la cremazione, come ad es., porre un argine ad una pestilenza o in casi di guerre, ecc. (cfr. Panetta; Berutti).

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    Predefinito Le innovazione successive al Concilio Vaticano II e nella codificazione del 1983

    Con il Concilio Vaticano II ed il rinnovamento liturgico, da esso scaturito, la Chiesa ha in parte rivisitato la propria posizione tradizionale sulla cremazione.
    La Sacra Congregazione del Sant'Uffizio, per questo, innovò la disciplina codiciale del 1917, attenuandone in parte il rigore, con l’Istruzione Piam et constantem de cadaverum crematione del 8.5.63/3.7.63 (in AAS, LVI[1964], 822; nonché in Denzinger, n. 4400), permettendosi la cremazione delle salme nella consapevolezza, in certune circostanze, della difficoltà di trovare in alcune regioni ubicazioni che soddisfino le prescrizioni per l’apertura di cimiteri, oppure che l’inumazione o la tumulazione possono contraddire in alcune parti del mondo il comune sentimento religioso lì imperante, come ad es. in India, in Cina, in Giappone, ecc.
    Si chiariva, tuttavia, sin dall’esordio del documento, che la Chiesa cattolica si era sempre adoperata affinché fosse conservata, tra i fedeli, la pia pratica dell’inumazione dei cadaveri e che, per tale ragione, aveva comminato sanzioni canoniche contro coloro che per animo avverso ai dogmi cristiani avevano agito contro sì salutare prassi; d’altro canto, la cremazione in sé, non toccando l’anima del defunto, non era da considerarsi un ostacolo all’onnipotenza divina di ricostruire il corpo e, per questo, non negava i dogmi cristiani.
    Come notato da un autore, dall’Istruzione poteva evincersi che

    «anche se la Chiesa [era] ben lungi dall’accettare la cremazione come una delle forme lodevoli di seppellimento dei cadaveri, tuttavia questa resta[va] tollerata, pur permanendo di fatto una certa riprovazione oggettiva».
    (Sguerzo)

    Per tale motivo si stabiliva che gli Ordinari dei luoghi si adoperassero presso i fedeli loro affidati perché avessero ogni cura affinché fosse mantenuta la consuetudine di seppellire i cadaveri dei fedeli (punto sub 1 dell’Istruzione). Parimenti, prendendo coscienza dell’attenuarsi, se non del mutare dei sentimenti nei riguardi della Chiesa e delle sue verità in coloro che chiedevano la cremazione, venivano mitigate le sanzioni canoniche, stabilendosi che (punto sub 2 dell’Istruzione):

    «Tuttavia, per non accrescere le difficoltà di ogni sorta e per non moltiplicare i casi di dispensa dalle leggi vigenti, è sembrato conveniente apportare qualche mitigazione alle disposizioni del diritto canonico, così che quanto è stabilito nel can. 1203, § 2 (vietata esecuzione del mandato di cremazione) e nel can. 1240, § 1, 5° (diniego di sepoltura ecclesiastica a chi ha chiesto la cremazione) non sia più da osservarsi in tutti i casi ma solo quando consti che la cremazione sia voluta come negazione dei dogmi cristiani, o con animo settario, o per odio contro la religione cattolica e la chiesa».

    Ne conseguiva che a chi avesse chiesto la cremazione del proprio cadavere non si dovevano negare, per ciò solo, i sacramenti ed i pubblici suffragi, salvo che constasse che il soggetto avesse compiuto la detta scelta per motivi ostili alla vita cristiana (punto sub 3 dell’Istruzione). La prospettiva, quindi, da un punto di vista soggettivo, era completamente invertita rispetto al passato, allorché la cremazione faceva presumere iuris tantum che essa fosse (sempre) stata disposta per sentimenti anticristiani (Sguerzo).
    Da ciò derivava che le disposizioni contenute nel Codice del 1917 e nella successiva istruzione dell’allora Sacra Congregazione del Sant'Uffizio del 1926 non si sarebbero più dovute osservare universaliter, ma soltanto qualora fosse parso evidente che la cremazione fosse voluta in odio e spregio della Chiesa (Sguerzo).
    In ogni caso era sancito che:

    «Per non indebolire l’attaccamento del popolo cristiano alla tradizione ecclesiastica e per mostrare l’avversione della chiesa alla cremazione, i riti della sepoltura ecclesiastica ed i susseguenti suffragi non si celebreranno mai nel luogo ove avviene la cremazione e neppure vi si accompagnerà il cadavere»
    (punto sub 4 dell’Istruzione).

    Qualche anno dopo, la Congregazione per il Culto divino, con il decreto Ritibus exsequiarum quo Novus Ordo exsequiarum promulgatur, del 15.8.69, prot. n. 720/69, promulgò il rito delle esequie, con cui fu stabilito, nelle Premesse (punto sub 15):

    «A coloro che avessero scelto la cremazione del loro cadavere si può concedere il rito delle esequie cristiane, a meno che la loro scelta non risulti dettata da motivazioni contrarie alla dottrina cristiana: tutto questo, in base a quanto stabilito dall’Istruzione della Sacra Congregazione del Sant’Uffizio, De cadaverum crematione, in data 8 maggio 1963, nn. 23».

    Il rito delle esequie richiamava soltanto i punti subb 2 e 3 dell’Istruzione Piam et constantem, e non anche quello successivo (sub 4). Ciò comportava un ulteriore passo avanti a favore della cremazione, «riguardante il luogo ed il modo con il quale viene celebrato il rito della sepoltura, nel caso in cui alcuni scelgano la cremazione» (Suchecki), ammettendosi che la celebrazione del rito della sepoltura ecclesiastica potesse avvenire anche in presenza dell’urna cineraria e svolgersi, oltre che nella cappella cimiteriale o presso la tomba, pure nella stessa sala crematoria, «cercando di evitare con la debita prudenza ogni pericolo di scandalo o di indifferentismo religioso» (cfr. Panetta).
    Inoltre, la S. Congregazione per la dottrina della fede, con decreto 20.9.73 (in AAS, LXV[1973], 500), stabilì, in relazione alla disposizione di cui al can. 1240 § 1 del Codice del 1917, che «non si proibiscano le esequie ai peccatori manifesti se, prima di morire, abbiano mostrato qualche segno di penitenza ed evitato il pubblico scandalo tra gli altri fedeli».
    Cadeva così pure l’elenco tassativo degli esclusi dalle esequie ecclesiastiche contenute nel can. 1240 § 1 n. 6, affidandosi alla discrezione dell’interprete, se si tratti di un peccatore manifesto nonché la valutazione (assai incerta) del «qualche segno di penitenza» (aliqua poenitentiae signa) (Sguerzo).
    Le novità introdotte in epoca postconciliare furono sostanzialmente mantenute nel nuovo Codice di diritto canonico, promulgato nel 1983. Questo, al can. 1176 § 3, recita che:

    «La Chiesa raccomanda vivamente che si conservi la pia consuetudine di seppellire i corpi dei defunti; tuttavia non proibisce la cremazione, a meno che questa non sia stata scelta per ragioni contrarie alla dottrina cristiana».

    Ai fedeli è vivamente raccomandata la pia consuetudine di seppellire i corpi dei defunti, attribuendo a questa prassi la massima importanza e consolidando così la sua forza normativa (Così Suchecki), giacché «la Chiesa preferisce l’inumazione che meglio esprime la fede nella resurrezione e l’onore dovuto al corpo e ricorda che il Signore stesso fu sepolto» (Mucci).
    Tuttavia il Codex non vieta la cremazione, a condizione che la scelta non sia frutto di ragioni contrarie alla fede cristiana.
    Proprio per detta ragione, il successivo can. 1184 § 1, in merito ai soggetti che devono essere privati delle esequie ecclesiastiche, se sino alla morte non mostrarono alcun segno di pentimento, annovera al n. 2, «coloro che scelsero la cremazione del proprio corpo per ragioni contrarie alla fede cristiana».
    La Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti, da ultimo, con decreto 17.12.01, prot. n. 1532/00/L, ha emanato il Direttorio sulla pietà popolare al la Liturgia. Principi ed orientamenti, in cui, al punto n. 254, viene trattata la materia della cremazione, chiarendosi che, anche in tal caso, comunque alle urne deve assicurarsi adeguata sepoltura, evitandosi di conservarle nelle civili abitazioni:

    «La pietà popolare è lontana dalle pratiche della mummificazione, dell’imbalsamazione e della cremazione dei corpi, poiché esse inducono l’idea che la morte provochi la distruzione totale dell’essere umano; essa dunque ha ritenuto l’inumazione come il modello di sepoltura per il fedele. In effetti, questa evoca, da una parte, la terra da cui l’uomo è tratto (cfr. Gen 2, 6), e alla quale deve ritornare (cfr. Gen 3, 19; Sir 17, 1) e, dall’altra, essa si rifà alla sepoltura di Gesù, chicco di grano caduto in terra, che porta molto frutto (cfr. Gv 12, 24).
    Ad ogni modo, nella nostra epoca, la pratica della cremazione si diffonde per delle ragioni legate alle trasformazioni delle condizioni di vita e di ambiente. … I fedeli che hanno compiuto tale scelta sono espressamente invitati a non conservare le urne dei defunti dei loro familiari nelle proprie abitazioni, ma a donare a queste una sepoltura decente, fino a quando Dio farà risorgere coloro che riposano nella terra ed il mare renda i morti che contiene (cfr. Ap 20, 13)».
    (Direttorio sulla pietà popolare al la Liturgia. Principi ed orientamenti, § n. 254).

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    Predefinito

    Forse può essere utile notare come anche l'ebraismo o giudaismo ortodosso nonchè l'islamismo sono contrari alla cremazione:

    Le altre confessioni cristiane, in special modo le chiese nate dalla c.d. riforma protestante, hanno, nei riguardi delle modalità di sepoltura una concezione ampiamente liberale; non reputando di aderire ai rigorismi, almeno passati, della Chiesa Cattolica, lasciano libertà di scelta delle modalità di sepoltura al singolo fedele ed ai parenti.
    Unica eccezione degna di nota è rappresentata dalle Chiese ortodosse, che, invece, onorevolmente conservano una posizione sul punto assai rigorosa ed assolutamente contraria alla cremazione.
    L’Ebraismo così come l’Islam hanno avuto, almeno sotto quest’aspetto, una posizione molto simile a quella tradizionale della Chiesa Cattolica.
    Il rito ebraico tradizionale della sepoltura vieta la cremazione dei defunti. Questi sono inumati nel cimitero ebraico, il beth hachajìm, cioè “casa della vita” o “dei viventi”, in quanto i defunti continuano a vivere nel ricordo delle generazioni successive e dei parenti, attraverso le sue opere ed i suoi studi, nonché nella preghiera del Kaddish. Il cimitero deve essere, se possibile, ubicato su un pendio rivolto ad Est, dato che le tombe devono essere rivolte verso Gerusalemme.
    Dopo la morte il defunto, subito il lavaggio rituale, rivestito di abiti funebri ed allineate le braccia lungo il corpo (mai incrociate!), è, laddove le leggi statali lo permettano, calato nella terra, avvolto in un semplice lenzuolo che copra tutta la salma. Anche quando si debba porre il corpo in una cassa in legno, esso deve essere ricoperto di un lenzuolo.
    Tutto ciò per accelerare il processo decompositivo, in ossequio al precetto biblico “dalla polvere sei stato tratto ed in polvere tornerai”. Il libro del Deuteronomio (21, 23), uno dei cinque libri della Legge, la Torah, e la tradizione giudaica prescriverebbero di seppellire i morti e di avere rispetto per i corpi dei defunti. Nel Talmud babilonese (Shabbat, 46b), dove si raccolgono le tradizioni ed i codici rabbinici, si ordina che si debba procedere alla sepoltura lo stesso giorno del decesso, pena la trasgressione del comandamento di Dio dato nella Torah. È da avvertire che, quando si debbano trasportare, per volontà del defunto, i suoi resti nel luogo da lui designato per l’inumazione, come precisa un maestro dell’Ebraismo, rabbi Moshé Isserles (noto con l’acronimo HaRemà), vissuto nel XVI secolo, nel suo commento (glossa) all’autorevole codificazione di rabbi Josef Caro, Shulchan Arukh (Joré Deà, 363, 2), può ritenersi ammissibile l’uso di calce per accelerare il processo di decomposizione. Questo costume è assai usuale tra gli Ebrei portoghesi.
    Per le ragioni religiose surriportate, comunque, sono rigorosamente vietate la cremazione e l’esumazione. Secondo l’Ebraismo tradizionale o ortodosso, infatti, la cremazione sarebbe un rito pagano, che mancherebbe di rispetto per il corpo umano. Per questo essa è guardata con orrore. Essa sarebbe contraria allo spirito ed alla tradizioni del giudaismo.
    La Mishnah (Avodah Zarah, 1, 3) considera, in special modo, i roghi accesi per la cremazione una pratica idolatra. Così dice il Signore per bocca del Profeta Amos:

    «Per tre misfatti di Moab e per quattro non revocherò il mio decreto, perché ha bruciato le ossa del re di Edom per ridurle in calce»
    (Amos, 2, 1).

    Può desumersi quindi, dai brani della stessa Scrittura, «che la cremazione offende e viola i corpi e le consuetudini contenute nella tradizione del popolo» e che «l’incinerazione è considerata come un crimine» (Suchecki).
    La cremazione distruggerebbe, tra l’altro, il coccige, l’osso cioè posto alla base della colonna vertebrale, da cui, secondo i rabbini e la tradizione ebraica, dovrebbe aver inizio la resurrezione.
    Nulla escludeva, analogamente a quanto previsto dalla Chiesa Cattolica, tuttavia, che potesse farsi ricorso alla cremazione quale misura di emergenza, in occasione di calamità (Suchecki. Cfr. Amos, 6, 10) o di guerre.
    Il caso della cremazione di re Saul e dei suoi figli, riportato nella Scrittura (1 Sam 31, 12-13), è giustificato dai biblisti e dagli storici con la convinzione che si sia trattata di una cremazione non completa, che non bruciò le ossa, tanto da essere queste ultime sepolte sotto la quercia in Iabes, come riportato da 1 Cron 10, 11-12 (Suchecki). In tal maniera, le ossa di Saul e dei suoi figli, dopo l’umiliazione subita dai nemici, sarebbero state meglio conservate e preservate da ulteriori offese. Né, d’altro canto, è da escludersi l’ipotesi che coloro che praticarono tale cremazione l’abbiano fatto «sotto l’influsso della cultura dei Sumeri e degli Accadi di razza semitica» (Suchecki). Presso i Sumeri ed i popoli mesopotamici, infatti, la cremazione «era ritenuta un privilegio per i sacerdoti e per un gruppo ristretto di nobili», assicurando ad essi una degna sepoltura (Suchecki).
    Ad ogni modo, il successore di Saul, Davide, non rimproverò coloro che praticarono la cremazione, ne comprese le ragioni, ma procedette successivamente alla sepoltura tradizionale dei resti del re ucciso e dei suoi figli (Suchecki. Cfr. 2 Sam 21, 13-14).
    La tradizione rabbinica successiva, ed in special modo del rabbino Schelomò ben Izchak (comunemente noto con l’acronimo Rashì), però, ravvisò nella cremazione dei corpi di Saul e dei suoi figli la causa di una grave carestia, durata tre anni, che colpì il Regno d’Israele ai tempi del Re Davide a cui fa cenno la Scrittura (2 Sam 21, 1) (Rashì, 2 in riferimento al passo biblico citato. Cfr. anche Yeb, 78b).
    In epoca moderna, la domanda circa la liceità o meno della cremazione è stata assai discussa, dal momento che nessuna menzione è fatta alla cremazione nella letteratura talmudica. L’incertezza circa l’esistenza di una norma espressa nell’Antico Testamento che prescriva la sepoltura del corpo umano (intesa come inumazione) e l’unicità del solo insegnamento dello Shulchan Arukh (Joré Deà, 362) secondo cui «la sepoltura nella terra è un ordine positivo», fanno ritenere ammissibile la cremazione. Anzi, a stretto rigore, da un punto di vista religioso, non vi sarebbero veri e propri argomenti contrari, come dichiarato dal grande maestro dell’Ebraismo rabbi Moshé ben Maimon o Maimonide (Teshuvà, 8, 2, 3). Ed un altro rabbino ebreo, Joseph Albo, addirittura criticava alcuni suoi correligionari (Abraham ibn Daud e Nahmanide) per la loro opposizione a tale pratica (Ikkarim, 4, 30).
    Alla corrente dell’Ebraismo ortodosso se ne contrappone una più liberale, la quale si richiama ai suddetti insegnamenti più “aperti” e non crede alla resurrezione dei corpi, ritenendo che il corpo non sia altro che una sorta di vaso d’argilla, di per sé non immortale. Per questo, gli ebrei appartenenti a questa corrente, anche per ragioni squisitamente ecologiche ed ambientalistiche, ritengono preferibile la cremazione all’inumazione, lasciando, comunque, libertà di scelta tra l’una o l’altra modalità di sepoltura e stabilendo che se una persona desideri essere cremata nessuno possa vietarglielo, nemmeno i parenti.
    Invero deve registrarsi, che, quando nel ‘700-‘800, si cominciò a profilare l’idea della pratica della cremazione, pure le autorità rabbiniche ortodosse assunsero una posizione moderata, precisando che la modalità ordinaria di sepoltura fosse da considerarsi l’inumazione, ma che tuttavia era consentito seppellire nella terra, nei cimiteri delle comunità, le urne cinerarie.
    Tuttavia, anche in presenza di cremazione, è comunque vietata l’esumazione. A tale scopo, in Italia, a mente dell’art. 16, l. 8.3.89, n. 101,

    «le sepolture sono perpetue, secondo la legge e la tradizione ebraiche, in deroga a quanto prevede l’art. 91 del d.p.r. 21.10.75, n. 803 [ora art. 92, comma 1°, d.p.r. 10.9.90, n. 285, ndr] sul servizio funerario, che fissa la durata della concessione comunale in novantanove anni. Perciò, ogni volta in cui vi sia tale scadenza, la concessione è rinnovata per un termine di uguale durata, in perpetuo. Gli oneri finanziari inerenti a tali rinnovi delle concessioni sono a carico degli ebrei interessati ai sepolcri, ossia a carico dei familiari dei defunti. In mancanza di tali interessati, l’onere del rinnovo grava sulla Comunità competente per territorio o sull’Unione delle Comunità»
    (Finocchiaro).

    Per quanto concerne l’Islam, tutte le tradizioni mussulmane sono concordi nel ritenere che il credente goda di un’immunità ed una dignità, tanto da vivo quanto da morto, secondo quanto indicato da Allah e riportato nel Corano (sura XVII, 70). In ragione di questa dignità nell’Islam non è consentita la cremazione dei mussulmani. Si legge nel libro sacro all’Islam, il Corano, che Dio ha detto:

    «Dalla terra vi abbiamo creati, nella terra vi facciamo ritornare e dalla terra vi faremo uscire una seconda volta»
    (sura XX, 55).

    Ed ancora, si narra che un corvo, mandato da Dio, abbia mostrato a Caino, scavando la terra, «come nascondere il cadavere del fratello» Abele (sura V, 31).
    Il giuristi mussulmani consentono tuttavia di mettere a morte mediante il fuoco un soggetto in virtù della legge del taglione (sura XVI, 126; II, 174) o quando abbia commesso un atto omosessuale.
    In certi paesi arabi, come l’Egitto, esistono forni crematori ed è consentita la cremazione per coloro le cui norme religiose consentono l’incinerazione.
    In una fatwa (parere legale), nel 2001, diffusa su internet, sollecitata dai mussulmani viventi in Occidente, è stata data la seguente risposta:

    «L’Islam vieta rigorosamente di punire un vivente con il fuoco. Per questo, quando il Profeta ha visto i suoi seguaci bruciare un formicaio, ha detto loro: “Non può essere punito con il fuoco il padrone del fuoco”. Allo stesso modo, è vietato bruciare i morti in ragione del detto di Maometto: “ciò che fate soffrire ai viventi, fate soffrire al defunto”. L’Islam insiste sul fatto che l’acqua che occorre a lavare il defunto deve essere riscaldata ad un grado mediamente sopportabile e non faccia soffrirlo. Si può immaginare che il morto sia vivente, di cui si deve tener conto per ciò che si potrebbe fargli di male e di ciò che si sarebbe utile. Così l’acqua non sarà riscaldata e portata ad ebollizione perché la sua pelle non ne si distacchi. A maggior ragione, è vietato bruciare i morti.
    Non esiste una pratica della cremazione dei morti mussulmani nei paesi arabi, poiché questo rituale si ricollega a delle religioni e dei gruppi religiosi celesti [cioè estranei all’Islam, ndr]. Una tale pratica non si trova né presso i mussulmani, né presso i giudei, né presso i cristiani. Ed io non conosco alcun mussulmano in un Paese occidentale che abbia domandato di farsi cremare, a meno che non abbia seguito, prima della morte, altri insegnamenti piuttosto che quelli dell’Islam o abbia mutato la sua religione. Ed in detta ipotesi, noi non possiamo considerarli mussulmani né tenerne conto nel nostro parere legale (fatwa)»
    (Traduzione dal francese della risposta alla questione posta al Servizio di fatwa di islam-online il 10 maggio 2001).

    A riprova di questa generale riprovazione, può segnalarsi il fatto che taluni gruppi islamici fondamentalisti, dediti ad azioni di stampo terroristico, come l’attuale GIA (Gruppo islamico armato), operante in Algeria, ricopre di un profondo significato simbolico la propria azione: così l’uccisione delle vittime è accostata a quella degli animali impuri; lo sgozzamento, tramite il taglio della gola, assolve alla funzione di purificazione mediante il sangue; la decapitazione avrebbe la finalità di impedire la ricomposizione dei corpi nel Giorno del Giudizio; la cremazione, infine, anticiperebbe, in un certo senso, il tormento eterno a cui Dio destinerebbe i rinnegati ed i miscredenti.
    La tradizione islamica, inoltre, come traspare dalla suddetta fatwa, sulle modalità di sepoltura si rifà moltissimo alle usanze giudaiche tradizionali. È ben vero che il Corano nulla dice su dette modalità, ma i giuristi mussulmani, attingendo da alcuni presunti detti del profeta (hadith), hanno dettato precise disposizioni a tal riguardo, come ad es. che i martiri, a differenza dagli altri defunti, non devono essere lavati, ma, avvolti in un semplice lenzuolo, devono essere interrati in una fossa con i loro stessi abiti, perché saranno «lavati dagli angeli», come afferma Maometto (Aldeeb Abu-Sahlieh).
    Generalmente, poi, ripugna all’Islam l’uso di una cassa (o feretro), sebbene essa possa venire utilizzata allorché la terra entro cui seppellire il defunto sia umida, tanto da accelerare la decomposizione del cadavere; ovvero si debba seppellire una donna e si voglia evitare che mani sacrileghe possano toccarla; o, ancora, allorché non sia possibile avvolgere il corpo in un lenzuolo o vi sia pericolo che animali selvatici possano dissotterrare il corpo e distruggerlo (Aldeeb Abu-Sahlieh).
    L’interramento o inumazione del cadavere, avvolto nel suddetto lenzuolo, può avvenire in una semplice fossa (detta shaq) o in una fossa con una nicchia orientata a La Mecca (detta lahd). Quest’ultima, stando ai detti del Profeta, sarebbe da preferire per i mussulmani; la prima, invece, sarebbe da riservarsi a tutti gli altri. Nell’uno o nell’altro caso, comunque, una volta deposta la salma, la fossa va ricoperta ed interrata. La sepoltura, in ogni caso, deve avvenire in tempi brevi dalla morte accertata ed effettiva (Aldeeb Abu-Sahlieh).
    Sul luogo di sepoltura, i giuristi mussulmani tradizionali sono favorevoli a che non vi siano costruzioni, ma un mero cumulo di terra sopraelevato per segnalare la presenza della tomba ed impedire che dei piedi la calpestino. Ma questa estrema semplicità non è seguita in taluni Paesi mussulmani, come l’Arabia Saudita (Aldeeb Abu-Sahlieh).

 

 
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